Venerdì 19 luglio - mattina - Editor, editing e ulteriori questioni editoriali
Cecilia Rinaldini- Quando ieri parlavate di editing, mi sembra che avevate posizioni un po' divergenti. Mia, volevo chiederti allora che tipo di rapporto si viene a creare con questi scrittori e se tu ti senti in qualche modo un coautore. Mia
Lecomte- Posso parlare del criterio di selezione dei testi, a cui poi
segue il lavoro di editing. Quando
mi danno un testo da leggere, e io devo decidere se pubblicarlo o meno,
devo cercare di capire essenzialmente se c'è poesia. Questo è
il mio settore, e la poesia io la sento con un'evidenza fisica, non vado
a guardare la grammatica, la struttura... Quando mi accorgo che c'è
un poeta, perché questo è evidente, si sente, devo confrontarmi
con diversi gradi di padronanza della lingua. In certi casi non c'è
bisogno di nessun intervento. In altri casi, invece, la qualità
formale è compromessa da delle sbavature che la danneggiano e non
permettono ad un orecchio non allenato di recepirne la qualità.
Il lettore italiano medio che entra in una libreria e prende in mano un
libro incompiuto dal punto di vista formale, pensa : "Come mai le
cose non tornano? Che razza di libro è?". E' abituato ad un
qualità grammaticale, sintattica e anche banalmente ortografica,
che non può assolutamente mancare. Ci sono riviste che hanno cercato
comunque di pubblicare del materiale grezzo, cercando di esaltarne il
valore implicito, però questo è in grado di comprenderlo
chi è in grado di sentire che cosa è letteratura, un lettore
medio no, non riesce a prescindere da una determinata veste, anche superficialmente
forse. Anilda
Ibrahimi- Sinceramente, io ho lavorato con Mia, per la poesia, e mi chiedo:
se lei un giorno si dovesse trasferire negli Stati Uniti, io come farei
? Mia Lecomte- Con Visar, un validissimo scrittore albanese, il discorso è diverso perché lui scrive sia in albanese che in italiano, e la narrativa la scrive soprattutto in albanese. Anilda può testimoniare: ha un traduttore che è un disastro. E io mi sono domandata: " Perché é un disastro? Non può essere uno che non sa tradurre, ora ha avuto anche la cattedra di lingua e letteratura albanese all'Università di Roma" . E poi mi sono accorta che è perché non è capace di discutere abbastanza. Visar è una persona molto determinata nelle sue cose, però non sa l'italiano abbastanza, e questo traduttore sostanzialmente non ha voglia di litigarci, lo lascia intervenire troppo, e in certi casi non si può fare. Penso sostanzialmente che ci sia una fase iniziale che debba essere accompagnata, soprattutto per la poesia. Poi ci sono autori come mio padre, per esempio, che sono quarant'anni che scrive in francese e ancora ha bisogno di essere accompagnato nell'italiano. Direttamente in italiano scrive solo aforismi, narrativa, ma poesia ancora non si azzarda, come Brenda ieri, perché la musicalità del francese, che è legata alla parte più profonda di sé, non riesce a lasciarla per l'italiano. Io, sinceramente, se dovessi emigrare in un altro paese, non so se riuscirei a smettere di scrivere in italiano, è una scelta veramente coraggiosa ed è una capacita di ricrearsi e reinventarsi proprio straordinaria. Julio Monteiro Martins- Volevo dire qualcosa in proposito. Innanzitutto la questione del coautore o meno. L'autore deve menzionare e citare tutte le persone che hanno collaborato, e questo in Italia non è un'abitudine molto seguita. Io, invece, nei miei libri, dopo il frontespizio, ho sempre messo i ringraziamenti a chi, in un modo o nell'altro, ha contribuito al libro, è un atto dovuto e una questione di onestà intellettuale. Un'altra cosa che volevo aggiungere, in Brasile ho avuto per qualche anno una casa editrice chiamata Anima, che ha pubblicato più di sessanta titoli in un periodo di sei anni. Ricevevo anche tanti originali e dovevo fare l'editing, con diversi livelli di revisione, in certi casi bastava una revisione ortografica, e c'erano altri in cui c'era bisogno di un certo editing; questo dove capivo l'intenzione di una certa idea, ma il linguaggio con cui l'autore la esprimeva non era chiaro, e così proponevo dei cambiamenti, che di solito accettavano. Voglio dire, non darei tanta importanza alla questione dell'editing dello scrittore