Venerdi 19 luglio - pomeriggio - Incontro con Jasmina Tesanovich Interventi di: Mia Lecomte, Julio Monteiro Martins, Amor Dekhis, Anilda Ibrahimi, Francesca Caminoli, Jasmina Tesanovich (scrittrice, Serbia), Stephanie Damoff (filosofa, Stati Uniti), Sonia Cherbino, Cecilia Rinaldini, Sonia Sabelli.
Francesca
Caminoli - Conosco Jasmina non da tanto tempo, ci sono state una serie
di coincidenze che ci hanno fatto incontrare attraverso una comune amica.
Nel frattempo, però, avevo letto il suo libro che è stato
tradotto in Italiano e che poi è diventato famoso in tutto il mondo.
In italiano si intitola Normalità, operetta morale di un'idiota
politica, però sostanzialmente è un suo diario andato in
Internet durante la guerra del Kosovo, e poi è stato pubblicato
in tantissimi paesi. E così è nata questa conoscenza, all'inizio
per e-mail e poi di persona. Jasmina
Tesanovich - Sì, adesso siamo completamente autonome, possiamo
fare quello che vogliamo ...e più che altro facciamo delle cose
che nessuno fa, quindi va bene essere autonome. Io volevo dirvi delle
cose, come mi piace questo incontro in cui si parla delle lingue non proprie.
Io da sempre posso dire, da quando sono diventata scrittrice, non ho una
lingua madre, una lingua prima e per me questo è stato il grande
motivo che mi ha spinta a diventare una scrittrice, oltre alle guerre
che ho subito e non ho mai scelto. Stephanie Damoff Quando mi sono messa per la prima volta a fare la redazione del libro Normality di Jasmina, avevo paura di cambiare qualcosa e volevo semplicemente metterlo in un inglese corretto dal punto di vista grammaticale. E mi sentivo sempre come una intrusa, però lei mi dava sempre un feed-back positivo, mi diceva fai come vuoi. Allora sono diventata sempre più audace, coraggiosa, finché non ho avuto la sensazione che cambiavo tutto usando le mie parole, ad un certo punto lei mi ha chiamata coautrice, e gliene sono stata molto grata. E adesso che io stessa scrivo, non so più se è la mia o la sua voce che parla. Julio Monteiro Martins - Vorrei fare questa osservazione: tu hai usato diverse volte la parola normalità e noi per coincidenza, abbiamo usato in questi giorni la parola normalità, ma in un senso molto diverso dal vostro. Ti spiego in due parole: c'è uno spazio crescente per questi scrittori che vengono da tutto il mondo e per scelta hanno fatto di scrivere la loro letteratura in lingua italiana. Tuttavia è uno spazio dentro una certa nicchia degli scrittori migranti ecc. e che come nicchia diventa una sorta di gabbia, che non minaccia l'egemonia, in un certo senso, degli scrittori nativi, di madrelingua italiana. Allora, quello che gli scrittori migranti, in un momento più attuale di questo fenomeno in Italia, rivendicano è il diritto alla normalità, che sarebbe il diritto ad essere considerati scrittori punto e basta, scrittori tout court, come tutti gli altri, essere giudicati dal merito stesso, dal risultato delle loro opere, dai racconti o romanzi che scrivono, essere recensiti negli stessi spazi degli altri, insomma avere un trattamento normale e non più un trattamento che magari può sembrare privilegiato, mentre in realtà è ghettizzante. Jasmina
Tesanovich- So di quello che state parlando, però credo che sia
un problema molto più generale, un problema economico anche di
dominazione culturale, perché per esempio quando sono stata due
anni fa in Portogallo per presentare il mio libro, mi ricordo che la mia
casa editrice, una delle più grosse del Portogallo, che pubbblica
Saramago acc., non riusciva a venderlo a Francoforte ai paesi anglosassoni.
