| |
IL
RISVOLTO DI COPERTINA DI ”MADRELINGUA” È
arduo accostarsi a questo testo con le categorie narratologiche tradizionali.
In altri tempi madrelingua sarebbe stato probabilmente definito un antiromanzo,
ricco di digressioni come quelli settecenteschi alla Tristam Shandy.
O si tratta piuttosto di uno scheletro di romanzo - composto non per caso da un
insegnante di scrittura -, un’impalcatura di romanzo come la Tour Eiffel
è l’impalcatura di una torre, una struttura autoreferenziale, un
metaromanzo? Si può affermare con buona coscienza che il tema di questo
romanzo è il romanzo stesso, che ci troviamo di fronte all’attacco
premeditato a una tradizione sopravvissuta a sé stessa. O meglio, qui non
si mette in dubbio la tradizione romanzesca in sé, quanto l’adeguatezza
del genere romanzo a trattenere le strutture liquide del mondo di oggi. "Non
è più possibile scrivere un romanzo, e non è più possibile
non scriverlo", si dice nell'introduzione. In questo senso madrelingua
è una sorta di requiem per una certa società letteraria, per una
cultura borghese europea in fase avanzata, e ai più inconsapevole, di disfacimento.
Questo aspetto viene sottolineato soprattutto nella crisi del patto di lettura,
nel logoramento della figura del narratore romanzesco, puntualmente ripreso da
una sorta di autore implicito (tra parentesi tonde), il quale a sua volta viene
interrotto in continuazione da un’ennesima voce [tra parentesi quadre],
che veniamo indotti a identificare nell’autore in carta e ossa, nell’uomo/scrittore
Monteiro Martins. Nel corso di questo sovrapporsi di voci (non) narranti assistiamo
anche a un ludico sovvertimento di tutti gli altri parametri della narrazione,
del tempo, del tono, del ritmo, del personaggio, della coerenza come della coesione
dell’intreccio. A un certo punto infatti il narratore getta le sue molteplici
maschere, dice basta!, decide improvvisamente di cambiare discorso e direzione.
I personaggi vengono abbandonati al loro destino appena tratteggiato. Il romanzo
si interrompe, abbandona il sentiero dato per infilare una stradina laterale che
non conduce in nessun luogo, lasciandosi trasportare da una voglia di narrare
fine a sé stessa. madrelingua non intende però indicare
un modello alternativo di letteratura (che la nostra società non sarebbe
neppure in grado di recepire), ma si limita, con un lessico tematico arbitrario
e giocoso, a puntare il dito sulle deficienze del modello di letteratura realmente
esistente. Non ci troviamo quindi di fronte a un romanzo sperimentale o fallito
come quelli a cui l'autore rimanda nell'introduzione, bensì a un documento
premeditato, quasi disfattistico, del fallimento del romanzo nell’epoca
in cui ci è dato vivere. In tal senso la forma combacia fedelmente
con il contenuto, la forma è il contenuto, perché i narratori come
i personaggi avvertono l'incongruenza delle storie narrate o vissute nel rutilante
caos che sballotta l'individuo. Si ha come l'impressione che sulla soglia di casa
i protagonisti provino febbrilmente le chiavi con cui sono soliti aprire la porta.
Ma la serratura è stata cambiata: questa è l'esperienza fondamentale
di madrelingua, uno smarrimento che accomuna in fondo narratori e personaggi.
