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madrelingua

Romanzo

Besa editrice, 2005, pp. 104

IL RISVOLTO DI COPERTINA DI ”MADRELINGUA”


È arduo accostarsi a questo testo con le categorie narratologiche tradizionali. In altri tempi madrelingua sarebbe stato probabilmente definito un antiromanzo, ricco di digressioni come quelli settecenteschi alla Tristam Shandy. O si tratta piuttosto di uno scheletro di romanzo - composto non per caso da un insegnante di scrittura -, un’impalcatura di romanzo come la Tour Eiffel è l’impalcatura di una torre, una struttura autoreferenziale, un metaromanzo?
Si può affermare con buona coscienza che il tema di questo romanzo è il romanzo stesso, che ci troviamo di fronte all’attacco premeditato a una tradizione sopravvissuta a sé stessa. O meglio, qui non si mette in dubbio la tradizione romanzesca in sé, quanto l’adeguatezza del genere romanzo a trattenere le strutture liquide del mondo di oggi. "Non è più possibile scrivere un romanzo, e non è più possibile non scriverlo", si dice nell'introduzione. In questo senso madrelingua è una sorta di requiem per una certa società letteraria, per una cultura borghese europea in fase avanzata, e ai più inconsapevole, di disfacimento.
Questo aspetto viene sottolineato soprattutto nella crisi del patto di lettura, nel logoramento della figura del narratore romanzesco, puntualmente ripreso da una sorta di autore implicito (tra parentesi tonde), il quale a sua volta viene interrotto in continuazione da un’ennesima voce [tra parentesi quadre], che veniamo indotti a identificare nell’autore in carta e ossa, nell’uomo/scrittore Monteiro Martins. Nel corso di questo sovrapporsi di voci (non) narranti assistiamo anche a un ludico sovvertimento di tutti gli altri parametri della narrazione, del tempo, del tono, del ritmo, del personaggio, della coerenza come della coesione dell’intreccio.
A un certo punto infatti il narratore getta le sue molteplici maschere, dice basta!, decide improvvisamente di cambiare discorso e direzione. I personaggi vengono abbandonati al loro destino appena tratteggiato. Il romanzo si interrompe, abbandona il sentiero dato per infilare una stradina laterale che non conduce in nessun luogo, lasciandosi trasportare da una voglia di narrare fine a sé stessa.
madrelingua non intende però indicare un modello alternativo di letteratura (che la nostra società non sarebbe neppure in grado di recepire), ma si limita, con un lessico tematico arbitrario e giocoso, a puntare il dito sulle deficienze del modello di letteratura realmente esistente. Non ci troviamo quindi di fronte a un romanzo sperimentale o fallito come quelli a cui l'autore rimanda nell'introduzione, bensì a un documento premeditato, quasi disfattistico, del fallimento del romanzo nell’epoca in cui ci è dato vivere.
In tal senso la forma combacia fedelmente con il contenuto, la forma è il contenuto, perché i narratori come i personaggi avvertono l'incongruenza delle storie narrate o vissute nel rutilante caos che sballotta l'individuo. Si ha come l'impressione che sulla soglia di casa i protagonisti provino febbrilmente le chiavi con cui sono soliti aprire la porta. Ma la serratura è stata cambiata: questa è l'esperienza fondamentale di madrelingua, uno smarrimento che accomuna in fondo narratori e personaggi.
Per un lungo tratto il testo gira su sé stesso con gratuito compiacimento, ma alla fine non può fare a meno di smentirsi un'ultima volta: assistiamo a uno scioglimento quasi tradizionale del labile intreccio, i quattro protagonisti vengono inquadrati per un attimo, un ultimo sguardo, un rifiuto del rifiuto di continuare siglato da un’ironica sfera di cristallo.
madrelingua è a un tempo atto d’accusa e atto d’amore verso una tradizione in grado di risvegliare nostalgie inassopibili. È evidente che una simile testimonianza sarebbe potuta sorgere solo da un antico e genuino amore per il romanzo.

