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Julio Monteiro Martins - Buongiorno a tutti. Prima di presentare l’invitato di stamani voglio dire una cosa. Tutte le mattine ho un’abitudine, che ho capito che è una cattiva abitudine, che devo cercare di eliminare d’ora in poi, che è quella di fare il giro dei giornali on-line al computer. Questa mattina era su La Repubblica questo servizio sugli “autobus-carcere” a Milano e in altre città del Nord, un autobus con gradi dappertutto, e mostrando queste centinaia di poliziotti che sono stati convocati anche in diversi altri dipartimenti per andare “alla caccia dell’immigrato”. C’è lì una dichiarazione di un sergente che ha detto ai suoi uomini ieri: “andate anche dietro quelli che si sono imboscati nell’erba, o dietro i cespugli, quando ci vedono arrivare. Io sarò felice e vi darò un bel sorriso ogni volta che mi portate uno di questi imboscati”. E poi entrano nei treni e negli autobus per arrestare quelli che stanno cercando di arrivare al lavoro, quei lavori precari che hanno trovato per riuscire a sopravvivere. Questi autobus-carceri, che sono dei grandi pullman gialli con delle grati, erano già primi di esseri umani dentro a quell’ora del mattino. A me leggere questo mi ha dato la sensazione di star leggendo uno di quei libri sull’occupazione nazista, come “Il diario di Anne Frank” oppure “Senza destino, di Kértesz, libri che avevo letto nella mia gioventù e che mi facevano venire i brividi, e dall’altra parte mi davano il sollievo di non aver vissuto quella parte del Ventesimo secolo. Non potrei mai immaginare, ma proprio mai, che nel Ventunesimo secolo io avrei vissuto in prima persona e visto su tutti i giornali, e non su libri, su romanzi, quelle scene. Poi, camminando da casa mia a San Concordio, qui vicino, fino a questo palazzo, ho avuto un’altra di queste terribile sensazioni inevitabili, molto pesanti, molto oppressiva, vedendo tutte quelle persone che andavano al lavoro in bicicletta, qualcuno che rideva, qualcuno che chiacchierava, io guardavo ogni faccia, ogni volto, e mi veniva questa sensazione che erano tutti complici, consapevoli o inconsapevoli, di questa realtà. Complici se non attivamente, attraverso l’indifferenza e il consenso silenzioso a questa infamia. E mi sono ricordato allora del comportamento del popolo comune, i cosiddetti “uomini normali”, nella Germania durante gli anni 30, che era esattamente uguale. Non è che loro andassero a fare il tifo per i lager, per lo sterminio. Semplicemente, facevano la loro vita normale in mezzo all’inferno, delegando ad altro con il loro silenzio le azioni criminali. C’è un libro molto bello “I volenterosi carnefici di Hitler” che non p mica un libro sulle SS o sulle SA, niente di questo, è un libro sulle persone comuni, sul postino, sull’autista del taxì, e mostra come l’orrore e l’inferno è stato instaurato nel paese non a scapito di queste persone, ma attraverso queste persone. E allora, mentre camminavo, mi sono sentito in un territorio così ideologicamente opposto al mio, che mi è sembrato un territorio ostile, nemico quasi. Ed io, che una naturale inclinazione ad amare la gente, ad amare l’uomo comune, – come lo fanno gli scrittori, gli scrittori non sono filosofi che scrivono su concetti astratti, gli scrittori sono persone che creano personaggi che in un certo modo mimetizzano persone vere, e quindi non credo che esista un vero scrittore di narrativa senza un profondo amore per gli esseri umani, se non li ama, se non è innamorato delle persone, non ci riesce a scrivere, però in mezzo a questo clima di oppressione e di indifferenza generale, come se non accadesse niente, dopo che hanno letto quello che sta accadendo, perché non possono dire che non sanno, se sono cose che stanno tutti i giorni sulle prime pagine dei giornali, insomma mi sono trovato in mezzo a potenziali nemici, e ho avvertito dentro di me un sentimento proprio nauseante di diffidenza e di delusione con l’uomo della strada. Per questo ho iniziato dicendo che non devo più leggere i giornali prima di uscire di casa, di cominciare la giornata, perché essa inizia già compromessa e inquinata e rovinata da quello che ho letto. Forse non potrò darmi al lusso do non leggere i giornali la mattina, per una questione di lavoro, di dover prendere delle posizioni tutti i giorni, per esempio con questo mio sforzo per creare a Pisa un Osservatorio dei diritti dei migranti. Ogni volta che leggo i giornali in questi tempi ho un senso di indignazione e di rivolta, ma allo stesso tempo di frustrazione e di impotenza, di poter fare così poco per cambiare queste cose. Dover testimoniare una enorme sofferenza, dover testimoniare la Persecuzione, questa è una parola terribile, uomini che si danno alla persecuzione di altri uomini. E non alla persecuzione di criminali, ma di uomini onesti, che lavorano e che per poter essere perseguitati impunemente da altri sono stati prima criminalizzati, per giustificare le persecuzioni in atto, è un processo infame, ignobile. E non voglio nemmeno pensare a che cosa, da questo andazzo, ci aspetta nel futuro prossimo, perché dicevo ieri, e anche il professor Pezzarossa ha ricordato questo commento, che se c’è una cosa che ho imparato durante il periodo della dittatura militare in Brasile è che le cose possono sempre peggiorare, e che quello che si dice: “è impensabile”, sei mesi dopo è pensabile, un anno dopo è attuabile. Non esistono limiti al peggio. Quindi, io mi sto preparando psicologicamente anche per la possibilità di dover assistere a questo film d’orrore e magari di esserci dentro la pellicola. Ho visto tanta sofferenza oggi sul giornale, la gente negli autobus, nel metro, piena di paura, e poi la protervia, l’arroganza di quei poliziotti con quelli stivali neri che arrivano quasi al ginocchio, di triste memoria. Tronfi, con un modo indecente di comportarsi, una cosa che fa proprio venire la nausea, una nausea profonda. Bene, volevo solo dire queste cose, perché così almeno le dico, no? Se non posso fare di più. Ho qui accanto a me Daniele Barbieri. E ora mi viene il primo sorriso della giornata, perché Daniele è una delle persone più piacevoli che io conosca. Lui abbina due caratteristiche della sua personalità, che ho imparato a conoscere in questi giorni, ma che avevo già intuito prima, attraverso i suoi messaggi e-mail, che sono rare e preziose, e che non vengono quasi mai insieme, e cioè un profondo senso di giustizia sociale, di indignazione, è un uomo che ha dedicato la vita al giornalismo impegnato, scrivendo su “Carta” per esempio, sul “Manifesto”, sempre su questioni sociali, ed evitando sempre qual brodo ideologico della sinistra che a volte impediscono di vedere chiaramente i fatti, come mi ha spiegato lui stesso ieri sera, per così andare direttamente ai fatti. E lui è riuscito a fare questa auto-operazione psicologica straordinaria che è associare questa indignazione, questa visione anche molto realistica e cruda delle questioni sociali e umane, a un senso dell’umorismo, una leggerezza che rare volte ho trovato. Lui è sempre allegro, ha sempre una battuta divertente da dire, sta sempre a raccontare barzellette che servano da esempio all’argomento di cui si sta parlando. È come se Daniele avesse avuto la grande forza interiore, che purtroppo vedo mancare sempre di più in me stesso, di non permettere che la durezza del mondo esterno in qualche modo ti grafi e ti deformi il carattere, la gioia di vivere. E questa leggerezza può essere anche in un modo affrettato confusa con leggerezza nel modo di vedere le cose. E invece no, invece è una dimostrazione di grande forza. Di grande invulnerabilità. È lì che si costruisce dentro di ognuno, con questa gioia, con questa allegria, questo buon umore, una diga interiore contro la contaminazione del male. È con allegria quindi che ricevo qui oggi, nel Seminario della Sagarana, Daniele Barbieri.
