Giovedì 3 Luglio -
pomeriggio
Intervento della giornalista Cecilia Rinaldini di Radio Rai Parlamento e della dottoranda Sonia Sabelli dell’Università La Sapienza di Roma. Julio Monteiro Martins: Cecilia Rinaldini ha condotto una ricerca interessantissima sulla ricezione da parte della stampa del fenomeno degli scrittori migranti. Ha fatto questa ricerca per noi, inviando anche un questionario con diverse domande, che poi spiegherà, per poter avere un’idea sua, precisa di questo universo letterario. Sonia Sabelli sta facendo una laurea di dottorato su questo argomento e ci illustrerà un po’ le sue conclusioni al riguardo. Ringrazio tanto Cecilia per il suo prezioso contributo e le passo la parola. Cecilia Rinaldini: Ringrazio Julio per questa presentazione lusinghiera, che mi imbarazza un po’. In realtà, quando mi ha chiesto di intervenire come giornalista e vedere in che modo la stampa incontra la letteratura della migrazione, mi rendevo conto che la mia esperienza personale era troppo breve e circoscritta (comunque ne parlerò un pochino). Avevo la necessità di trascenderla e vedere più in generale la situazione. Per condurre una ricerca seria però sarei dovuta ricorrere a biblioteche o emeroteche, e rinchiudermi per un annetto... Allora o rinunciavo, oppure trovavo un’altra strada. E quindi, eravamo in primavera, ho pensato di andare direttamente da chi di sicuro la stampa l’aveva monitorata: i docenti universitari che programmano convegni o studi su questo argomento, le case editrici che pubblicano questi autori, le associazioni che organizzano convegni e alcuni singoli esperti sulla questione. Quindi adesso vi metterò a parte di queste due cose che mettiamo in comune. Ho incontrato la letteratura della migrazione facendo la giornalista. Ho iniziato un po’ per caso, perché mi ero laureata in filologia classica sulla letteratura greca antica. Per caso mi sono ritrovata in una radio libera, Radio Città Futura. Radio libera vuol dire che non ha un editore, ma una cooperativa di soci, come il Manifesto, per esempio. Devo dire che in seguito ho frequentato una scuola di giornalismo ma se fosse soltanto per quella la letteratura della migrazione non l’avrei incontrata. Erano gli anni ‘96/’97 e attorno all’immigrazione c’era un certo fermento politico. Sia perché si preparava la legge Turco-Napolitano, poi approvata nel ‘98, sia perché a livello locale, ricordo, furono anni molto forti. A Roma ad esempio, c’era un’antica comunità di Rom che stava da anni in via dei Gordiani. Al posto del loro insediamento fatto di baracche, in base però alla loro organizzazione dello spazio, d’accordo con Comune e Regione, l’Istituto Autonomo per le Case Popolari progettò di costruire un villaggio di case popolari proprio per loro, in bioedilizia, studiando per un anno l’estetica del loro abitare. C’era fervore per questi temi sia a livello nazionale che a livello locale. Anche la scuola si dava molto da fare sull’intercultura. In quegli anni il calo demografico era enorme ma, grazie ai migranti di seconda generazione, nelle classi quasi non si fece sentire. Dunque, non per mio merito ma proprio per il momento sociale, mi sono ritrovata in una redazione cultura e spettacoli a seguire anche le iniziative che le comunità migranti di Roma andavano facendo. Allora, all’interno di un settimanale di letteratura, mi inventai una rubrica che cercava di occuparsi non soltanto gli autori occidentali ma, a seconda dei gruppi stranieri presenti a Roma, anche degli autori dei paesi d’origine più rappresentati. Quindi raccontavo agli ascoltatori romani quali erano gli autori più importanti delle comunità asiatiche, latinoamericane. Così per l’Africa e per l’Europa dell’Est. Questo grazie anche ad un bel progetto che c’era nel Comune di Roma, “Le biblioteche multiculturali”, inventate proprio quell’anno: decisero che nelle biblioteche comunali ci dovevano essere degli scaffali dedicati agli autori di paesi da cui provenivano i migranti. Ho conosciuto anche scrittori stranieri residenti a Roma, o studiosi. Finché mi sono ritrovata non solo a studiare gli autori dei paesi d’origine ma anche quelli che risiedevano in Italia e scrivevano in italiano. Alla facoltà di Scienze della Formazione a Roma 3, al corso di perfezionamento sull’Educazione Interculturale che stavo frequentando, venne il Prof. Gnisci con alcune sue assistenti che lessero alcuni dei testi premiati al concorso Eks&Tra. Tra questi il famosissimo Ana de Jesus di Christiana de Caldas Brito, che mi folgorò e mi fece appassionare ancora di più a questa narrativa. Alla fine della mia rubrica, nelle ultime puntate parlammo del libro di Gnisci sulla letteratura della migrazione pubblicato da Lilith, poi con gli organizzatori di Eks&Tra e infine con Mia Lecomte sulla collana “I cittadini della poesia”, di Loggia dei Lanzi, appena uscita. Ho avuto spazio, molto spazio all’epoca, a Radio Città Futura e poi anche in altre testate. Per fortuna alla Rai, dove lavoro tutt’ora, sono riuscita a fare diverse trasmissioni sulla letteratura della migrazione. In spazi piuttosto protetti, certo non erano notiziari. Comunque sono stata contenta di aver trovato spazi letterari sia in Rai che a Radio Città Futura e a Radio Popolare: a me interessa di più l’aspetto estetico di questa letteratura. Invece, per quanto riguarda la ricerca che ho fatto dalla primavera ad oggi, ho coinvolto una quindicina di persone. Avevo chiesto anche ad altri di rispondere alla dozzina di domande del questionario, però alcuni non sono stati disponibili o non hanno avuto il tempo. Debbo dire che ho avuto risposte diverse. Persone di estrema disponibilità mi hanno messo a disposizione la rassegna stampa raccolta, mentre altre persone non sono state altrettanto disponibili ed hanno reagito con una certa diffidenza e critiche piuttosto aspre, senza spiegarmi bene il motivo di questa risposta secca. Rispetto alle risposte che ho avuto vi dico come mi sono orientata e che idea mi sono fatta. Anzitutto avevo chiesto di darmi un giudizio generale su come vedevano seguita la letteratura della migrazione da parte dei mezzi di comunicazione di massa e se avevano la possibilità di capire, dagli anni ’90 ai giorni nostri, come fosse cambiato l’interesse della stampa. Poi, avevo chiesto di dirmi, a seconda degli eventi da loro promossi, come erano stati seguiti, se ne erano rimasti contenti, oppure se i giornalisti avevano dato poco spazio, non erano interessati, ecc. Altre cose poi che servivano a me come giornalista. L’altra questione che era emersa l’anno scorso al II Seminario, qui a Lucca, era quella del linguaggio che si usa per parlare del tema. Allora ho chiesto se, quando cercavano l’attenzione della stampa, parlavano di letteratura della migrazione o si esprimevano in altro modo. Se pensavano che questa definizione fosse da superare, se l’avevano superata. L’anno scorso al Secondo Seminario ci eravamo un po’ scontrati sulla terminologia, ed è successo lo stesso anche quest’anno al convegno di Ferrara. Temo che le definizioni servano soprattutto per noi giornalisti che abbiamo bisogno di dare nome alle cose, e per i docenti universitari che devono sistematizzare. Allora, quanto all’interesse dei mass media riguardo a questo fenomeno, è inutile che ce lo diciamo, tutti erano scontenti. Quanto ai motivi, la maggior parte riferiva la mancanza di grosse case editrici che si occupano di questi scrittori. Quindi, trattandosi per lo più di piccole case editrici, il giornalista tenderebbe a svalutare l’opera. Si diceva anche che nell’ambiente letterario italiano c’è una tale diffidenza rispetto a questi nuovi autori che si affacciano nella letteratura italiana che volutamente si cerca di tenerli fuori e non li si valorizza perché a minor diritto vogliono introdursi nella letteratura italiana. Quindi non soltanto per un fatto di mercato ma anche per diffidenza. Poi c’è anche chi riferiva che i giornalisti spesso fanno pubblicità a chi gli pare, alle grosse case editrici, oppure scelgono uno scrittore e ne fanno il migliore rappresentante della letteratura della migrazione. Quindi una certa malafede anche da parte dei giornalisti. Quanto a quali organi di stampa danno più spazio al tema, la televisione risulta assentissima: nessuno ha mai visto un autore in Tv. E in più molti sono diffidenti perché la televisione quando si avvicina vuole il caso umano, la storia patetica da raccontare. “Se andare in tv, significa questo, a noi non interessa”, mi hanno detto in molti. La radio fa, invece, una bellissima figura, perché pare sia quella che ha dato più spazio rispetto a tutti gli altri media. I quotidiani hanno fatto diversi articoli. Alcune testate però rimangono totalmente inaccessibili. Il Corriere della Sera non ha mai dato spazio: alcuni ricordano solo un articolo di Raboni che forse ha fatto peggio, perché usava toni quasi offensivi nei confronti di questi autori. Anche Il Sole 24ore è stato piuttosto restio. Sul modo in cui la stampa ha seguito gli eventi organizzati, erano tutti contenti: stampa locale, televisioni locali. Per i propri eventi, le persone che hanno potuto contattare i giornalisti, erano contente di come erano stati seguiti. I giornalisti si sono dimostrati interessati, abbastanza competenti, comunque curiosi. Però, spesso per motivi di tempo o di soldi, i giornalisti fanno interviste via mail o per telefono, e quindi non si vedono tanto spesso alla presentazione dei libri o ai convegni. Un’altra cosa che mi interessava era cercare di capire in che direzione un’associazione o professore o casa editrice che fosse, nel preparare i comunicati stampa avesse cambiato il proprio modo di interessare il giornalista, usando un linguaggio piuttosto che un altro, vedendo quale funzionava di più. Per esempio Mia Lecomte, che dirige una collana per poeti stranieri, prima per Loggia dei Lanzi poi per Zone, mi diceva che lei ha abbandonato certi tipi di linguaggio. Non usa più la parola “immigrato”, perché trovava una certa diffidenza da parte del giornalista che alla parola immigrazione connetteva tutta una serie di questioni che non c’entravano