straniero, perché sugli originali che arrivano le case editrici fanno necessariamente un certo editing. Insisto perché non vorrei che il fatto che sui testi degli autori cosiddetti migranti sia fatto un editing, sia poi usato come elemento di riduzione del loro merito. Tutti gli autori, migranti e non, devono passare da questo processo. Quando esce un libro di Magris o di Erri De Luca, nessuno chiede loro che tipo di editing è stato fatto, quali suggerimenti, quante revisioni, invece, per lo scrittore migrante diventa una questione importante, forse un pretesto per metterli in una categoria inferiore rispetto agli altri. Certo è interessante conoscere il dietro le quinte della scrittura, ma allora questo tipo di domande va fatto a tutti. Mia Lecomte- E una polemica che curiosamente ho visto anche all'interno degli stessi scrittori migranti. Per esempio, un poeta iracheno che conosco, che è anche traduttore e quindi ha una conoscenza linguistica dell'italiano veramente sottilissima, sono trentacinque anni che vive qui, è sposato con una italiana, quindi ha una consapevolezza linguistica superiore, critica un suo connazionale, un valido poeta, dicendo che ha bisogno ancora di una sistemazione dei suoi testi perchè traspone delle immagini della cultura mediorientale in italiano e dal punto di vista strettamente tecnico-linguistico non funzionano. Dice: "Se dovessi tradurre io le sue poesie dall'arabo all'italiano, non le tradurrei così, non è il modo migliore di renderle". Ha l'orecchio sulle due lingue e se ne rende conto, un lettore medio no, quindi è una polemica che viene fatta anche internamente, in questi termini: "Io valgo di più perché la lingua la so meglio, tu la sai peggio, aspetta di impararla adeguatamente e poi dopo ci confrontiamo". Amor Dekhis-Penso che sia una caratteristica locale, in tutti i campi. Ho conosciuto molti pittori iracheni e nessuno parla bene dell'altro... è normale e poi dopo li vedi al bar che bevono insieme e schezano su qualcun'altro... però il tutto è abbastanza pacifico. Io vorrei parlare del campo del libro. Mi sembra che manchino degli specialisti, insomma, il libro non esce mai come è stato consegnato. Io non so se è un lavoro di editing, oppure fatto da qualcuno che fa anche tante altre cose...Vorrei chiedere a Julio se lui non crede che ci vorrebbe un'agenzia letteraria che si occupa di italiani, e dei migranti che ne hanno maggior bisogno?. Mia Lecomte- Chi fa questo lavoro nelle grandi case editrici lo fa con finalità commerciali, quindi il testo viene cambiato in funzione del gusto del pubblico. Non esiste più la figura dell'editore classico che si innamorava letteralmente dei propri autori, e collaborava perché emergessero al meglio, e venissero giustamente apprezzati. Questa figura non c'è più anche perché c'è una grande ignoranza. E poi sempre più spesso chi lavora nelle case editrici è una persona di formazione economica e non umanistica, per cui ha l'orecchio e l'occhio viziati da altri parametri, insomma. Per fare un lavoro di editing per me ci vuole dell'affettività, ci vuole dell'empatia, personalmente riesco a farlo solo con degli amici, con coloro che sento istintivamente vicini, non con tutti. Julio
Monteiro Martins- Vorrei rispondere ad Amor sulla questione dell'agenzia
letteraria. Prima però vorrei parlare di editing fatto e di editing
subito. Una volta mi è arrivato un libro, un romanzo interessante,
una sorta di storia di gangsters, di banditi con a capo una ragazzina
di tredici anni, un personaggio piuttosto inverosimile. Il libro era stato
scritto in terza persona, per cui le azioni diventano automaticamente
più importanti, poiché la terza persona rappresenta uno
sguardo esterno, nel caso del narratore assente e onnisciente, mentre
invece il lato più curioso era la psicologia del protagonista,
della ragazza di tredici anni. Allora ho suggerito all'autore, Allan Zimmerman,
un allievo mio nel Vermont, di riscrivere il libro in prima persona, e
così dopo sei mesi é tornato con un libro molto superiore
rispetto al primo. Questo è un contributo che una casa editrice
può dare. Oggi non c'è l'editoria di una volta, ma non è
detto che non ci sarà più. Nella scuola Sagarana, una delle
materie del primo anno del Master è proprio Etica della letteratura.