Antonello Piana


LA QUARTA DI COPERTINA


Un romanzo che parla della stesura di un libro non portato a termine, apparentemente senza motivazioni precise, un lavoro che forse è un’autobiografia, forse un esuberante mosaico del nostro tempo, di cui rimangono poche paginette, che il narratore – un personaggio anche lui – come un moderno pittore, decide di pubblicare così come sono.
In queste pagine ci sono cenni sui personaggi, annotazioni sui luoghi e monumenti toscani, l’invenzione di un protagonista (probabilmente un alter ego), passionali figure femminili abbozzate, tutti calati nello scenario dell’Italia dei nostri giorni dove aleggia l’ombra di Lui (il cavaliere al governo del bel paese) e nell'intreccio che si dipana tra Firenze, Cartagena de Indias, in Colombia, Cuba e il Brasile.
In una serie di frammenti pieni di un’ironia caustica, che si leggono con un piacere simile alla sensualità, il romanzo – che presenta spesso riflessioni sulla scrittura stessa e le sue impossibilità – procede in un ritmo vertiginoso, che raccoglie rimandi alle città del mondo, gli elenchi di libri e di film, le storie dei calciatori e dei bambini di strada, le canzoni e le musiche, gli aromi dei cibi e i sapori delle bibite. Tutto ciò concorre a catturare l’attenzione del lettore, sorprendendolo ad ogni pagina per alla fine avvolgerlo in un aura di complicità con i personaggi e con le insolite voci narranti.






RECENSIONE USCITA SU "Le Monde Diplomatique" IL 16 MAGGIO 2005


Madrelingua inizia con un dialogo "piuttosto famigliare", e non vorrebbe finire mai. Romanzo nel e sul romanzo, nel preambolo si dichiara erede della tradizione dei romanzi interrotti, giustifica la propria ragion d'essere ancorandosi alla tradizione, si appella all'impotenza creativa celebrata da Vila-Matas, e alla crisi del romanzo, incapace di interpretare la realtà contemporanea "non è più possibile scrivere un romanzo, e non è più possibile non scriverlo", all'unico romanzo che può scrivere un migrante: "Dopotutto, cosa si adatta di più a uno scrittore migrante - molte volte migrante - che un romanzo incompiuto?". Ma quello di cui soffrono l'autore del passato e quello del presente, voce narrante e vittima della propria narrazione, il personaggio di Mané e gli altri che gli fanno cornice - la donna del mistero, il bancario-cinefilo Salvo Rizzo e la sua fidanzata colombiana Mercedes, Lui, il Cavaliere onnipresente, e tutte le comparse che si affacciano nella storia, e si presentano nella Piccola Enciclopedia arbitraria in cui a un certo punto travasa e si trasforma- è una disperata necessità di vivere, per sempre. Julio Monteiro Martins, scrittore brasiliano da dieci anni migrato nel nostro paese, è qui affabulatore pirotecnico di anime e spazi, regista assurdo e sensuale della malinconica ricerca di un'eternità che paradossalmente rovescia il romanzo come una valigia vuota. Il romanzo che non riesce a finire perché non vuole morire, e per questo rinnova e confonde vertiginosamente se stesso, travolto con caustica ironia dalla propria stessa onda. E il risultato è il vuoto - La passione del vuoto si chiamava l'ultima raccolta di racconti di Monteiro Martins - un abisso sul ciglio del quale ci fermiamo tutti, fuori e dentro il testo, di cui non riusciamo a vedere il fondo. Languidamente incompiuto.