Invece io le ho chiesto se conosceva uno scrittore inglese meraviglioso,
molto famoso...adesso mi sfugge il nome... ah sì! D. M. Thomas-White
Hotel, è stato pubblicato anche in Italia, ma nessuno lo conosce-
e lei mi ha risposto che non lo aveva mai sentito nominare. Secondo me
a questo punto è una cosa... non so forse noi in Serbia che siamo
un paese così piccolo, con complessi di inferiorità, pubblichiamo
tutto. Riteniamo di essere informati, non solo sui premi Nobel ma su tutto
quello che conta nel mondo, poi magari escono fuori anche cose brutte,
però questi paesi si possono anche tagliare per linea geografica,
tipo latini e anglosassoni, non lo so. Ci sono delle tali lacune di conoscenza,
a parte il fatto che poi tutte le culture sono chiuse, nazionaliste, e
poi c'è anche questa motivazione sotto sotto, economica, e non
ti fanno mai entrare nella mainstream, questo come scrittore straniero.
Julio
Monteiro Martins- Questo mi dà l'opportunità di parlare
anche di un'altra cosa. Ieri c'era qua una scrittrice americana, Brenda
Porster, che ora scrive anche in italiano, e parlavamo del fatto che trent'anni
fa, quando vivevo negli Stati Uniti, il 30% dei libri nelle librerie erano
traduzioni, mentre oggigiorno, quando ci torno e osservo le librerie statunitensi,
magari ce n'è solo un 5%. Per questo forse Saramago, nonostante
sia un grande scrittore e un premio Nobel, è così difficile
da pubblicare. Jasmina
Tesanovich- Ma sai, quello che dici tu è senz'altro vero, però
io invece di lamentarmi...ciò che non puoi battere è meglio
andarci insieme, quindi il mio modo di sabotare è questo. Julio Monteiro Martins-Tu hai detto poco fa che il tuo fine ultimo è cambiare il mondo. Allora se uno si rassegna a vedere il libro come una cosa di mercato... Jasmina Tesanovich- Infatti la mia idea è di cambiare il mondo in piccolo, nella mia piccola casa editrice. Nel mio paese ci sono un sacco di scrittori veramente bravi, ma che sono non dico nazionalisti, ma con una coscienza nazionale che è un po' troppo, e stanno lì isolati e dicono: "Sai, io non voglio che adesso questi americani mi dettino la lingua, la storia. Noi abbiamo avuto un re nel mille e duecento, abbiamo mangiato con la forchetta nell'XI secolo, la mia lingua è più antica di tutte queste, non voglio adattarmi, non voglio essere tradotto come un cane". Insomma abbiamo un sacco di queste prese di posizione che secondo me sono molto retrive. Nessuno verrà in Serbia a cercare lo scrittore re, o che ti parla della forchetta dell'XI secolo, hai capito? In questo senso forse sto lottando contro una cosa che forse adesso voi non avete neanche presente, che però per me e la stessa cosa: l'identità nazionale è qualcosa che non esiste più, e io a questo punto sto lottanto anche contro la lingua nazionale e la lingua materna, se ce l'hai devi far di tutto per uscirne fuori altrimenti è una gabbia anche quella. Invece di vivere in un ghetto vivrai in una gabbia. Molti di questi grandi scrittori di lingua prima inglese, li trovo noiosissimi, non sanno niente del mondo, sono bravi, però li leggo e non sono soddisfatta del prodotto. Magari sono bravissimi a fare il plot, e poi molto spesso ultimamente ho contatti con questa gente così brava che mi chiede degli aiuti, di scrivere per esempio come si scrive in guerra, senza la normalità, queste cose qua. Julio Monteiro Martins - Una cosa che è stata menzionata in questi incontri, è che se si fa un paragone tra la letteratura di successo di oggi e quella di quarant'anni fa, c'è stata una specie di perdita di spessore drammatico, di spessore umano. Io ho letto qualcosa con questo spessore negli autori americani, ma anche brasiliani, sulla questione dell'Aids, sulla malattia. Ma sembra che ci sia il bisogno di eventi straordinari con un carattere drammatico specifico, perché venga fuori lo stesso spessore che veniva naturalmente nella narrativa degli anni venti, trenta, quaranta. Allora è come se fosse una letteratura un po' costruita a tavolino, un po' per piacere alle case editrici o a un certo tipo di lettore. Come vedi tu questo panorama? Jasmina
