Venerdì 4 Luglio - mattina

Prima parte: La fondazione Paolo Cresci per la storia dell’emigrazione italiana, con Annarita Rossi.

Seconda parte: “Straniero nella mia nazione” incontro con il giovane scrittore Danzio OPM.

Prima parte:

Julio Monteiro Martins: Per allargare un po’ l’orizzonte della scrittura migrante ad altre esperienze che approfondiscono questo argomento, abbiamo invitato un membro della Fondazione Paolo Cresci, di Lucca, Annarita Rossi, che ci illuminerà su un altro tipo di testimonianza, forse altrettanto drammatica, degli italiani emigrati all’estero nel primo Novecento. Lei ci ha portato testi, lettere, testimonianze dal Nord America e dal Sud America. Quelli che migrano in altri paesi, sono i più forti, sono quelli che in fondo sanno che ce la faranno.

Annarita Rossi: Ho scelto alcune lettere di emigranti italiani del Novecento, a cura della Fondazione Paolo Cresci per la storia dell’emigrazione italiana. Due parole per dirvi chi era Paolo Cresci. Egli ha svolto la sua attività professionale come fotografo scientifico all’Università di Firenze, quindi non aveva niente a che fare con questo argomento, semplicemente era un appassionato ricercatore e collezionista di documentazione sulla storia dell’emigrazione. Questo perché sua moglie aveva dei parenti emigrati e proprio da questa casualità è nata una grande passione. E’ morto nel 1997, a 54 anni, però in venti anni di lavoro ha realizzato diverse mostre personali di fotografia e sull’emigrazione, partecipando a diverse rassegne sull’umorismo sia italiane che estere. Uno dei suoi lavori più belli è stato proprio poco prima di morire, nel ’97, quando ha collaborato nella realizzazione della mostra The World in my hand, sull’emigrazione italiana, allestita ad Ellis Island a New York. Ellis Island era una struttura in un’isola davanti a New York dove gli stranieri venivano visitati, anche piuttosto invasivamente, prima di poter entrare nel paese. Il logo della Fondazione è stato disegnato recentemente da Michel Folon, il quale descrive così l’emigrazione «sogno una valigia immaginaria che in realtà è una finestra le cui sbarre sono state tagliate per permettere che uno possa scappare via. Emigrare vuol dire liberarsi e scappare, per cercare un mondo migliore, più felice, se in più nel logo ho trasmesso anche un po’ di poesia ne sarei molto felice.». La Fondazione Paolo Cresci nasce dalla volontà della Provincia di Lucca di valorizzare la storia e l’attualità dell’emigrazione italiana e di accrescere ed intensificare i rapporti culturali con le comunità italiane a l’estero. Inoltre, l’associazione culturale è aperta agli Enti locali, associazioni e privati che desiderino raccogliere le testimonianze e i documenti dell’emigrazione italiana. L’archivio della Fondazione consiste in un immenso patrimonio di immagini, lettere, passaporti e giornali, oggetti e video relativi al fenomeno migratorio. Tanto per dare qualche dato, abbiamo catalogato fino ad adesso, all’incirca undicimila documenti, anche se ce ne sono ancora molti, ed arrivano di continuo nuove acquisizioni e donazioni. L’anno scorso abbiamo trascritto quattromila lettere di emigranti però ce ne sono ancora altrettante da trascrivere. L’archivio è considerato da storici e studiosi dell’emigrazione, il più ricco e importante fondo documentario esistente sull’argomento. Per quanto riguarda le immagini, vi ho portato una specie di campione per mostrare quello che abbiamo in archivio. Le ho inserite in modo da simulare una sorta di viaggio immaginario di un emigrante che parta con una nave. Questa è una cartolina che rappresenta il porto di Genova ad una partenza per l’America. C’è poi un biglietto anni Trenta, in terza classe, su cui leggiamo il nome della nave. La nave è “Il Rex”. In questa proiezione si vedono degli emigranti che attendono di imbarcarsi e poi ci sono alcune immagini di scene a bordo. L’immagine interessante è quella di un prete in mezzo ad un ponte molto affollato. I preti, molto spesso, seguivano gli emigranti durante la traversata, per accompagnarli e confortarli, soprattutto se si recavano in paesi non cattolici. Vediamo un’altra immagine di un viaggio in terza classe con un ponte molto affollato. Se il mare era buono, il viaggio era sopportabile, altrimenti le condizioni atmosferiche rendevano il tutto più difficile. Il problema più grosso era lo sviluppo di malattie a bordo, e di molte persone infettate, per cui spesso tanti corpi venivano gettati direttamente in mare. Di solito le persone più colpite erano i bambini. Dopo il viaggio si arriva al porto, anche se prima si finiva in centri di accoglienza. Quello americano è rimasto il più famoso, qui vediamo l’attracco al porto di New York, ci sono parenti che aspettano parenti od amici. I primi a partire erano di solito gli uomini e da soli. Di un paese partiva per primo una o due persone, poi una volta raggiunto il paese, quasi tutti gli altri uomini li raggiungevano. Qui vediamo, invece, uno sbarco a Buenos Aires e come potete notare dal paesaggio circostante, già appena arrivati si rendevano conto che questa America sognata non era come pensavano. Qui vediamo le prime foto che vengono mandate a casa. Il legame con la famiglia è fortissimo, si cercava di raggiungere un certo benessere e le foto lo dovevano dimostrare, bastava giusto un ombrello, oppure ancor meglio un gruppo familiare vestito con gli abiti buoni, davanti ad un negozio.

Questa è un’altra foto successiva, probabilmente una foto ufficiale, dove si vedono un gruppo di operaie in una fabbrica. Vediamo foto classiche fatte in studio, con il vestito più bello, qui si vede una sposa americana con delle damigelle, abitudine che non era ancora in uso in Italia.

Queste sono istantanee fatte in casa per far vedere dove si viveva e in che modo si viveva e ci si vestiva. Spesso si ostenta una bella casa, delle galline e una mucca. Un’altra cosa che si voleva fare mandando le foto a casa era stupire. In questa foto ci sono due ragazzine di colore, persone che in Italia nessuno aveva mai visto. Molto spesso anche le foto dall’Africa mostrano i costumi di questo paese che erano ignoti agli italiani, e lo si faceva sempre con l’intento di stupire.

Ovviamente simbolo per eccellenza del benessere era l’auto. In questa foto vediamo una donna alla guida, immagine di una certa indipendenza che in Italia ancora non poteva realizzarsi. Un altro traguardo era quello della cultura, chi poteva studiare, diplomarsi o laurearsi mandava a casa la foto. Si mandano a casa anche foto di funerali. Era un modo per rendere partecipi chi non poteva assistere alla cerimonia. Si fotografava sola la bara piena di fiori e poi si spediva a casa.

Adesso veniamo alle lettere, che è poi l’argomento chi più vi interessa. Tra queste quattromila che abbiamo archiviato, gli argomenti trattati sono i più vari, ma il filo conduttore è quello della tristezza e della nostalgia per casa, proprio tutte, anche chi era ormai affermato e aveva fatto fortuna. Molto spesso partivano i padri che riuscivano a vedere i figli sono dopo trent’anni, oppure altrettanto spesso i padri si rifacevano una nuova famiglia all’estero, senza dimenticare la propria famiglia di origine. Le lettere si possono dividere in tre grandi gruppi. Lettere di chi era semianalfabeta, molto difficili da leggere per le inflessioni dialettali e gli errori. Ci sono addirittura frasi intere senza che le parole venissero spezzate. Lo sforzo che si faceva per tentare di comunicare con casa era enorme, come vedremo. Poi le lettere di chi era in grado di leggere e scrivere ma non aveva un grado di istruzione molto elevato, per cui sono lettere che presentano alcuni errori, inflessioni dialettali e neologismi inventati da loro che fondevano il dialetto con la lingua d’arrivo.

Per fare qualche esempio, la parola farm diventa farma, bill diventa billo ecc., mia nipote veniva fuori minha nipote. Infine c’erano lettere delle persone colte, molto lunghe e dal contenuto molto ricco. Ve ne leggo alcune. La prima lettera viene dalla Francia, da una balia. Le balie migravano nel Sud della Francia e in Corsica, al massimo, proprio perché non potevano affrontare venti giorni di mare aperto perché avrebbero perso il latte. Queste donne avevano avuto un figlio che poi lasciavano con i genitori, per andare ad allattare altri bambini. Vi leggo il testo:

Li 12 luglio [1920?]

Cara Madre

Rispondo alla vostra lettera laquale sento che siete tuti in buona salute e di questo neringrazio il Signore che cin con servi tuti in buna salute di ripotersi rivedere un giorno cara madre mi sono tratenuta un ascrvervi per dirvi come istaco volen tieri qui eotto giorni che cisono che volette non cistaco tanto valen tieri ma spero che a sara per due a tre mesi periragazi laria glifa dormire bene lanotte e il giorno in villa faceva tropo cando in quantame mi vogliono tuti bene mon sono mica tanto lontana 5 ore di treno veman dero il mio indrizo sento che mi dite che lavaca vilavora bene che avete datribolare cicheredo non so come larime diate mi direte semasueto [Mansueto] vagliuta aun coricino difrasa [carichino di frasca] sesavio che bedisce [se obbedisce] lirimando 5 lire perandare asanpelisorcina non mia slavalla queslatra valta peroro non vi dico altro che lutarvi asieme amio Padre e mi dico persenpre vostra faglia che pessa avoi rispondete presto salutate il Giovanino isaluti alla Pia il fratello lanino.

Annarita Rossi: Non è un testo neanche troppo difficile, ce ne sono di peggio. Poi vi ho portato tre lettere della stessa famiglia, per farvi vedere, anche, come da un carteggio si possono capire molte cose.