Spero che ne esca qualche buon scrittore, ma anche se non accadesse, tutti
diventeranno lettori migliori e qualcuno magari potrà andare a
lavorere in una casa editrice. Io spero che questi tipi di corsi contribuiscano
ad un salto di qualità. Mia Lecomte- Se poi fa anche l'editor, ti dice: "Io conosco la casa editrice, se vuoi pubblicare, ad esempio, con Feltrinelli, devi fare qualcosa di divertente, se con un'altro editore qualcos'altro"... in funzione del mercato. E la cosa più scandalosa degli agenti letterari in Italia è che c'è un pagamento per la lettura del testo senza nessuna garanzia che poi loro ti scelgano come autore. Le grosse agenzie funzionano cosi. Julio Monteiro Martins- Io non l'ho mai fatto ma conosco persone che hanno speso molti soldi, e non mi risulta che questi libri siano poi stati pubblicati attraverso questi agenti. Allora gli agenti dovrebbero fare come negli Stati Uniti e in Inghilterra, che controllano anche che il diritto d'autore sia rispettato. Se la cosa funzionasse sarebbe anche utile per lo scrittore, risolverebbe un sacco di problemi. Nei paesi anglosassoni ci sono agenti che si dedicano agli autori inediti americani, ci sono agenzie esperte nel cercare autori inediti, offrendo loro anche contratti pluriennali. In Italia gli agenti letterari sono persone che negoziano le opere di autori stranieri famosi nei loro paesi, i cui diritti d'autore non sono stati ancora acquistati durante le fiere come quella di Francoforte, o di Parigi... Mia Lecomte- O di già noti autori italiani che giocano tra una casa editrice e l'altra per strappare il contratto migliore, sostanzialmente. Julio Monteiro Martins- Perché gli autori italiani all'estero raramente usano agenti italiani, si rivolgono a quelli tedeschi, francesi. Un autore nuovo italiano non interessa a nessuno. Mia Lecomte- Anche a me hanno consigliato di mandare un testo ad una casa editrice straniera: lo pubblichi magari prima in Inghilterra e poi torni in Italia; ti costruisci come scrittore all'estero, perché c'è chi lo sa fare, e poi torni in Italia con una fama estera. Si sa che gli italiani sono esterofili, insomma sei a posto. Ma è brutto. Julio Monteiro Martins- Il suggerimento che ha dato Amor è un idea straordinaria, bisogna farsi la domanda se e fattibile o meno. Prima non so se c'è una persona in grado di farlo, e se questa ha interesse a pubblicare piccoli autori che non hanno nemmeno un libro pubblicato. Mia Lecomte- Gli agenti lavorano per le case editrici, da cui dipendono le loro entrate, la percentuale sui contratti che stupulano. Per garantire delle entrate alle case editrici, e di conseguenza a sé stessi quindi, costringono l'autore sin dall'inizio a rientrare in certe categorie per poter eventualmente vendere di più. Esattamente la meccanica opposta di quella che ci dovrebbe essere. Julio
Monteiro Martins- Mi sembra che questo rapporto sia deludente, penso che
il lavoro meglio riuscito sia quello in cui si instaura un rapporto diretto
tra l'autore e la casa editrice. Mia Lecomte- A me è successo per un mio libro per bambini, che poi e uscito l'anno scorso con un'altra casa editrice. L'avevo mandato in visione qualche anno fa ad una casa editrice romana, e siccome l'editrice era amica di una mia amica, questa mi aveva detto: "Mettici insieme un tuo libro di poesie con una dedica, so che le farà piacere". Così le ho mandato tutto e tutto mi è tornato indietro, anche il libro di poesie... Anilda Ibrahimi- Ho un amico che vive in Messico e che lavora per diverse case editrici. Così gli avevo chiesto di darmi dei consigli su come funzionava l'ambiente. A lui piace molto la mia poesia, ma mi ha detto che poesia non ne vuole nessuno, e nemmeno i racconti. E molto viene giocato anche sull'immagine dell'autore. Mi diceva: "Devi raccontare delle storie sulla tua famiglia, le nonne, le zie intorno, la famiglia, alla moda di Isabelle Allende. Sei giovane, carina, ci facciamo delle belle foto e con un romanzo sull'universo femminile, il gioco è fatto. Te lo dico da amico, mettiti a scrivere romanzi". Julio