poi niente con la letteratura e la poesia. Per cui mi raccontava che ultimamente le era capitato di dire piuttosto: “Ho un libro eccezionale di un poeta davvero bravo che scrive in italiano, ma che viene da un paese straniero”. I più insoddisfatti dall’esito dell’ufficio stampa sono stati quelli che però non hanno mai corretto il tiro o fatto un ufficio stampa serio. Se una persona o associazione vuole essere seguita dalla stampa, se puntasse di più sul modo di comunicare ai giornalisti forse avrebbe più successo. A proposito dell’uso del termine “letteratura della migrazione”, una persona di quelle che ho intervistato, ha trovato che la questione che ponevo fosse...aspettate che voglio leggere, “assolutamente stucchevole”. A me sembrava potesse essere uno spunto interessante. I docenti universitari sono affezionati a questa definizione, anche perché traduce l’espressione inglese generalmente condivisa di “Migrant Writers”. Però la questione è molto complessa, e questa definizione presuppone comunque un’idea di cultura mutevole, cangiante. C’è chi parla di scrittori migranti, chi di letteratura migrante, chi ha abbandonato l’espressione “letteratura dell’immigrazione” che usava all’inizio e preferirebbe arrivare ad un’idea di letteratura interculturale o addirittura di interletteratura. Queste sono persone interessate più al fenomeno estetico-letterario che a quello sociologico. L’ultima cosa che posso rilevare al momento è che in genere quando la stampa scrive di letteratura della migrazione, a meno che non sia stampa specializzata e quindi riviste letterarie e di poesia, in genere l’aspetto che privilegia di più, sempre rispetto alle risposte che mi sono arrivate, è quello propriamente sociologico. Sonia Sabelli: Vi volevo parlare della mia esperienza all’interno dell’Università e delle ricerche affrontate per la mia tesi. Mi sono resa subito conto della difficoltà di trovare attenzione rispetto a questo fenomeno. Vi parlo anch’io di come è nata l’idea della mia ricerca. Avevo seguito un’iniziativa organizzata da Gnisci e un’associazione no profit che si chiama Lunaria, a Roma, dove avevano preparato una pubblicazione che si chiamava Voci migranti, ed era una piccola antologia di scrittori migranti in Italia, Francia e Spagna. Per me è stata proprio una scoperta, ed ero proprio nel periodo in cui preparavo il progetto per il Dottorato, ho avuto un’illuminazione, ed ho pensato di presentare un progetto di ricerca su questo tema. All’esame mi sono trovata con una commissione che non sapeva assolutamente di cosa stessi parlando, ed ero all’interno di un dipartimento di italianistica. Però, c’era una certa curiosità, non riuscivano a capacitarsi di come potessero esitere scrittori stranieri che scrivevano in italiano. Penso di aver vinto il concorso proprio per questo, perché era una cosa molto particolare. Più avanti però mi sono dovuta scontrare con delle diffidenze, perché pensavano che non avrei potuto trovare dei testi letterari validi dal punto di vista estetico. Poi l’ostacolo maggiore l’ho trovato facendo anche ricerche bibliografiche, perché testi critici su questi scrittori non ce ne erano. A parte Gnisci da cui sono andata subito, e che mi cosigliò il suo libro sulla letteratura italiana della migrazione. Da lì poi ho cercato altre cose, ma quello di cui mi sono resa conto e che è la cosa più grave, che mi ha stimolato ancor più ad andare avanti e motivarmi nella mia ricerca è il fatto che trovavo solamente articoli di giornali o interventi di antropologi, sociologi e mai di italianisti. Gnisci insegna letteratura comparata nella mia stessa facoltà e altri professori che se ne interessano sono di antropologia, sociologia o pedagogia interculturale, che sono un po’ le scienze sociali che in questo momento si interessano di più al problema dell’immigrazione in generale, però non si riconosceva il diritto ad una ricerca estetica a questi scrittori. Questo, mi colpiva. Cercavo anche nei programmi delle varie università italiane e gli unici programmi che trovavo qualcosa del genere erano di sociolinguistica. Invece, il rovesciamento è accaduto quando spinta dalle critiche delle professoresse che mi ripetevano sempre: “ti manca il back ground teorico”, questa era la frase che mi sentivo ripetere più spesso, ho deciso di partire per l’Olanda, per due motivi. Da una parte è risaputo che è il paese multiculturale per eccellenza con una storia coloniale e dell’immigrazione molto più lunga dela nostra, l’emigrazione di massa l’anno vissuta negli anni ’70, per esempio... Julio Monteiro Martins: Solo una breve parentesi. Dal sito della rivista Sagarana ho visto che nei paesi che la visitano più spesso, l’Olanda è al quarto posto, dopo l’Italia, il Brasile e la Svizzera. Più della Francia e della Germania. Sonia Sabelli: Infatti questo conferma il mio discorso. La cosa più sorprendente è che venendo da un dipartimetno dove nessuno si interessava a quello che facevo, o mi dava attenzione, anche se questo è un problema dell’università italiana, dove il lavoro di ricerca è un lavoro solitario, a meno che tu non abbia un certo riconoscimento, ma insomma, lavori da sola, hai poche occasioni di confronto e di dialogo. Il sistema olandese era completamente diverso, poi lì tutte le professoresse a cui mi presentavo con il progetto per poter frequentare il corso, erano tutte entusiaste, anche perché mi trovavo a tradurre dall’italiano il progetto e quando scrivevo migrant writer, bene o male, gli imput erano altri. In Olanda hanno fatto un lavoro intenso anche sugli studi postcoloniali. La mia esperienza olandese mi ha aiutato a capire che per cercare gli strumenti teorici e metodologici per leggere questi testi era rivolgersi all’estero. Perché in Italia non ci sono proprio le categorie teoriche, non ci sono le parole, le definizioni, probabilmente perché è un fenomeno nuovo, ma c’è anche una grossa resistenza da parte delle istituzioni accademiche. Forse ci sono delle grosse implicazioni tra quello che è il discorso e il potere, per esempio non è un caso che il lavoro di Foucault sul potere del discorso sia stato poi uno degli spunti fondamentali per le letterature postcoloniali. Faucoult sostiene proprio che c’è un ordine del discorso che controlla la produzione dei discorsi, selezioni gli argomenti trattati e i soggetti parlanti. Quindi è chiaro che in una società come la nostra ancora profondamente razzista, per quanto lo neghi ed abbia rimosso la sua storia coloniale, non si riconosca ad un immigrato la possibilità di essere un intellettuale. Si riconosce che possa parlare della propria esperienza soggettiva, però poi c’è sempre qualcuno che si appropria di questa esperienza per ridirla a modo suo, perché sa trovare le parole giuste per spiegarla. Mi sembra che sia quasi un derubare le persone della loro ricchezza, questo è gravissimo. Mentre in Olanda scoprivo una serie di riflessioni teoriche, anche sull’esprienza del femminismo anglosassone che ha messo in discussione i modelli di emancipazione delle donne occidentali, per cui anche lì c’è stata tutta una riflessione utilissima per leggere questi testi. Questo perché sia le letterature coloniali postcoloniali che le riflessioni femministe hanno lavorato sul tema della differenza. La differenza nel pensiero occidentale è sempre stata vista in una relazione gerarchica per cui chi è altro, “altro da me”, viene sempre svalutato, la periferia serve a definire il centro, però in qualche modo il centro è sempre migliore, superiore alla periferia e il bello è che invece gli scrittori postcoloniali sono riusciti a rovesciare questa relazione binaria, dicotomica in cui c’è sempre un’opposizione tra centro e periferia e la periferia è sempre considerata un qualcosa che è altrove e lontano. Si cerca di riproporre la differenza in modi creativi e positivi, lo stesso vale per il femminismo che ha lavorato sulla rappresentazione della soggettività femminile, come qualcosa che è sempre altro dall’uomo, ed è partita dalla differenza tra uomini e donne, per poi attraversare diverse fasi. La seconda ondata del femminismo lavorava, invece, sulla differenza tra le donne perché con i movimenti femministi del Terzo mondo è venuto fuori il fatto che non possiamo dirci tutte sorelle o alleate contro il patriarcato. C’è poi un terzo passaggio, che è quello dei femminismi più recenti, in cui si erge una sola differenza all’interno di ogni individuo, un po’quel discorso che facevamo ieri con la Serdakowski, non si può acozzare insieme tutte le culture e fare un melting pot. Trovo bellissime le riflessioni di Eduard Glissant, scrittore martinicano, sul fatto che questo tipo di modello non funzioni proprio, perché nella società di oggi, tutte le culture si fondono, nessuna è pura e monolitica, lo scrittore contemporaneo è un poliglotta perché anche se conosce una sola lingua, scrive in presenza di tutte le lingue del mondo e in qualche modo ne è poeticamente impregnato, per cui tutte le culture si creolizzano e questo non significa il melting pot o un’accozzaglia di elementi diversi, ma significa i diversi che si incontrano si uniscono e si modificano e producono qualcosa di imprevedibile. Credo che tutte queste riflessioni siano utilissime. Ritornando in Italia, poi, con una montagna di fotocopie e tutte queste acquisizioni, ho avuto difficoltà a far passare questi contenuti. Cercavo qualcuno che mi confermasse un po’ che queste idee avrebbere potuto funzionare. Difficile perché c’è poco interesse per i temi a parte gli anglisti o studiosi di letteratura postcoloniale o di letteratura comparate, con cui prima o poi inevitabilmente ci si devono confrontare. Però non viene fatto il passaggio di applicare queste metodologie o teorie ai testi prodotti qui in Italia. L’unico professore che ho trovato veramente lucido sull’argomento è Alessandro Portelli, non so se avete letto il suo saggio “Le origini della letteratura afroitaliana e l’esempio afroamericano” in cui paragona l’emergere della letteratura afroitaliana con gli autori che provengono dall’africa e scrivono in italiano trovando molti punti di