Faccio due brevi incisi. Inciso 1: che poi sia sapiens è tutto da dimostrare. Inciso 2: tutte le volte che il linguaggio usa homo e uomini intendendo gli esseri umani, la specie umana… mi dissocio: è un linguaggio sessuato che non nomina le donne: e siccome chi non viene nominato non esiste, io devo e voglio dissociarmi. Fine incisi. Ovviamente le scienze possono essere hard, dure (fisica e astrofisica, chimica, biologia, ecc) o soft, più morbide (sociologia, economia, psicologia....). Definizioni, etichette. Comode per prendere il barattolo dei ceci invece che quello dei fagioli o del caffè ma nulla ci dicono del sapore (se già non lo conosciamo) o di come si cucinano i ceci o il cacao per ben nutrirsi, per evitare il mal di pancia, per stupire i commensali, magari per avviarsi a certi piaceri quando la necessità primaria di sopravvivere è già soddisfatta. Un breve inciso e spot occulto: se volete saperne di più leggete questo libro che ho scritto nel 2006 con Riccardo Mancini: si intitola «Di futuri ce n’è tanti: 8 sentieri di buona fantascienza (istruzioni per uscire da un presente senza sogni)», è edito da Avverbi. Fine inciso, quasi spot. Le 4 ragioni che non è una pizza con refuso. La prima ragione è che il secolo da poco concluso - il terribile e meraviglioso Novecento, se contate anche voi come fanno i cristiani – è stato quello del massimo sviluppo delle scienze, ma soprattutto del dilagare delle tecnologie che sono le cuginette pezzenti delle “nobili” scienze. La seconda ragione: la letteratura che ha provato a raccontare questo amplesso - la fantascienza appunto - per varie ragioni (che qui non è il caso di vedere in dettaglio) è stata una letteratura ad alta diffusione popolare, almeno in certi Paesi e in certi periodi, insomma narrativa a bassi costi e con un consumo di massa... La terza ragione è che essendo la fantascienza una stranezza, un ornitorinco appunto, qui si sono radunati e radunate un certo numero di pazzi e di pazze; ovviamente la follia è sempre interessante in un mondo di sedicenti, noiosi eppur pericolosi normali (e apro una parentesi piccina-picciò per ricordare che la normalità, ammesso esista, come l’obbedienza non è una virtù; o almeno io la penso così, come don Milani e compagnia cantante) . Una pazzia che – è ovvio? - può essere di destra o di sinistra (per quel che valgono le etichette, bla-bla), una follia che può trovare forme letterarie mature, magari affascinanti, esteticamente rivoluzionarie oppure restare allo stadio di una pura intuizione, illuminazione, visione... purtroppo mal scritta. La quarta ragione è questa, mooooooooolto politica: se lo sviluppo scientifico-tecnologico fosse partecipato, insegnato, discusso, se vivessimo in una società dove il potere fosse condiviso noi resteremmo sempre invasi (nel bene e nel male) da scienza e tecnologia - proprio come oggi siamo - ma le capiremmo almeno in parte, ne ragioneremmo, discuteremmo, saremmo in grado di decifrarne le regole, almeno quelle di fondo, e di intuire le ricadute: insomma probabilmente le controlleremmo in parte, e forse troveremmo «la coscienza del limite», per usare una bella espressione ecologista e femminista. Siccome non è cosi, siccome i saperi-poteri scientifici sono patrimonio di pochi, noi viviamo in un tecno-vudù, in una tecno-magia. Tecnologie ovunque ma per noi incomprensibili, magiche: vudù. E’ necessario approfondire questo punto o ci siamo intesi? Come era facile immaginare - e la fantascienza lo ha abbondantemente previsto - questo tecno-vudù è sociologicamente, politicamente e letterariamente mooooooolto interessante. Più di quanto lo sia quel territorio letterario che di solito definiamo fantastico oppure fantasy. Servirebbero forse due altri minimi chiarimenti, li accenno solo in forma di domande. La fantascienza (o science fiction o sfi, come vi pare) è una letteratura solamente americana, intendo dire statunitense, o anglo-americana? Rispondo «non del tutto» e ne riparliamo un’altra volta. Per capirsi: ho letto fantascienza italiana, latinoamericana o senegalese; e tanto per consigliarvi un libro (uno degli anagrammi del mio nome e cognome è «Ride bene a librai», capite?) vi suggerisco, vi ordino, vi imploro di leggere «Gli Stati Uniti d’Africa» di Abdourahman Waberi. Il secondo minimo chiarimento in forma di domanda è: la science fiction, come il socialismo versione Urss-formicaio, a un certo punto ha esaurito la sua spinta propulsiva? La risposta giusta è: sì e no.... ma se questa faccenda vi interessa approfondirla chiedetemene dopo (oppure scrivetemi) e - se gli orologi con i denti aguzzi la smettono di inseguirci e di morderci i polpacci - volentieri vi risponderò. Piccolo inserto:«Quanto pesa questa sfi, ma di cosa è fatta?» chiesero a Barbieri ornitorinco. E lui, rubando la battuta al libro-film «Il falcone maltese» (Dashiell Hammett, poi John Huston, lo sapete no?) rispose: «E’ fatto della materia dei sogni e degli incubi». Dunque la (buona) fantascienza, quel 10% che non è spazzatura, assai ci serve. Perché per conquistare il futuro bisogna prima sognarlo, come abbiamo scritto io e Riccardo Mancini nella quarta di copertina del nostro libro, citando Marge Piercy). Siccome però, per ragioni politico-economiche, noi siamo poco liberi di pensare e quindi di usare bene la fantascienza (questo straordinario magazzino di incubi e desideri) effettivamente il titolo di questa prima parte potrebbe anche essere che il presente è immobile bla-bla. Chi di voi non frequenta la fantascienza potrebbe chiedermi se dentro questa letteratura ci sono metafore del razzismo... Quante ne volete. E prendono forme molto interessanti. Se avessi tempo vi leggerei lo straordinario racconto «Sentinella» di Frederic Brown o qualche altra roba meno famosa. Partiamo con uno scrittore che forse conoscete, piombato qui (cioè nella un tempo ridente Italia) dal gelo, forse da un terribile iceberg e da tremende lotte con gli orsi popolari come lascia intendere il suo nome …tipicamente siberiano o finlandese: Julio Monteiro Martins. Spesso nei suoi racconti [NOTA 3] troviamo qualche riferimento al futuro o “espedienti” fantascientifici. Chi è molto appassionato di cinema mi potrebbe obiettare che almeno un film ha usato lo stesso meccanismo. Per esempio «L’uomo caffellatte», del 1970, non per caso di un regista afro-americano, il bravo Melvin Van Peebles. Chi è molto pignolo potrebbe obiettare che qui siamo sul terreno del fantastico puro, classico piuttosto che della fantascienza. D’accordo, possiamo metterlo nel barattolo accanto ma ora che lo abbiamo assaggiato sappiamo che il sapore ci gusta... le papille e i neuroni rimasti commossi ringraziano.
Un ultimo esempio, in questo caso di fanta-giornalismo, dunque che esula un pochino dal nostro contesto di oggi. Forse conoscete Massimo Girelli; fra l’altro è stato uno degli inventori dlla trasmissione «Nonsolonero» su Raidue, gran successo e così la Rai (cioè il governo, allora di centro-sinistra) la chiuse mentre oggi Ghirelli anima «l’Archivio immigrazione» di Roma che anni fa propose anche l’agenzia «Migranews», una esperienza (sostenuta dai fondi dell’Unione europea) che avrebbe meritato più attenzione. Bene in un lungo articolo, uscito molti anni fa (sul settimanale «Avvenimenti», se non sbaglio) Girelli raccontava per filo e per segno cosa sarebbe successo nell’Italia così “ingrata” se una mattina, al suo risveglio, avesse scoperto che tutte le migranti e tutti gli immigrati fossero di botto spariti. Tic-tac, 30 secondi per pensarci. L’Italia andrebbe a rotoli. Eppure la sparizione totale dei migranti è il sogno di molti italo-imbecilli quando si tolgono le giacche da padroni o padroncini (in quella veste sfruttano gli alieni extra-Ue) o da affitta-camere (idem) per indossare le camice brune, no volevo dire verdi. Anche in quest’ultimo caso, il fanta-articolo di Girelli, potremmo trovare “cuginanze” cioè libri e anche un recente film che hanno utilizzato uno spunto analogo. Sono spiacente di dovervelo dire ma poche cose davvero nuove accadono in questo periferico pianeta del nostro insignificante sistema solare. E già che ci sono rubo una battuta a Stefano Benni per confermarvi quello che forse già sospettavate: la terra va destra ma l’universo va davvero a sinistra. Non fatevi prendere dal panico. Eccola. «L’inferno dei viventi è già qui. […] Lo abitiamo tutti i giorni. Due modi ci sono per non soffrine. Il primo riesce facile a molti: accettarne l’infermo e diventarne parte. […] Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è infermo, e farlo durare, e dagli spazio». Questa è la mia dichiarazione d’amore per tutte tutti voi, perché se siete qui di sicuro non fate parte dell’inferno. Grazie. Merci, tankyou, sukran, sukria, dankoschen, spassibo... Buona vita. [NOTA 1] In quel di Lucca il pubblico si divise in due. Così l’ornitorinco relatore riassunse «Le pre-persone» e «Umano è», due racconti di Philip Dick. (Chi fosse incuriosito scriva a Daniele che darà le indicazioni utili per leggerli; per scrivergli dovete avere la sua mail. Non per caso è pkdick@fastmail.it ovvero rimanda al citato Philip Kindred Dick). [NOTA 2] Per esempio conosco solo tre parole inglesi: «yankee, go home», utilissime quando (cioè quasi sempre) si viene invasi dalle truppe statunitensi. [NOTA 3] Rimando ad alcuni spunti fantascientifici rintracciabili nei racconti «La passione del vuoto», «Oltre», «La notte» (Tratti dalla raccolta La passione del vuoto, Besa editrice, Nardò, 2003) e altri appunto di Julio Monteiro Martins. [NOTA 4] E’ nell’antologia «Il doppio sguardo: culture allo specchio», Adnkrons-libri, 2002. [NOTA 5] L’ornitorinco Barbieri allude alla questione dei trans “esplosa” alle cronache molti giorni dopo. Come faceva a saperlo in anticipo? E’ ovvio, grazie alla sua macchina del tempo. Perché, cosa pensavate? Se proprio volete sapere chi è Daniele Barbieri…. Ha un piede nel mondo cosiddetto reale - dove fa il giornalista (per esempio a «Carta», a «Come» eccetera) e qualche altro mestiere, vive a Imola con Tiziana, ha un figlio di nome Jan - e ha un altro piede in quella che viene chiamata fantascienza. Con il terzo e il quarto piede - non stupitevi - salta fra il cosiddetto reale e il fantastico: ne è un esempio appunto «Le scimmie verdi», scritto con Hamid Barole Abdu, un gioco teatrale che è vecchio come la galassia centrale e nuovo come il primo cucciolo del Big Bang; un altro esempio di “salti” è nel volume «Il dolce avvenire: esercizi di immaginazione radicale» (Diabasis) dove scrive – con Vincenzo Cossu – delle città che potremmo avere se solo slacciassimo il nostro cervello con la stessa frequenza con cui slacciamo i calzoni o il reggipetto (questa frase è stata rubata da un muro di Parigi, nel maggio 1968 dell’era convenzionale, insomma dopo Cristo se ci credete). Sta per uscire da Mangrovie l’antologia «Ronde e rondini» dove quel Daniele Barbieri è in compagnia di Monteiro Martins, Pina Piccolo e altri della banda di pezzenti-delinquenti che frequentano Sagarana. Esiste un altro Daniele Barbieri (un simpatico omonimo? un clone? Chissà….) però che vive a Bologna, appassionato di fumetti come l’altro ma docente in varie università; non è sposato con Tiziana però anche lui ha un fratello di nome Dario (quando si dicono le coincidenze….). Spesso i due vengono confusi, è divertente per ambedue. Per entrambi funziona l’anagramma «ride bene a librai» (ma anche «erba, nidi e alberi» non è malaccio). Potrebbe finire qui. Non è proprio un cv anche perché il cv, come dice una poesia sudafricana, serve solo a mostrare che siamo «cv-ilizzati». Mah. Spasiba. Buona vita. (Applausi.)