Tesanovich- Solo dopo aver vissuto la guerra ho capito che tutti i film
che vedevo in tv avevano l'elemento della violenza. Allora ho capito questa
costruzione che dicevi tu. D'altronde la società è diventata
molto più violenta di una volta, e le catastrofi sono diventate
più grandi, da cui questo shifting of interest, questo trend. Quello
che a me scoccia in questa storia è che si dimentica l'elemento
umano. Ho avuto questa esperienza con Internet. Il computer ho cominciato
ad usarlo nel momento in cui non ho più potuto farne a meno, perché
tutti lo usavano. Quando ho cominciato a scrivere durante le guerre, il
mio testo si è trovato su cinquanta siti, ad un certo punto un'amica
che viveva in Inghilterra mi ha mandato una cosa a cui avevano tolto il
mio nome e mi ha chiesto: "Ma questa sei tu che scrivi? Riconosco
il tuo stile". Ed io le ho risposto che non era possibile perché
avevo mandato solo un testo ad un'amica. Però poteva essere davvero
un testo mio, in una situazione di guerra tutti scrivono che manca il
pane, la luce, il marito va in guerra, cosa succederà ai figli,
insomma mi sembrava una lagna molto comune. Poi invece ho capito che era
il mio diario. Cosa è successo con questa cosa che ha girato tutto
Internet. Mi hanno chiamata Cyber queen, io che avevo appena cominciato
ad usare il computer, e hanno cominciato a farsi vivi tutti questi maniaci
del cyber, gente che fa delle costruzioni, che sta dodici ore al computer,
senza vedere figli o mogli, che comunica solo con il cyber space, hanno
cominciato a farmi intervenire in queste conferenze strane, perché
io sono entrata tra l'altro come un fenomeno, una persona che non sa usare
il computer. E così ho cominciato a parlare contro di loro perché
ho detto che alla base di tutta questa comunicazione doveva stare un archetipo
emotivo, e il fatto che il mio diario sia andato in tutti questi continenti
e tradotto in tante lingue é appunto non per la vostra tecnologia,
che è stata solo un veicolo, ma proprio perchè parlavo di
una situazione archetipica, anche la gente in Africa poteva riconoscersi.
Julio Monteiro Martins- Tu credi che esista questa divisione tra letteratura maschile e femminile, o no? Jasmina Tesanovich: Credo che esista, eccome. Dagli anni settanta, dalla new way of feminine, nello stile. Parlare della scrittura femminile è un discorso filosofico, è una cosa in cui non voglio entrare. Quello che a me interessa è proprio quella zona tra letteratura femminile e femminista. Se prendi due cerchi, uno di letteratura femminile, l'altro di letteratura femminista, il punto in cui si intersecano è quello che mi interessa. Lì dove è chiaro che i temi sono femministi trattati dal punto di vista femminile. Può scrivere anche un uomo a questo punto, però è molto raro che un uomo riesca a capire come si sente una donna che ha appena partorito, insomma. Io questa casa editrice di tutte donne l'ho messa su quando un mio ottimo amico, uno scrittore che stimo tantissimo, ha scritto in un suo romanzo una scena in cui una donna ha appena avuto un bambino, lo ha preso in braccio ed ha preso un libro ed ha cominciato a leggerlo. Non che i libri debbano essere realisti, però una donna che ha appena partorito non è che si metta a leggere il suo libro, si mette a guardare il suo bambino, magari sta male, magari vomita, telefona. Mi è sembrata una cosa talmente stupida, perché è un momento importante quando nasce un bambino, e mi sembrava talmente falsificato che mi sono detta: qua la letteratura deve andare avanti, questo hanno fatto le donne in letteratura, magari scrivendo male anche, però riempiendo i buchi, le lacune dell'universali. Perché poi le donne sono state zitte per