contatto con quella afroamericana, facendo anche delle riflessioni molto interessanti sull’ibridazione e la differenza. Veramente, c’è molto poco e la cosa è abbastanza deprimente. Sono poche le occasioni di parlare con le persone. Vorrei che si sviluppasse un interesse all’interno dei corsi di italianistica, perchè siete tutti scrittori che usate la lingua italiana, per cui fate parte della letteratura italiana, forse potrebbe averne anche qualche effetto benefico e positivo. Credo che gli spunti più interessanti anche nella letteratura italiana siano venuti proprio dai momenti in cui emergeva un certo tipo di polemica linguistica con le avanguardie, o le letterature dialettali. Comunque, credo che il vostro contributo sarebbe un antidoto per resistere all’omologazione dilagante in questo periodo anche nella letteratura italiana. Ma c’è ancora molta strada da fare, questa è già una bellissima occasione. Julio Monteiro Martins: Volevo fare due riflessioni. Già da qualche tempo accompagno i libri e le recensioni dei libri di narrativa, in generale, usciti in Italia. La cosa è curiosa, ci sono sì le recensioni dei libri scritti dai cosiddetti scrittori migranti, sono sempre di più, e questo è positivo. Ci sono altri scrittori che scrivono belle recensioni sulle pagine culturali. Ma non c’è mai il paragone con un autore italiano, o un tentativo di inserire queste opere nel contesto della contemporaneità italiana e tra tutte le altre recensioni o libri sugli italiani, non c’è mai la citazione di un migrante. La sensazione che si ha è che sono dei testi su due paesi totalmente diversi, una è la Nuova Zelanda e l’altra la Lettonia. C’è un taglio netto, magari trattati entrambi bene, ma mai fanno parte dello stesso universo letterario e editoriale. Mentre invece lo fanno. Per me è chiaro che era giunto il momento di aprire il seminario ad altre esperienze e ad amici che si occupano anche di altre cose, come Sirotti e la letteratura postcoloniale, e che questo avrebbe dato un contributo alla comprensione dell’insieme del fenomeno. La presenza di italiani come Voltolini, Bregola e domani Danzio Opm, ha apportato un contributo nuovo, anche le lettere e immagini dai paesi dell’emigrazione italiana, che mi incuriosiscono molto, contribuisce a “sghettizzare”, nel senso di rompere le pareti della scatola. Credo che d’ora in poi gli altri seminari o convegni o incontri promossi da altri, dovranno tenere conto di questa esperienza di Lucca, di questo seminario, come una possibilità magari nuova e più efficace di approccio a questa realtà. Davide Bregola: Sì, ragionando sempre sui media e come i mass media recepiscono questo tipo di narrativa direi che c’è abbastanza superficialità nei confronti della letteratura di scrittori stranieri che scrivono in italiano nei confronti dei critici militanti. Ossia i critici militanti, cioè le persone che scrivono sui quotidiani nazionali hanno un approccio, quando ce l’hanno, abbastanza superficiale, che è ancora quello delle origini ossia cominciano ancora e continuano a parlare della letteratura migrante che nei primi anni ‘90 era scritta a 4 mani con giornalisti e scrittori italiani, quindi diciamo sono un po’ in ritardo nei confronti di ciò che è veramente adesso questo tipo di letteratura, quindi gli servirebbe un po’ di tempo per recuperare. Io mi riferisco anche a persone che scrivono e hanno l’opportunità di fare recensioni sui giornali nazionali e sono invitati nei seminari. Ad esempio a Ferrara, c’era un critico scrittore che pubblica per una casa editrice importante come Feltrinelli e che ha l’opportunità da un po’ di tempo di recensire su ‘’Tuttolibri’’ della Stampa e prima di questo aveva un rubrica su una rivista di letteratura creativa chiamata Fernandel, che è di Ravenna e ha anche una casa editrice, e scriveva proprio della letteratura dell’emigrazione. L’ha fatto per tre o quattro numeri e poi ha smesso, però l’aveva fatto andando a scandagliare gli scrittori che avevano pubblicato per grandi case editrici, ossia Gangbo, Tawfik, aveva parlato di Muin Madih Masri, e poi su un altro numero di Fernandel aveva parlato della casa editrice Edizioni dell’Arco di Milano, sto parlando di Piersandro Pallavicini che a Ferrara aveva fatto ancora questo discorso della letteratura della migrazione iniziato nei primi anni ‘90. Quando è uscito Da qui verso casa ho avuto l’opportunità di vedere recensioni, però i critici hanno sempre sommato il libro di narrativa che ho pubblicato due mesi fa, con il Bregola osservatore culturale che in qualche modo oltre a scrivere per conto proprio, si interessa anche di altri scrittori e guarda caso questi scrittori sono migranti. Ricordo il mese scorso su Famiglia Cristiana, c’era una bella recensione di un certo Fulvio Panzeri, critico militante che si occupa di letteratura contemporanea italiana, parlava partendo dal presupposto di Racconti felici, diceva proprio questo, Bregola è anche un buon osservatore culturale perché ha indagato la letteratura della migrazione. Aveva messo queste 5 o 6 righe, e mi sembrava che da come aveva approcciato il discorso risultasse una cosa nuova per lui, critico che da 25 anni scrive di scrittori contemporanei italiani, curatore testamentario delle opere di Testori e Tondelli, quindi, è una persona che la tematica la dovrebbe aver ben presente. Oppure su Tuttolibri della Stampa, quando recensirono il libro, tu stesso Julio me lo hai confermato, abbiamo intuito che non c’era materiale di discussione, si limitava ad un riassunto abbastanza superficiale della questione degli scrittori migranti. In altri casi come diceva prima Cecilia, addirittura alcuni critici hanno usato quasi un tono offensivo, tra virgolette, e ricordo questa cosa di Raboni, e ricordo anche l’articolo che fece Cinzia Fiori sul Corriere della Sera, all’uscita in contemporanea del libro La straniera e il libro Il sole nero di Muin Madih Masri per Porto Franco editrice. Lei fece un articolo in cui intervistava il poeta Sanguinetti, in cui intervistava Egi Volterrani, esperti del settore e però diciamo che verteva sulla tematica di trovare anche in Italia scrittori come Rushdie o Kureishi, e questi erano gli anni, era il 1999. Oppure la recensione che fecero al libro di Egidio, quando uscì il tuo libro, si parlò di scrittore-muratore e addirittura ti fecero dei raid sul posto di lavoro. Mi piacerebbe sentire un po’ la tua testimonianza, come hai vissuto questa cosa dell’uscita del libro e dell’interessamento da parte della Rai, del Corriere e di altri giornali. Egidio Molinas Leiva: Il giornalista Marco Galluzzo del Corriere della Cera, un ragazzo interessante, aspettavo che venisse a trovarmi. È vero, io sono stato una sua scoperta, gli è valsa una promozione all’interno del Corriere della Sera, quindi…Comunque ha fatto un bellissimo articolo, mi hanno chiamato dappertutto: televisione, radio, ho conosciuto un po’ tutto il male dell’ ambiente che sta attorno. In radio sono stato bene, sono stato veramente bene, in televisione non tanto. L’articolo aveva il titolo “Un libro nato tra le quattro e le sei del mattino”. Lui si era informato, qualcuno gli aveva soffiato e un giorno mi aspetta all’uscita dal cantiere, io faccio il muratore, e mi dice “sono Marco Galluzzo, giornalista, mi occupo di cultura, vorrei sapere se è disponibile per un’intervista. Abbiamo saputo che ha pubblicato un libro etc”. Okey, va benissimo, dico io. Era estate, faceva caldo, a me una birra a quell’ora, pagata da un altro, mi andava proprio bene, quindi ho accettato volentieri. Poi naturalmente abbiamo parlato a lungo, e il giorno dopo il fotografo ritorna in cantiere per fare le foto mentre stavo lavorando. Dice “non ti posso garantire l’uscita dell’articolo, comunque ti terrò informato”. Comunque, gli dico io, a una condizione: se dovrà uscire l’articolo, voglio vedere il testo, voglio visionare il testo che verrà usato. Dopo una quindicina di giorni mi chiama tutto eccitato e mi dice “domani esce l’articolo, come facciamo a vederci per visionare il testo?”, “che ne so, sai l’orario in cui arrivo a casa, aspettami lì ci vediamo in serata, fino a mezzanotte ho il tempo di modificarlo”. Leggo il testo e sono contento, sono soddisfatto, non ho fatto nessuna modifica, tranne alcuni dati anagrafici, mi aveva fatto più anziano … e già sono vecchio per conto mio, essere ulteriormente invecchiato da altri non mi andava. Ha prodotto scalpore perché, e anch’io sono stato colpevole, perché lui negava un dato essenziale, lo scrittore muratore, ma non si diceva nell’articolo tutto quello che voi sapete già ormai, la struttura culturale di fondo che ho io, gli studi universitari etc., questo viene scoperto dopo alla televisione, tutto il sottofondo culturale, però nel frattempo Marco Galluzzo aveva fatto il suo scoop. E c’è stato un giro di cose, mi chiamavano dappertutto, mi guardavano le mani, ma vedete queste mani? Potete credere che sono quelle di un muratore? Io ho un problema di pelle, un problema della struttura della mia pelle che mi impedisce di avere calli, anzi ora in vecchiaia mi stanno un po’ tradendo, ma è così. Mi guardavano le mani e dicevano “È impossibile!”, ho le mani delicate io, quasi femminili. Ero una novità assoluta, ma comunque io a quel gioco ci sono stato, confesso, perché mi conveniva dal punto di vista promozionale, perché per sapere la verità c’è tempo, non è che qualcuno avesse mentito, non è stata detta tutta la verità e basta, nessuno ha mentito o ha detto una cosa per un’altra, soltanto non è stata detta tutta la verità. Julio Monteiro Martins: Comunque questa è la costruzione del personaggio, un’operazione giornalistica di una onestà molto relativa. Egidio Molinas Leiva: Ma ne ero consapevole, non sto accusandomi di niente, ho detto che era anche un’operazione commerciale anche per me, quindi ho ceduto. Davide Bregola: In televisione in che veste sei andato, ti facevano domande sul libro? Egidio Molinas Leiva: La prima volta che sono andato in televisione, per il premio Feronia, con tutti questi venti personaggi internazionali, fra i quali io dei personaggi ero solamente internazionale, ero niente proprio. Quelli avevano scritto almeno dieci libri per uno, avevano rappresentato opere di teatro, almeno dieci opere dappertutto, non sapevo proprio cosa facessi io in mezzo a quella gente. Invece, quello che mi dicevano loro stessi, Ballerini soprattutto, Ballerini che è uno scrittore italiano ma che insegna all’università di New York, in America, mi diceva “ma che ci fai qua a fare il muratore, se vieni con me ti faccio fare conferenze, si guadagna un sacco di soldi”. Non riuscivano a capire come mai io per dover sopravvivere qua dovessi fare il muratore, “vieni là, ti faccio fare conferenze, ti riempio di soldi”. Mi dicevano che la novità di quell’evento ero proprio io, giustamente perché non ero compromesso. Allora cosa è successo con quella manifestazione. Era il tempo che si stava bombardando in Kosovo, e noi ci siamo trovati involontariamente attraverso l’organizzazione di quel premio, a essere sostenitori del bombardamento in Kosovo, essendo che il 90% degli intervenuti, le venti persone che stavamo lì, almeno diciotto erano contrari, ma ci siamo trovati in mezzo a questa faccenda, e io dicevo “ma perché non dite qualcosa?”