Julio Monteiro Martins – Grazie a te, Daniele.
Julio Monteiro Martins: È con grande gioia e allegria che ricevo Asmae Dachan. La conosco già perché lei ha pubblicato questo libro molto bello “Dal quaderno blu” un romanzo, con una casa editrice di Lucca “Libertà Edizioni” il cui direttore, un mio amico, è Marco Battista ed è presente. È una casa editrice di grande valore perché ha per principio soprattutto la libertà e abbraccia uno spettro di pubblicazioni, di tematiche, di stili molto ampio e quindi sono molto contento di sapere che la “Libertà Edizione” esiste nella mia città: Lucca , e ha avuto questa intelligenza, sensibilità di pubblicare questo bel libro di Asmae Dachan. Lei è venuta a presentare il libro a Lucca circa tre o quattro mesi fa più o meno. Io sono stato presente a questa discussione e mi ha colpito di Asmae Dachan prima la lucidità, la capacità di esprimersi in un modo molto chiaro, molto lucido, molto sicuro e secondo quello che forse mi aspettavo meno è stato una bella sorpresa: la sua dolcezza. È una persona veramente mite e dolce e poi questo si conferma nella lettura del suo romanzo e quindi è proprio un piacere averti qua vicino a noi. Io vi leggerò la auto presentazione quello che Asmae ha scritto per il romanzo, su se stessa così è un modo di presentarla. Lei dice:
“Sono nata il 28 novembre 1976 ad Ancona da genitori di origine siriana. Ho acquisito la cittadinanza italiana quando ero ancora bambina. Dopo la maturità linguistica ho studiato teologia per 4 anni acquisendo una licenza di diritto islamico. La mia insaziabile sete di conoscenza mi ha spinta nel 2006 ad iscrivermi all'università di Urbino dove sto studiando Scienze della comunicazione. Dal 2008 collaboro col settimanale Voce della Vallesina. Nel' ottobre 2008 ho partecipato al concorso letterario internazionale Città di Ancona nella categoria poesia singola ricevendo una segnalazione da parte della giuria del concorso. La mia passione maggiore è la scrittura e amo moltissimo leggere. I miei autori preferiti sono Shakespeare, Virginia Woolf, Pirandello e il grande poeta Mario Luzi Ho due figli di 11 e 7 anni”. Asmae Dachan.
Purtroppo io non ho ascoltato gli interventi di oggi se non in parte e in questo complesso mondo che è quello dell'editoria moderna è difficile riuscire a trovare un editore che prima di tutto ti riceva come persona, ti ascolti e poi ti legga non con superficialità, ma ti legga profondamente e creda in te. Non è semplice. Io l'ho trovato poi, si parlava prima della rete, tramite internet, siamo conosciuti su Facebook! per cui veramente, saper usare questi strumenti in maniera appropriata dà delle grandissime possibilità. Allora, la presentazione che ho fatto di me erano le poche righe che avevo mandato, (doveva essere una brutta copia) che ho mandato al mio editore quando ha detto: “Presentati”. Ho detto anche troppo di me! Comunque ecco...Voi vedete una donna dai tratti medio orientali, medio/vicino orientali (questo poi è tutto da scoprire) che parla italiano. Oggi qui a questa manifestazione appunto parliamo di culture che si incontrano, che si arricchiscono reciprocamente e quindi vi vorrei introdurre in questa riflessione leggendovi una parte del mio romanzo in cui parlo di una delle tre protagoniste che è Azra che è una ragazza come me quindi di origine straniera che è nata e sempre vissuta in Italia. Quindi questo breve pezzo che voglio leggere è un po' una sintesi di tutto quello che vorrebbe essere un po' il mio contributo a questa importante manifestazione. Allora Azra è un'insegnante universitaria senza cattedra quindi fa delle lezioni sporadiche Qua è un incontro con i suoi studenti.
Luna dicevamo, sapete come si dice luna in arabo. si dice qamar sole si dice shams. Per noi, intendo noi che ci esprimiamo in italiano, la luna è donna il sole è uomo. Nel nostro immaginario, nella nostra fantasia associamo a questi due corpi celesti una serie di emozioni ed attribuiamo loro significati che sono legati al loro essere rispettivamente uomo e donna. Beh! sapete che trauma scoprire, da adolescente, che invece in arabo luna, qamar, è uomo e sole shams è donna ?! Mi si è sconvolto, in un certo senso, parte del mio equilibrio mentale ed emotivo. Aver immaginato per anni la luna come un affascinante e misteriosa donna che gioca a nascondersi e il sole come una sorta di re che risveglia il mondo; averli immaginati come una donna e un uomo che condividono un unico manto blu e si alternano nel volersi mostrare in tutto il loro splendore e poi scoprire che in un altra cultura la luna è un misterioso uomo e il sole una generosa sfera che scalda il mondo è stata un' esperienza sconvolgente e straordinaria. Questo concetto mi ha fatto capire che cambiando prospettiva si possono rovesciare tutte le piccole e grandi certezze. Se già la luna mi piaceva prima quando ho scoperto questa sua innocente ambiguità legata alla lingua non ho potuto che innamorarmene ancora di più.
Quindi questo è un breve contributo appunto di questo insegnante che parlando con i suoi studenti riflette su l' ambiguità di queste due parole così importanti. Quindi io da piccola sentivo che mamma mi correggeva tutte le volte che, in arabo, parlavo del sole al maschile e lei mi correggeva al femminile. M a quando ero piccola chiaramente non capivo. Poi poi crescendo, studiando con più dedizione la lingua ho scoperto questa cosa e sì questo è un piccolo esempio di quello che invece può essere qualcosa di molto più straordinario. L'essere umano, proiettato in una dimensione, in una cultura, ne assorbe sicuramente moltissimi tratti; ma poi aprendosi una finestra, aprendosi un varco in altre culture, altri mondi inesplorati sicuramente ne scopre altri e quindi se è una persona intelligente se è una persona desiderosa di vivere il mondo a 360 gradi se ne arricchisce Ed io penso che appunto questa sia la cosa straordinaria di chi vive nel mondo della lettura e nel mondo della scrittura: quello di sapersi aprire, di avere l'umiltà di dire io posso imparare sempre, posso imparare ogni giorno. E poi per chi ha la confidenza di saper usare la penna, di saper usare il foglio, può riportarlo a parole senza il bisogno di fare delle grandi dissertazioni o delle lezioni universitarie ma anche in forma romanzata perché appunto poi la vita è fatta di cose semplici senza dover ricorrere ad artifici particolari. Quindi ecco questa è la mia brevissima introduzione perché poi Julio mi ha lascito molto libera non mi ha dato una tempistica sul mio intervento quindi preferisco piuttosto che sia l'interazione con il pubblico magari con le curiosità che ci possono essere a costruire questo nostro incontro.