Per un lungo tratto il testo gira su sé stesso con gratuito compiacimento,
ma alla fine non può fare a meno di smentirsi un'ultima volta: assistiamo
a uno scioglimento quasi tradizionale del labile intreccio, i quattro protagonisti
vengono inquadrati per un attimo, un ultimo sguardo, un rifiuto del rifiuto di
continuare siglato da un’ironica sfera di cristallo. madrelingua
è a un tempo atto d’accusa e atto d’amore verso una tradizione
in grado di risvegliare nostalgie inassopibili. È evidente che una simile
testimonianza sarebbe potuta sorgere solo da un antico e genuino amore per il
romanzo. Antonello
Piana
LA
QUARTA DI COPERTINA Un romanzo che parla della stesura di un libro
non portato a termine, apparentemente senza motivazioni precise, un lavoro che
forse è un’autobiografia, forse un esuberante mosaico del nostro
tempo, di cui rimangono poche paginette, che il narratore – un personaggio
anche lui – come un moderno pittore, decide di pubblicare così come
sono. In queste pagine ci sono cenni sui personaggi, annotazioni sui luoghi
e monumenti toscani, l’invenzione di un protagonista (probabilmente un alter
ego), passionali figure femminili abbozzate, tutti calati nello scenario dell’Italia
dei nostri giorni dove aleggia l’ombra di Lui (il cavaliere al governo del
bel paese) e nell'intreccio che si dipana tra Firenze, Cartagena de Indias, in
Colombia, Cuba e il Brasile. In una serie di frammenti pieni di un’ironia
caustica, che si leggono con un piacere simile alla sensualità, il romanzo
– che presenta spesso riflessioni sulla scrittura stessa e le sue impossibilità
– procede in un ritmo vertiginoso, che raccoglie rimandi alle città
del mondo, gli elenchi di libri e di film, le storie dei calciatori e dei bambini
di strada, le canzoni e le musiche, gli aromi dei cibi e i sapori delle bibite.
Tutto ciò concorre a catturare l’attenzione del lettore, sorprendendolo
ad ogni pagina per alla fine avvolgerlo in un aura di complicità con i
personaggi e con le insolite voci narranti.
RECENSIONE USCITA
SU "Le Monde Diplomatique" IL 16 MAGGIO 2005
Madrelingua
inizia con un dialogo "piuttosto famigliare", e non vorrebbe finire mai. Romanzo
nel e sul romanzo, nel preambolo si dichiara erede della tradizione dei romanzi
interrotti, giustifica la propria ragion d'essere ancorandosi alla tradizione,
si appella all'impotenza creativa celebrata da Vila-Matas, e alla crisi del romanzo,
incapace di interpretare la realtà contemporanea "non è più possibile scrivere
un romanzo, e non è più possibile non scriverlo", all'unico romanzo che può scrivere
un migrante: "Dopotutto, cosa si adatta di più a uno scrittore migrante - molte
volte migrante - che un romanzo incompiuto?". Ma quello di cui soffrono l'autore
del passato e quello del presente, voce narrante e vittima della propria narrazione,
il personaggio di Mané e gli altri che gli fanno cornice - la donna del mistero,
il bancario-cinefilo Salvo Rizzo e la sua fidanzata colombiana Mercedes, Lui,
il Cavaliere onnipresente, e tutte le comparse che si affacciano nella storia,
e si presentano nella Piccola Enciclopedia arbitraria in cui a un certo punto
travasa e si trasforma- è una disperata necessità di vivere, per sempre. Julio
Monteiro Martins, scrittore brasiliano da dieci anni migrato nel nostro paese,
è qui affabulatore pirotecnico di anime e spazi, regista assurdo e sensuale della
malinconica ricerca di un'eternità che paradossalmente rovescia il romanzo come
una valigia vuota. Il romanzo che non riesce a finire perché non vuole morire,
e per questo rinnova e confonde vertiginosamente se stesso, travolto con caustica
ironia dalla propria stessa onda. E il risultato è il vuoto - La passione
del vuoto si chiamava l'ultima raccolta di racconti di Monteiro Martins -
un abisso sul ciglio del quale ci fermiamo tutti, fuori e dentro il testo, di
cui non riusciamo a vedere il fondo. Languidamente incompiuto.
Mia Lecomte
RECENSIONE USCITA SULLA RIVISTA ON-LINE "El-Ghibli", IN ITALIA, IL 20 GIUGNO 2005
Nella letteratura italiana ci sono almeno due testi, conosciuti non solo
dagli specialisti, ma anche dal più vasto pubblico di lettori, difformi rispetto
alla consolidata prassi del narrare da una parte, e del rappresentare dall'altra.
Mi riferisco al testo di Calvino Se una notte d'inverno un viaggiatore
e al testo teatrale di Pirandello Sei personaggi in cerca d'autore .