Monteiro Martins- È davvero così. Una volta un'agente letteraria di New York mi ha proposto di scrivere un romanzo in inglese su Carmen Miranda, Pelé, quelle poche cose che gli americani sapevano che erano brasiliane, "metti tutto insieme lì, con una bella copertina...". Anilda Ibrahimi- Io ci ho anche provato, lo confesso, ma non ci riesco, non si scrive un romanzo a comando, a me interessa l'universo femminile, anche per il mio lavoro, però scrivo tre righe e mi blocco, non è a comando... Mia Lecomte- Ci sono scrittori che hanno ceduto. Per esempio Dario Bellezza, che per me non è un romanziere ma solo un poeta, come tutti i veri poeti, mi diceva sempre, specie negli ultimi tempi: "Perché non scrivi un romanzo? Scrivi un romanzo e poi la poesia viene al seguito, perché un romanzo tu puoi pubblicarlo in qualche modo, prima o poi ci si arriva ad una casa editrice grossa. La poesia è destinata ad una casa editrice piccola, che non conosce nessuno. Dopo che tu hai scritto un romanzo puoi pubblicare anche le poesie, io ho fatto così". Dunque lui ha scritto sei romanzi o più soltanto per essere conosciuto come poeta! E inseriva addirittura le poesie nei romanzi, in molti romanzi suoi ci sono i suoi testi poetici, perché lì sarebbero stati letti mentre magari da qualche altra no. Julio
Monteiro Martins- Gli editori a volte dicono: non pubblichiamo collane
di racconti perché il pubblico non legge racconti. Allora, io potrei
darvi una lista di numerosi grandi scrittori che fanno grande successo
editoriale in Italia, e che scrivono in pratica solo racconti: da John
Cheever a Borges, da Cortazar a Buzzati. Carver che è tanto di
moda e che non ha mai scritto un romanzo in vita sua. In tutta l'America
latina il racconto è da trent'anni il genere preferito, in primo
luogo perché il racconto richiede la perfezione della forma. Uno
scrittore un po' scarso può sempre scrivere un romanzo perché
ci sono tanti punti in cui può essere più "floscio",
però, si arriva alla fine. Ma nel racconto, a causa della sua brevità,
non può mancare nulla e non può avanzare nulla, è
preciso, è un meccanismo a orologeria. Inoltre, io personalmente
credo che il racconto sia molto più in sintonia con la sensibilità
e soggettività contemporanea rispetto al romanzo, perché
prima abbiamo tutti una visione più frammentaria del mondo, un
libro di racconti può presentare un universo molto più ampio
perché sono frammenti che si ricollegano, in secondo luogo perché
la nostra ricezione è già abituata a questa brevità.
Se tutti i cantautori decidessero di fare un cd con lo stesso brano di
cinquanta minuti vorrei vedere che cosa succederebbe... invece tutti scrivono
12 brani da tre minuti, ma tutto il cd mantiene un'unità interna.
Allora anche una collana di racconti può rappresentare questa varietà
e unità. Ma si dice: il lettore vuole risiedere dentro un libro,
solo un libro di trecento, quattrocento pagine ti può permettere
questo. Non so se questo sia vero, però, se devo fare un viaggio
in treno da Lucca a Prato, di circa cinquanta minuti, a me piacerebbe
leggere l'inizio, la metà e la fine di una storia, ma questo è
il mio gusto personale, tanto che io compro molte più collane di
racconti che romanzi, ma sono trent'anni che affronto questo preconcetto,
preconcetto brutto, perché è di genere letterario. Questo
vende e vale, questo non vende e non vale. Vediamo il premio Viareggio,
o Campiello, o Strega, che sono ufficialmente premi per tutti i generi
di narrativa, e tutti gli anni ci sono cinque finalisti e sono sempre
romanzi: allora i racconti non valgono nulla! E questo è grave
per l'Italia, mi sembra che negli Stati Uniti sia diverso, anche se lì
il romanzo ha la sua priorità, c'é un mercato editoriale
di autori di racconti, come Donald Barthelme, John Cheever, Flannery O'Connor,
Raymond Carver, Joyce Carol Oates. Questi sono tutti autori americani
che negli ultimi decenni hanno fatto successo scrivendo racconti. Nell'America
latina il fenomeno, come ho già detto, è ancora più
ampio, come mai in Italia e in Europa è così? Io non capisco