Julio Monteiro Martins: Parla un po' della genesi di questo tuo romanzo, com'è nato e di cosa tratta veramente. È ambientato in Italia quindi è curioso, in un ambiente particolare dell'Italia
Asmae Dachan: Allora il Quaderno blu è nato dentro di me già parecchio tempo fa quindi posso parlare di almeno un paio d'anni fa. Cominciavano a costruirsi dentro di me questi personaggi femminili (perché le protagoniste sono tre donne) che mi facevano compagnia. Quindi la sera quando pensavo, pensavo a quello che era accaduto durante a mia giornata ma poi cominciavo a pensare a queste tre donne che dentro di me piano piano si facevano spazio ma proprio in maniera prepotente. Quindi era come se io andando a letto andando a letto vedessi un film: ognuna di loro mi raccontava qualcosa di sé e questo non poteva essere che l'incipit, il ”la” per iniziare questa mia avventura letteraria. Io ho scritto sempre da piccola e lo confesso scrivevo sui muri ho fatto impazzire mio padre e mia madre perché era proprio una passione. Ma non scarabocchi! proprio scrivevo delle vere e proprie composizioni .Poi ho imparato che per scrivere c'erano degli strumenti un po' più pratici e meno ingombranti quindi ho cominciato a scrivere su carta e appunto queste tre donne che si formavano nella mia immaginazione mi hanno portata a decidere di scrivere non più solo poesie ma di cimentarmi nella scrittura di un romanzo. Si tratta delle vite parallele di tre donne che in realtà in comune non hanno nulla quindi il lettore si trova dall'inizio a confrontarsi con i capitoli che sono suddivisi appunto per il nome delle protagoniste quindi tutta una serie di capitoli si chiama Gloria perché è una delle protagoniste tuta una serie di capitoli si chiama Azra che è la seconda protagonista e tutta una serie di capitoli si chiama stanza 103. Stanza 103 non è un nome chiaramente ma è il numero di una stanza di ospedale, purtroppo, dove la terza protagonista spende una parte della sua vita. Quindi apparentemente chi si cimenta nelle lettura dice, dove ci vuole portare Asmae in questa lettura? Perché ha scritto un romanzo unico con tre storie parallele? In realtà queste donne hanno un punto in comune un punto di incontro. Loro si incontrano inconsapevolmente perché loro fisicamente non saranno mai nello stesso ambiente e i loro destini sono intrecciati da un misterioso quaderno blu. Mi hanno detto, le prime persone che hanno letto il mio romanzo: ma tu hai scritto un romanzo giallo. No. Sì. Forse. Perché io non ero partita con l'intenzione di scrivere un romanzo giallo ma ero partita con l'intenzione di raccontare delle particolari esperienze di vita che queste tre donne hanno vissuto. In realtà è venuto fuori questo romanzo giallo perché appunto c'è questo sottile filo di mistero quindi per capire che cosa ha portato queste tre donne a incontrarsi. C'è un po' di romanzo rosa perché l'amore l'affetto l'amicizia sono comunque delle componenti fondamentali delle mie protagonista e c'è un po’ di romanzo sociale proprio perché si parla di guerra, si parla di migrazione, si parla di solitudine, si parla dell'idea che noi donne abbiamo di noi stesse che è un' idea in continua evoluzione. Quindi le lotte della taglia 40 piuttosto che il vestirsi sempre e solo di nero per manifestare noi stesse e nascondere qualcosa di noi. Quindi affronta tantissimi punti questo romanzo pur senza voler essere una scrittura didattica proprio romanzato faccio questo percorso. L'ambientazione: la foto che vedete qua è una foto che ho fatto col mio telefonino quindi in maniera proprio molto casereccia molto semplice. L'ho fatta dalla spiaggia di Falconara. È una foto che ritrae a distanza la città di Ancona città che mi ha dato i natali ed è la città dove una delle protagoniste ritorna in un momento particolare della sua vita per dare alla sua esistenza un importante svolta. L'altra città dove vive la paziente 103 non è mai menzionata quindi non c'è un riferimento geografico e neppure per quanto riguarda l'altra protagonista ancora. Però ecco Ancona è protagonista in maniera importante perché il ritorno in questa città, in questa città di mare così misteriosa avvolta dalle montagne, avvolta dagli Appennini servirà su un piatto d'argento a una delle protagoniste delle verità importanti. Questa è un pochettino la genesi del mio romanzo che veramente ho scritto con il cuore tant'è che la cose che forse è strana, forse ridicola, forse no, io stessa quando a volte mi trovo la sera a prendere il mio libro in mano leggo alcuni passaggi mi emoziono perché veramente li ho scritti con talmente tanto cuore che ciò che ho detto in quel momento non si è spento lì quando l'ho trasformato in parole su carte ma ha acquisito semmai un valore aggiunto.
Julio Monteiro Martins: E ora sei impegnata in un nuovo libro?
Asmae Dachan: La signora aveva alzato la mano, non so, vogliamo prima rispondere?
Julio Monteiro Martins: Sì, sì.
Spettatrice: Ieri è stata menziona la letteratura della cosiddetta “seconda generazione”. Che ne pensi?
Asmae Dachan: Io ieri non c'ero e quindi chiaramente purtroppo mi sono persa sicuramente delle riflessioni interessanti. Io mi trovo sempre un po’ a disagio quando si parla di seconda generazione perché ”seconda” rispetto a cosa? Nel senso: quando si dice seconda generazione di solito ci si riferisce ai figli di genitori che sono emigrati e che quindi sono nati in Italia. Quindi in realtà non è più una seconda generazione ma una nuova generazione. Perché rispetto ai nostri genitori abbiamo in comune il sangue, abbiamo in comune una tradizione che è quella di casa per cui magari ci insegnano la religione, ci insegnano la lingua araba. Però in realtà rispetto ai nostri genitori siamo delle persone, degli individui completamente diversi proiettati in una dimensione totalmente diversa perciò ciò che fa parte del mio mondo del mio modo di essere non ha fatto parte del mondo di mio padre e viceversa: quelle che per lui erano delle piccole certezza, dei ricordi, delle tradizioni, delle abitudini chiaramente non sono state né esportate né tanto meno tramandate. Però quando ci si riferisce tradizionalmente a seconda generazione si intende appunto i figli dei migranti che sono nati in Italia ora tra questa generazione io ho moltissimi amici perché chiaramente non solo ad Ancona ma un po' in tutta Italia abbiamo dei forti contatti perché abbiamo magari degli interessi comuni, perché abbiamo delle problematiche comuni e grazie a dio perché abbiamo dei sogni in comune. E vedo che tra queste ragazze e questi ragazzi anche quella di scrivere è una passione che comunque esiste ed è una passione che sta prendendo forma. Una mia amica recentemente ha scritto per la Rizzoli un libro che non è un romanzo però, è un libro con un'impronta un po' più sul sociale su questo universo controverso delle ragazze così dette di seconda generazione su come vivono, sui contrasti con la tradizione d'origine, sulle difficoltà di essere accettati in una società che comunque è nuova: è piuttosto giovane il fenomeno dell'immigrazione. Quindi di questi nuovi cittadini, come qualcuno li chiama, forse a me piace di più questa espressione, presente nel titolo del libro Porto il velo e adoro i Queen, pubblicato da Rizzoli
Spettatrice: In un libro pubblicato da Laterza c'era la storia di questa madre che aspirava alla valigia. La valigia che rappresentava la precarietà e invece la figlia che aspirava all'armadio: alla stabilità. Lei ha mai vissuto questa sensazione? Ce l'ha una valigia? È una sulla soglia esterna/interna per il passaggio? Ritornerebbe?
Ecco non mi sento una valigia. Nonostante amo viaggiare la voglia di stabilità la voglia di avere una mia tradizione da tramandare molto forte in me tant'è che per esempio non a caso io quando ho avuto i miei due figli vivevo a Brescia però era così forte il mio desiderio che un giorno nella loro carta di identità ci fosse scritto “nati ad Ancona” e che loro dicessero “anche mamma è nata ad Ancona” che tutti e due sono nati ad Ancona! Ecco io prima di un mese e mezzo dal parto mi sono trasferita da mia madre e, appunto, sembra una sciocchezza però per me è importante che nei loro documenti ci sia scritto “nato ad Ancona” e che la mamma è nata ad Ancona. Per cui questo sicuramente è un armadio perché sarebbe troppo pesante come valigia da portarsi dietro.
Barbara Serdakowski: Io torno sempre sulla lingua: ossessivamente! Lei ha scritto in italiano o ha scritto anche in arabo?
Asmae Dachan: Allora, vi confesso che se scrivessi in arabo forse potrei fare Zelig o qualcosa così nel mondo arabo! Nel senso: l'arabo che so io è quello che mi hanno insegnato a casa quindi nonostante poi ho fatto delle letture, mi sono documentata con delle grammatiche, ho letto, in arabo mi so esprimere come si può esprimere (soprattutto nell'arabo scritto) come si può esprimere un ragazzino ma proprio un ragazzino alle prime armi. Anche la mia scrittura in arabo è proprio bruttina da vedersi. Si scrive da destra a sinistra, voi lo sapete. L'alfabeto è completamente diverso, e non mi sono mai esercitata a farlo perché quando ho da esprimermi mi viene sempre in italiano. Per cui anche se mi sarebbe piaciuto perché l'arabo è una lingua bellissima, io ogni tanto prendo dei libri dalla libreria dei miei genitori, leggo questi grandi famosi poeti arabi tra cui Nizar Qabbani, Jibril, che sono stati tradotti sia in inglese che in italiano, assaporo che c'è un qualcosa, una musicalità bellissima però purtroppo metà del significato mi sfugge e quindi non sarei assolutamente capace di riproporlo in arabo, per cui scrivo in italiano e anche questo rispetto alla domanda di prima della valigia e dell'armadio ho avuto la visita di una cugina che è venuta quest'estate a trovarci, il libro era uscito da poco, “regalamene uno!” mi ha detto. L'ha preso tutta contenta, legge Dachan contentissima “Adesso lo porto giù lo racconto alle mie amiche” apre il libro e chiaramente vede che è scritto in italiano e dice “io come faccio a leggerlo?” perché lei chiaramente legge in inglese ma legge soprattutto in arabo e lì mi sono resa conto che appunto sangue del mio sangue però non c'è questa...era una cosa sulla quale non avevo mai riflettuto quindi anche i miei parenti più stretti al di là della mia famiglia non riescono a condividere appunto questo tipo di lettura se non quando se un giorno verrà tradotto perché c'è questa differenza fondamentale che non è più solo una differenza solo del posto geografico in cui si sta ma è proprio una differenza del modo di essere e di vivere in cui una persona si trova.