In quest'ultima opera il drammaturgo siciliano presenta la storia di personaggi
abbozzati da un autore, ma anche se appena abbozzati, già pieni di vita, necessitanti
e necessitati proprio per questo ad esprimersi, realizzarsi nella pienezza della
vita. È Pirandello, che paragona la creazione artistica ad un vero parto, e proprio
per la fatica e la sofferenza che questo comporta, rivendica quasi la autonomia
dei personaggi, della loro vita, una volta ideati e quindi concepiti. Un autore
può lasciare incompiuta un'opera, non dar esito allo sviluppo ed alla crescita
dei personaggi: o perché si interrompe la sua vita, o perché la vicenda, la storia,
i personaggi stessi non hanno assunto ancora quella forma che sfocia nella vita
(è un aborto ai primissimi giorni dal concepimento). Nel primo caso, a volte,
specialmente se l'autore ha già acquisito notorietà in vita, c'è sempre qualcuno
che si presta a sviluppare e determinare la vicenda dei personaggi abbandonati.
Così avviene per lo stesso Pirandello con i "Giganti della montagna" (musicalmente
ciò è avvenuto per la decima sinfonia di Mahler). Calvino fa un'operazione
volutamente diversa, nell'opera citata. Inizia alcune storie, le interrompe, le
riprende, le interrompe ancora e definitivamente in un gioco combinatorio di relazione
fra il lettore e il mondo narrativo. Nell'opera dello scrittore ligure è
sottolineata la funzione che il lettore assume di fronte a narrazioni interrotte;
che possono aprirsi perciò ad una compartecipazione. Jadelin Gangbo nel suo
testo "Rometta e Giulieo" fa intervenire lo stesso narratore nella vicenda là
dove sembra non trovare soluzione agli sviluppi narrativi. Julio Monteiro
Martins non assomiglia né a Pirandello, né a Calvino e neppure a Gangbo. Egli
dichiara subito fin dall'inizio di voler interrompere la sua narrazione e proporre
quindi un non romanzo, o un romanzo "incompiuto". Esplicitamente dice al
lettore, nelle ultime pagine, di protestare pure presso di lui se non sarà soddisfatto
della lettura, o di farsi cambiare l'opera dal libraio. Proviamo a individuare
alcuni aspetti significativi. Pirandello pone al centro della sua creazione
la funzione del personaggio e il suo tentativo di realizzarsi autonomamente rispetto
all'autore. Calvino mette in risalto il ruolo del lettore e il suo affannarsi
nel doversi districarsi fra le tante narrazioni. Monteiro focalizza la sua attenzione
sul narratore che volutamente e senza una ragione apparente interrompe il suo
processo espositivo. Una prima chiarezza innanzitutto. Alla fine del testo
si riportano i dubbi dei prelettori del romanzo. Si dice espressamente: "…l'ipotetico
lettore si potrebbe lamentare del fatto che non sempre risulta chiara l'identità
del narratore, ma viene a confondersi con quella racchiusa nella parentesi quadra".
La narrazione è fatta in prima persona, c'è quindi una voce narrante che è un
personaggio con una sua caratteristica e una sua psicologia. A volte esprime sue
considerazioni fra parentesi rotonde. Le considerazioni esposte in parentesi quadre,
presenti molto spesso nel testo esprimono invece la voce del narratore propriamente
detto, che è da intendersi separato dalla voce narrante. Questa considerazione
è importante ai fini dell'analisi del romanzo madrelingua. È, perciò,
un metaromanzo quello che propone l'autore di origine brasiliana. Metaromanzo
perché il narratore interviene a svelare, mediante l'inserimento di frasi e concetti
fra parentesi quadre, le sue trovate, le sue furberie, le sue meraviglie di fronte
ad emergenze dell'inconscio che fanno ripetere termini o immagini. Ci viene
svelato qualche trucco del mestiere di narratore, viene svelata la sua compiacenza
di fronte ad invenzioni narrative. Se questo però è lo scopo, il livello è
necessariamente alto; è opportuno allora porsi una domanda: chi è il destinatario
di quest'opera? È inevitabile rispondere che non può che essere un pubblico specialista
o un pubblico che sta seguendo con interesse e curiosità quanto Monteiro sta producendo
in Italia e può di individuare gli incroci che si determinano fra la cultura d'origine
dell'autore e quella del paese ospitante. Il rischio, che mi pare sia fortemente
presente nella pubblicazione di questo testo è quello di inibire l'approccio di
un pubblico più ampio alla produzione dell'autore. Di questo egli stesso sembra
essere consapevole, ma, forse, alla possibile produzione di opere facilmente commerciabili