. Perché erano loro i nomi noti della letteratura, i poeti, io non ero nessuno, ma loro “no, però tu sei l’autorità morale”, quindi ho dovuto prendere la voce che nel giorno del premio che hanno dato a l’albanese Ismail Kadaré a Fiano. Ho preso l’ambasciatore e gli ho detto “scusa ma io devo dire qualcosa, Kadaré tu sarai pure un grande poeta, ma sei un pessimo uomo”, ecco perché c’è stato un grande scandalo lì. Lo scandalo lo ha iniziato Arnando Gnisci al Campidoglio, ci eravamo riuniti perché dovevamo recitare i nostri versi e Gnisci, che era stato precedentemente a Belgrado, era venuto con un discorso esplosivo e tutta la comunità albanese del pubblico del premio aveva abbandonato la sala. È tutto a sfondo politico, Ismail era un tipo fedelissimo di chiunque venisse al potere in qualsiasi momento, veniva premiato in un momento in cui l’America non faceva niente, insomma capisco il pensiero di Gnisci, posso non essere d’accordo con l’opportunità di quanto ha fatto lui in quel periodo lì, ma concettualmente non sono lontano da lui, non era opportuno fare quella scenata che ha fatto lui, ma tutto lì. Ad un certo momento io stavo là perché dovevo partecipare alla premiazione a Fiano Romano, e stavo per conto mio bevendo una birra davanti al castello dov’era la premiazione, vedevo che stava là Visar Zhiti, che stava con Ismail Kadaré e un'altra persona, che poi ho saputo era l’ambasciatore albanese. Hanno attraversato la strada, siccome Visar Zhiti in quel periodo per me era una squisita persona, allora venivano a salutarmi ‘’ciao, questo è l’ambasciatore albanese’’, già avevamo litigato prima durante una cena così, come facciamo qua che si va a pranzo insieme, anche in quel periodo lì, già avevamo litigato, e Kadaré stava distante e allora gli ho detto quelle parole lì. Naturalmente loro sono entrati nel castello, quando sono arrivato io una decina di minuti dopo, tutta questa gente che elencavo che era lì mi stava aspettando alla porta dicendo “Ma cosa hai fatto?!”. Quello che mi sorprende è che è stata una delusione, come mai? Io non sono nessuno qua, e come mai devo essere io a prendere iniziative di un qualcosa che tocca tutti quanti? E la risposta per me è stata tristissima. “Perché tu sei l’unico che ha l’autorità morale fra di noi per farlo”. Ossia, tutti quanti questi grossi nomi della poesia, della drammaturgia, tutti quanti erano arrivati in qualche momento della loro vita al compromesso. In una situazione del genere non avevano più l’autorità, ma invece io mi sono mantenuto, per così dire, uno “schifoso coerente’’. Ecco perché sono un poveraccio, sono uno “schifoso coerente”, non posso io permettere in un qualsiasi momento della mia esistenza, da vecchio, di sporcare la mia pulitissima fedina della vita, tanto di vita quanto politica, non me lo posso permettere. Non me lo sono permesso da giovane quando avevo tutto da perdere, ma da vecchio cosa devo perdere, devo morire, devo sporcarmela proprio adesso? No, non è proprio il caso. Tutto lì. Julio Monteiro Martins: Vorrei tornare alla questione della percezione di questa letteratura, vorrei un po’ cercare insieme a voi di capire la realtà, ma anche le prospettive future, cioè secondo voi - per esempio domando a Cecilia che lavora nell’area ma anche a Davide - secondo voi, avete avvertito un cambiamento in questa percezione in questi ultimi tre o quattro anni, c’è qualcosa in process, oppure la visione e l’immagine si è stagnata e consolidata in una forma determinata e stabile. C’è qualcosa che magari possiamo sperare, un arricchimento di questo tipo di visione, un’accettazione, un’assorbimento e una digestione, comunque vogliamo chiamarlo, oppure no? Cecilia Rinaldini: Io mi sento un po’ inadeguata a rispondere a questo perché, devo dire che non ho granché idea di che tipo di percezione ci sia della questione, perché ti devo dire, se solo mi dovessi basare per esempio sui miei colleghi, la maggior parte dei colleghi che conosco, quando ad alcuni ho raccontato che venivo qui, a questo convegno, tutti quanti con curiosità mi hanno detto “E che cos’è questa letteratura italiana dell’emigrazione?”. Quindi devo dire che anche i colleghi della mia stessa redazione dove io l’anno scorso ho fatto due trasmissioni di mezz’ora su questa cosa, dunque devo dire che credo anche a livello generalizzato, così superficiale, tranne gli addetti ai lavori che hanno seguito più da vicino questo fenomeno, credo che non si abbia granché percezione che questa cosa esista. Julio Monteiro Martins: Ma questo non è un cattivo segno perché significa che non è tanto una resistenza contro, quanto si ignori proprio il fatto, e può darsi che una volta che sia più conosciuto, in qualche modo, ci sia anche una simpatia potenziale, non è detto che non ci sia. Cecilia Rinaldini: Penso di sì e aggiungerò questo, quello che come ha detto Davide, me lo diceva anche Gnisci, ovvero tutte le volte che qualche giornalista scrive un pezzo sulla letteratura della migrazione, o meglio anche una recensione, ritiene sempre di dover parlarne come se fosse per la prima volta, e descrivere che cos’è questo fenomeno. Quindi dice che lui, ogni volta che da un intervista, ogni volta che poi legge un pezzo, rilegge sempre “nasce agli inizi degli anni ‘90 con le scritture a quattro mani” quindi lui dice “è strano che ogni volta che un giornalista scriva di questo, ricomincia da Adamo ed Eva”. Quindi evidentemente ancora non è tanto socializzata questa letteratura. Davide Bregola: Sì, ha ragione. Quando arriva il messaggio di questa letteratura incuriosisce e per le persone a cui risulta nuovo è anche entusiasmante. Io ho fatto anche incontri in giro a parlare di Da qui verso casa e vedevo le persone che prendevano appunti sugli autori che avevo intervistato, le bibliotecarie mi chiedevano la bibliografia proprio per andare a fare come uno scaffale di letteratura di questo genere, quindi quando arriva, la questione interessa. Dopodiché, secondo me potrebbero fare grandi cose gli scrittori autoctoni, ossia le persone che pubblicano per grandi case editrici. Io non sto parlando di me che adesso non ho potere, nel senso che io non riesco a fare una recensione e piazzarla sul Corriere o sul Sole 24 ore, però ci sono scrittori che questo potere ce l’hanno, e allo stesso tempo oltre ad avere questo potere sono persone che se sono veramente interessate e riconoscono un valore letterario negli scrittori stranieri che scrivono in italiano, riescono a promuoverli e addirittura anche a farli pubblicare. Per cui secondo me tra scrittori ci si potrebbe veramente dare una mano e non lo dico in senso buonista, dico una mano dove veramente c’è stima reciproca e dove chi ha meno opportunità di venire a contatto con editor o con redazioni delle case editrici viene aiutato da chi invece questo potere ce l’ha, per cui secondo me possono fare grandi cose gli scrittori italiani, nei confronti degli scrittori che provengono da altri paesi e questa cosa c’è già agli albori. Io nel mio piccolo, per il mio poco potere, in qualche modo cerco di promuovere chi secondo me ha il talento e le opportunità, ma non ha ancora capito bene come muoversi in questo mondo per riuscire a arrivare dove può arrivare e riesce ad arrivare. Dario Voltolini ce l’ha già un magistero nei confronti dell’editoria, non per niente lui ha presentato il manoscritto di Gangbo alla Feltrinelli, ancora prima presentò per “Protofranco” Gangbo, e lo pubblicarono. Un altro servizio che ha fatto con Muin Madih Masri, che era un suo collega di lavoro, ne ha riconosciuto il talento e lo ha promosso, quindi in qualche modo alcuni scrittori si interessano alla questione e cercano di promuoverla per cui in futuro secondo me funziona questa cosa. Funziona quando in alcuni convegni scrittori stranieri e scrittori italiani dialogano insieme e interrelazionano, dove può nascere un’amicizia, una conoscenza, una stima per cui ci possono essere altri sviluppi. La strada intrapresa dal Seminario di Sagarana n° 3 è ottima, proprio per questi motivi. Oltre a ciò mi sembra che Internet sia un mezzo formidabile per la promozione. Ho visto in questi ultimi anni uno sviluppo dell’interesse nei confronti della letteratura emigrante proprio da parte dei siti internet. È anche vero che è molto specialistica la cosa, se è pubblicata sul Corriere la vedono sicuramente più persone di una recensione su Voci dal Silenzio. Altre questioni, sul versante interrelazionale, io sto cercando di fare un po’ di pubbliche relazioni con Voci dal Silenzio che è questo sito del Cies di Ferrara digilander.iol.it/vocidalsilenzio. Ho cercato e sto cercando di fare animazione tra vari scrittori italiani e stranieri, ho fatto delle domande poi ho interpellato alcuni scrittori, italiani e stranieri, poi ho chiesto gentilmente di rispondere. Alcuni l’hanno fatto, altri no, però siccome questa cosa è appena nata vedremo un po’ gli sviluppi. Ha risposto Tahar, per