secoli, non c'è niente da dire. Se tu guardi la vita della letteratura greca, leggi solo quello che fanno gli uomini, e tu puoi solo presumere quello che le donne non hanno fatto, si vede di più nella casistica criminale, perché venivano messe in prigione, quindi trasgredivano, non stavano solo zitte in casa a partorire figli, facevano anche la loro vita parallela e segreta. Però le donne sono state zitte a livello di espressione letteraria e questo per secoli. Julio Monteiro Martins- Un'ultima domanda. Una parte dei tuoi scritti è in lingua italiana. Di cosa si tratta? Jasmina Tesanovich- Ho solo un racconto scritto in italiano che si chiama Gorbaciov ed io: due grandi popoli , pubblicato nel '91 da Panta. Poi ho scritto qualcosa per i giornali, e ho scritto anche la mia tesi su Tarkovsky in italiano. Ma niente di letteratura. Ho scritto per la maggior parte in inglese, perché e stata la prima lingua in cui mi è piaciuto scrivere. Anilda Ibrahimi- Lei diceva prima che non esiste più la letteratura nazionale. Secondo lei in questo momento esiste la letteratura universale. Poi ci ha raccontato la sua storia dicendo che se non ci fossero le piccole guerre, dei popoli non gliene fregherebbe niente a nessuno. Poi ci ha raccontato di come è stata lanciata in America, e in altri paesi. Non è che è stata proprio questa sua nazionalità, questa guerra, che l'ha lanciata nel mondo della letteratura? Mi sembra che ci sia una contraddizione: dire che non esiste più la nazionalità, mentre lei la sua fortuna l'ha fatta grazie a questa nazionalità, a sua guerra. Jasmina Tesanovich- Il successo è una cosa. Essere stata pubblicata senz'altro ha a che fare con il fatto di essere stata una serba, paese che etnicamente ha pulito metà balcani e che poi è stato bombardata dalla Nato. Però è un problema loro, non è un problema mio. Io avevo già pubblicato in America e già avevo una carriera letteraria avviata. Ho scritto cose molto più importanti di questo libro di guerra, che non ritengo il più importante dal punto di vista letterario. Adesso parlando filosoficamente del fatto, la costruzione del nemico, la mia identità letteraria era loro, non era la mia. Voglio dire, io non parlavo dal punto di vista nazionale, sono loro che vedevano l'altro. Il successo del mio libro sta proprio nel fatto che i lettori non vedevano l'altro, ma se stessi. I miei lettori americani pensavano: "Oddio questa donna serba che dovrebbe essere cattiva, invece è una donna come me, che vive gli stessi problemi". Io direi che non c'è una contraddizione, c'è il mondo così com'è. La voce universale è sempre secondo me nazionale. Ha certamente elementi nazionali, come la lingua, la cultura, i costumi, da cui non puoi prescindere. Se per qualche ragione fosse successo a voi invece che a noi di essere bombardati dalla Nato, avreste lo stesso trattamento dell'altro che viene demonizzato, a torto o meno. Amor Dekhis- Sull'elemento universale, io non so se lei sia d'accordo, è come la storia. La storia la scrivono spesso quelli che vincono, come l'economia, lo stesso mi sembra per la letteratura, quella che domina è sempre quella anglosassone. L'elemento universale mi sembra poco definito, perché io quando leggo per esempio libri americani considerati universali per il loro contenuto, e nel frattempo leggo un altro libro di un altro paese africano o del mondo arabo, vedo quasi le stesse cose, magari raccontate in un'altra maniera, in un altro spazio, ma dove la condizione umana è ancora più forte. Volevo insistere su questa definizione di arte universale e arte minore. Jasmina Tesanovich- Purtroppo io non sono molto brava a dare delle risposte. Per me l'elemento universale è quello che io riconosco in altri scrittori, antichi e moderni, come Sant'Agostino e Carver per esempio, perché per me è sempre il personale che dà l'universale, cioè la voce di una persona testimone dei suoi tempi. Se