Spettatrice:Non ti sentivi in qualche senso inadeguata quando parlavo in arabo?
Asmae Dachan: Ma sì da piccola un pochettino perché soprattutto quando ci si trovava con gli amici di papà e mamma anche loro chiaramente migranti ci facevano pesare “ah ma voi fate troppi errori in arabo” sorridevano quando noi parlavamo come quando c'è uno straniero che parla in italiano e magari qualcuno lo prende in giro e loro si divertivano a prendere in giro noi perché facevamo degli strafalcioni linguistici che per loro erano divertenti, tragicomici direi. Però crescendo no perché per me potermi esprimere liberamente significa potermi esprimere senza dover pensare prima a quello che devo dire, cioè, lasciar parlare il cuore e questo mi viene in italiano per cui penso che sia un grande dono quello di poterlo fare ed è altrettanto importante poter aver una lingua degli affetti quella del passato che comunque convive insieme alla lingua italiana. . Daniele Barbieri: Allora, c'è un' Italia brutta, razzista e la lasciamo fuori dalla porta. Poi c'è un' Italia che non vi considera stranieri, neanche a me piace la frase seconda generazione, ma italiani, nuovi cittadini con delle storie un po' diverse. ok. Questa seconda Italia, quella che ci interessa, e magari un po' più noi che siamo qui e le altre persone un po' più intellettuali, vogliamo dire, nel senso buono del termine intellettuali, c'è un errore clamoroso che continuiamo a fare rispetto a voi che siete italiane e italiani e c' avete delle radici diverse, in generale lo chiedo e naturalmente in particolare visto che c'è qualcuno che vorrebbe giocare con la bomba atomica dello scontro civiltà, dello scontro di religione quei mascalzoni che provano a giocare con questa cosa tremenda. C'è un errore che noi facciamo in buona fede? Un' incomprensione che anche con la nostra buona fede non riusciamo ancora a vedere? Grazie.
Julio Monteiro Martins: Bella domanda.
Asmae Dachan: Bellissima domanda. Facendo un passettino indietro c'è un' Italia razzista. Io penso che il razzismo, come dice anche Tahar Ben Jelloun nel suo romanzo è un concetto che è proprio trasversale all'essere umano, spiega che il fenomeno del razzismo è trasversale a ogni cultura, c'è proprio una componente innata nell'essere umano che è quella della diffidenza, quella dell'insicurezza per cui quando io sono insicura sono aggressiva, e quando sono aggressiva cerco di sminuire l'altro e questo è il razzismo spiegato in due parole. Io non faccio una colpa a chi si trova razzista in questi termini, nel senso che se una persona ha sempre vissuto in un certo contesto con determinati ritmi, con delle determinate certezze, e d'improvviso si trova, perché in Italia è accaduto così, all'improvviso, aprendo la porta, tante volte attraversando la strada e dovendo chiedere delle , non riesco a trovare un italiano perché anch'io qualche volta sorrido e dico sono ancora in Italia? Quindi questo fenomeno dell'immigrazione in Italia è un fenomeno che ha avuto proprio un boom e rispetto ad altri paesi come Francia e Inghilterra, non ha avuto una crescita graduale, ma una crescita esponenziale in pochi anni per cui ecco non faccio una colpa a chi si sente in difficoltà, magari minacciato dalla diversità. Faccio una colpa a chi come giustamente lei diceva su queste cose ci costruisce dei castelli di paura. Quindi invece di andare a trovare dei punti d'incontro che non devono essere necessariamente punti un cui siamo uguali, ma anche nelle nostre diversità, avere dei punti d'incontro è una bella sfida. Qualcuno questa sfida non la vuole vedere, vuole vedere lo scontro . Al di là di chi proprio si pone come razzista perché ha un'ideologia e vuole portare segni particolari, farsi conoscere dal branco e quello lo lasciamo a parte L'Italia che accetta le seconde generazioni è un Italia sicuramente ricca nel senso che l'Italia stessa è un paese che ha conosciuto il fenomeno dell'emigrazione io stessa sono due anni che tengo all'università degli adulti della Vallesina della zona dove vivo io un corso sull'emigrazione e l'immigrazione. Abbiamo anche degli ospiti importanti come un etno-psichiatra per i rifugiati proprio perché lo vediamo a 360 gradi questo fenomeno. Quindi l'errore che si può fare in buona fede non sta da una sola parte ma anche dall'altra quindi magari noi molti di noi spesso dicono ah son tutti razzisti, non mi accetteranno mai ah mi guardano male magari la signora mi sta guardando perché le piace il mio velo quindi il pregiudizio e la paura c'è da tutte le parti e se ci può essere un errore in buona fede può essere quello di trattare chi è come me io magari ho la pelle chiara, se avessi la pelle scura, sarebbe tutto ancora più fantastico perché una persona con la pelle scura, che porta il velo e parla un buon italiano è proprio un fenomeno da baraccone. Quindi proprio questo: questo proprio trattare un po' da fenomeno da baraccone può essere la cosa sbagliata. Nel momento in cui una persona nasce e cresce in un posto la vera così detta integrazione è proprio questa: vivere naturalmente. Vivere e assimilare concetti, assimilare cultura. Quindi l'errore in buona fede potrebbe essere questo: di guardare i ragazzi di seconda generazione un po' come se fossero delle mosche bianche e la cosa più bella invece sarebbe proprio di arricchirsi reciprocamente quello che questi ragazzi hanno da dare, tutto quello che hanno da imparare lo imparano perché nessun di noi ha una formazione completa, e si impara ogni giorno qualcosa. Non so se ho risposto in maniera pertinente. Prego
Karim Metref: il tuo libro non l'ho ancora letto . È scritto in italiano in Italia. Un po' di anni fa parlando con Randa Ghazy il suo libro, uno dei suoi libri stava per essere tradotto e pubblicato in Egitto lei mi ha confessato quando mi hanno detto così avuto un po' paura e ho dovuto rielaborare il testo, limarlo un po' per renderlo presentabile in Egitto. In qualche modo lei si è auto censurata. Secondo te il tuo modo di scrivere, per quel poco che tu sai della Siria sarebbe proponibile, se avessi padronanza dell'arabo scriveresti uguale o faresti altro. Il tuo libro sarebbe traducibile così com'è?
Spettatrice: Scusa, ho bisogno di un chiarimento. L'espressione auto censurata è tua o è sua?
Karim Metref - É mia. Lei ha detto che ha dovuto limare. Dico ad esempio: spesso lei usa la parola “cazzo” come parlano i ragazzini italiani. Lì nella versione egiziana l'ha eliminata perché detta in arabo diventa una cosa... ma non solo questo..
Asmae Dachan: In questo sono facilitata perché nel mio lessico le parolacce non ci sono. Ma senza andare lontano, senza andare in Siria, quando ho scritto io questo mio libro e l'ho visto pubblicare l'entusiasmo e tutto. Poi quando l' ho avuto in mano ho pensato forse x la prima volta in quel momento: chi saranno i miei lettori, allora mi sono immaginata la mia vicina di casa italiana con la quale sono molto amica, con la quale ci scambiamo libri e abbiamo un' amicizia costruita anche su letture in comune e la signora siriana, marocchina, bengalese, che si trova un romanzo con un nome arabo e quindi incuriosita lo vuole incuriosita lo vuole tenere in mano e quindi ho capito che sarebbero date due letture diverse..perché sarebbero stati diversi gli occhi e la cultura di origine, quindi il background della persona che avrebbe affrontato questa lettura. E anche adesso che ormai il libro lo leggono trasversalmente persone di culture veramente diverse trovo reazioni diverse trovo reazioni diverse nelle diverse persone però , tra virgolette, non è un problema mio: io sono così questo è quello che penso non mi sento ipocrita di dover abbellirmi o magari togliere il fatto che una delle tre ragazze fuma la sigaretta perché so che questo libro magari lo leggerà l'imam della mosche a dove vado. Perché questo libro è così perché io quello che ho visto che ho rielaborato è così dentro di me per cui se le persone son in grado di accettar, di aprirsi, leggere, ok ben venga se le persone è accaduto e accadrà ancora mi diranno a ma guarda ma tu qui parli di una sigaretta oppure non so qua tu dici che la ragazza mussulmana arriva in moschea con la macchina quando va nel parcheggio della macchina tante volte si sente gli occhi addosso di persone che la patente alla moglie magari ancora non l'hanno fatta prendere, no? Ma io lo racconto perché è così non mi sento di essere ipocrita io stessa questo è un episodio che mi capita quando vado in moschea tante volte ancora mi sento addosso degli occhi di persone per cui una donna che giuda è una cosa strana a me fa ridere per cui io continuo sperando di non prenderli sotto perché a volte veramente si fermano lì tipo dire “che stai a fa?” Per me è la cosa più naturale del mondo per cui io vado serena per la mia strada. Per quanto riguarda la Siria semmai alcune riflessioni per quanto riguarda alcune riflessioni sulla guerra, sulla libertà, quelle potrebbero essere causa di risentimento nei miei confronti però per quanto riguarda il resto nulla perché per me può leggerlo un siriano, un leghista, un comunista, io sono così e questo è quello da dare al mondo ben vengano le critiche costruttive chi invece ha proprio da seminare odio con me casca male perché ci resto male cinque minuti poi lascio perdere. Prego.