esempio, ha risposto Alberto Masala, così come ha risposto Piersandro Pallavicini, Dario Voltolini. Hanno risposto in diversi e adesso vedremo gli sviluppi di questa cosa. La mia intenzione era proprio quella di far conoscere le persone, secondo me in questa fase è importantissimo. Julio Monteiro Martins: Un aspetto che forse ora merita una riflessione è la questione delle case editrici, perché mi sorprende che nessuna casa editrice media o grande finora abbia avuto interesse a creare una collana specifica che potesse, uso un termine molto commerciale, “esplorare” questo filone. Le case editrici soprattutto più legate ai giovani, all’avanguardia, che azzardano di più, stanno sempre cercando non tanto nuovi autori quanto nuovi filoni che sono per loro un deposito di ricchezze infinite. Per esempio penso al filone degli scrittori cosiddetti cannibali, o a certa letteratura del terzo mondo, tradotta dalla casa editrice Zanzibar di Milano che dopo è stata acquisita dalla Giunti, e mi sorprende che dopo tre o quattro anni in cui ormai in un modo o nell’altro i nostri nomi e le nostre opere circolano sulla stampa, non ci sia stata un’iniziativa di questo genere. È una domanda difficile perché una cosa è parlare sulle cose che ci sono, un’altra cosa è speculare sulle cose che non ci sono. Davide Bregola: Sì effettivamente le case editrici cercano un po’ anche il fenomeno per dare questo senso di novità o per dare l’opportunità a se stessi di fare circolare il proprio nome, per vendere fondamentalmente. Io non sono dentro le case editrici, per cui non so, la percezione è, almeno per le case editrici che ho frequentato io, che ci sia interesse da parte dell’editor, un vero interesse nei confronti degli scrittori migranti, però poi sembra quasi che nella stanza dei bottoni, si fermino le questioni. Ossia dove devono decidere di investire, si blocchi un po’ la cosa. Effettivamente non ho capito il perché, però vedo che alcune grandi case editrici pubblicano sporadicamente autori e tra l’altro sono considerati anche gli autori più scadenti del fenomeno, diciamo la verità. Tawfik che ha anche questo aspetto esotico e tutto quanto, è considerato dalla critica o comunque anche dagli scrittori emigranti un fenomeno abbastanza unico e dalle recensioni che ho letto, anche abbastanza scadente, perché lo hanno stroncato varie volte. Lo stesso Gangbo che in alcuni casi è considerato uno scrittore straniero, in verità è un italiano, un italiano che ha provato ad avere i dreadlock e la pelle scura, però è un italiano, parla bolognese, un ragazzo che ha fatto il pony express e portava le pizze a casa della gente, quindi è un italiano che come tutti i giovani tentava di sbarcare il lunario. Carmine Abate è un caso diverso e cerca in qualche modo di rientrare nel fenomeno degli scrittori migranti, lui è di origine ”arberesh”, gruppo di albanesi che nel 1400 sono arrivati in Italia per questioni loro, dopodiché da italiano/calabrese è andato in Germania a lavorare e ha scritto anche in tedesco. Quindi sulla scorta della sua esperienza si considera scrittore migrante, può anche andare bene, per carità, però anch’io ho degli avi tedeschi ma non mi considero uno scrittore tedesco o cose del genere. Allora il problema che pongo a me stesso é capire se le case editrici non hanno ancora aperto una collana di questo genere perché non hanno ancora compreso bene il fenomeno o se è perché sulla scorta dell’esperienze delle piccole case editrici hanno visto che i numeri non gli permettono di investire su questa letteratura. Julio Monteiro Martins: I numeri attuali sono molto relativi perché i numeri sono quelli che una piccola casa editrice con una distribuzione e una pubblicità molto precaria riescono a ottenere e non credo che siano nemmeno così piccoli. Ho saputo che alla Besa editrice, una casa editrice che oggi in Italia pubblica tantissimi autori italiani, stranieri, come Bunin e Virgílio Ferreira, e anche della migrazione, i titoli più venduti sono o i libri tradotti, alcuni di autori importantissimi, Alejo Carpentier per dirne uno, oppure sono i libri della letteratura migrante. È ovvio che uno di questi autori, se pubblicato da una casa editrice con un alto potenziale di divulgazione, di distribuzione e di contatti con la stampa in modo da farli presenti sulla stampa, i numeri sarebbero tutti diversi. Davide Bregola: Comunque mi sembra di aver capito da Cecilia che anche l’organizzazione delle piccole case editrici è abbastanza casuale, cioè se una casa editrice non ha un buon ufficio stampa non riesce comunque a dialogare con l’esterno, quindi secondo me le condizioni base sarebbero un buon ufficio stampa dove sacrifichi quelle 150 copie e le fai avere in giro con una presentazione accattivante della questione, mi sembra fondamentale, Nell’epoca della riproducibilità totale e dell’informazione di massa e tutto quanto, una casa editrice che non ha un ufficio stampa mi sembra veramente una cosa impensabile. Julio Monteiro Martins: A volte uno non realizza quanto piccole siano le case editrici, a volte deve scegliere tra riuscire a pagare la carta, la grafica, con cui ha stampato il libro o riuscire a pagare lo stipendio di un ufficio stampa, non può fare tutte e due le cose. Però io pensavo un’altra cosa, cioè è vero che c’è il silenzio, quasi in modo tacito, quasi una resistenza contro questi autori, perché loro, dico tra virgolette, osano scrivere nella lingua di Dante e di Petrarca, anche se dicono no, ma no, comunque esiste. Come si dice in Argentina ‘’Jo no creo en brujas, pero que las hay las hay’’. C’è secondo me un altro elemento potenziale nell’inconscio collettivo italiano che può essere un antidoto per controbilanciare questo preconcetto, ed è un’ammirazione per tutto ciò che viene dall’estero. C’è una sorta di potenziale esterofilia nella vita italiana, no? Vedo il modello italiano di esterofilia, se si può dire così, sana, un vero sforzo spontaneo e magari inconscio di sprovincializzarsi, di conoscere altri modelli alternativi a quello autoctono, a quello nativo, da cui possa prendere questo o quell’elemento utile da incorporare nella sua vita. È un po’ quello di cui parlavamo il primo giorno a proposito degli italiani e il Brasile, perché scoprono nello stile di vita brasiliano degli elementi che possono aggiungere nella propria vita, un certo tipo di spensieratezza o di innamoramento dell’altro, oppure uno che va in India e scopre in India determinati modelli di spiritualità che può incorporare. Allora, questo secondo me è un modo, una sana esterofilia e credo che uno scrittore migrante avrebbe il potenziale di risvegliare questa curiosità e questa simpatia verso l’altro, magari ancora più forte di uno scrittore indigeno. Però la sensazione che ho è molto epidermica, molto istintiva, non saprei, non vorrei cercare di spiegarla in modo razionale, è che dopo un grande movimento, un movimento legato a quest’area, si è entrati in una calma, la tipica calma che precede la tempesta. La sensazione che ho è che c’è stato un primo momento di grande fermentazione anche se superficiale. Adesso non si parla più tanto quanto lo si faceva due anni fa, ma ci sono molti più autori, autori che raggiungono il secondo o terzo o quarto libro, si sta creando discretamente un consolidamento, quando questo emergerà attraverso la stampa o altre case editrici, il numero di autori di opere di qualità sarà molto superiore a quello della tempesta precedente, questa è la mia opinione. Cecilia Rinaldini: Guarda, un’analisi simile l’ha fatta una giornalista dell’Unità, me l’ha riferito Mia Lecomte, ora non ricordo il nome di questa giornalista, lei diceva un po’ quello che diceva Julio, cioè secondo lei l’attenzione sulla letteratura della migrazione è un po’ quello che è successo quando il rock americano è arrivato in Italia e c’è stato il rock italiano. In quel momento che era una novità, perché il rock era solo americano, quando anche gli italiani hanno cominciato a fare il rock, c’è stato un battage di stampa, un’attenzione fortissima, un fermento e tutti si sono messi a fare rock per cui tra le grandi star che facevano rock italiano serio hanno cominciato a fare rock un po’ tutti quanti, quindi c’erano alcuni molto bravi poi sull’onda dell’entusiasmo, c’era un sacco di gente che si è messa a fare musica in questo senso ma che probabilmente non era così brava. A quel punto, dice lei, pure la stampa si è un po’ disinteressata e l’interesse così è andato un po’ scemando, nell’attesa che poi, quelli che non erano capaci, si ritirassero o che avevano meno talento, e che veramente si capisse bene chi erano quelli bravi. Questa giornalista ritiene che, cambiando l’ambito, per la letteratura della migrazione sia successo qualcosa del genere, cioè c’è stata un’esplosione con un’attenzione forte, alcuni o numerosi bravi scrittori e poi una serie di altri scrittori o non scrittori che comunque approfittando del fenomeno si sono inseriti in mezzo per pubblicare qualcosina etc., però dice che evidentemente si è creato un po’ un magma sull’onda dell’entusiasmo e ora c’è bisogno di un momento di pacatezza per far decantare la situazione e lasciar crescere gli scrittori che sono veramente bravi e poterli riconoscere e dar loro attenzione. Lei faceva un’analisi di questo tipo. Julio Monteiro Martins: Si chiama Scateni, perché Mia mi ha raccontato questo dialogo. Tahar Lamri: Adesso abbiamo parlato un po’ delle case editrici, degli editori e della stampa, però bisognerebbe parlare anche di chi scrive, perché c’è anche un altro fatto secondo me, non so se è successo veramente come per il rock, perché secondo me non c’è stata molta attenzione verso questa letteratura. poi non grandissima. Ma c’è anche un altro fatto che riguarda gli autori ed è che fino ad adesso non c’è nessuno che si è imposto con un romanzo. Ci sono raccolte di racconti, ci sono tanti racconti, poi c’è qualcosa che forse è il momento di superarla perché un pochettino distorce la realtà di questo fenomeno, ed è il concorso Eks&tra, che secondo me ha avuto un ruolo notevole, un ruolo molto importante per far