tu leggi la storia, oppure la poesia, è sempre una persona che osserva e che parla dal punto di vista dell'uno e dell'umano: amo, odio, ammazzo, guadagno. Proprio la costruzione del tempo parte dall'individuo. Per me questo momento universale dovrebbe sempre partire dal particolare e dall'individuo, e da quella che è la coscienza individuale. Io adesso sto scrivendo un romanzo su Nefertiti ambientato nel XIV sec. a.C. Guarda che a quei tempi c'era più coscienza umanista che nel medioevo e nel XVIII secolo. C'è molta più presenza femminile nella cultura e nella storia che poi è andata persa. Però, se non ci fossero queste scritture personali su come si viveva, su come si pensava rispetto agli dei, rispetto all'amore, al matrimonio, ai figli... Molte cose sono stranissime, per esempio le alleanze emotive che si facevano all'interno della famiglia in Grecia antica erano stranissime rispetto ai criteri di una madre oggi. Perché la madre non amava il figlio come lo ama oggi, che è un rapporto primario, sapete perché? Perché lei poteva essere buttata fuori casa dal marito in qualsiasi momento, che ne aveva il diritto, quindi non poteva stabilire rapporti affettivi con il figlio. La categoria universale della madre con il rapporto primario con il figlio viene discussa a questo punto perché nella Grecia antica non esisteva, la madre era più legata ai fratelli e al padre, perché era lì che aveva la sua vita sicura. È così vedi che l'universalità non è una cosa astratta, non esiste madre/figlio, esiste il rapporto umano che si ha in quel momento tra di loro. È così che lo definirei: una cosa molto fluttuante, che però deve partire dal particolare e da un particolare molto onesto, perché molti scrittori mentono, e mentono molto bene. Amor Dekhis- Non crede che questa divisione degli ambienti intellettuali non sia definita dagli intellettuali stessi ma da quelli che detengono il potere? Perché io vedo che si può anche lavorare insieme senza conflitti, in genere ci accettiamo, c'è la volontà di accettare l'altro. Jasmina Tesanovich- Sì, credo che siano sempre le ideologie dominanti quelle che poi rendono la vita più difficile. Parliamo per esempio della chiesa, sia essa cattolica che ortodossa, qualsiasi ideologia che parte dall'alto e viene giù, complica la vita. Quindi sono d'accordo. Cecilia Rinaldini - Mi interessava moltissimo il discorso sul diritto all'uso di una lingua costruita. Cioè: ciascuno ha il dirittto di scegliersi la lingua che crede e in cui scrivere, e di non sentirsi con minor diritto di quelli che magari la usano come lingua madre. Anzi, tu parlavi quasi di uno scardinamento di quest'idea di lingua madre e di lingua prima, facevi l'esempio degli scrittori dell'Europa dell'est che cominciano ad usare un inglese particolare, diverso da quello che si parla in Inghilterra o negli Stati Uniti, ma dagli esiti interessanti. Volevo sapere se questa rivendicazione al diritto dell'uso di questa lingua costruita è già una consapevolezza diffusa e trasversale, se c'è già una sorta di movimento di rivendicazione. Jasmina Tesanovich- Sì, questa è una mia esperienza concreta. Dalla caduta del muro di Berlino, nell'Europa dell'est si fanno un sacco di cose. Io, sia come studentessa che come insegnante, ero a contatto con l'Est e l'Ovest, e l'unica lingua di contatto tra polacchi, tedesche ecc. era l'inglese. Tutti parlavamo inglese e poi magari c'era anche un inglese che però rimaneva isolato, perché nessuno lo capiva. Tutti noi ci capivamo molto meglio, e poi veramente ho scoperto che esisteva una terminologia, un modo di costruire le frasi che era un denominatore comune dei no native english speakers. Gli americani, poi, vanno molto meglio perché hanno cambiato loro stessi l'inglese, e quindi si adattano di più a questo nuovo inglese, però i veri inglesi stavano molto male. Loro si mettevano a parlare questo proper english e tutti