egli sta preferendo, con totale sincerità ed onestà, la continuazione della sua
ricerca intellettuale di letterato, di scrittore; pur con tutti i rischi che ciò
comporta. Romanzo incompleto, interrotto. Ma è proprio così? Il testo
si presenta organizzato in tre parti più un preambolo. Il romanzo, o per meglio
dire l'inizio del romanzo poi bruscamente interrotto, è seguito da una appendice
che è una "piccola enciclopedia", composta da una serie di parole o termini da
cui traspare il tessuto culturale su cui il testo è stato costruito. Tale parte
rafforza l'impostazione del metaromanzo. A questo segue poi un "post scriptum"
(che rischia di non essere letto perché il lettore può essere indotto a ritenere
concluso il testo con la piccola enciclopedia intitolata appunto "appendice" )
nel quale da una parte Monteiro invita i lettori che dovessero sentirsi defraudati
a lamentarsi direttamente con lui (tramite l'editore), dall'altra dà alcune notizia
sulle vicende dei personaggi del romanzo dopo l'interruzione. Il romanzo è interrotto,
ma con questo espediente i personaggi trovano un loro sviluppo ed esito seppur
appena accennato. Di fatto, il romanzo non è completamente interrotto ma è
concluso nel post scriptum. In quest'operazione lo scrittore restituisce al narratore
una dimensione extrastoria, quest'ultimo ridiventa un narratore onnisciente che
sa tutto dei personaggi, prima e dopo la vicenda raccontata. In questa costruzione,
fra narrazione e di non narrazione ogni personaggio trova i suoi cambiamenti,
le sue mutazioni, i suoi momenti formativi, in positivo e in negativo. Chi rimane
immobile nella sua dimensione interiore è l'io narrante. La duplice dimensione
di staticità dell'io narrante, a focalizzazione interna, quindi e la modificazione
degli altri personaggi crea un ibrido narrativo, cioè qualcosa che sta a metà
fra novella (racconto) e romanzo (Monteiro nel preambolo chiama il suo prodotto
"novella o brevissimo romanzo"). La differenza essenziale fra queste due forme
narrative sta nel fatto che nella prima i personaggi sono fissati quasi come in
una forma epica. Il tempo e lo spazio possono scorrere avanti e indietro, il personaggio
nel suo essere "tipo" non muta, è determinato dalla sua essenza. Nel romanzo,
nella sua forma moderna, legata molto alla classe sociale dominante, è determinante
il mutamento, la dimensione di cambiamento; e questo non solo nel romanzo di formazione.
Ogni personaggio del romanzo moderno entra direttamente in relazione dialettica
con spazio, tempo e proprio per questo con sintesi nuove, con dimensioni nuove
del proprio io, del proprio essere sia inasprendo il proprio carattere, sia stemperandolo,
sia mutandolo totalmente. Questa provvisorietà dell'essere di ogni personaggio
omologa il romanzo alla forma economica dominante, quella del capitalismo in cui
la concorrenza, la mercificazione altera momento per momento l'essere di ogni
uomo. In madrelingua c'è proprio una commistione di questa situazione,
la forma epica e statica assieme alla forma dinamica. Romanzo e novella coesistono.
La tensione risolutiva propria ad ogni forma di romanzo è il corrispettivo sul
piano economico della ricerca della stabilità economica dialetticamente raggiunta
con la dimensione rischio. In questo senso il continuo superamento è la molla
e la dimensione di fondo dell'aspetto economico, come dell'aspetto narrativo del
romanzo. In Julio Monteiro Martins c'è un superamento di questo dato. In altra
parte ho parlato della dimensione fotografica dei suoi testi narrativi, che non
assumono la dimensione epica, propria della novella perché in ogni fotogramma
è impressa una dinamicità data dalla aleatorietà della vita stessa. Dinamicità,
quindi, privata della tensione ricorsiva. Questa caratteristica fa sì che i personaggi
creati dallo scrittore brasiliano non sono epicamente stabiliti, ma neppure dinamicamente
affannati nell'ingorgo della vita borghese. Sono personaggi estetici che hanno
scelto di valorizzare qualche aspetto del loro io, quello che li possa in qualche
modo distinguere e caratterizzare rispetto agli altri. In questo romanzo,
tuttavia, il raffronto, confronto con quanto socialmente è avvenuto in Italia,
è fortemente presente. Gli accenni al Presidente del Consiglio, al clima politico
creatosi a causa della vittoria della Casa della libertà sono continui e determinanti.