Spettatore: lei ci diceva che bisogna scrivere prima innanzitutto per se stessi buttare fuori quello che hai dentro dipende poi dal genere ma si scrive anche per gli altri. Stando a quello che lei ha appena detto possiamo dire che lei scrive soprattutto per sé o per un pubblico, per un lettore determinato? Cioè qual'è la sua idea quando scrive? Perché scrive?
Asmae Dachan: Ogni volta che mi hanno chiesto perché hai scritto questo libro non ho mai saputo rispondere perché penso che l'esperienza dello scrivere sia qualcosa di innato dentro di noi non è una cosa decisa a tavolino, o che una cosa che si costruisce nel tempo: è qualcosa di innato e prima o poi deve venire fuori quindi ho scritto perché sentivo di scriverlo ma non parlando a me stessa questo no. Cioè, essendo me stessa nel modo di scrivere sì nell'esprimere i miei pensieri sì ma proprio anche a scrittura ultimata ho pensato che lo leggeranno le persone più svariate perché appunto io tra le mie amicizie e conoscenze ho le persone più svariate Quindi le persone come me che hanno un' origine straniera o persone italiane da mille anni perché sono nate e sempre vissute qua persone che sono immigrate in Italia ma conoscono l'italiano quindi leggono volentieri anche in italiano e comunicare con loro per me è bellissimo e importantissimo quindi se avessi pensato di comunicare solo con me stessa, chiudendomi avendo il paraocchi di dire non accetto critiche non accetto commenti sarebbe stato un po’ tradire lo spirito della scrittura stessa invece scrivere pensando che ok sono responsabile di quello che sto dicendo sono consapevole che ci saranno delle reazioni. Prima Julio mi ha chiesto se sto già lavorando al secondo romanzo. Sì! Sarà molto più bollente di questo nel senso che se qui ho accennato con alcune pennellate leggere ad alcuni temi scottanti lì c'è un tema che adesso però ancora non vi dico perché è in fase embrionale che voglio affrontare in maniera profonda. Sempre in italiano, al massimo in inglese, ma nelle altre lingue per ora non ho la capacità di farlo quindi dovrei pensare alle frasi per come costruirle, non lascerei parlare il cuore quindi no in italiano. Quindi, Julio, sì, sto lavorando ad un altro romanzo e se mi chiedi quando ho cominciato ti dirò il giorno stesso che ho finito questo già avevo qualcuno dentro di me che voleva nascere quindi un nuovo personaggio questa volta maschile. Ecco questa cosa perché hai scritto solo di donne? Centra qualcosa la tua cultura? No che non centra la mia cultura, centra il mio modo di essere perché io in quel momento particolare della mia vita avevo tre donne che volevano venir fuori poi un protagonista c'è comunque un protagonista maschile poi leggendolo magari lo scoprirete. Ha anche un ruolo importante comunque.
Julio Moreiro Martins: Ti faccio una domanda, ieri parlando degli scrittori migranti di prima generazione, ora si dice figli di migranti, si parlava delle problematiche specifiche di ognuno: chi ha fatto la migrazione ha il trauma della migrazione che la cosiddetta seconda generazione non ha. E ha anche il fatto di questa lingua madre che echeggia sulla scrittura, mentre chi è cresciuto in una lingua nuova non ha. Mentre, e questo è il fulcro della domanda, quelli che sono nati in Italia figli di stranieri di un'origine culturale diversa hanno una tendenza che poi si riflette anche nei personaggi che creano, di una divisione interna, è come se ci fosse un divario più grande e stretto tra l'apparenza esterna e l'essere interno come se ogni persona fosse un doppio e sentendosi così, nella scrittura questo si rispecchia anche lì. Tu come senti questa questione?
Asmae Dachan: Prima tra gli autori che abbiamo citato tra quelli che leggo volentieri c'era Pirandello: Uno ,Nessuno Centomila. Io mi sento molto Pirandello. Qualcuno l'ha chiamata anche schizzofrenia comportamentale cioè che quando siamo a casa parliamo in arabo e abbiamo certi atteggiamenti di rispetto verso i nonni, verso i genitori che ci vengono dalla cultura di origine e quando siamo fuori parliamo in un'altra lingua, siamo in un altro modo. Io non la vedo così tragica la cosa nel senso che una divisione c'è ma non verticale ma una divisione a tratteggio per cui le due parti si devono incontrare per forza. In che senso? Nel senso che io non posso dire di esse re 100% italiana perché un buon 40% di me non è italiano. Per farvi un esempio sciocco: come si dicesse “scolapasta” in italiano io l'ho scoperto alle scuole medie. Perché? Perché a casa lo chiamavamo sempre in arabo. Perché fa parte della lingua familiare, della lingua domestica Perché quando mamma me lo chiedeva me lo chiedeva in arabo. Quando poi ho capito, ora non ricordo l'episodio, che lo scolapasta era quell'oggetto lì di casa ho capito che appunto ho imparato una parola in più quindi la divisione c'è e non è sempre facile affrontarla nel senso che ci sono persone che a causa di questa divisione interna soffrono molto nel senso che non si sentono né carne né pesce. Non si sentono né orientali né occidentali e allo stesso tempo si sentono tutte e due le cose e questo veramente causa dei disagi molto forti nelle persone soprattutto nei giovani, soprattutto nella fase adolescenziale che di per sé è già comunque la fase più critica io penso che questo doppio modo di essere, questa nostra doppia identità, che comunque non significa essere Dr Jekyll e Mr Hyde ma significa essere portatori di due mondi che camminano serenamente parallelamente uno vicino all'altro possa diventare una ricchezza se il contesto aiuta e permette ciò e se la persona stessa, arrivata a un certo punto di maturità vuole trasformare questa doppiezza, no doppiezza è una brutta parola, questa ricchezza, doppia cultura di origine in qualcosa di buono. Perché poi ci sono persone che rinnegano completamente le proprie origini e quello è brutto perché significa comunque segnare una rottura e ogni rottura è un trauma ci sono invece persone che magari rinnegano completamente la realtà e il contesto in cui vivono per proiettarsi in una fantomatica dimensione dell'origine. Io penso che la cosa bella, la cosa su cui lavorare sia far camminare parallelamente le due realtà dentro di noi e trarne ricchezza. Trasformare il problema in un'opportunità. E è una cosa fattibile perché molte persone lo fanno, persone che hanno raggiunto una stabilità interiore e aiutano anche gli altri magari più giovani ad identificarsi più serenamente. Ho visto tre mani alzate. Prima le signore!
Spettatrice: Io sono di Pompei . Vivo a Bologna da trentanni. Ho tre figlie femmine di cui due 15enni oggi. A un certo punto c'è stata le questione della “monnezza” a Napoli e qualcuno ha messo in crisi le mie figlie. Qualche mese fa mi han chiesto “Mamma ma noi siamo bolognesi o napoletane? Non ho risposto proprio, ho chiesto “Perché?”. Se i suoi figli le chiedessero questo in un momento di crisi, cosa risponderebbe?
Asmae Dachan: Di miei figli quello più grande me l'ha già chiesto. Perché? Perché poi bisogna anche scoprire con chi gli ho fatti questi due figli! Nel senso io ho origini siriane e ho sposato un uomo palestinese da cui sono separata quasi divorziata. E quindi già all'origine abbiamo una doppia cultura perché c'è una doppia cittadinanza d'origine. In più la diversità del fatto che la mamma è nata in Italia e si sente appunto italiana. Il padre invece ha conosciuto l'immigrazione, è venuto in Italia a diciotto anni per cui ha tutto un contesto culturale d'origine diverso. Quindi tante volte i miei figli “Mamma, ma noi cosa siamo?” Io dico “Te sei te stesso. Sei una persona che è italiana di cittadinanza perché sei nato qua. E hai origini sia siriane che palestinesi” “A ok”. Dopo due giorni torna fuori: “Ma io sono più siriano o più palestinese? Ma sono anche un po' italiano mamma? Posso dirlo?” Gli dico “ Sì certo che lo puoi dire. In che lingua mi stai parlando?” “In italiano. Allora è vero: siamo italiani” E penso che queste domande verranno ancora fuori perché dall'altra parte si preme “Sei palestinese perché papà è palestinese quindi uno acquisisce la cittadinanza del padre” ci sarà sicuramente un momento in cui questa cosa avrà un peso maggiore nella loro crescita. Però io penso che con un po' di realismo, vivendo qua, avendo qui i loro amici, frequentando le scuole qui si renderanno conto che qualunque sia la loro origine l'importante è che siano cittadini del mondo. Che non si sentano estraniati, non si sentano soli.