scoppiavano a ridere. Questa lingua esiste già ma non si chiama più pidgeon english, come una volta, perché è una cosa brutta. Adesso esiste il termine coniato per l'occasione, anche se non lo ricordo più. Esiste anche la lingua letteraria, per esempio la mia amica che sta facendo una nuova collana a Barcellona con la casa editrice Planeta, lancia un'edizione di autori che scrivono o hanno scritto romanzi in questa lingua non loro, che è appunto l'inglese. Però' anche in Sud Africa c'e un inglese particolare, poi ci sono i cinesi, c'è quella donna premio Nobel che ha scritto in inglese. Tutte persone che hanno usato la seconda lingua e l'hanno cambiata. Dovremmo essere più tutelati come autori che pubblicano negli altri paesi. Julio Monteiro Martins- Ci sono diversi modi in cui uno scrittore vede il suo mestiere e di stabilire un rapporto con la scrittura anche come scopo. Alcuni possono vederlo come una carriera come qualsiasi altra, come fare il dentista, altri come una possibilità di espressione mondiale, e qui a volte si vedono narcisismi, culto dell'ego, ecc., altri lo vedono come una specie di sacerdozio, per esempio nelle lettere che scrive Kafka a Felice Bauer o a Milena si capisce che la sua visione dello scrivere era quella di cambiare il mondo. Quando uno entra nel giro dell'editoria internazionale o delle riviste, noto spesso che quello che io chiamo il sacerdozio della letteratura viene spostato, e a volte uno neanche si accorge di questo processo, verso una sorta di business, verso una carriera, e questo finisce necessariamente per cambiare anche la natura stessa di quello che scrive, perché alla fine forse scrive cose che sono più accettate da questo tipo di ambiente, editoriale, finanziario, culturale, una sorta di radical chic che esiste nelle grandi capitali. Anche tu consideri questo un rischio per lo scrittore o no? Jasmina
Tesanovich- A dir la verità considero privilegiati quelli che possono
adattarsi ai gusti altrui. Anche se qualcuno mi desse un sacco di soldi
e mi dicesse di scrivere certe cose non potrei, tento a volte, ma proprio
non ce la faccio a scrivere delle cose che non so scrivere. Posso scrivere
solo in un modo e basta. E che poi cambia, cioè, i libri che ho
scritto cinque anni fa non somigliano a quelli che scrivo oggi. Non so
come fanno gli altri, io ho cominciato a scrivere per rabbia, perché
nessuno scriveva delle cose che capitavano a me, che erano sotto i miei
occhi, la gente mentiva su quello che era il mondo, che erano in specifico
le mie guerre, ma ancora prima delle guerre, io scrivevo. Julio Monteiro Martins: E purtroppo oggi giorno c'è più interesse nel sapere la loro opinione su tutto e su niente, che leggere la loro opera. Si conosce molto di più sulle idee degli scrittori che su quello che scrivono. Jasmina Tesanovich- Se non vanno in tv, se non pubblicano sui giornali, non vendono nemmeno quel poco che vendono, e poi quello che vendono non è nemmeno detto che venga letto. Va comprato perché lo hanno visto in tv. E' vero? Amor Dekhis- Lei prima ha parlato del contenuto della scrittura, di un bravo scrittore capace di evocare la condizione umana, e poi ha aggiunto che abolirebbe lo scrittore al potere, e allora mi chiedo: uno scrittore può essere un mostro, un criminale, un pervertito, che scrive bei libri? Quando si scrive, certo, lei viene da una realtà di guerra, anch'io del resto, e non possiamo trascenderla, però lo scrittore non è solo questo, deve impazzire un po' per scrivere, altrimenti non scrive. Come se dovesse fare una rivoluzione momentanea nel cervello per poter scrivere. Jasmina
Tesanovich- Beh, è una domanda strana. Impazzire momentaneamente
per poter scrivere... non lo so. Io non credo che gli artisti siano più
pazzi degli altri, solo che gli altri che stanno zitti. Ci sono tanti