Mia Lecomte






RECENSIONE USCITA SULLA RIVISTA ON-LINE "El-Ghibli", IN ITALIA, IL 20 GIUGNO 2005


Nella letteratura italiana ci sono almeno due testi, conosciuti non solo dagli specialisti, ma anche dal più vasto pubblico di lettori, difformi rispetto alla consolidata prassi del narrare da una parte, e del rappresentare dall'altra. Mi riferisco al testo di Calvino Se una notte d'inverno un viaggiatore e al testo teatrale di Pirandello Sei personaggi in cerca d'autore . In quest'ultima opera il drammaturgo siciliano presenta la storia di personaggi abbozzati da un autore, ma anche se appena abbozzati, già pieni di vita, necessitanti e necessitati proprio per questo ad esprimersi, realizzarsi nella pienezza della vita. È Pirandello, che paragona la creazione artistica ad un vero parto, e proprio per la fatica e la sofferenza che questo comporta, rivendica quasi la autonomia dei personaggi, della loro vita, una volta ideati e quindi concepiti. Un autore può lasciare incompiuta un'opera, non dar esito allo sviluppo ed alla crescita dei personaggi: o perché si interrompe la sua vita, o perché la vicenda, la storia, i personaggi stessi non hanno assunto ancora quella forma che sfocia nella vita (è un aborto ai primissimi giorni dal concepimento).
Nel primo caso, a volte, specialmente se l'autore ha già acquisito notorietà in vita, c'è sempre qualcuno che si presta a sviluppare e determinare la vicenda dei personaggi abbandonati. Così avviene per lo stesso Pirandello con i "Giganti della montagna" (musicalmente ciò è avvenuto per la decima sinfonia di Mahler).
Calvino fa un'operazione volutamente diversa, nell'opera citata. Inizia alcune storie, le interrompe, le riprende, le interrompe ancora e definitivamente in un gioco combinatorio di relazione fra il lettore e il mondo narrativo.
Nell'opera dello scrittore ligure è sottolineata la funzione che il lettore assume di fronte a narrazioni interrotte; che possono aprirsi perciò ad una compartecipazione.
Jadelin Gangbo nel suo testo "Rometta e Giulieo" fa intervenire lo stesso narratore nella vicenda là dove sembra non trovare soluzione agli sviluppi narrativi.
Julio Monteiro Martins non assomiglia né a Pirandello, né a Calvino e neppure a Gangbo. Egli dichiara subito fin dall'inizio di voler interrompere la sua narrazione e proporre quindi un non romanzo, o un romanzo "incompiuto".
Esplicitamente dice al lettore, nelle ultime pagine, di protestare pure presso di lui se non sarà soddisfatto della lettura, o di farsi cambiare l'opera dal libraio.
Proviamo a individuare alcuni aspetti significativi.
Pirandello pone al centro della sua creazione la funzione del personaggio e il suo tentativo di realizzarsi autonomamente rispetto all'autore. Calvino mette in risalto il ruolo del lettore e il suo affannarsi nel doversi districarsi fra le tante narrazioni. Monteiro focalizza la sua attenzione sul narratore che volutamente e senza una ragione apparente interrompe il suo processo espositivo.
Una prima chiarezza innanzitutto. Alla fine del testo si riportano i dubbi dei prelettori del romanzo. Si dice espressamente: "…l'ipotetico lettore si potrebbe lamentare del fatto che non sempre risulta chiara l'identità del narratore, ma viene a confondersi con quella racchiusa nella parentesi quadra". La narrazione è fatta in prima persona, c'è quindi una voce narrante che è un personaggio con una sua caratteristica e una sua psicologia. A volte esprime sue considerazioni fra parentesi rotonde. Le considerazioni esposte in parentesi quadre, presenti molto spesso nel testo esprimono invece la voce del narratore propriamente detto, che è da intendersi separato dalla voce narrante. Questa considerazione è importante ai fini dell'analisi del romanzo madrelingua.
È, perciò, un metaromanzo quello che propone l'autore di origine brasiliana. Metaromanzo perché il narratore interviene a svelare, mediante l'inserimento di frasi e concetti fra parentesi quadre, le sue trovate, le sue furberie, le sue meraviglie di fronte ad emergenze dell'inconscio che fanno ripetere termini o immagini.
Ci viene svelato qualche trucco del mestiere di narratore, viene svelata la sua compiacenza di fronte ad invenzioni narrative.
Se questo però è lo scopo, il livello è necessariamente alto; è opportuno allora porsi una domanda: chi è il destinatario di quest'opera? È inevitabile rispondere che non può che essere un pubblico specialista o un pubblico che sta seguendo con interesse e curiosità quanto Monteiro sta producendo in Italia e può di individuare gli incroci che si determinano fra la cultura d'origine dell'autore e quella del paese ospitante.
Il rischio, che mi pare sia fortemente presente nella pubblicazione di questo testo è quello di inibire l'approccio di un pubblico più ampio alla produzione dell'autore. Di questo egli stesso sembra essere consapevole, ma, forse, alla possibile produzione di opere facilmente commerciabili egli sta preferendo, con totale sincerità ed onestà, la continuazione della sua ricerca intellettuale di letterato, di scrittore; pur con tutti i rischi che ciò comporta.
Romanzo incompleto, interrotto. Ma è proprio così?