Daniele Barbieri: Sono Daniele, razza terrestre soprannominato prezzemolo, visto che intervengo sempre. Due cose se c'è tempo. Io pure penso che questa pluralità linguistica sia positiva. Io c' ho messo anni a capire cosa diceva mia moglie con la sua famiglia e con i suoi amici che parlavano una lingua straniera per me incomprensibile: il veneto. Veramente incomprensibile. E ogni tanto, mio figlio, che vive con noi in Emilia, mi chiede di tradurre le strane cose che io dico in romanesco. Perché non le capisce proprio. Però con un po' di sforzo ci si arricchisce, è bello. In napoletano ci sono cose meraviglioso che l'italiano s'è perso, delle espressioni stupende. La domanda era questa, era una curiosità. Io non ha ancora letto il libro ma lo comprerò subito perché due giorni fa il mio amico socio di mille avventure e anche il mio consigliere letterario che è etiope mi ha detto che delle prime pagine di quel libro s'è innamorato per cui lo prenderò subito e mi prenoto per fare quindici domande quando l'avrò letto. Ma adesso la domanda era più una curiosità che forse interessa noi qui che ragioniamo anche sulla complessità dell'italiano quando si mescola con altre radici con altre culture. C'è uno scrittore, un siriano che è diventato scrittore in Italia ed ero curioso di sapere se lei lo aveva letto che si chiama Youssef Wakkas,di cui purtroppo siamo privati nel senso che, forse vale la pena accennarlo velocissimamente, la sua è stata una migrazione sporca cioè sporcata da un reato per cui lui s'è ritrovato in carcere, in carcere ha imparato l'italiano e ha avuto una seconda possibilità, per fortuna, ed è diventato uno scrittore straordinario di un italiano secondo me ricchissimo. Non sul registro realista ma sul registro quasi sempre fantastico. Pluri premiato, persino il Presidente della Repubblica l'ha premiato. Per le pessime leggi, le stupide leggi italiani lui è stato espulso poi, lui è in Siria, vorrebbe tornare in Italia perché una parte importante della sua storia, oltre che il suo amore, la donna che ama, è qui, ci sono complicazioni...prima o poi tornerà. Ero molto curioso di sapere se per caso lei lo conosceva e comunque lo consiglio un po' a tutti voi, perché appunto naturalmente uno dei modi importanti in cui l'italiano cambia è la contaminazione, l'incrocio, l'arricchimento con altre culture, lingue e dalla necessità di modificarlo. Però un' altra è il fatto che il fantastico, anche il fantastico oltre al registro reale che noi usiamo è diverso da quello di altre parti nel mondo. E io leggendo Wakkas ho scoperto una dimensione del fantastico che mi appassiona molto ma che non è la nostra abituale come non lo sarebbe quella brasiliana. Questa è una curiosità. Grazie.
Asmae Dachan: purtroppo non conosco questo autore. Il perché non lo so ammetto purtroppo questa mia pecca. E per quanto riguarda la contaminazione tra lingue è vero ed è un fenomeno curioso. Ci si inventa un nuovo italiano miscelando un po' di parole italiane con un po' di parole della lingua d'origine. Per cui sempre tornando al lessico di casa nostra, per definire una cosa molto salata spesso diciamo che è melejissima perché melej significa sale e “issima” è chiaramente italiano. Quindi ci viene così oppure heluissima perché appunto è molto dolce. Ci sono tutta una serie di vocaboli che si inventano. I nostri genitori oramai ci capiscono perché ci sentono parlare, altri che ci guardano strano e tra di noi, noi figli di ci capiamo perché abbiamo costruito più o meno consapevolmente una serie di vocaboli, un lessico che è soltanto nostro. E per quanto riguarda appunto anche l'espressione del pezzo che ho citato prima della luna e del sole. In ogni lingua ci sono delle espressioni delle sfumature culturali immaginifiche che sono preziosissime. Riuscire poi a importarle, renderle fruibili agli altri è sicuramente qualcosa di meraviglioso. Quindi sicuramente questo autore che ha comunque nel suo bagaglio culturale della Siria che è un paese che culturalmente ha veramente ha dato i natali alla civiltà umana, e riuscire a portarlo in italiano credo che sia un dono meraviglioso che si riesce a fare tramite la lingua.
Julio Monteiro Martins : Domande?
Karim metref: allora prima avevi citato il libro Porto il velo e adoro i Queen di Abdel Qader Sumaya e questo mi ha fatto tornare in mente un fatto. Abbiamo parlato di seconda generazione in genere che potrebbe essere sia di giovani africani, latinoamericani, est europei eccetera. Ma nel caso di questi giovani provenienti dai paesi mussulmani io noto lo svilupparsi di un associazionismo, di un identificarsi all'Islam e soltanto all'Islam, che crea associazioni tipo I giovani mussulmani in Italia eccetera. Negli anni '40/ '50, forse prima c'era un movimento culturale e letterario che si chiamava la Négritude, alla testa del quale c'era Aimé Césaire, personaggio molto interessante, e un altro personaggio che si chiamava Léopold Sédar Senghor molto bravo letterariamente ma meno interessante dal punto di vista politico e filosofico, che rivendicavano questa loro négritude. Invece Frantz Fanon che è anche lui nero originario dalle vecchie colonie francesi ed è stato pure allievo di Aimé Césaire però li ha attaccati pesantemente dicendo: “se tu ti definisci come negro per opporti a chi disprezza i negri tu non hai in nessun modo cambiato l'entità del discorso. Ti stai difendendo stando nel campo che il tuo oppressore ha scelto: per te quello del colore, non sei nel campo dell'umanità e infatti Frantz Fanon non scelse mai la difesa della razza nera ma scelse di battersi con i più oppressi dl mondo e prese parte alla lotta per l'indipendenza dell'Algeria pur non essendo algerino. Questa definizione di solo mussulmani non è una specie di auto oppressione? Auto prigione in una definizione scelta da chi ha bisogno di un nemico nella sua presunta guerra tra civiltà? Quindi, non hai l'impressione che questi giovano che vanno in giro scrivendo libri tipo questo di Sumaya fanno esattamente quello che ci si aspetta da loro: fanno i mussulmani.
Asmae Dachan: Anche questa è una domanda molto bella, mi complimento perché è una riflessione interessante quella di essere mussulmano come aggettivo o mussulmano come soggetto. Se noi vogliamo essere mussulmani come ruolo sociale, come etichetta allora c'è il rischio di creare il ghetto, di incarnare il nemico immaginario ed essere pronti alla sfida. Se invece il nostro essere mussulmano, come nella stragrande maggioranza anche dei giovani che lei ha citato prima (li conosco di persona e sono stata spesso ai loro incontri), sono giovani che vivono invece questa realtà di associarsi sotto la bandiera di una comune religione come un punto non per identificarsi in qualcosa, unirsi e creare una barriera con il mondo, ma proprio come un punto in cui si rispecchiano li uni negli altri e cercano di vivere questa esperienza religiosa in un contesto come quello italiano quindi i ragazzi che fanno parte di questa associazione sono per la maggior parte ragazzi che non sono nati qua ma che hanno anche il problema il problema alle spalle di essere emigrati, di aver conosciuto le sofferenze anche un po' le difficoltà di inserirsi in una nuova società, di accettati dai loro coetanei, quindi avere un'associazione anche a carattere religioso è importante perché non rinnegano quello che sono e tramite questi spazi comuni che si creano hanno modo di confrontarsi, di studiare la propria religione in una maniera che è molto più pulita rispetto a se lo facessero non non con un associazione radicata in Italia che parla l'italiano come lingua officiale. Sarebbe molto più pericoloso se questa religiosa gli venisse tramandata in una maniera diciamo dittatoriale in questo associarsi non c'è una chiusura proprio perché li ragazzi che fanno parte di quest'associazione magari sono anche volontari della croce rossa o di altre associazioni animaliste. Il rischio di cui tu parli, quello di diventare un po' mussulmani di professione, nel senso che io sono mussulmana allora domani devo andare a Pomeriggio 5, dopodomani in un altro programma. Devo assumermi tutte le colpe dei reati che hanno commesso i mussulmani e devo essere io la portavoce di tutto! Quello è assolutamente sbagliatissimo sia perché gli errori di una persona o più persone non devono essere pagati da una collettività di persone, sia per il fatto che fossilizzandosi solo sul fatto che io sono mussulmano e li altri mi identificano solo come mussulmano non vedono la persona. Uno è mussulmano ma è anche un essere umano, uno scrittore, un medico, un operaio quindi una persona a trecentosessanta gradi. Il fatto di avere una religione diversa da quella della maggioranza dei cittadini è un elemento in più ma non deve essere l'unico elemento identificante. Il rischio del ghetto, il rischio di formarsi di categorie mentali e sociali che non hanno appunto un' utilità esiste veramente. Cioè oggi giorno basta accendere la televisione e si sentono tante cose, tanti problemi. Noi che conosciamo il mondo dell'editoria, il mondo dei media sappiamo che una brutta notizia fa notizia quindi ci si ricama sopra, si fanno anche record di ascolti E lì appunto il rischio di creare il personaggio con cui identificare tutto quello che è successo è un rischio alto che è già accaduto in passato. Mentre invece la cosa andrebbe vissuta in maniera più serena: ok una persona ha commesso un reato, è quella persona che l'ha fatto non c'è bisogno di andare a criminalizzare una totalità.