che bevono e fumano e non scrivono una riga... Julio Monteiro Martins- Faccio un'inevitabile domanda sulla questione della guerra. Voglio dire, in mezzo a tutta la propaganda da un lato e dall'altro, c'è stato in un determinato momento un consenso della popolazione serba, una parte della popolazione serba legata ad una determinata illusione di grande Serbia, o di razza, ecc., che ha dato quel minimo supporto. In un certo senso una parte della tua cultura nazionale aveva preso quella piega, come ti sentivi in rapporto a questa realtà? Jasmina
Tesanovich- Io avrei potuto uscire dalla Serbia con la mia famiglia, ma
non l'ho fatto, anche se mi sentivo in colpa soprattutto per mia figlia
che era veramente piccola, davvero vittima di guerra, tanto che mi chiedevo:
"Oddio, se le succede qualcosa io mi ammazzo, perché è
colpa mia che non l'ho portata fuori", tutt'ora mi sento in colpa
perché è una ragazza cresciuta in guerra. Malgrado ciò,
veramente non volevo uscire dal mio paese perché avevo paura di
diventare nazionalista, ma perché stavo fuori, non stando dentro,
perché andando fuori, venendo un paio di volte in Italia e poi
negli Stati Uniti e a Vienna per lavoro, ho capito che quando uscivo fuori
dal mio paese e sentivo dire cose come: "Tutti i serbi son cattivi,
tutti i serbi sono nazionalisti", allora mi mettevo a difenderli
e diventavo anch'io nazionalista. Stando in Jugoslavia, in Serbia e a
Belgrado, almeno potevo far la differenza fra la gente e dire: "Guardate
che non solo non tutti sono nazionalisti e scemi, ecc., ma molti di più
non lo sono". Questo per me è stato molto pericoloso, ma molto
salutare, non so se ho fatto bene o meno, ma sarei impazzita ancora di
più probabilmente, perché avere la guerra in testa è
molto più pericoloso. Sonia
Sabelli- Per tornare un po' al discorso degli autori stranieri che scrivono
in italiano, all'interno del discorso generale degli scrittori che scrivono
non nella loro lingua madre, e che quindi si ritrovano un po' in una posizione
subalterna rispetto ai primi, in quanto si ricrea ancora un'altra gerarchia.
Credo che, come dicevi tu, ci sia proprio un movimento mondiale di attacco
al Royal English, un movimento di scrittori afroamericani, angloindiani,
che stanno facendo questo lavoro sulla lingua. Rispetto invece all'esperienza
di questi scrittori qui oggi, di cui abbiamo parlato in questi giorni
e che comunque scrivono in italiano e quindi hanno sia il confronto con
gli scrittori italiani madrelingua sia con quegli che scrivono in inglese
come lingua seconda, si ricrea ancora una situazione di egemonia. Visto
che tu dicevi di scrivere in inglese perché rimanere all'interno
della cultura serbo-croata significa un po' ghettizzarsi in una cultura
nazionalista. Jasmina Tesanovich- È sempre una risposta molto personale, perché io veramente non mi trovo bene nella letteratura serba. Le cose che ho scritto in serbo e pubblicato in Serbia, non sono mai entrate nella mainstream, nonostante avessi un gran pubblico e i miei libri si studiassero all'Università. Perché, non lo so, non chiedermi il perché. Il mio posto all'interno della letteratura serba è al di fuori della mainstream. Quindi, io non voglio essere una scrittrice serba né americana, però di solito le culture sono chiuse. Loro sanno benissimo quello che va bene, e se uno è un pochino fuori e scrive cose diverse-nel mio caso forse perché sono femminista, o scrivo delle cose personali- non rientra tra gli scrittori principali. Comunque, la letteratura serba è bellissima, con poesie bellissime, non scrivono con voci piccole, quindi io non trovo posizione nella più alta tradizione serba. Credo che anche nella letteratura italiana ci sia una mainstream, se tu ci appartieni va tutto benissimo, se non ci appartieni tanto vale tu scriva in inglese, insomma. Julio
Monteiro Martins: Grazie per essere intervenuta ed avere apportato al
seminario un punto di vista così originale.
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