Avarè 10. 9 1913

Carissima sposa,

Non te la prendere con me, se questa mia carta ti arriva qualche giorno in ritardo; lasciai incommendato Salvatore di scriverti il più presto, ed egli si dimenticò, e oggi avendogli domandato la carta per impostarla, disse che ancora non l’aveva pronta. Ora, chiedendovi discolpa, per il mio un pò troppo trasandamento o ritardo, ti dò le mie notizie, che corrono ottime con tutti I parenti, e conoscinti.

Non è molto avrà ricevuto per mezzo di Giuseppina le mie novità, per cui questo mio prolungamento non sarà stato causa di nessun aggravio, o mal pensamento. Ogni volta che ricevo vostre lettere sento I ripetuti lamenti circa la mia venuta in Italia, ed anzi mi dite che Umberto ha volontà di andare in America, con suo zio per guadagnarsi, o per farsi una posizione per l’avvenire. Come sempre vi ho specificato non sarebbe difficile la mia venuta in Italia se diverse cause (e sono le più necessarie) non mi obbligassero a continuare il mio ufficio. Prima di tutto sono molto necessario allo zio, rilevando dalla mia persona quasi tutto il suo commercio; ed in secondo luogo come posso risquotere qui pò di denari che ho nelle mani altrui? Per dire vengo, è un fiat, ma quanto pregiudizio io non ho, abbandonando un impiego che mi dà un buon risultato per venire a lavorare la terra che ancora mi ricordo il sudore che bisogna spargere per farlo fruttare. Voi state pensando che l’America sia una mina d’oro; non è così invece, dappertutto c’è il suo benessere e il suo malessere, e non è tante volte come si pensa. Ed in proposito dirai ad Umberto che per mio consiglio non avventuri la sua vita per il mondo, perchè l’età e l’inesperienza non lo possono guidare; procuri di aiutare I nonni, e ricompensarli per il trattamento che ha ricevuto, e quando conoscerò il momento opportuno, o verrà con me, o seconderà gli avvisi di suo padre. Intanto continuando ad aiutarvi, non mancherò di dargli quei buoni avvisi che sono l’obbligazione nostra.

Quando avrò riscosso un pò di denaro, procurerò di mandartene un pò pei bisogni di famiglia. Gli affari seguono regolari, ma sono interrotti dalla politica, che è l’ultima rovina di questa terra, si vende sproporzionatamente, e la crisi finanziaria è ad un punto eccezzionale. Fatta l’elezione presidenziale, speriamo migliori. Incomincia a far un caldo eccessivo, e siamo sul principio della primavera, dove andrà a finire non lo so!

E le nostre campagne hanno dato buoni prodotti? L’uva, le castagne, promettono bene? Saluterai il nonno e la nonna ripetendo loro le vecchie antifone, cioè che serbino il lavoro ai giovani, le cognate, I cognati, con I rispettivi figli, e tu con Umberto abbiti infiniti baci dal tuo aff.mo padre e sposo

P.S. Mi farai dovere di porgere I miei saluti e di mio padre a Giuseppina e famiglia informandola pure di nostre ottime nuove. Altrettante a te , a tuo padre, madre, Umberto da

Salvatore

Annarita Rossi: Sempre la stessa persona scrive direttamente al figlio.

Avarè 12.11.1913

Carissimo Figlio,

Recandoti mie ottime nuove, mi faccio dovere di augurarti, con mamma e nonni, la più perfetta salute, nonché un buon comportamento, il più necessario per rendere buoni figli. Mi ripeti le tue nuove insistenze circa lo avventurarti a andare in America ed io non posso, sviarti dalla volontà, ma solo ti dico che sperimentando questa vita potrai forse darmi se non tutto il torto, un pochino di ragione.

Le Americhe non sono più in potere di migliorare le condizioni individuali, e essendo molto speculate, per cui, molti e specie nei vostri paesi, fanno una immaginazione diversa a quella che veramente è. Bene, prescindendo da questo, sempre il mio consiglio deve esserti presente dimodoché se un giorno ti troverai in uno stato critico lungi dalla tua famiglia, allora ti ricorderai che tuo padre ti diede un buon consiglio in occasione opportuna. Continua a lavorare coi nonni e colla nonna, e fra tu ed io procureremo di fare il possibile per aiutare la nostra famiglia. Rispondi presto, che al ricevere la tua carta, ti manderò a te un ricordo perché tu ti diverta. Stai allegro, mangi e bevi e quando avrai trovato la morosa mi farai avvisato che voglio assistere al tuo matrimonio! Saluta I nonni, ed aiutali in tutto, la mamma I parenti, pregandoli a rispettare tutti

Saluti ed abbracci dal tuo aff.o padre

Giuseppe Luti

Annarita Rossi: Poi ho messo anche quest’altra lettere perché, nel 1930, quindi molti anni dopo, ancora la famiglia è nella stessa condizione, la moglie, lui, non l’ha ancora rivista. Sempre dal Brasile.

Avarè 28 Febbraio 1930 VIII

Carissima sposa

Desiderandoti sempre la più bella salute, vengo a darti mie notizie e degli zii, le quali presentemente sono confortevoli, scusandomi del breve ritardo interposto nel risponderti. Salavatore poco tempo fa scrisse a Giuseppina e approfittai l’occasione per inviarti I nostri saluti, I quali per suo mezzo l’avrai ricevuti perchè sò che è a lei pure che ti rivolgi per far le tue corrispondenze. Sarebbe mio piacere inviarti un mondo di belle notizie, però ad eccezzione della salute che Iddio ce la conserva provvidenzialmente, tutto corre a rovescio, essendo completamente paralizzata la situazione del commercio e di tutte le altre attività del paese. É stato un cataclisma inaspettato quello che si è scatenato in questo Paese, derivante dalla bassa repentina e precipitosa del caffè, oggi a prezzo vilissimo e che ha scosso l’edificio economico e finanziario del Brasile. Alla distanza di pochi mesi, abbiamo visto fortune liquidarsi come per incanto, persone credute ricchissime in terreni e capitali ridotte alla miseria, insomma si è creata per tutti una situazione afflittiva, regnando dappertutto a sfiducia e il disanimo. Per descrivere la vera portata della situazione bisognerebbe avere un’idea del danno che la bassa del caffè, che attinta al massimo l’agricoltura, fonte principale di ricchezza di questo paese, ha poi scosso il commercio, l’industrie, le arti in generale, lasciando tutte le classi del popolo in una situazione angustiosa. La disoccupazione e la miseria regnano sovranamente senza che il governo abbia manifestato il più piccolo interessamento in beneficio del popolo, anzi il 1° Marzo ci saranno le lezioni del Presidente della Repubblica, e non si sa cosa potrà succedere essendovi due partiti in lotta, e non è fuori dubbio anche dovuto alla grave situazione del ben qualche movimento sovversivo. Felici voi che almeno godete la pace dello spirito nè questi balsamici monti, retti da un Governo forte e sapiente e che ci ha elevato in faccia aò mondo! Chi vive all’estero, sa quanto sia grande e come viva nel cuore il nome caro di nostra Italia, che è fra tutte le nazioni del mondo la più bella e la più ricca di glorie. É bene che lo sappiate Voi che avete felicità di essere il gentile popolo di questa patria gentile. Mio zio mi chiede sempre che ti domandi se Tonino, suo fratello è ancora vivo e dove risiedono attualmente I suoi figli. Come mi ha trattato quest’anno l’inverno? É caduta molta neve? Umberto scrive spesso? Gli scrissi per le feste, e finora non mi ha risposto. Saluterai Zita, bacerai per me Giulietta, e le consegnerai questa letterina quì inclusa. Saluterai poi tutte le tue sorelle colle loro famiglie, I parenti, I conoscienti, Giuseppina, Tono, I loro figli anche a nome di Salvatore e sua famiglia, augurando a tutti salute e felicità. Tu Maria, procurerai di trattarti bene, e di non affaticarti molto perchè credo che la nostra gioventù già abbia segnato il suo tramonto, però animiamoci sempre di coraggio e di speranza. Io come sempre ti aiuterò per accudire a tutte le tue necessità, dunque non hai bisogno di lambiccarti il cervello. Ti auguro buona salute desiderando che tu mi mandi tutte le novità dei paesi. Di cuore tuo sposo Luti Giuseppe

Saluti a Gigi della Casetta, Angelo, Maria e le famiglie rispettive Mille ringraziamenti per gli auguri inviatemi per le feste. Andiamo ora incontro alla Pasqua, e Dio voglia che tutti la possiamo passare in salute e nella più bella allegria. Dopo domani è carnevale, qui è tutto morto. Potessi venire a Fosciandora a tirare la forma!…

Annarita Rossi: Vi leggo adesso una delle lettere più belle.