Salvo, uno dei protagonisti di questa novella-romanzo, decide di andar via dall'Italia,
in volontario esilio, perché non riesce più a sopportare il clima creatosi. La
prima pagina del postscriptum è la denuncia del fallimento programmatico e politico
di Berlusconi. Questo non romanzo è una metafora della condizione politica
italiana, ma forse madrelingua è una metafora della vita d'oggi e della
sua precarietà. Si inizia un lavoro e lo si deve interrompere perchè è solo
a tempo determinato. Si inizia una relazione affettiva ed anch'essa è sempre a
rischio di interruzione. Si inizia una gravidanza e la si interrompe. La stessa
amicizia, una volta sentimento stabile e duraturo nel tempo si lacera con molta
facilità. La vita stessa è minacciata continuamente da incidenti, guerre. Siamo
di fronte a continue interruzioni traumatiche, spesso inspiegabili. Di fronte
a tutto questo che senso ha far finire un romanzo? Un ultimo accenno alla
padronanza che Monteiro dimostra di possedere della lingua italiana. Solitamente
uno straniero, che ha conosciuto da poco tempo la lingua, organizza l'espressione
linguistica su modelli linguistici dominanti, cioè su un modello linguistico che
è l'evoluzione a cui oggi la lingua è pervenuta e che con tutta probabilità ha
potuto acquisire attraverso la lettura dei testi letterari più recenti. La forma
dominante della lingua italiana è fatta di periodi costituiti da una o due frasi.
Nello scrittore brasiliano troviamo invece moduli linguistici più articolati e
complessi e spesso con un registro linguistico elevato così che la letterarietà
dello scritto diventa una delle sue caratteristiche più significative.
Raffaele Taddeo
RECENSIONE USCITA SULLA RIVISTA "Librinuovi", N°35, IN ITALIA, L'8 OTTOBRE 2005
Che cosa pensereste di uno scrittore che, dopo avervi messo sul gusto presentandovi i suoi personaggi, mettendoli in movimento, lasciasse voi e loro nel bel mezzo dell'azione appena iniziata per stilare una "piccola enciclopedia arbitraria" di voci fugacemente apparse nel testo? Che vuole esasperare il lettore, o non sa più come andare avanti, o semplicemente è pazzo. Invece Monteiro Martins sa benissimo dove vuole andare, e lo fa con coraggio e maestria, conducendoci per mano nel suo gioco divertente e pieno di intelligenza. Piazza Mané, sessantenne "consumatore di bellezza", la sua amante K43, il bancario-cinefilo Salvo e Mercedes, espatriata colombiana, su una scacchiera e li fa muovere da un narratore quarantaseienne che assomiglia pericolosamente a Mané e da un petulante secondo narratore che interviene di continuo, in parentesi quadra, a sbugiardare e irridere il primo. L'intento, dichiarato nel preambolo, è quello di scrivere un romanzo decostruito, un'architettura matta, con scale che portano nel vuoto e pareti inesistenti. L'uso insistito del dialogo, tipico di Monteiro Martins, si alterna a citazioni di altre opere dell'autore (Racconti italiani, LN - LibriNuovi 17, primavera 2001 e La passione del vuoto, LN - LibriNuovi 29, primavera 2004), a digressioni sull'attuale situazione politica italiana (con un minaccioso Lui che incombe sulla società con la sua volgare e subdola pretesa di ridurre tutto a commercio), a considerazioni generali, persino a incantate descrizioni della natura. Il teatro dell'azione è una Firenze tra bellezza e sfascio ma altrettanto potenti e presenti sono la Colombia violenta del degrado sociale e il Brasile dei ricordi d'infanzia. Le voci dell'enciclopedia privata sono un piacere prezioso nel loro erratico vagare tra il calcio di Pelé e Garrincha, il cinema di Benigni e De Sica, Borges, Pasolini e gli zombie. Alla fine l'istinto del narratore prende il sopravvento, quasi impietosito di fronte alle aspettative di chi legge, Monteiro Martins ci regala la possibilità di dare uno sguardo sui destini dei personaggi, e persino un lieto fine multiplo ma senza troppe certezze.
Un libro agile che si legge d'un fiato, in cui il gioco metaletterario e la densa ma veloce tentazione saggistica non appesantiscono mai il piacere genuino della parola narrativa, spiritoso e ricchissimo di temi che non possono essere esauriti nel breve spazio di una recensione.
Consolata Lanza
| | |