Il testo si presenta organizzato in tre parti più un preambolo. Il romanzo, o per meglio dire l'inizio del romanzo poi bruscamente interrotto, è seguito da una appendice che è una "piccola enciclopedia", composta da una serie di parole o termini da cui traspare il tessuto culturale su cui il testo è stato costruito. Tale parte rafforza l'impostazione del metaromanzo. A questo segue poi un "post scriptum" (che rischia di non essere letto perché il lettore può essere indotto a ritenere concluso il testo con la piccola enciclopedia intitolata appunto "appendice" ) nel quale da una parte Monteiro invita i lettori che dovessero sentirsi defraudati a lamentarsi direttamente con lui (tramite l'editore), dall'altra dà alcune notizia sulle vicende dei personaggi del romanzo dopo l'interruzione. Il romanzo è interrotto, ma con questo espediente i personaggi trovano un loro sviluppo ed esito seppur appena accennato.
Di fatto, il romanzo non è completamente interrotto ma è concluso nel post scriptum. In quest'operazione lo scrittore restituisce al narratore una dimensione extrastoria, quest'ultimo ridiventa un narratore onnisciente che sa tutto dei personaggi, prima e dopo la vicenda raccontata.
In questa costruzione, fra narrazione e di non narrazione ogni personaggio trova i suoi cambiamenti, le sue mutazioni, i suoi momenti formativi, in positivo e in negativo. Chi rimane immobile nella sua dimensione interiore è l'io narrante.
La duplice dimensione di staticità dell'io narrante, a focalizzazione interna, quindi e la modificazione degli altri personaggi crea un ibrido narrativo, cioè qualcosa che sta a metà fra novella (racconto) e romanzo (Monteiro nel preambolo chiama il suo prodotto "novella o brevissimo romanzo").
La differenza essenziale fra queste due forme narrative sta nel fatto che nella prima i personaggi sono fissati quasi come in una forma epica. Il tempo e lo spazio possono scorrere avanti e indietro, il personaggio nel suo essere "tipo" non muta, è determinato dalla sua essenza. Nel romanzo, nella sua forma moderna, legata molto alla classe sociale dominante, è determinante il mutamento, la dimensione di cambiamento; e questo non solo nel romanzo di formazione. Ogni personaggio del romanzo moderno entra direttamente in relazione dialettica con spazio, tempo e proprio per questo con sintesi nuove, con dimensioni nuove del proprio io, del proprio essere sia inasprendo il proprio carattere, sia stemperandolo, sia mutandolo totalmente. Questa provvisorietà dell'essere di ogni personaggio omologa il romanzo alla forma economica dominante, quella del capitalismo in cui la concorrenza, la mercificazione altera momento per momento l'essere di ogni uomo.
In madrelingua c'è proprio una commistione di questa situazione, la forma epica e statica assieme alla forma dinamica. Romanzo e novella coesistono. La tensione risolutiva propria ad ogni forma di romanzo è il corrispettivo sul piano economico della ricerca della stabilità economica dialetticamente raggiunta con la dimensione rischio. In questo senso il continuo superamento è la molla e la dimensione di fondo dell'aspetto economico, come dell'aspetto narrativo del romanzo.
In Julio Monteiro Martins c'è un superamento di questo dato. In altra parte ho parlato della dimensione fotografica dei suoi testi narrativi, che non assumono la dimensione epica, propria della novella perché in ogni fotogramma è impressa una dinamicità data dalla aleatorietà della vita stessa. Dinamicità, quindi, privata della tensione ricorsiva. Questa caratteristica fa sì che i personaggi creati dallo scrittore brasiliano non sono epicamente stabiliti, ma neppure dinamicamente affannati nell'ingorgo della vita borghese. Sono personaggi estetici che hanno scelto di valorizzare qualche aspetto del loro io, quello che li possa in qualche modo distinguere e caratterizzare rispetto agli altri.
In questo romanzo, tuttavia, il raffronto, confronto con quanto socialmente è avvenuto in Italia, è fortemente presente. Gli accenni al Presidente del Consiglio, al clima politico creatosi a causa della vittoria della Casa della libertà sono continui e determinanti. Salvo, uno dei protagonisti di questa novella-romanzo, decide di andar via dall'Italia, in volontario esilio, perché non riesce più a sopportare il clima creatosi. La prima pagina del postscriptum è la denuncia del fallimento programmatico e politico di Berlusconi.
Questo non romanzo è una metafora della condizione politica italiana, ma forse madrelingua è una metafora della vita d'oggi e della sua precarietà.
Si inizia un lavoro e lo si deve interrompere perchè è solo a tempo determinato. Si inizia una relazione affettiva ed anch'essa è sempre a rischio di interruzione. Si inizia una gravidanza e la si interrompe. La stessa amicizia, una volta sentimento stabile e duraturo nel tempo si lacera con molta facilità. La vita stessa è minacciata continuamente da incidenti, guerre. Siamo di fronte a continue interruzioni traumatiche, spesso inspiegabili.
Di fronte a tutto questo che senso ha far finire un romanzo?
Un ultimo accenno alla padronanza che Monteiro dimostra di possedere della lingua italiana. Solitamente uno straniero, che ha conosciuto da poco tempo la lingua, organizza l'espressione linguistica su modelli linguistici dominanti, cioè su un modello linguistico che è l'evoluzione a cui oggi la lingua è pervenuta e che con tutta probabilità ha potuto acquisire attraverso la lettura dei testi letterari più recenti. La forma dominante della lingua italiana è fatta di periodi costituiti da una o due frasi. Nello scrittore brasiliano troviamo invece moduli linguistici più articolati e complessi e spesso con un registro linguistico elevato così che la letterarietà dello scritto diventa una delle sue caratteristiche più significative.