Rio 20 – 12 –27

Riachuelo 71

Carissimo Viti. Ingiustamente mi accusi d’ingratitudine e di indifferenza. Hai voluto invertire i fattori. Sono io sempre grato a te. Non credere ch’io abbia dimenticato i tuoi favori che sono stati parecchi. Cosa ho fatto io per te? Nulla! Ma Santo Dio! Tu pretendi avere da me delle lunghissime lettere dettagliate... e come faccio a scriverle? quale argomento potrei trovare per empire dei fogli di parole?… Non saprei! qui non si sa scrivere, ne’si puo’ scrivere! Le mie misere lotte dello spirito, del desiderio: il cruccio feroce del mai arrivato confine di ogni piu’ piccolo conseguimento; la cruda e perversa persecuzione del destino, ho tutto trasportato al di la’dell’Oceano! Nulla e` mutato? Tutto l’emisfero risponda ad una sola parola d’ordine: sempre la stessa condanna. Si chiami il paese: Roma, Milano, Buenos Aires, Rio etc.. Lavorare per il pane quotidiano. Se fossi solo… vedrei l’orizzonte tutto in mio favore. Avrei dovuto decidermi ad un’azione simile almeno con venti anni non consumati e sfruttati nel nostro Paese inutilmente. Sono circa cinque mesi che lavoro, ed ho spedito a casa quasi novemila lire. Tutto quello che si puo’ ricavare al principio di un tentativo. Ho da provvedere sette pani quotidiani che aspettano me! Altro che consacrato al pescecanismo. Penso che il mio sacrifizio non conta nulla. Grandi risorse non ne vedo, i colpi di fortuna erano di altri tempi. Quindi cosa posso sperare?… Vivere e far vivere quelle povere creature lontane da me. Ritornare?… per ricominciare un’altra via crucis… E’ cosi’ dolorosa la mia condizione da non valere la pena di parlarne. La forzata e necessaria rassegnazione ne viene dal fascino di questa città incantevole che inebria e fa dimenticare. Mi chiedi notizie della mia arte: quale?.. vorrei, sentendomi preso sempre piu’ dal fanatismo della creazione lavorare per me.. per l’arte! Ma! Mi manca la serenita’; avvinta e naufragata dalla necessita’ del dovere di creare.. denaro. Denaro con qualunque mezzo.. o fine! Altro elemento che abrutisce e’1a distanza.. Ed allora? Tirem in nanzi verra’ da te, prossimamente, un mio amico. L’ho voluto raccomandarlo a te perche’ tu lo lanci nel mondo del silenzio. Ciccio Matarazzo vive a S. Paolo. Egli sta mettendo su il "trust" dei cinematografi. Se tu potessi raggiungermi sarebbe facile piazzarti. Scenderesti a Santos e di la a S. Paolo con una mia lettera di presentazione, e qualche altra che tu potresti procurarti a Roma e conoscere il grande Matarazzo. Io penso pure di far venire la mia famiglia qui ma dal pensare, alla pratica c’è di mezzo il mare.. dovrei fare un debito… e poi? Percio’ non so proprio cosa sara’ di me. Tutti mi incoraggiano a perseverare, ed insistere. Ma non ha piu’ nè trenta nè quaranta anni...ed ho paura che da un momento a l’altro, io dovrò soccombere.. speranze …e sempre speranze! Non ero destinato ad essere un privilegiato. Cio’che mi dà la forza di resistere e’ la soddisfazione di qualche momentaneo godimento di essere riconosciuto.. e che la mia assoluta e personale prepotenza artistica affascina ancora. Cio’ mi serve come iniezione.. ad insistere nella vita. Hai voluto la letterona! Eccotela. Essa ha afflitto me e te contemporaneamente. Un’altro elemento che mi conforta e’ che sono sempre possessore del biglietto d’imbarco pel ritorno. Da un momento all’altro potresti vedermi alla porta. Iperboliche considerazioni! Ci siamo incontrati nello stesso cammino, con gli stessi bagagli colmi di merce resa deprezzata dall’inerzia progettata dall’umanita’, e condannati dallo stesso destino a mangiare, null’altro, che quel pane mani fatturato da speranze e da lagrime. E’ sola la carne che deve vivere in noi, perche’ la società, ce lo permette. Il nostro spirito, imprigionato dalla paura dei nostri simila, lancera’ altre scintille di fuoco che dovrebbero distruggere incenerire! Siamo perciò’ dei soggetti pericolosi… e condannati all’ostracismo.

Cosa debbo dirti di più ? In questo momento ho vissuto con te…divagando…e giungendo con la memoria al ricordo di quelle belle ore che passavamo in sieme nel tuo nido ospitale e gentile: là … in quell’angolo delizioso del tuo terrazzo colmo di profumi! Come passa il tempo… le cose. Tutto si persegue senza rassomigliarsi mai. Ritroveremo più quei momenti, tanto necessari a d entrambi?… mai! Com’è terribile la vita… e spaventevoli le abitudini! Ora basta… diversamente non la finirei più!..

Salutami tanto donna Paola, a te sempre con lo stesso affetto come allora, abbiti un forte e lungo abbraccio

tuo Giannettaccio

quale furto hai subito?

Annarita Rossi: Si sente in tutte le lettere la nostalgia e le lontananza dagli affetti. La delusione era molta, anche chi faceva fortuna aveva dovuto lavorare tantissimo. Un’altra lettera molto bella:

Limon, Costarica 25 agosto 1927

In questi giorni, in questi due mesi ti ho scritto forse volte senza spedirti mai una delle mie lettere. Pigrizia e insoddisfazione. Un poco anche la coscienza di non avere niente da scriverti che veramente valesse la pena. Di quanto io mi ostino a pensare e a credere che valga la pena. Impiegato ora in una compagnia americana dove no sto imparando nient’altro che l'odio per questo popolo che prima ammiravo. Popolo che si crede il dominatore del mondo, che forse lo è e che da questo trae la conseguenza di una superiorità assoluta sugli altri popoli e un disprezzo inflessibile per tutto ciò che non è americano. Stipendio, ore di ufficio, nessuna prospettiva avvenire. Grigiore infinito di vita in porto tropicale, abbastanza sudicio, difficoltà propositi nuovi, alcune nuove esperienze e rimpianto. Rimpianto di quello che non ho avuto.

Niente di brillante. Però la vita raccolta, riposata, silenziosa che conduco da due mesi mi sta facendo risorgere nell’animo nuove energie e nuovi progetti. Sono sicuro: preferisco non essere mai niente che essere troppo. Preferisco soffrire per tutta la vita quello che ho sofferto in questi ultimi anni che rassegnarmi. Sono troppo giovane per questo.

Riprenderò la lotta appena abbia forza sufficiente. Stamani, in ora in cui non avevo niente da fare, mi esercitavo a scrivere in ispagnolo un articolo per supposto giornale più che altro con lo scopo di esercitarmi a scrivere la lingua. Ad un certo momento arrivai a scrivere di Firenze. Per la seconda volta nella mia vita un nostalgia che mi si velava di pianto si è impadronita di me. Rivedevo Firenze dal Viale dei Colli in una di quelle giornate opaline di primavera o di ottobre che ti rivedrai fra qualche mese soltanto e che io forse non rivedrò più. Come ero triste…

Rimpingevo tante, tante cose. Rimpiangevo te che forse nemmeno rivedrò più benché tu sia entrata nella mia vita come nessuna altra persona ha mai entrato né mai entrerà più. Il momento in cui ti vidi per l’ultima volta di passaggio da Roma a Viareggio, in cui non immaginai che sarei forse più tornato. E ti amavo. Terribilmente, come sempre, come ora. Non so se ora per te o per le cose perdute che tu mi ricordi, non so se per tutte e due le cose insieme, se per la rabbia di questi giorni, tristi, solitarii senza nessuna persona di cui possa interessarmi. Non sono vinto, ma stanco. Mi manca forse lo stimolo ad andare, a pensare in domani. Ma non posso, non posso rimanere qui. In questo porto del tropico, caldissimo, asfissiante, monotono, triste dove a volte mi prende una disperazione terribile che va fino allo schifo del mio corpo pieno di sudore, sudore, sudore.

E qualche volta ti sogno… E ridicolo, questo, non è vero? Ora dopo tanto tempo, tornare adirti questecose, a te che non vi hai creduto che mi hai mai preso sul serio. Io non sapevo allora vestire di sincerità la mia sincerità Ero goffo, ero ridicolo. Immaginavo che la mia sincerità fosse troppo spoglia, troppo modesta per dirla, mostrarla esattamente come era, che bisognava trovare sempre alcuna bella frase per espressarla, alcuna allegoria in cui racchiuderla, alcun grande pensiero per nascondercela.

Mi pareva che nessun uomo che non fosse stato poeta avrebbe mai avuto il diritto di pretendere all’amor di una donna. Di una come te. Bene, pero al dilà di tutte queste stupiderie insincere e senza senso, c’era un fondo di verità che dopo tanti tempo era e d è ancora vivo allo scriverti le mie lettere e per questo ti chiesi una fotografia che ti mostrasse quale sei per farmi delle illusioni, illusioni che non potevano molestrati a tanta distanza e sentirmi con esse più forte.

Stanotte sognavo di te e piangevo. No è la prima volta. Eppure io non sono più ragazzo le lotte e le difficoltà fanno un uomo vecchio io sono un vecchio già. E non penso più in cose sublimi e straordinarie. La mia mente  non è più piena di vecchi sogni. No, c’è qualcosa di nuovo nella mia vita ora, qualcosa nelle mie idee che allora io non avevo, che non sospettavo. Una energia che prima non sospettavo, una forza che prima non avevo. Se solo, solo potessi riaccendere I miei vecchi sogni, se da essi potessi derivare l’impulso che necessito, se mi si potesse comunicare l’entusiasmo che da la persistenza o la testardaggine, io che certamente vincerò in qualunque modo vincerei prima.

Vincere, riposare, rivedere le cose lontane, abbandonate, mie. Allora tu non sari più la. La vita è una perdita continua, una perdita esasperante, una perdita che non ammette sostituzioni. Ed io mi ribello inutilmente. Molta acqua è fra noi. Molti giorni ciseparano. Le vecchie illusioni sono morte, le ultime speranze disfatte della distanza. Ma non mi rassegno. Mi sento stanco, mi sento triste ma non vinto. La povertà di domani non mi spaventa perché troppo soffro la povertà di oggi. E devo vincere. Ah Maria è necessaria molta forza, molta pazienza per passare attraverso questa terribile prova.