emergere molti scrittori. Ha fatto emergere veramente tanti scrittori, quindi sembra che siamo in presenza di non so 1000, 2000, 3000 scrittori ma in realtà non c’è un grande romanzo oppure un gruppo di tre o cinque scrittori … Julio: Magari il racconto sarà il genere di questo fenomeno. Tahar Lamri: Ok, perché Raymond Carver ha scritto dei racconti che sono dei capolavori, parlo di lui perché è il mio preferito in assoluto, anche Borges ha scritto soprattutto racconti, però si imporrà forse un giorno questa letteratura quando ci saranno un po’ di romanzi. Alcuni romanzi che s’imporranno all’attenzione di tutti, perché le cose si impongono non si regalano, scrivere è una libertà, è da ieri che lo diciamo, scrivere in una lingua straniera è una libertà ancora maggiore e quindi le cose si impongono e si imporrà quando ci sarà un’opera, perché Carmine Abate, lui vuole essere di questo filone e i suoi romanzi funzionano, sono pubblicati da Mondadori e cosi via. Adesso il caso della “La straniera”, a parte il fatto che si dice che il testo lo abbiano copiato da Amor Dekhis, ha avuto grande successo, io personalmente non amo quel genere di letteratura, però il libro è un qualcosa che si impone, si impone. Sembra che siamo in presenza di un movimento letterario. Ho fatto parte della giuria del concorso Eks&tra, e ogni anno passavano fra le mie mani 200 – 300 racconti e ognuno inviava un racconto o una poesia, quindi in 9 anni, mettiamo anche siano 100 autori, sono 900 autori stranieri. È vero che c’è un grande movimento di scrittura e ci sono tantissimi autori, però quelli che veramente pubblicano con continuità, perché l’autore è chi pubblica e ripubblica e scrive anche se ci mette dieci anni, dove la scrittura diventa un’ossessione, diventa un qualcosa che è sempre presente. Mentre abbiamo autori che magari scrivono però poi dopo non scrivono, un racconto che magari vince il primo premio, poi non scrivono più niente, spariscono e allora il fenomeno sembra molto grosso ma in realtà non lo è. Io voglio rendere giustizia anche ai mass media e all’attenzione che gli si dà. È vero è un fenomeno molto importante, sicuramente importantissimo, però io non sono del tipo della sponsorizzazione, cioè che il fenomeno venga sponsorizzato dai giornalisti dai mass media perché possa imporsi all’attenzione del pubblico, io sono più per l’altra idea che gli autori scrivano, si diano da fare, producano opere forti e poi si imporranno per la qualità. Conosco personalmente Alessandro Lamberti di Fara Edizioni che mi ha detto proprio che ormai ha finito i soldi di famiglia che aveva investito con questa letteratura, mi ha detto così. C’è la Besa editrice, ci sono ormai diversi autori che sono pubblicati, non la vedo questa chiusura, la chiusura sarebbe che nessuna casa editrice pubblicasse questi autori, soprattutto vedendo i risultati del pubblico. Poi per quanto riguarda l’ufficio stampa, la Feltrinelli ce l’ha, però poi non ha fatto molta pubblicità a Gangbo. Io stesso sono andato alla Feltrinelli per organizzare un incontro con l’autore, con Gangbo come quelli che fanno alcune librerie, il venerdi sera, dipende dalle città, e sono andato da due o tre, però mi hanno risposto che la direzione non vuole. Io non so se è la direzione della Feltrinelli che osteggia Jadelin perché hanno dei problemi fra di loro, io questo veramente non lo posso dire, so raccontare di questa mia esperienza molto limitata, non vorrei dire con questo che la Feltrinelli non vuole diffondere i libri che pubblica perché comunque spende dei soldi e vuole anche ricavarne dei profitti. Julio Monteiro Martins: È vero, però a me sembra strano che non si sia creata una collana, non che non ci sia interesse delle case editrici. Ma la Besa stessa non ha creato una collana specifica. Tahar Lamri: Ma se si crea una collana diranno che sono ghettizzati. Quindi perché una collana, se sono italiani, non hanno bisogno di una collana, può succedere anche questo. Egidio Molinas Leiva: Si parlava del grande romanzo, della grande opera che attirasse l’attenzione definitivamente. Ma chi è che decide cosa è una grande opera? Perché poi si entra nuovamente nella logica del mercato, secondo me è quello che regola tutto, ossia che la mia produzione, la tua produzione non è redditizia. Cosa che una volta scoppiato il fenomeno come novità, che sono stati sfruttati da qualche casa editrice, ormai la novità non ci sta più, secondo me non dobbiamo più noi castigarci personalmente per il fatto che non veniamo pubblicati perché siamo stranieri che scrivono nella lingua italiana, semplicemente cadiamo dentro la legge di mercato per la quale probabilmente non produciamo opere dette ‘’commerciali’’, come mi hanno detto alla Rizzoli. Ho già raccontato mi pare quello che mi hanno detto alla Rizzoli: “ma tu che hai vissuto tanto, fatti un bel romanzetto, pieno di sesso, di violenza, quello lo pubblichiamo subito”, forse dietro a quello pubblichiamo anche le altre cose. Ecco cosa intendo io, non so se c’entrano e fino a che punto le nostre opere indipendentemente dai valori assoluti letterari che, una conclusione che traggo qua in questa sede è che non solo non scriviamo male in italiano, anzi scriviamo piuttosto bene in italiano, quindi non è quello che ci manca, siamo attrezzati dal punto di vista linguistico, però sicuramente la nostra tematica ancora non interessa. Tahar Lamri: È che anche per la presenza massiccia di autori, premi e cose del genere, io non credo che sia pensabile che tutte le case editrici si mettano a pubblicare antologie. Lo può fare uno, può essere Fara editore, oppure operazioni come quella dove ci sono due racconti miei, però non può essere pensabile, intendevo dire che più che l’aspetto commerciale è il romanzo che si impone nel senso che magari ci sono quei tre o quattro che hanno un’opera di qualità perché necessariamente è nella logica del mercato. Dopo sulla scia di quello è chiaro che il fenomeno si impone come nuova letteratura e non ci sarà più nessuno che dirà “nasce negli ‘90 con il romanzo Io venditore di elefanti”. Intendevo più questo, che la logica del mercato c’è ma poi sta a chi scrive starci o meno. Julio Monteiro Martrins: Una cosa che mi sembra anche doveroso dire è che se siamo arrivati a questo punto di riconoscimento e vicini a un vero inserimento nel mondo culturale italiano, dobbiamo ringraziare anche quelle persone che hanno scommesso su di noi dall’inizio e che si sono dedicate a questo fenomeno. Io per esempio penso ad Armando Gnisci che è stato più volte citato e che si è dedicato a questo fenomeno, e un altro oggi che fa un lavoro straordinario è Mia Lecomte. Armando ha un’idea molto interessante, lui è un ammiratore, uno studioso delle avanguardie, Surrealismo, Dadaismo e le avanguardie dell’inizio del ‘900, e afferma che nella letteratura italiana, oggi, la narrativa migrante è all’avanguardia, come è stato il Futurismo agli inizi del secolo. Questa è un’affermazione curiosa a dir poco, cioè non ha le caratteristiche di rottura nel senso formale delle avanguardie degli inizi del ‘900 ma non è detto che le avanguardie per forza di cose debbano essere di rottura formale, le avanguardie sono quello che sono in ogni epoca, e magari questa è l’avanguardia di questa nostra epoca. Vorrei anche fare una domanda a Sonia su questo aspetto, allo stesso tempo che lei ha detto che c’è una resistenza ancora oggi, magari non so se non c’è un cambiamento in questo senso già di più persone curiose, ma c’è anche un fatto che può essere promettente per questa letteratura anche nell’ambito accademico, è che c’è tanto da dire, a ogni studioso di questo fatto non mancherà mai materia prima, al contrario di altre letterature, cinquecento allievi possono fare una tesi di laurea su questo argomento, e saranno cinquecento tesi diverse perché non mancheranno cose da dire. Sonia Sabelli: Assolutamente sono d’accordo, tra l’altro mi veniva in mente quando parlavi di Gnisci che ho letto alcuni giorni fa un suo intervento a un convegno in cui invece vi paragonava al movimento antropofago brasiliano degli anni ‘20, e mi è sembrato bellissimo, proprio molto azzeccato perché lui diceva la cosa bella è che questi scrittori sono in grado di arrivare qui e interagire con la tradizione, il canone italiano e in qualche modo masticarla, sviscerarla, appropriarsene e prendere ciò che è più in sintonia con la loro poetica e rifiutare ciò che non sentono vicino, non condividono. Credo che questa sia un po’ la cosa che ha affascinato anche me, cioè venendo da un dipartimento in cui si studiano i classici della letteratura italiana, sempre gli stessi autori, per anni, le tesi che si fanno, le mie colleghe dottorande all’università spesso trattano autori su cui c’è una critica infinita, io stessa ho fatto una tesi su Calvino, quindi potete immaginare. Invece adesso mi trovo a lavorare su un terreno quasi vergine che comunque se da una parte c’è una grossa difficoltà perché non ci sono punti fermi, però dall’altra è anche stimolante perché ci sono una serie di potenzialità infinite. Anche se so che ci sono studenti di Gnisci che fanno tesi su argomenti simili, comunque, ci sono tantissimi autori. Io all’inizio anzi ci ho messo un anno per decidere su quali autrici lavorare proprio perché effettivamente prendevo queste antologie dove trovavi scrittrici che avevano scritto un racconto però non trovavi più altro, e non è che si possa scrivere una tesi su un racconto, anche perché non si sa se questa persona abbia intenzione di continuare questa esperienza o no. Invece credo che i risultati più interessanti si vedano quando una persona continua a produrre, capisce che quella è la sua strada e cresce sia nell’uso della lingua, sia nelle scelte stilistiche e nelle tematiche. Io non credo che voi lavoriate tutti sulle stesse tematiche, sinceramente, non credo ci sia una comunanza di stili e di argomenti. Quando tu chiedevi a Cecilia se c’è stata una crescita, un’evoluzione, è evidente che comunque dai primi racconti il cambiamento c’è stato e io mano a mano che scoprivo nuove autrici e nuovi autori mi stupivo