Raffaele Taddeo






RECENSIONE USCITA SULLA RIVISTA "Librinuovi", N°35, IN ITALIA, L'8 OTTOBRE 2005


Che cosa pensereste di uno scrittore che, dopo avervi messo sul gusto presentandovi i suoi personaggi, mettendoli in movimento, lasciasse voi e loro nel bel mezzo dell'azione appena iniziata per stilare una "piccola enciclopedia arbitraria" di voci fugacemente apparse nel testo? Che vuole esasperare il lettore, o non sa più come andare avanti, o semplicemente è pazzo. Invece Monteiro Martins sa benissimo dove vuole andare, e lo fa con coraggio e maestria, conducendoci per mano nel suo gioco divertente e pieno di intelligenza. Piazza Mané, sessantenne "consumatore di bellezza", la sua amante K43, il bancario-cinefilo Salvo e Mercedes, espatriata colombiana, su una scacchiera e li fa muovere da un narratore quarantaseienne che assomiglia pericolosamente a Mané e da un petulante secondo narratore che interviene di continuo, in parentesi quadra, a sbugiardare e irridere il primo. L'intento, dichiarato nel preambolo, è quello di scrivere un romanzo decostruito, un'architettura matta, con scale che portano nel vuoto e pareti inesistenti. L'uso insistito del dialogo, tipico di Monteiro Martins, si alterna a citazioni di altre opere dell'autore (Racconti italiani, LN - LibriNuovi 17, primavera 2001 e La passione del vuoto, LN - LibriNuovi 29, primavera 2004), a digressioni sull'attuale situazione politica italiana (con un minaccioso Lui che incombe sulla società con la sua volgare e subdola pretesa di ridurre tutto a commercio), a considerazioni generali, persino a incantate descrizioni della natura. Il teatro dell'azione è una Firenze tra bellezza e sfascio ma altrettanto potenti e presenti sono la Colombia violenta del degrado sociale e il Brasile dei ricordi d'infanzia. Le voci dell'enciclopedia privata sono un piacere prezioso nel loro erratico vagare tra il calcio di Pelé e Garrincha, il cinema di Benigni e De Sica, Borges, Pasolini e gli zombie. Alla fine l'istinto del narratore prende il sopravvento, quasi impietosito di fronte alle aspettative di chi legge, Monteiro Martins ci regala la possibilità di dare uno sguardo sui destini dei personaggi, e persino un lieto fine multiplo ma senza troppe certezze.
Un libro agile che si legge d'un fiato, in cui il gioco metaletterario e la densa ma veloce tentazione saggistica non appesantiscono mai il piacere genuino della parola narrativa, spiritoso e ricchissimo di temi che non possono essere esauriti nel breve spazio di una recensione.

Consolata Lanza