Quando mi scriverai scrivimi più a lungo. Raccontami più cose. Tu sei la ultima voce che miviene di costà. Tutti I miei vecchi amici a poco a poco hanno cessato di scrivermi e mi hanno dimenticato. Mio padre quasi non scrive e quando scrive non fa altro che aumentare la mia tristezza. Io necessito qualcosa che mi ricordi, che mi faccia rivivere dinanzi quello che non è più mio. Perché di mio ora non ho niente, qui. Tutto è qui come provvisorio, come in un sogno, come in un racconto.

Saluti

Osvaldo

Julio Monteiro Martins: Mi è piaciuto quando scrive di non essere vinto ma stanco, e quando ribadisce per tre volte la parola sudore, mi ha ricordato il colonnello Kurtz del libro Cuore di Tenebra di Conrad, che dice “L’orrore, l’orrore, l’orrore…” proprio da un paese tropicale. Quello che mi ha colpito di queste lettere è il mancato risentimento contro la patria, l’Italia, che li ha lasciati in condizioni tali, da dover emigrare.

Annarita Rossi: Il ricordo della patria diventa ancora più dolce quando si è via, per cui anche il governo è un governo forte e sapiente, e l’Italia è una patria gentile. L’unificazione dell’Italia era avvenuta, in realtà, da poco, per cui forse dicendo Italia ognuno si riferiva al suo piccolo paese, o la sua regione. A volte l’unico rimprovero è il fatto che da casa scrivano poco, per cui si spezzava l’unico filo che li legava alla famiglia d’origine.

Sono 26.000.000. gli italiani che sono migrati. Tanti sono anche rimpatriati perché impazziti.

Dovete sapere che nel 1901, con la legge Trenetti, il viaggio in Brasile era gratis perché si doveva sostituire la manodopera schiava nelle piantagioni di caffè: Ma nessuno dei due popoli conosce l’altro o la lingua dell’altro. I brasiliani poi trattavano gli europei e gli italiani come schiavi, per cui ci furono scioperi e sommosse. Gli italiani che arrivavano in Brasile contraevano subito un debito che ci voleva tutta una vita per estinguerlo. Sì, le storie non erano tutte a lieto fine. Era difficile anche essere accettato, lo si comincia a fare quando arrivano anche le mogli. Tramite le relazioni interpersonali tra donne e bambini si comincia a creare una famiglia.

Julio Monteiro Martins: Gli italiani non si sposavano mai con le donne indigene locali?

Annarita Rossi: Questo accade solo più tardi. C’è diffidenza reciproca all’inizio e così si cerca di sposarsi tra membri della stessa cultura.

Julio Monteiro Martins: Volevo solo aggiungere che la comunità italiana in Brasile, nonostante tutto quello che ha sofferto, come abbiamo visto, è stata una comunità di grande successo. Noi abbiamo avuto un presidente della repubblica Ranieri Masilli, anche un dittatore militare di origine italiana Médici, nello sport Fittipaldi e Senna, in due generazioni sono arrivati all’apice della società.

Da queste lettere si può capire molto dell’Italia stessa, questo legame forte con la famiglia, gli studiosi dicono che la famiglia è il perno dell’identità della cultura italiana. Vorrei che tu leggessi ancora una lettera.

Annarita Rossi: Ne ho ancora due, leggo quella che viene dall’Africa, magari solo un pezzettino. Questa lettera viene dalla Tunisia e l’interessante è che noi emigravamo nei posti da dove arrivano gli immigrati oggi.

Kalaat Es Senam 28/7/48

Cara mamma.

Profitto di essere sceso a Kalaat Es Senam, senza lo zio, per scrivervi, perchè non mi lascia un momento e poi chiede sempre di far leggere che spedisco. Egli è a letto da 8 giorni ammalato a causa della vecchia bronchite e soprattutto dell’ernia che minaccia costantemente di strangolarsi e quindi la morte è sempre vicina. Vi racconterò dettagliatamente il mio soggiorno quando rientrerò in Francia, sto scrivendo giorno per giorno quello che faccio per dirtelo. In primo luogo vi dirò che è come prima e peggio di prima, come carattere, nevrastenico al 100% e sempre offensivo. Resisto col sorriso, ma la sera quando sono solo a letto piango, perchè è inconcepibile che un uomo sull’orlo della tomba, continui come per il passato come se avesse 20 anni. Si è ridotto pieno di sporcizia, era un anno, mi ha detto, che non prendeva un bagno, aveva la crosta su tutto il corpo e quando siamo saliti a Kalaat l’ho obbligato a lavarsi. Vi sono delle cose che fanno disgusto anche agli arabi. A Tunisi, nella famosa casa, le cimici, I topi ed il sudiciume circola. Avarissimo per non spendere due soldi non ha l’acqua in casa. Il guardiano porta 2 gargoulette al giorno. Non c’è gabinetto ma un buco nell’impianto, bisogna cacare in un secchio, come in galera e poi vuotarlo nel buco. Dorme senza lenzuoli in un letto pieghevole tra due vecchi tendaggi rossi. Fa lui la cucina e vi lascio immaginare il gusto del mangiare. La porta di casa è sempre aperta e ci ha un pezzo di tubo di piombo che la chiude. Questo è niente, vi scriverò tutto al mio ritorno. Da quando sono venuto  non mi ha dato un soldo, meno male che mi ero portato qualche cosa io (ho venduto l’apparecchio cinematografico per partire) vi basta che una sera non c’era in casa nemmeno il pane. Mi ha detto allora prendi il pane vecchio dei cani, lo apri e prendi quello del mezzo. Mi sono arrabbiato e gli ho detto: ti ringrazio, a 40 anni posso ancora pagarmi il ristorante, e sono andato a mangiare fuori e cosi ho fatto gli altri giorni quando avevo fame, vera fame. Però debbo riconoscere che ha cambiato da un lato, quello affettivo verso di me, gli ho detto che sono dottore in legge, e che potevo mangiare senza I suoi soldi finchè avevo salute. Allora mi ha detto: ma io ti voglio bene Pasqualino e ti ho messo sul testamento (quindi  ha fatto testamento). Gli detto che ero venuto a trovarlo perchè avevo dell’affetto per lui, che non ho più padre (mi ero portato la fotografia del babbo e glielo fatta vedere allora si è messo a piangere e mi ha abbracciato molto affettuosamente) Cogliendo il momento psicologico gli ho parlato di Firenze, che potrebbe vendere e venire in Italia a riposarsi, a Firenze se vuol continuare a occuparsi di qualche cosa, può comperare un podere, delle pecore o delle vacche e passare il suo tempo. E quando morirai, gli ho detto, se ce ne rimangono ce li lascerai. L’idea gli è piaciuta. Mi ha detto che gli hanno offerto 4 milioni per la casa, allora io gli ho detto: te li faccio passare in Italia faranno 6 milioni di lire e con questa somma e un podere starai da signore. Questo glielò detto la sera prima di andare a letto così la notte ci ripensava sù. Difatti l’indomani, prima di partire per Kalaat, mi ha detto: Hai ragione l’anno prossimo se non vendiamo le miniere, vendo la proprietà e mi ritiro a Tunisi, poi studierò la questione della casa (vuol fare 6 appartamenti invece di 4) cosi la venderebbe piu cara.

Insomma resisto perchè debbo resistere fino in fondo, ma vi assicuro che non sarebbe possibile stare con lui. glielo avevo proposto m’a mi ha detto che l’anno prossimo vendendo la proprietà, con la sola casa di Tunisi, non ha bisogno di un almeno per il momento. Coraggio e fede io sto così e così a causa del vitto che lo fanno alla moda araba. Carmene è gentile con me e dice che sono suo “figlio” perchè Salvo è morto (e io lo sostituisco!). non dite niente a Francesco Grimaldi di quanto precede perchè lo scrive a Pietrangelo, Pietrangelo lo dice a Beppino Grimaldi e Beppino lo dice allo zio il quale come ho potuto constatare è al corrente della nostra vita in modo stupefacente; quindi acqua in bocca.

Vi scriverò quando scenderemo a Tunisi. Cercherò di restare fino alla fine agosto se resisto e se tutto va bene. che Mario gli scriva spesso. non altro per oggi. Baci a mamma cara, a Iolanda, a Maria Tonino ed I piccoli.

Vostro Nino

Resteremo a Kalaat fino al 10 agosto salvo imprevisti poi scenderemo a Tunisi.