per la varietà degli argomenti e tra l’altro credo che quest’anno ci sia stato un grande interesse perché se andiamo a vedere i convegni, i festival che ci sono stati nel corso di quest’ultimo anno, a partire da quello del giugno scorso organizzato da Gnisci a Roma, poi c’è stato Trento, Mantova, Ferrara, per cui comunque sono stati veramente tanti. Poi bisogna vedere i frutti, sono d’accordo sul fatto che ci sono tutta una serie di problemi che avete nominato, a partire dalle case editrici e quindi la promozione, la distribuzione per poi arrivare al riconoscimento da parte della critica e del pubblico, è come un cane che si morde la coda, nel senso che tutti questi fattori interferiscono insieme e sono d’ostacolo, però questo è anche un problema in generale del sistema letterario italiano perché credo che poi gli stessi ostacoli li incontrano anche gli scrittori italiani, e poi non mi ricordo più se mi avevi chiesto qualcosa di più specifico. Ah…sì, le scrittrici che ho scelto sono tre: Geneviéve Makaping che viene dal Camerun e ha scritto un saggio antropologico, quasi un’autobiografia e insomma è complessa per questo gioco che trasgredisce un po’ i confini delle discipline dei generi letterari, poi Christiana de Caldas Brito che penso tutti conosciate e Jarmila Ockayowa in particolare il romanzo ‘’L’essenziale è invisibile agli occhi’’ che è quello più centrato sul tema del confine linguistico, culturale, geografico ecc. Davide Bregola: come vedi l’esempio dell’autrice Jarmila Ockayowa ha scritto l’ultimo libro quattro anni fa e poi non ha più pubblicato e non si capisce perché, Baldini & Castoldi, ottime vendite, tutti esauriti, ha due libri alle spalle e quello era il terzo e a quanto pare è stato anche l’ultimo. Eppure anche lei è un’autrice che sicuramente se sono quattro anni che non pubblica dev’esserci qualcosa, non ho capito se da parte sua o da parte delle case editrici. Amor Dekhis: Io penso che questo fenomeno degli scomparsi è apparso soprattutto riguardo le prime uscite dei libri, quelli famosi tipo ‘’Chiamatemi Ali’’ di Mohammed Ducham, sparito praticamente, per me Pap Khouma per esempio come scrittore è sparito, non l’abbiamo più sentito, non so per quale motivo, qui, lo scrittore non continua a scrivere. È un po’ strano veramente… Sonia Sabelli: Ha avuto riconoscimento di critica, ha partecipato a convegni, però ultimamente ho visto che non partecipa ai convegni a cui la invitano quindi avrà problemi personali, non ne ho idea. La cosa che mi piaceva molto è che lei è stata invitata a un convegno, quello sulle scrittrici eccentriche di cui proprio tu mi hai parlato, ed era molto bello perché non era un convegno su scrittori o scrittrici migranti, ma era un convegno su scrittrici che in qualche modo uscivano un po’ fuori dai canoni e quindi tra le varie autrici hanno messo lei, ed era un modo per paragonare diversi modi di uscire dalla norma, trasgredire, etc. quindi mi sembrava un’ottima idea. Il problema riguarda anche la distribuzione. In questo per esempio avevano fatto un’operazione molto ben fatta a Trento, quando sono stata al festival del Gioco degli Specchi, perché lì in occasione del festival c’era un negozio del commercio equo e solidale che aveva tutti i libri degli scrittori presenti. Ho trovato anche quelli di Davide lì, ho trovato i due di Christiana che erano completamente introvabili e altre cose che cercavo da tempo e quello credo che sarebbe importante anche far circolare in qualche modo. Julio Monteiro Martins: A proposito di questo io volevo parlare di un dialogo che ho avuto con Davide proprio ieri su una sorta di patologia della visione italiana dello scrittore e non solo italiana, succede anche in altri paesi. Il fatto è che l’attenzione pubblica è molto più centrata sullo scrittore che su quello che scrive, ma in un modo molto squilibrato al punto che direi, senza timore di esagerare, che uno può diventare uno scrittore famoso e riconosciuto da tutti e ammirato senza che nessuno abbia mai letto un libro suo, e per noi è un rischio ancor più probabile con le nostre fattezze un po’ strane. Questo è anche un rischio per gli scrittori di origine italiana, io credo che noi si debba sempre cercare di stimolare l’attenzione ai nostri testi e la presenza dei nostri libri come il caso di Trento. Per esempio mi hanno invitato ad andare a Milano a fare un intervento io ho accettato a patto che ci fosse una lettura pubblica degli autori, di alcuni racconti miei o testi, come hanno fatto anche a Poggio Rusco quando sono andato. Altrimenti non c’è molto senso, persone vanno lì a sentire, non hanno mai letto niente scritto da me, quello che impareranno da me è una serie di opinioni su argomenti diversi che magari altri sono molto più in gamba di me a parlarne. Quello che interessa di uno scrittore è proprio l’opera che produce, invece se noi non facciamo uno sforzo in questo senso, temo che spontaneamente questa attenzione possa venire meno. Cecilia Rinaldini: Vorrei denunciare altre scomparse. Oltre a quelle di scrittori e dei loro testi, continuano a scomparire programmi giornalistici su certe tematiche. Allora quello che in diversi interlocutori avuti nel corso di questa ricerca hanno denunciato per esempio la trasmissione di Maria de Lourdes Jesus ‘’Nonsolonero’’ che stava su Rai 2 e che non c’è più, una giornalista straniera originaria di Capo Verde che però è diventata una giornalista in Italia, parla un italiano perfetto, la trasmissione era di estremo interesse, scomparsa dai palinsesti della Rai tv, e purtroppo la stessa sorte è successa sempre a Maria de Lourdes adesso. Aveva una trasmissione ormai storica alla radio, era l’unica trasmissione che in radio si occupava di tematiche in qualche modo inerenti all’immigrazione, e lei ha mandato in giro un’e-mail dove preannuncia che, improvvisamente, senza che loro fossero preavvertiti, loro della redazione, hanno visto che nel palinsesto estivo di Radio 1 era stata cancellata la loro trasmissione ‘’Permesso di Soggiorno’’, quindi scompaiono gli scrittori, non si trovano le loro opere ma anche per i giornalisti capita che le loro trasmissioni, senza addirittura preavviso, vengano cancellate dai palinsesti. Julio Monteiro Martins: Ma noi tutti sappiamo che anche il nostro sistema di media è profondamente malato per ragioni legate al potere e tutto quello che sappiamo, questi sono anche i sintomi di un problema più grave più esteso, che se va avanti così, entriamo in “un’era bulgara”, come si dice, nelle trasmissioni. Davide Bregola: Comunque come dicevi tu e come diceva anche Julio all’inizio, l’interesse non è scemato, anzi aumenta. Sono stato il mese scorso a Matera quattro giorni e il tema era “Gli scrittori migranti e le loro opere” e addirittura la novità era, oltre ad esserci io!, era quella che c’erano anche gli editori, gli editori delle case editrici che si occupano di questa letteratura c’erano e hanno dato un loro contributo al convegno: c’era Besa, c’era il Grappolo, ce n’erano altri che avevano portato i libri in vendita, quindi il pubblico poteva vederli. Hanno parlato della questione della pubblicazione degli scrittori migranti anche in termini economici, quindi non solo grandi concetti teorici, ma anche l’atto pratico della vendita e tutto quanto ed è stato molto interessante al punto tale che sono intervenuti tutte le massime cariche della Regione e della Provincia e hanno lanciato l’idea di fare per il Sud una grande fiera del libro emigrante. Quindi adesso vediamo, le sovvenzioni potrebbero esserci, perché se l’hanno lanciata i politici questa cosa vuol dire che in qualche modo dà prestigio anche a loro, dà consenso anche a loro perché poi non lo fanno per farsi belli perché poi ci sono interessi anche molto terra-terra, per questioni politiche loro di voti o altre cose…. Sonia Sabelli: si vive molto più da vicino anche lo stato dell’arrivo degli emigranti, è un problema sociale. Penso anche che ci sia più comprensione da parte della popolazione e degli abitanti che si scontra comunque quotidianamente con il fatto di vedere sulle spiagge i vestiti della gente che arriva con le barche… non lo so, credo che questo, spero che dia un po’ più di sensibilità anche a rispetto a voler conoscere chi è che arriva in questo Paese, sapere che sono esseri umani che hanno una loro soggettività, hanno qualcosa da trasmettere. Davide Bregola: Però lì al convegno era emersa una questione su cui m’interesserebbe sentire il parere vostro, cioè che questi convegni si fanno di più al nord che al sud, ossia i convegni sulla scrittura emigrante si fanno tantissimo al nord in particolar modo in Emilia Romagna, Toscana, e al sud no, ma io non sono a conoscenza di queste cose: è vero? Julio Monteiro Martins: Questo è vero, ma credo che due ragioni chiare saltino subito agli occhi: la prima è che loro hanno più risorse economiche per farlo e la seconda è che in regioni soprattutto come l’Emilia Romagna e altre ci sono governi di sinistra e che possono essere interessati a queste cose mentre al sud accade molto più raramente. Tahar Lamri: A proposito di giornalisti io ho visto che qualcuno diceva prima che non leggono, spesso è vero poi forse le antologie sono un po’ difficili da leggere, non lo so. Io quando è uscito questo ‘’Parole di sabbia’’ ho visto che tutte le recensioni che sono state fatte su l’Unità, sul Manifesto, tanti grandi giornali, ho avuto l’impressione che nessuno di questi abbia letto il libro, proprio nessuno, hanno parlato tutti di Gnisci perché ha fatto la prefazione, quindi hanno letto la prefazione e hanno fatto la recensione. L’unico che ha letto il libro, è stato Davide Bregola, che ha fatto uscire una recensione su la Nuova Ferrara, e uno scrittore ferrarese che adesso mi sfugge il nome, su Ghibli che ha fatto, sono gli unici due che io leggendo la recensione mi sono accorto che hanno letto il libro. Gli altri hanno tutti letto la prefazione e addirittura quello dell’Unità che era anche un articolo grande, parlava esclusivamente di Gnisci. Il libro contiene anche grandi poeti grandi come Hirscman e un grandissimo poeta