Spettatrice: oggi Julio ha incominciato parlando di una lettura che aveva fatto sul giornale di questi autobus in cui gli immigrati vengono perseguitati, insomma, vengono le forze dell'ordine quasi in assetto da SS e li prelevano perché la clandestinità adesso è reato, no? Mi chiedevo se una persona come te che racchiude tutte queste realtà vedi una necessità, nella tua scrittura, di prendere in considerazione questi fenomeni e senti che c'è una necessità da parte degli scrittori, proprio come scrittori, di mettersi contro, di formare una specie di contenimento di questi fenomeni. Dato che tu hai una grande dote comunicativa, visto che stai per laurearti in comunicazione, come vedi questa possibilità di impegnarti in un senso civile?
Asmae Dachan: Io mi complimento perché oggi state facendo veramente delle domande molto interessanti. Io sento che, partendo dalla premessa e mi prendo le responsabilità di ciò che dico e che per me nessun essere umano è clandestino, e chiusa parentesi! (applausi) Perché secondo me se siamo arrivati a questo punto, a questa deriva, significa che come esseri umani non abbiamo fatto nessun tipo di progresso. Non è solo il caso dell'Italia, assolutamente, perché anche le politiche migratorie nei paesi arabi da cui molti di questi emigrati vengono è contro gli immigrati. E se qui la serie B sono gli arabi, gli africani, nei paesi arabi la serie B sono gli africani e quelli del sud est asiatico. Quindi queste piramidi a livello umano purtroppo sono trasversali. Quindi io sono dell'idea che nessun essere umano è clandestino. Poi ovviamente c'è la legge, bisogna rispettarla, quello è un interesse comune, ci mancherebbe! Come tra virgolette intellettuale, anche se io sono soltanto alla mia prima opera, spero di potermi cimentare in scritture che contribuiscano sia a rendere più visibili questi fenomeni, perché qua non parliamo di Uno che non ha i documenti, viene espulso e via, qui parliamo della tragedia umana di una persona che probabilmente è fuggita da situazioni che noi grazie a dio non riusciamo neanche a immaginare e poi si trova ad essere espulso. Io ho più rispetto di una formica che entra nel mio vasetto di marmellata e cerco di toglierla piuttosto che di vedo come trattano gli immigrati, non c'è da andare fieri assolutamente di quello che sta accadendo. Quindi chi scrive ha il compito importante di mettere in evidenza queste cose, a sensibilizzare le persone, a sensibilizzare le persone a non vedere più nell'altro un diverso o un nemico ma di vederci prima di tutto l'essere umano. Perché se noi mettiamo questa cosa al primo posto le cose sarebbero diverse dai paesi di partenza, sarebbero diverse anche nei paesi di arrivo. E poi appunto, io per esempio nel mio prossimo romanzo una delle questioni che voglio affrontare è legata al fatto della clandestinità. Perché io più vado avanti più mi rendo conto che se un essere umano è clandestino sulla terra non so perché andiamo su Marte a cercare i marziani. So che magari adesso può essere politicamente scomodo dire queste cose, me ne assumo la responsabilità. Però io sono assolutamente dell'idea che prima di tutto siamo tutti esseri umani. Quindi se una persona è in condizioni disperate che arriva in un barcone qua in Italia, prima di chiamarlo clandestino io lo chiamerei disperato.
(applausi)
Julio Monteiro Martins: Altre domande? Ringrazio tantissimo Asmae Dachan è stata benvenuta. Mi riempie di speranza per la nuova Italia che sta nascendo, per l'Italia dove vivranno i vostri figli. Non so, se vuoi dire un'ultima parola...
Asmae Dachan: Io ringrazio ancora te tantissimo della fiducia, dell'invito, ringrazio tutte le persone che sono qua penso da stamattina quindi anche dell'ascolto così attivo così partecipe. Ringrazio ancora Marco Battista, che fa il modesto: è in silenzio religioso! Ma veramente ha fatto sì che il sogno di scrivere diventasse realtà. Unitevi a me nell'applauso a quest'editore.
(Applausi)
Marco Battista: Grazie… Se c'è un merito che altrove sarebbe la normalità qui in Italia probabilmente è una cosa da marziani..se c'è un piccolo merito che abbiamo noi come casa editrice è quello di aver riconosciuto il valore di questo libro prima di conoscere la persona, ecco poi conoscendo anche la persona, la statura di Asmae l'avete vista tutti, l'avete sentita tutti, questa è stata una sorpresa anche per me però insomma abbiamo letto questo manoscritto abbiamo detto questo è bello abbiamo fatto una proposta editoriale. Lei l'ha accettata e questo è successo poi ci siamo chiaramente visti di persona ci sentiamo spessissimo siamo anche amici io e Asmae insomma non è difficile diciamo che ci sentiamo oltre che per lavoro anche così quando fa l'incidente..niente era per dire questo che la casa editrice sembra che abbia fatto chissà che cosa, in realtà abbiamo letto il manoscritto, l'abbiamo trovato bello e abbiamo detto se vuoi ti pubblichiamo. In Italia probabilmente tutto ciò è incredibile però probabilmente il fatto di essere io stesso un autore che si è rotto proprio le palle di neanche di provarci a mandare manoscritti, te li buttano via, e poi sono anche una persona che, insieme ad altre persone mie amiche perché questa casa editrice non è un impresa ma un'associazione culturale che nasce da tutta un altra serie di cose, si chiama Libertà Edizioni non a caso, l'associazione si chiama Città Libera, libertà Edizioni è il braccio editoriale e il sito web di Città Libera. Siamo civilmente impegnati perché vogliamo un'altra Italia, va bene ma nel nostro piccolo, lasciando stare le bandiere, come individui pensiamo che prima di tutto la cultura sia un fatto importantissimo per costruire una società diversa da questa. In Italia si sta velocemente, o lentamente, creando una società multiculturale e noi ci schieriamo decisamente a favore di questo multiculturalismo e diamo voce a tutte le voci che ci sono nella società. Secondo me non è vero che l'Italia è un paese culturalmente morto: c'è un'attività culturale testimoniata dalla quantità di manoscritti che ci arrivano che è grande e che non trova nessun tipo di ascolto nelle grandi case editrici, per lo meno nell'immediato. Poi è chiaro che Asmae tra dieci anni sarà con Mondadori. Diciamo che c'è un grande vuoto tra la giungla delle auto-pubblicazioni dove ognuno si pubblica da sé (quindi non si sa chi sei) e la grande casa editrice che distribuisce in tutta Italia ma che non da voce ( questo anche nella musica) ad altre culture. In Italia ad esempio i Sex Pistols non sarebbero mai esistiti. Solamente in Inghilterra dove c'è un tipo di imprenditoria progressista che da voce al nuovo vengono fuori questi fenomeni. C'è questo terrore del rischio che invece è tutt'uno con una vita piena, tutta faccia al vento. E l'imprenditoria progressista o conservatrice siamo tutte persone che vogliamo fare qualcosa per un paese nuovo, per un'Europa diversa che premi innanzitutto il merito delle persone che poi portino il velo o portino il rosario al collo come faccio io è uguale. Credo che la cultura di una società e il valore di una civiltà si misuri nel modo in cui riescano a convivere con profitto diverse culture, diversi atteggiamenti. Questo è quello che stava dietro all'associazione Città Libera, facciamo di tutto per mandare soldi in Brasile, Julio lo sa, siamo no-profit. E in editoria la traduzione di tutto questo è quello di premiare il merito degli autori e poi abbiamo un altro criterio che è quello di leggere anche i contenuti e scartare tutto ciò che non è compatibile coi valori dell'associazione. Noi non pubblichiamo testi omofobi, non pubblichiamo testi razzisti, non pubblichiamo testi di persone fanatiche, non pubblichiamo testi di integralisti cristiani né mussulmani né di qualsiasi religione, perché crediamo che la democrazia, che la libertà siano una cosa per le persone per bene che sanno accettare l'altro come ricchezza e come limite del proprio desiderio di onnipotenza.
Julio Monteiro Martins: Grazie!
Asmae Dachan: Ringraziandovi di nuovo vi leggo soltanto due righe del libro per salutarvi. È l'ultima pagina quindi non vi svelo nulla:
Alcuni pensieri volano liberi nell'aria . Mossi dal vento viaggiano senza meta, senza tempo, senza limiti. Non vengono catturati su un foglio. Non vengono cancellati dall'effimera memoria. Ci sono parole non dette, pensieri inespressi che sono come persone che non sono mai nate ma persone esistite nell'immaginazione di qualcuno che le ha desiderate, cercate, persino amate. Ci sono parole e pensieri che volano liberi incontrando diverse persone senza che queste se ne accorgano. A volte capita che due persone si guardino un istante negli occhi senza parlare poi tornino a ignorarsi per sempre. In quell'istante nei loro occhi si riflettono parole e pensieri liberi che volano nell'aria. Pensieri che entrambi hanno sfiorato senza saperlo, senza capire.
Grazie (Applausi)
Julio Monteiro Martins: Grazie a tutti voi e qui finisce il nono seminario della Sagarana. Grazie a tutti.
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