Seconda parte:

Incontro con il giovane scrittore Danzio OPM

Julio Monteiro Martins: Per concludere questo seminario, sempre con l’intento di mettere in contatto scrittori migranti con scrittori italiani, abbiamo qui il giovane, anzi, giovanissimo scrittore Danzio OPM. La prima volta che ho letto un suo racconto, mi era stato inviato da un amico, Tiziano Fratus, per essere pubblicato nella rivista n° 3, racconto questo che aveva vinto un premio nel concorso Torino Massive. Avevo creato nella rivista una sessione con i racconti dei vincitori di questo premio, per dare più visibilità a questi giovani e ad altri, come avviene per concorso di poesia di Firenze, proprio per amplificarne la visibilità. Tra questi racconti quello di Danzio, mi aveva particolarmente impressionato perché in un modo molto realista e molto efficace visitava un mondo che io non conoscevo, e sono sicuro che anche il 99,9% degli italiani non conoscono, ovvero il sottobosco umano dei ragazzi che fanno graffiti. Basta guardarsi intorno per capire che deve essere un piccolo esercito quello dei graffittari. Ma chi sono queste persone e perché lo fanno, che linguaggio usano tra di loro, come convocano nuovi proseliti, che rischi corrono e come e perché abbandonano questa attività? E’ un rito di passaggio dall’adolescenza alla maturità ? Vogliono forse tracciare un territorio, come fanno i cani per strada. Tutto questo mi è stato chiarito da un racconto di Danzio OPM. Questa lettura mi ha ricordato il mio inizio, il mio secondo libro del 1976 che si intitola “Sabe quem dançou?” che in portoghese significa “Sai chi ha ballato?”, ma ballare era un gergo dei giovani per dire chi era stato denunciato e arrestato dalla polizia politica. Quel libro conteneva racconti che in parte erano di denuncia politica e in parte ritrattavano un mondo giovanile sconosciuto, che era il mondo dei surfisti di Rio de Janeiro, con il suo gergo e le sue peculiarità. Non sono mai stato un surfista bravo, però in quel periodo facevo parte anch’io di quel piccolo mondo, tanto da conoscerlo da di dentro e descriverlo nei miei racconti, un po’ come l’esperienza di Danzio. E’ importante che i giovani scrittori si pieghino sulla loro realtà e parlino di questa realtà dal di dentro. In seguito Danzio mi ha inviato un altro racconto, anche questo molto efficace, un racconto dal titolo “Nasty”, che è il soprannome della ragazza protagonista e che in inglese significa cattiva, dove racconta il mondo dei giovani impiegati stagionale delle poste, per raccogliere un po’ di soldi. Viene investita in motorino e in ospedale, ha la prima opportunità per fare una riflessione sulla sua vita e così il racconto prende una piega esistenziale. So che dopo questa fase si è dedicato anche alla poesia, ma comunque credo sia importante aprire uno spazio ai giovani autori, questo nostro universo ha bisogno di incorporare nuove realtà alla nostra. Gli lascio quindi la parola.

Danzio OPM: Vorrei partire dal primo contatto che ho avuto con Julio, via mail e vi leggo il testo direttamente «Il mio concetto di “letteratura migrante” è più ampio ed esteso del concetto convenzionale, e credo che uno scrittore possa migrare anche dentro la propria società, come ha fatto Pisolini nelle borgate romane, nel tuo caso riguardo a quel mondo dei graffiti è molto simile, vorrei che tu parlassi anche di questo aspetto. Della migranza interna, e parlassi di come hai fatto a penetrare e conoscere quel mondo e che leggessi un brano del tuo racconto sul tema. Ciao Julio».

Anche se mi chiamo Danzio che è un nome un particolarmente strano, sono totalmente italiano, non ho origini straniere, per cui non posso essere considerato uno scrittore migrante. Però, diciamo, che se non sono io migrante, alcuni soggetti che ho osservato sono migrati all’interno della propria nazione. Per questo ho dato il titolo al mio intervento “Straniero nella mia nazione”. Questo perché molti di questi ragazzi che fanno i graffiti, ovvero nella loro terminologia gergale, fanno writing, e si chiamano writers, sono comunque inseriti nel contesto nazionale, ma per il modo in cui vivono, per i valori che hanno, è come se fossero in una nazione a parte.

Il racconto a cui faceva riferimento Julio nella mail si intitola “Amanti del crimine” scritto nel 2000 e arriva da un acronimo, ADC che era un gruppo, una crew, di amici che dipingeva quando avevano sedici anni. Descrive semplicemente una serata in cui alcuni ragazzi escono e vanno a dipingere un treno in una stazione. Descrive quello che succede dietro le quinte. Di solito quello che noi per strada di giorno non vediamo, vediamo solo i danni. A noi restano solo i segni colorati a testimoniare il loro passaggio. Oggi poi i treni vengono rivestiti da certe pellicole che ne facilitano la pulizia ai ferrovieri. Quando andavo all’università in treno, passavo il tempo a guardare fuori dal finestrino, per vedere quello che succedeva, spesso mi capitava di sentire dei vecchietti che condannavano in dialetto piemontese questi disegni. Capisco che non sia una bellissima cosa dipingere i treni, e lì, mi cominciai a chiedere, però la gente non va oltre l’apparenza del dubbio. Non può essere solo vandalismo.

Come vi dicevo questi graffitari in gergo si chiamano writers, perché quello che fanno sostanzialmente è scrivere. Alcuni sviluppano dei soggetti, dei caratteri con vari stili, ma la maggior parte scrive il proprio nome, la propria firma, quella che viene chiamata tag, l’equivalente di un nickname. La maggior parte scrive il proprio nome, evolve le lettere. Questa particolare parte del writing è il Lettering: evoluzione delle lettere appunto. A loro non interessa niente dare messaggi o altro. Lo fanno per divertimento, per adrenalina, per rischiare, per mettersi alla prova o come il surfista che vuole prendere l’onda perfetta, è un po’ quello il gioco, non ci sono troppi aspetti sociali vincolanti dietro. La cosa interessante alla fine è proprio l’aspetto illegale che ha il tutto. C’è proprio qualcosa che li fa vivere per l’illegalità, altrimenti se avessero da dipingere dei muri legalmente, la cosa scemerebbe subito. Anche loro considerano writers altra gente che fa cose illegali. Nella loro ottica una cosa come la ferrovia italiana, tedesca o francese, è semplicemente una galleria ambulante, una cosa che permette di prendere un treno, appiccicarci la propria cosa e fargli attraversare l’Italia e diventare famosi per quello. Stando spesso con questi ragazzi i discorsi diventano un po’ monotoni, questi parlano solo di quello e per loro il gergo è molto importante ed io nei miei racconti ho cercato di rispecchiarlo quanto più possibile. Il codice del loro parlato ritengo sia un elemento molto importante nella descrizione di un fenomeno. Vi faccio un esempio “Prendi solo fat. Stanotte in yard facciamo tutti whole car!” Per uno che non sa nulla, una frase del genere, per quanto sia ancora italiano, non dice nulla.Parla un altro codice. E’ un linguaggio straniero nella propria nazione. Tradotta viene: “Prendi solo tappini che fanno il tratto grosso, largo. Questa sera nel deposito dei treni dipingiamo tutte carrozze intere.” E implicito nel discorso rimane la frase: “Abbiamo un bel po’ da fare dobbiamo andare veloci.”.

Così ho scritto un altro racconto che si intitola “Writers”, che Julio ha pubblicato , ed inizia così:

Siamo sulla scena di una conferenza stampa a l Palazzo di Giustizia di Torino, un giovane graffitaro

Incriminato , e colto in fragrante, fa la sua “arringa ideale” di difesa morale: e in questo discorso introduce chi lo sta ascoltando ai segreti del suo mondo proprio passando attraverso la chiarificazione del codice, del suo linguaggio.

“…Il mio nome tecnico è “writer”. Dipingo con delle bombolette, termine tecnico “Spray. Vedete, per quanto vi possa sembrare strano, quello che io faccio abitualmente la considero un’arte. Se ci pensate, il dipingere illegalmente, per le strade, termine tecnico “writing”, è la più pura delle forme d’arte che si possono riscontrare oggi, (…) perché si tira fuori dal commercio. Non mi dicano cazzate quelli delle gallerie d’arte. Le gallerie del mercato dell’arte. Della gente che passa là dentro, ce n’è un casino che vende e da vendere, ma che verranno ricordati o che resisteranno ne rimarranno pochi.

Io scrivo il mio nome, non faccio altro, Scrivo solo il mio nome, la mia firma, Ah, termine tecnico “tag”. Io voglio diventare conosciuto per quella tag. Posso solo perderci, come vedete. Non ci guadagno nulla. Non voglio essere considerato artista da nessuno. Però non mi piego al volere di nessuno. (…)

Quando sono buono e faccio il bravo bambino vado alle feste e dipingo su dei pannelli. Mi chiamano “giovane artista”. Insomma faccio murate legali. Sono buono se mi danno degli spazi dove dipingere. Se un privato mi paga, gli faccio un lavoro, o se mi danno un bel permesso con tanto di manleva per dipingere un muro in città che rimane in vista. Se magari mi donano pure gli spray è meglio. Sennò mi arrangio. Questa in fondo è la mia filosofia. Sono abituato e conosco come vanno le cose. Così se dipingo legale e non mi danno niente, mi rimborso da solo. E finisce che mi porto a casa più spray di quanti non ne abbia usati. Mi riempio lo zaino e via.

(…) quando invece non ho spazi, se non mi danno sfogo, divento cattivo. Faccio i capricci e mi metto a fare i dispetti. Così la notte, quando dormite, esco e vengo sotto al portone vostro e vi faccio la mia firma sul muro, sulla saracinesca. Termine tecnico “tag”. Che non è una robetta tipo quella che mettete sui vostri libretti di assegni. La faccio con gli spray, ed è lunga tanto quelle che vedete là in fondo, fuori, Uso un tappino particolare pure, termine tecnico “fat”, che mi permette di fare una roba più veloce e grossa. I tappini sono di misure diverse, hanno un tratto più o meno largo, dipende da cosa si vuol fare. Così faccio la mia firma.

Danzio OPM: Trovo che le espressioni del gergo di un determinato ambiente siano alla base di una corretta descrizione, comprensione di un mondo estraneo. Per comprendere un popolo bisogna decifrare il suo idioma, la sua lingua. Capire che cosa dicono i suoi membri, per capire cosa e come pensano, per comunicare. E’ essenziale. Ora non vorrei allargarmi nel dire che i writers, questi pittori vandali siano un popolo. I writers possono rappresentare una nicchia, un gruppo sociale, anzi meglio un’etnia. Io che li osservo di conseguenza divento straniero un ambasciatore all’estero. I writers possono rappresentare un’etnia. Userò questo termine con un’accezione aperta, elastica, che non si limita a contesti rurali e tradizionali (da cui i soliti riferimenti all’Africa o al tribale).