tuareg che anche se non è conosciuto in Italia, è conosciuto a livello mondiale, però quelli sono passati assolutamente in silenzio. Questa è un po’ una caratteristica italiana si parla delle persone che sono in Italia, che ci guardano e danno un giudizio su di noi, questa è una cosa secondo me odiosa agli stranieri che devono sempre dire qualcosa sugli italiani. L’altra sugli accademici, perché io posso parlare di altre cose, non devo necessariamente giudicare gli italiani come sono o entrare in questo sport nazionale e dire ‘’no qua non va bene’’ i vizi, le virtù degli italiani, io non ho mai amato i film dove c’è Alberto Sordi proprio per questa caratteristica qui, perché è un paese dove ho scelto di vivere, è un paese nella lingua del quale dovrei essere libero, poi vedo un tipo che rappresenta un italiano che non trovo da nessuna parte e quindi mi rifiutavo di vederlo così, senza non è un discorso razionale ma è una cosa che mi viene così. Potrei anche parlare del Vannuatù o del Tuvalù o di un altro paese completamente diverso, non credo di essere costretto a scrivere dell’Italia. Gli accademici a volte fanno male secondo me, sono da usare come i prodotti omeopatici, a volte, non sempre, se noi colleghiamo gli scomparsi con gli accademici vediamo che certi accademici, io cito direttamente Gnisci, è un mio amico, ma è una critica che mi sento di dire, lui a volte, anche sull’onda dell’entusiasmo per questa nuova letteratura, ha fatto un po’ di male a certe persone perché le ha fatte credere che fossero veramente dei Cervantes, quelli non sono niente di fronte a questa nuova scoperta e lui è stato folgorato di fronte a questa nuova scoperta e senza volerlo ha folgorato altri nella loro vita e qualcuno è diventato anche un ubriacone perché non riusciva più a scrivere. Si vedeva con aspettative come succede con i genitori che si aspettano che il figlio diventi un genio e poi non ce la fa e succede l’effetto contrario. Soprattutto poi quella prima generazione diciamo degli scrittori a quattro mani, perché loro hanno raccontato le loro storie a degli italiani che le hanno riscritte e questo detto proprio con parole povere, spesso le hanno mediate in modo molto forte. È stata sicuramente importante perché ha dato l’avvio a tutto quello che si è visto dopo, però magari a volte gli accademici per ragioni accademiche di studio etc. etc. hanno un pochino gonfiato le cose e Gnisci sicuramente in buona fede, perché si vede e si sente che lui ama molto questo fenomeno, vorrebbe proprio che ci fossero solo scrittori emigrati e che scomparissero tutti gli altri, però a volte è un pochettino esagerato e a volte vuole proteggerli fino al soffocamento, quindi vieni qua che io ti proteggo, ti faccio, ti dico etc. Parlo di lui non perché sia l’unico che faccia così ma perché vedo, questa cosa l’ho notata e l’ho vista ed è uno dei motivi per i quali io non ho scritto per lungo tempo e ho scelto un ghetto volontario, non andavo né ai convegni né volevo rispondere perché volevo tenere le distanze da questa cosa, perché sentivo come una pressione. Uno entra in un filone e dopo deve far parte di una società di scrittori, come un bene sul quale investire sul futuro e questa è una cosa che mi ha un po’ spinto a stare veramente al margine, facevo le mie cose, erano soprattutto spettacoli non teatrali, perché io non faccio teatro ma di narrazione, mi ero rifugiato più in questa attività, per anni, e dal ‘95 lo faccio in modo clandestino. Tant’è vero che quando sono andato su Internet inserendo il mio nome e cognome in un motore di ricerca perché mi hanno detto: “guarda ci sono delle pagine su di te le devi salvare prima che scompaiano”, io ero veramente sorpreso perché facevo questi spettacoli e la gente magari metteva alcuni testi, foto e cose varie. Per me era una sorpresa, però non volevo entrare più nel discorso degli accademici, avevo solo un unico legame con la letteratura dell’emigrazione, a parte i libri, che quelli bisogna leggerli, comprarli etc, era il concorso Eks&tra anche io facevo, andavo a Mantova e tornavo, proprio in modo automatico, senza voler fare troppe cose. Julio Monteiro Martins: Una segnalazione che vorrei fare, un fenomeno curioso dentro questo nostro panorama è la comparsa del primo scrittore emigrante postumo, cioè avant la lettre, che è il caso di Heleno Oliveira, uno scrittore brasiliano che ha scritto tante poesie in portoghese ma anche e soprattutto in lingua italiana, è morto a Lisbona durante un viaggio, viveva a Firenze, è morto nel luglio del ‘95 ed ora, dopo la pubblicazione recente di ‘’Se è vera la notte” ci sono tante importanti presentazioni di questo libro, la professoressa Luciana Stegagno Picchio l’ha fatta a Roma e ci sono recensioni importanti ma recensioni che anche menzionano la condizione di scrittore migrante. In queste recensioni lo inseriscono, nonostante sia scomparso nel ‘95, in questa corrente, come quasi un precursore, allora è questo un arricchimento anche curioso… Cristiana Sassetti: Riflettevo sull’idea che ha Tahar degli accademici e poi sulle difficoltà che ha avuto Sonia nella sua tesi, a me sembra proprio che di accademici ci sia solo Gnisci, per il momento. Forse ci dovrebbero essere altri professori di letteratura comparata che nelle università alimentano l’interesse degli studenti per la lettura di questi testi, cosicché anche le case editrici avrebbero veramente un indice di vendita più alto, perché spesso io mi rendo conto che tanti fenomeni culturali nascono nei modi più assurdi ma, insomma, c’è sempre qualcuno che ha a disposizione una bella pagina di Repubblica o del Corriere, scrive qualcosa di molto interessante e si crea un tam-tam, si risponde da altri giornali ecc. ci incuriosiamo, compriamo i libri. Mentre invece mi sembra che le idee di Gnisci rimangano un po’ isolate. La Stegagno Picchio, come hai citato tu, parla di Oliveira da grande e profonda conoscitrice della letteratura brasiliana, quindi penso lo abbia letto guardando sempre al Brasile. Per farla breve, a me sembra che manchino ancora nelle università professori, che ti trasmettono curiosità e passione, vero interesse al fenomeno della scrittura della migrazione, e che loro scrivano anche sulle maggiori testate… Sonia non per niente se ne è dovuta andare a cercare materiale ad Amsterdam. Quindi non è una considerazione negativa, forse è ancora un po’ presto ma ci dovrebbe essere qualcun altro che grazie anche a Gnisci continui questo lavoro, lo divulghi a livello universitario e sulla stampa, o in Tv. Tahar Lamri: Non c’è solo Gnisci, Gnisci è il più coinvolto perché ha avuto delle storie con degli scrittori, però c’è Adone Brandalisa a Padova, la professoressa Laura Balbo, Alessandro Portelli. Io mi ricordo molti anni fa che Alessandro Portelli mi aveva contattato, poi in quel periodo ero nel ghetto e non gli ho neanche risposto, poi la Franca Sinopoli che è con Gnisci, poi in America ce ne sono tanti e alcuni scrittori sono andati a un convegno a Washington quest’anno. Sonia Sabelli: Infatti la cosa che fa rabbia a me, è proprio che siano fuori dall’Italia, pochi sono italianisti, Portelli non è un italianista, Gnisci non è un italianista, adesso non ricordo il nome della professoressa di Trento che pure aveva organizzato alcuni degli incontri del ‘’Gioco degli specchi’’ però è un’anglista pure lei, cioè la cosa che a me fa rabbia è che all’estero ce ne sono tantissimi di dipartimenti e di incontri pubblici organizzati su questi temi. Quando al festival quello organizzato da Gnisci l’anno “Letture migranti e diaspore europee” c’era una professoressa che era australiana, mi sembra, ha fatto tutto un resoconto sui siti internet i vari corsi e dipartimenti in giro per il mondo che si occupano di queste cose che però spesso lavorano sulle traduzioni in inglese e quindi la cosa non so se abbia molto senso. Ma poi comunque la cosa che secondo me è una perdita, è un peccato, è che comunque sono italianisti, sono spesso italiani emigrati all’estero o comunque persone che non conoscono il contesto italiano o la letteratura contemporanea italiana, invece mi sembra che i testi che voi scrivete in qualche modo siano rivolti a un pubblico italiano e quindi è un peccato che invece vengano valorizzati all’estero. Io ho delle amiche in Olanda che lavorano su alcuni scrittori, una ha fatto la tesi su Ockayová e un’altra ha scritto un saggio in cui mette a confronto alcune scrittrici afroitaliane con altre anglo-indiane. Loro hanno scritto dei lavori molto interessanti e pubblicati all’estero in lingua inglese e non trovano editori in Italia e questa secondo me è una cosa gravissima. Ho comunque un’altra amica che lavora a Brooklyn e fa una tesi sulle scrittrici italoamericane a confronto con le scrittrici emigranti in Italia contemporanee e pure lei pubblica e lavora in America e questa cosa non mi sembra abbia molto senso. Credo che comunque una reticenza in Italia ci sia, poi che sia comunque legata al problema che dici tu, che ci vogliono i tempi giusti e che nascano le opere anche degne e che abbiamo il valore necessario per conquistare anche l’attenzione del pubblico però secondo me una reticenza rimane. Julio Monteiro Martins: Un caso interessante e recente è questa “conversione”, diciamo di un teorico brillante che è Carmine Chiellino. Chiellino vive in Germania, è professore all’università tedesca e per tanti anni si è dedicato allo studio degli scrittori italiani che scrivevano in lingua tedesca e ora, da un anno o due a cominciato ad avvicinarsi agli scrittori non italiani che scrivono in lingua italiana, ha scritto un testo molto bello su un mio libro, su ‘’Racconti Italiani’’ e ha scritto anche la prefazione del mio prossimo libro che esce tra un mese e si chiama ‘’La passione del vuoto’’ e ha scritto una recensione molto bella su questo libro di Oliveira che ho menzionato, ma è una cosa nuova questo interesse, è una scoperta, è un’illuminazione questo interesse nuovo per la letteratura migrante in Italia. Allora chiudiamo qua, vi ringrazio tutti a domani.
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