In alcuni studi di antropologia urbana, dell’antropologia che studia l’uomo nei contesti moderni cittadini, urbani appunto, è stata messa in luce una nuova concezione di eticità, che non vede più solo il rurale, il tribale, il primitivo come etnico.

Sei arrivato comunque ad avere un nuovo concetto di eticità, come  un qualcosa che sia distintivo per delle persone perché appunto raggruppa dei comportamenti dei gesti abituali dei gesti quotidiani e un background comune nel  tutto. Leggo:

Ore 00:45 - Sono in macchina con  A.,D.,C. Non si sente più la musica. La coprono sbattendo le bombolette per rendere fluida la vernice prima di entrare in yard. Dentro non potrebbero farlo, troppo rumore.  (Danzio: Se voi andate in Svezia, Germania, Calabria, Piemonte, nessuno di questi ragazzi sbatterà mai le bombolette a meno di 4 km da questo posto. O comunque li nei paraggi, tutti fanno la stessa cosa, è assurdo però quello è un  gesto, crea una cultura di un popolo, di un’etnia, vedete questi ragazzi che si fermano e sbattono i colori prima perché così è una cosa abbastanza rumorosa, dovete immaginare adesso continuerò a leggere, anzi non vi dico niente perché sennò vi rovino la lettura. )

Ma siamo quasi arrivati. I rumori delle biglie di ferro che rimbalzano negli spray continua. Sclero. Qualcuno piglia lo zainetto con i suoi colori e li scuote tutti assieme lasciandoli dentro. Ancora qualche minuto di casino e poi silenzio.

Ore 01:10 - Parcheggiamo dietro un caseggiato. Scendiamo dalla macchina in fretta e torniamo lungo la strada. Loro coi colori uno nello zaino, uno in scatola, l’altro nel sacchetto, cercano di non agitarli.

A casa li guardavo tutti e tre in ginocchio con gli spray sparsi sul pavimento, discutere sulla colorazione che avrebbero fatto. Poi avevano segnato con un pennarello il colore sulle bombolette. “Perché lo scrivete? C’è pure un cerchio colorato intorno al tappino…’’

“Sì ma, sennò dentro non li distinguiamo, c’è troppo bujo’’

 “Ah…’’ (Danzio: - io ancora che non avevo imparato le strutture del tutto)

Ora non c’è più quella tranquillità. Loro camminano veloci, decisi. Avverto tutto come agitazione. Continuo a voltarmi in ansia, rimango leggermente indietro, li chiamo.

“Shhh! Non fare casino. Siamo davanti all’entrata e devi fare cisti. Se ci fermassero qua, davanti con colori bozze non sarebbe proprio bello. Parla piano e segui A.’’ Mi sussurra D., tenendosi al mio gomito. Dietro una curva arrivano le luci di una macchina. “Stai giù!’’

Ci chiniamo tutti fra le auto parcheggiate e una siepe. L’auto passa, ci alziamo, mi volto e vedo A. che la segue ancora, si gira tranquillo e mi dice: “Ora entriamo. Seguimi e stai giù se vedi arrivare delle macchine, Okay?!’’

“Bin!’’

Scavalchiamo la staccionata di cemento delle Effesse e siamo sulla linea. Sussurrano e sono tutti seri, attenti a guardarsi intorno. Io non so dove fissare la mia attenzione e cerco di vedere dove metto i piedi nel buio più totale. Seguiamo i binari più vicini alla recinzione per una cinquantina  di metri.

Camminiamo in fila, con il ronzio dei lampioni che mi riempie le orecchie. Sono tutti davanti a me: A., D. e C. A. precede tutti e fa segno di venire, C. si gira, mi guarda e sorride e mi dice: “Stai calmo. E’ tranquillissimo. Non fare cazzate e per ogni cosa dillo a noi. Basta che stai sempre al buio, è come giocare a guardie e ladri’’ (Danzio: Questa era una delle prime volte che andavo e lì mi hanno svelato la cosa, che per loro è come giocare a guardie e ladri.)

Ci spostiamo al centro della linea. Andiamo avanti tra i binari seguendo dei piastrelloni di cemento. Quelli dove di solito, passando in treno, vedo camminare i ferrovieri che lavorano alla linea. A parte le luci è tutto in silenzio.

Danzio OPM: Appunto vi parlavo del modo di vivere che hanno questi ragazzi. Per loro, per un ‘’writer’’, per la maggior parte, non vorrei raggiungere delle cose troppo universali, perché sarebbero scorrette, anche se ho avuto un bel po’ di contatti, ma non  li ho avuti con tutti, e comunque il movimento è molto variegato, per un writer che dipinge illegalmente, lui vive solitamente non tanto per i muri, perché quelli li fanno quando magari escono la sera e tornano con gli amici, ma vivono per fare i treni. Come io vivo per scrivere, nel senso che sono felice quando lo faccio, mi sento soddisfatto, quelli vivono proprio per andare a colpire i treni, poi scherzano e si vedono cose scritte come…come si chiama quel treno nuovo, il TAF? Sì, treni ad altra frequentazione, TAF war scritti sui TAF, però quelli sono messaggi tra di loro, sono scherzi alla fine cose su cui si gioca. Il problema è come mai i treni e perché i treni, forse proprio perché comunque comportano un gioco e forse comportano un po’ di rischio, ma soprattutto perché… il treno domani va a Roma? Allora, è come se io ci mandassi una parte di me, una cartolina, solo che al posto di appiccicare il francobollo ci attacco il mio disegno e l’FS spedisce tutto gratuitamente. Ora le cose sono cambiate, nel senso che siccome questi ragazzi vanno e sanno di dipingere sulle pellicole magari il treno gira due giorni o magari non esce neanche, però, vi garantisco che questi sono in comunicazione fra loro, magari colpiscono gli stessi giorni perché dicono cose molto particolari, che mi stanno sempre più sorprendendo. Ad esempio, di un certo treno sanno che ce ne sono quattro in Toscana, loro sanno che di un treno ce ne sono 4 esemplari in Toscana, il che mi sorprende molto. Dicono: “quella sera noi andiamo lì, a Viareggio, altri a Pistoia e li dipingiamo tutti così non possono non farli uscire perché non ne hanno altri.”  Fanno dei ragionamenti abbastanza… andrebbero bene al comando di alcuni drappelli….meno male che fanno quello e non fanno la guerra. Il problema è perché fanno vandalismo. Per adrenalina, sfida, come diceva Julio, anche secondo me è per segnare il territorio come fossero cani. Perché alla fine questa è la mia zona, qua ho fatto qualcosa  io, non me la fare vicina, a parte situazioni limite come a Milano dove tra un po’ si vedrà gente affacciata al proprio balcone a scrivere perché la città è totalmente piena. Però non quella cosa della ribellione sociale, ribellione contro il grigiore cittadino, proprio quella è una cosa che non so quale sociologo, quale psicologo abbia avuto quest’interpretazione perché si vede che non fa assolutamente  parte…., non ha parlato neanche con uno di questi ragazzi, perché almeno uno poteva riportare l’esperienza di quello e ci sarebbe stato di certo la ribellione… piuttosto uno vuol fare vedere le sue cose, una cosa più semplice, è come il desiderio di aver letto un proprio racconto. Uno lo fa e dice lo piazzo qua, gratis, così vedo la reazione della gente, m’interessa vedere come reagisce la gente al mattino quando si vede quello. Stamattina, prima di venire qua, sono andato con un amico e dovevamo fare le foto al treno qua in stazione e mi parlava e mi raccontava “Ma che bello al mattino quando c’è tutta questa gente vedo da lontano arrivare il treno tutto pulito e pam, c’è la mia bella patacca’’, mi diceva, “mi garba proprio, mi garba!’’. E come mai ho iniziato a scrivere queste storie, comunque adesso sto continuando e sto cercando sempre di parlare con le persone perché è l’unico modo, non avendolo mai fatto, per cercare di capire. Mancherà sempre qualcosa perché se non lo vivi da dentro qualcosa ti manca, però ho iniziato perché quando avevo 17 anni tutti i miei amici, ma vi garantisco tutti i miei migliori amici, facevano quello, dunque si andava al concerto la sera e a mezzanotte loro andavano via. Puntualmente, anche se ci stavamo divertendo un sacco, loro partivano si ordinavano tutto, facevano le loro scenette di mettersi il guantino di lattice sopra a quello di lana perché andavano al freddo, in mezzo alla neve, e regolarmente partivano e mi dicevano ‘’ma perché non provi anche tu, ma dai ci siamo noi, ti insegniamo magari vedi noi, lo facciamo da un bel po’ sappiamo dove andare, dove comprare questo e quello, ti diamo i colori, inizia a dipingere’’. E io sempre “no, no..’’, perché proprio, qua il problema è diverso. Non è una questione mi piace/non mi piace, quello penso sia una questione di essere adatto a fare qualche cosa o meno, una questione proprio di indole personale, e la mia indole vi garantisco che è fatta fino a un certo limite, che è quello di spingersi a osservare, perché sono curioso. Ma non sono fatto assolutamente per vivere in queste situazioni di tensione, dove magari sai che hai fatto un’azione illegale, sai che potrebbe venire un controllo perché hai parlato al telefono hai detto qualcosa di più, devi nasconderti tutto, devi portare le foto che hai a casa della ragazza perché se lei le tiene, non è sotto controllo, se arrivano non ti trovano niente. Continuo a leggere:

Ore 01:20 - A quest’ora nessuno sta lavorando. Gli altri devono dipingere prima che il deposito cominci a svegliarsi. All’incirca due o tre ore. (Danzio: questo era tanti anni fa, adesso 2 o 3 ore sono diventati 10-30 minuti, perché era all’inizio, logicamente quando succede qualcosa, come i primi attentati, non c’è sorveglianza, nessuno si aspetta determinate cose.) Davanti a noi vedo i treni, spenti che dormono avvolti nel buio. Ci avviciniamo e mi investe un odore che prima non riuscivo a distinguere, un misto di ferro, olio freni bruciati e caldi, gomma fusa e tanto piscio. L’odore della yard. Entrano in un corridoio, “Aspettaci qua. Stai al coperto e guarda verso quel casotto.’’

“Cos’è?’’

“Il casotto dei ferrovieri’’

“Ah, bello!’’

Guardo il casotto con le luci accese. Pesante. E mi accorgo della cosa peggiore della yard. Un deposito dei treni. E’ un posto solitamente strabuio, tranne alcune luci tenui, qua e là, lontane. In più so che non potrei stare lì perché è illegale e so di dover stare attento. Così, quando mi dicono ‘’Guarda quel punto laggiù!’’ inizio a fissarlo. Le ombre dopo cinque minuti cominciano a muoversi e penso ci sia qualcuno.

Mentre io comincio a impazzire per le mie paranoie, tornano e mi dicono: “Qua non c’è posto, dobbiamo dipingere più in. Là.

E io “Ma A., non ti sembra che laggiù ci sia una folla di gente che ci viene incontro?’’ E gli indico il posto.

Stringe gli occhi, guarda e mi fa “Ma vah!, Come no, c’è una folla di gente! Ma sei fuori? Sei paranoico. Stai calmo, non fissare troppo a lungo lo stesso punto, sennò gli occhi ti vanno a puttane. Vieni! Stai tranquillo! Stammi vicino’’. (Danzio: questo quella sera ha capito che… io totalmente non facevo parte di quella cosa lì, poi mi conosceva, sapeva che sono una persona abbastanza ansiosa per determinate cose che gli vedevo fare in giro, così mi ha preso e mi ha tenuto lì, vicino a lui, tipo bambino a scuola) e mi dice ‘’guarda in giro, non ti agitare e se succede qualcosa dillo a me’’.

Danzio OPM: Questo è come io vivevo in prima persona il tutto, loro erano tranquilli, sembrava quasi una sfida, qualcosa da fare. Erano sempre posati, ultra attenti nei loro movimenti, non schiacciare questo. Si passano i sacchetti con dentro i colori, usano i sacchetti perché dopo un po’ che sono scappati e magari hanno perso 2 o 3 zainetti, hanno capito che il sacchetto è meno prezioso. Se li passano, si aiutano proprio per non fare muovere ‘ste cose, poi vi dicevo il colore lo sbattono prima, perché se si va d’inverno o anche d’estate, comunque, il colore deve essere sbattuto, perché sennò non è fluido. Dentro non lo possono fare, già a me dopo un po’ sembrava che ci potevano sentire dal paese vicino dal rumore “psss psss”. E’ come quando si sta in camera di notte e si sente la musica e si tiene a volume due e sembra che la musica stia facendo impazzire la casa, poi si va al bagno e si chiude la porta e non si sente minimamente. E’ uguale, infatti, dopo un po’ mi ha detto ‘’ma fai un giro e vedrai che non si sente niente, tanto c’è la strada, stai tranquillo’’.

Ore 2:00 -  La prima cosa che noto andando verso di loro sono due tipi all’inizio della banchina. (Danzio: la banchina sarebbe quel pezzo di marciapiede dove camminate ogni volta che prendete il treno, comunque noi eravamo in stazione con gli orologi dove la gente normalmente saliva e scendeva dai treni. I treni erano li pronti per la prima partenza delle 6.)

Così guardo verso la sala d’aspetto. Tocco D. e glieli indico. Lui fa cenno agli altri di coprirsi, ci sono due persone che si baciano, aspettiamo che se ne vadano, coperti dalla linea dei pilastri. Nel silenzio guardo gli altri per sapere che fare.

Ore 2:10 -  I tipi vanno via, ma lasciano la porta della stazione aperta. La luce delle macchine che passano nella piazza illumina dentro, non sono più rilassato come prima. Ma A. posa lo spray  e tranquillo, con la mano con il guantino in tasca, va a chiudere la porta. C. esce da sotto un treno. Se stessi là sotto di sicuro vomiterei, tra la carta, la merda e la puzza di piscio. Riprendono a dipingere. Mi avvicino e guardo i pezzi, ma non distinguo i colori se non di riflesso. “Non si vede un cacchio!” Mi guardano un secondo sorpresi e si voltano. Torno a sedermi davanti a A. sulla punta del treno.

Danzio OPM: Dunque, questa cosa per cui ho iniziato a scrivere è stata semplicemente una fortunosa immedesimazione voluta dalla vita. Che poi mi ha spinto anche a cercare proprio ossessivamente sia le immedesimazioni, ma anche costruire delle scene. Per esempio a me piace vedere una scena dal vivo, veicolarla anche, e vedere la reazione delle persone e poi scriverne.

Ore 2:25 - Se guardo una luce per più di 20 secondi di fisso vedo ombre che si muovono e che creano forme. Sorrido pensando alla mia folla di gente e mi giro: il solito rumore di macchina nel parcheggio. Arriva una macchina dei ferrovieri. Mi giro e chiamo A.

“Non muoverti e non ti sporgere, non ci hanno visto, resta qua” e mi mette praticamente davanti al testone, alla punta del treno, mi posiziona lì e mi fa “Stai fermo, guarda là’’ io mi guardo, mi giro attorno, faccio per andare a vedere dove sono gli altri ma ecco che arrivano loro correndo, tornano A., D. e C. e tutti i colori. Siamo tutti sui binari davanti ai fari spenti del locomotore, pieno di insetti morti. Il posto dove stanno dipingendo è completamente sgombro. Restano solo i pezzi al lato del treno e l’odore di spray. Aspettiamo che parcheggino ed entrino dentro. A., D. e C. vanno da un lato all’altro per vedere cosa fanno i tipi sulla macchina.

“Chi sono?’’ sussurro

“Ferrovieri’’

“Ma come mai vengono a quest’ora? Iniziano a lavorare?”

“No, ci abitano’’. Un’ombra passa dietro a un vetro del secondo piano della stazione.

“Quindi se aprono una delle finestre ci vedono?’’

“Eggià’’ mi risponde D. tornando a dipingere. Io resto lì bloccato.

Ore 3:05 - Finalmente tutti hanno finito e ce ne possiamo andare. Ma D. comincia a teggare i frontalini degli altri treni, (Danzio: teggare vorrebbe dire firmare, e io penso..)

“Che palle, andiamocene, ma come fanno a stare così rilassati?”. Lo aspettiamo andando verso l’uscita.

Danzio OPM: l’uscita, ragazzi, è stata veramente la cosa che sempre mi impressiona di più, perché ormai loro hanno fatto, dunque sono tranquilli, escono chiacchierando, fumando, tutto il fumo che fa nuvolosi, la sigaretta  nel buio si vede, l’accendino si vede. E entrano tutti concitati poi escono, lungo la linea, rilassati e poi ridiventano tesi solo nel momento in cui escono, perché dicono :magari  in questo momento potrebbe passare qualcuno. Ah, un’altra cosa interessante sempre perché comunque ero al primo racconto, erano 3 anni fa, avevo anche molta meno esperienza, avevo recepito meno dati, una cosa che ho fatto per costruire e rendere un attimo proprio tutte le situazioni che si creavano in questi contesti, è stato fare un format di domande: che odore senti, qual è la cosa che ti piace di più, cos’ è la cosa che ti ricorda di più la yard?.  Erano proprio dati, dati che non potevo raccogliere, di lì è nato frasi come ‘’ci avviciniamo e m’investe un odore che prima non riuscivo a distinguere, un misto di ferro, olio, freni bruciati e caldi’’. Queste sono le varie risposte che hanno detto tutto. Perché alla fine è come una ricerca, è come immergersi e cercare di capire un mondo e alla fine per capire questo mondo serve parlare: di qua il linguaggio e gergo e di là il fatto che siano un’etnia.

Però, ricollegandoci al fatto di sentirsi stranieri nella propria nazione. C’è un lato che sono io che posso essere straniero perché racconto cose diverse rispetto a quello che possono fare tanti altri scrittori, dunque divento straniero perché parlo di una piccola etnia, ma ci sono loro che più che altro sono stranieri, perché spesso, soprattutto quando cominciano a fare queste cose sono giovani, molto giovani, dunque diventa un qualcosa che aumenta la propria autostima, si cercano dei nuovi valori e si creano. Come se non si ritrovassero nei valori di massa che può dare una nazione: la discoteca, lo stadio, il calcio, certo.. poi nella varietà del fenomeno, c’è chi va allo stadio, chi va in discoteca e va a dipingere, c’è un po’ di tutto, è veramente il fenomeno più misto che abbia visto. C’è gente che arriva da tutti gli strati sociali, da tutte le tendenze, da tutte le mode, non è molto facile inquadrare tutto il fenomeno perché proprio è grande.

Però, è come se avessero cercato di creare, nei primi anni, comunque, una minoranza, che voleva farsi ricordare per qualcosa, come ora i “technoravers”, gli hackers. Qualcosa che proprio li voleva distinguere. Poi nel giro di 4 anni questa cosa è stata assimilata, come tutto dal nostro sistema economico ed è diventata moda: marche, reclame che prendono molto questa cosa della street art, caratteri grafici che hanno molte pubblicità, hanno copiato questa cosa che è stata assimilata in frettissima e la moda ha portato un sacco di gente che ha fatto anche un sacco di male all’ambiente stesso. Perché pensate più gente arriva nuova, più fa le cose così velocemente e meno capisce qual è la situazione anche rispetto alle autorità etc., e dunque può far saltare, come si dice in gergo, depositi perché si è fatta beccare, o perché magari c’è gente che va in un deposito e dopo aver dipinto il treno decide di girarsi e firmare il muro, che voglio dire, se il treno arriva non è che i ferrovieri siano così organizzati da avere un tabulato dove segnano ogni carrozza se era pulita o no, però se gli fai un disegno su una carrozza e un disegno su un muro non sono nemmeno tanto stupidi da dire.. ‘’Io qua ci lavoro ogni giorno, questo non l’ho visto, il treno non l’ho visto arrivare però questa cosa qua non l’avevo vista’’. Bene, sono arrivato alla fine.

Julio Monteiro Martins: Quando hai detto che se uno diventa famoso, espone in una galleria d’arte, il fenomeno si spegne. Mi hai ricordato un uccellino del mio continente che si chiama Quetzal, che quando viene messo in gabbia non canta più. Però e anche vero che qualche artista di strada diventi molto famoso, come Keith Hering, che mi sembra provenga da questo mondo.

Danzio OPM: Sì, il movimento del Writing nasce negli anni Ottanta a New York. In quel grigiore della città era bello vedere quei disegni colorati che staccavano. Forse avevano anche scritte come Freedom. Erano comunque diversi dal fenomeno europeo. Qui è diventato un enorme classifica punti, gente che ha raggiunto duemila punti. C’è un ragazzo tedesco che si potrebbe definire il vincitore. Un suo muro costa migliaia di euro, è proprio un pittore. Lui da un lato si considera un artista fautore di grafici e tele e dall’altro un writer. Niente, per ora, gli toglierà questa passione di andare a fare i treni, per quanto non abbia ritorno. E’ uno spirito diverso. E’ un ambiente al lato.

Egidio Molinas Leiva: Ad un certo punto avevi fatto un chiarimento sul vandalismo. Non ho capito bene come lo vedi tu.

Sonia Sabelli: Anch’io aggiungo una domanda, così magari ci rispondi insieme. “Mi ha colpito la frase del racconto “Amanti del crimine” che dice “tutti quelli che si accorgeranno del limite che il vandalismo imporrà alla propria arte”. Mi sembra strano che tu da una parte pensi che lo scopo, è fine a se stesso, lasciare un proprio segno, che insomma è già un’affermazione della propria soggettività. Volevo capire perché tu parli di vandalismo, che è una parola pesante, se tu in qualche modo lo vivi sia dal di dentro che dal di fuori. Poi non ho capito cosa fanno queste persone nella vita, e da che tipo di ambiente sociale provengono.

Danzio OPM: E’ vandalismo. E’ vandalismo perché i danni che subiscono le FS sono ingenti. Per pulire i treni spendono tanti soldi. Loro dipingono i treni sperimentali, perché a loro “garba” avere, come dicono qua in Toscana, la foto con scritto “treno sperimentale”. I treni non sono ancora usciti nuovi da Savigliano che li hanno giù dipinti. C’è gente a Torino che sta giù studiando i tunnel della metro per poterla dipingere. Mi sa che la metro arriverà a Torino già dipinta. Non voglio immaginare quanto costi pulire un TGV. Chi lo guida, comunque, deve avere il finestrino pulito. C’è gente che prende una mole del trapano per incidere il vetro. Ogni tanto poi hanno un minimo di etica. Però i ferrovieri gli tirano le pietre quando li vedono.

Davide Bregola: So che ci sono dei gruppi che mettono i bastoni tra le ruote all’alta velocità, perché rovinano il paesaggio e la natura. Allora pensavo se avessero dei collegamenti con i gruppi dei writers.

Danzio OPM: Non credo ci sia un legame tra loro. Non ho mai visto foto al riguardo. Solitamente i writers sono un movimento puramente estetico, puramente di forme.

Queste persone provengono da tutti gli ambienti e strati sociali: il muratore, lo studente universitario e chiede i soldi ai genitori per farsi i pannelli, se non ha un lavoro. Ragazzini e persone più grandi, quarantenni, gente che ha figli, gente che non può lasciare il proprio paese perché ha processi in corso. Un ragazzo francese, morto giovane, il cui padre da New York aveva portato il movimento in Europa, e lui è riuscito a fare proprio di tutto, aveva dipinto tutti i treni del mondo. Hanno formato un gruppo che riesce a dipingere dappertutto e nei posti più difficili, dove gli altri non riescono. Credo che abbiano evitato giusto i paesi dove vige ancora la legge del Taglione.

Per farvi rendere conto della mentalità del movimento, si è spostato in Europa e da qui ha avuto un altro sviluppo ed evoluzione più veloce, per cui si pensa che a livello grafico si facciano cose più ricercate ed evolute. Questi ragazzi hanno una Crew francese, nata dieci anni fa. Si vedono anche nel film “L’odio” dove c’è una parte con una scritta SDK, (sindacate du krime), comunque erano ragazzi di diciotto anni che avevano fatto questa scritta, per cui non c’è molto da aspettarsi. Però dopo dieci anni, sono il gruppo più famoso d’Europa, anche se processi legali li stanno fermando. Hanno filmato le loro opere e ci sono video in cui si vedono treni a Stoccolma, Amburgo, Tokyo, le maggiori città del mondo. Parlando con questo ragazzo francese, mi ha detto che è riuscito a dipingere un vagone della metropolitana di New York, anche se era piena di poliziotti, scrivendo che loro, i francesi, erano gli SDK migliori del mondo, perché erano riusciti là dove era impossibile.

Amor Dekhis: Ho avuto l’impressione, dai racconti, che questi ragazzi venissero da un ceto sociale benestante, e comunque spendono tanti soldi. Mentre gli stranieri, gli emigrati, hanno problemi di soldi ma anche con i diritti, le leggi. Lo straniero cerca soprattutto di guadagnare, perché ne ha bisogno. Hanno avvero qualcosa in comune?

Danzio OPM: Sì, il parallelismo che ho usato è molto labile. Sul fatto che siano benestanti, non vale per tutti. Ho visto gente lavorare tutta l’estate di continuo per spendere i suoi soldi sono in quello, senza comprarsi i vestiti. Per loro è quasi un investimento. Io mi riferivo di più ad essere straniero nella propria nazione, ovvero essere “altro”. Soprattutto per mentalità.

Sonia Sabelli: Forse stavamo facendo lo stesso ragionamento con Dekhis. E’ chiaro che l’immigrato, che non ha il permesso di soggiorno, magari, se la rischi ad andare di notte nei depositi. Però, quando dici che loro non si identificano con la morale comune, c’è un rifiuto e critica della società in cui vivi.

Danzio OPM: Ognuno vive la propria vita e poi di notte entra in questo sottobosco, come diceva Julio. Quando sei nel sottobosco, cambiano i parametri, si è tutti uguali. Non dico che abbiamo questo atteggiamento tutto il giorno. Per esempio ospitarsi in giro per l’Europa.

Qualcuno dipinge di giorno aspettando che i ferrovieri vadano a mangiare. Negli altri paesi esiste un “Anti Vandal Squad”, un dipartimento della polizia specializzato contro i vandali, e gli lanciano addosso i cani.

Tahar Lamri: Magari ci lasciamo intrappolare dalla trappola occidentale di voler analizzare sempre tutto e trovare il messaggio. In realtà, l’essere umano ha sempre voluto lasciare un segno, pensiamo alle pitture rupestri. Probabilmente chi li ha fatti voleva anche fare qualcosa di effimero, dipingere semplicemente. Ci sono anche tante popolazioni che fanno disegni nella sabbia proprio perché effimeri. E’ talmente effimero lasciare qualcosa sui treni o sui muri…Ho visto anche scritte in arabo con le bombolette, come “Viva il Marocco” e poi sotto il suo nome.

Danzio OPM: Oggi i treni sono pellicolari, per cui dopo due giorni non c’è più il tuo lavoro, però a loro interessa farlo e averne la foto di ricordo. Pensavo che con le pellicole smettessero, e invece no. Allora manca ancora qualcosa per capire il tutto.

Julio Monteiro Martins: Il Brasile ha avuto un gesuita molto famoso, Padre Anchieta, che scriveva bellissime poesie in lingua Tupi, con un bastone sulla sabbia.

Ringrazio molto Danzio per averci introdotto in questo mondo del tutto sconosciuto.

Per chiudere in bellezza il seminario, vorrei concludere con una poesia scritta da Egidio Molinas Leiva a Lucca e per Lucca.

Egidio Molinas Leiva: L’ho scritta su un pezzo di carta, non su un muro…

Omaggio a Lucca

Adesso

la mia scarna valigia

andrà via con me, piena di te

chiusa a sette catenacci

non per essere imprigionata

ma per essere libera in me,

solo in me.

Preda di te,

vittima gioiosa del tuo incanto

del fascino del tuo paesaggio

ora umile, ora maestoso

sempre sereno.

Aprirò a turni i catenacci

per consumarti un poco

poco a poco nella mia lunghissima memoria

e quando ciò sarà accaduto

forse avrò ancora tempo di ritornare da te

Con una valigia più grande

Ad affogare le mie eterne turbolenze

Nel mare calmo del sorriso cordiale,

della voce musicale della tua gente,

e nel sorriso ritrovato dei tuoi ospiti.

04/09/2003