e non lo accetto. Mia Lecomte- Ci avevano pensato. Per esempio Feltrinelli, e anche Bompiani, dopo il succeso di Taufik. però poi la conclusione è stata che per ora è meglio lasciarlo così indistintamente tra gli autori italiani, perché forse può essere controproducente fare una collana apposta. Julio Monteiro Martins- È vero, però se si lascia tra gli autori italiani, bisogna almeno che come autori italiani ci sia qualcosa, e al momento sono abbandonati, vivono in un limbo editoriale totale, quando pubblicano, lo fanno con piccolissime case editrici dell'estremo sud o dell'estremo nord dell'Italia, come la Besa, con cui ho pubblicato io per esempio. Vedi, una piccola casa editrice non la trovi nelle librerie, però puoi arrivare e chiedere di fartelo spedire, anche se arriva un mese dopo. Ci sono case editrici che non hanno distribuzione, cataloghi in libreria e quindi non puoi proprio acquisire un copia in nessun modo. Mia
Lecomte- Perché la distribuzione è onerosa, gli editori
piccoli dicono che cercano di evitarla perché porta loro via buona
parte del guadagno, di cui una grossa fetta va anche ai librai, per cui
spesso viene pure chiesto il contributo all'autore, per rientrare nei
costi, che è uno scandalo, ma si capisce. E non hanno ufficio stampa
perché sono costi, e lo stesso vale per l'editor, è difficile.
Julio Monteiro Martins - Bisogna cercare partners nell'area editoriale e tra gli agenti, e far capire loro che le prospettive sono interessantissime. Una volta sbloccata la situazione, quell'editore non avrà soltanto un autore che può produrre tutti gli anni un buon libro, ma avrà un piccolo esercito di autori altamente motivati, con un'identità collettiva molto precisa, su cui la stampa potrà lavorare. Diciamo, trenta autori che scrivono almeno quindici libri all'anno, aprendo così un filone commerciale. Basta che si sblocchi. Se una casa editrice come l'Iperborea, vive solo di libri di autori del mondo scandinavo, un'altra casa editrice può vivere solo di questi scrittori, oppure può farne una collana molto prospera insieme ad altre collane. Mia Lecomte- Comunque delle iniziative ci sono state, e ci sono. Adesso è partita la collana di Gnisci per le edizioni Intercultura, a cui si è già accennato. Ma appunto, dicevo, per me all'interno dei meccanismi editoriali attuali è difficile agire. Forse l'alternativa sarebbe di provare appunto con l'editoria on-line. Allora si aggira un po' il problema, e ci si arriva per un'altra strada, almeno in una prima fase. Julio Monteiro Martins- L'editoria on-line, Mia, ha quel solito problema cronico e risaputo, ovvero, gli italiani non hanno e non avranno mai la cultura dell'acquisto on-line. Loro non dànno il numero della carta di credito, e poi quando due o tre anni fa si è sparsa la voce che qualche numero era stato clonato e utilizzato, non so fino a che punto questa notizia fosse vera o meno, però fatto sta che ha bloccato ancora di più lo sviluppo del commercio on-line. Inoltre c'è la psicologia dell'internauta che non vuole pagare per navigare. Anilda Ibrahimi- Bisogna ricordare che in Italia solo il 20% delle persone hanno il computer in casa. Devo inoltre aggiungere, che se cerco un libro per fare delle docenze e non ho voglia di andare in giro per librerie per cercarlo, me lo ordino in Internet. Ma per il piacere di una lettura mia, racconti o romanzi che siano, io non li comprerei mai in Internet. Mia Lecomte- Ma se tu fai un sito come quello della Sagarana, in cui dai tutto il materiale possibile e i links su questa nuova letteratura, con tutti i percorsi possibili sugli autori che hai deciso di pubblicare, i collegamenti con la loro lingua madre, le letture a viva voce che loro fanno dei loro testi, cioè tutto il materiale informativo sia sul fenomeno che sui singoli scrittori, e la possibilità nel sito di acquistare il materiale, allora hai una panoramica sul fenomeno e la possibilità di acquistare i libri. Julio Monteiro Martins- Poche persone usano Internet, ma ancor meno entrano in una piccola libreria, la gente ha paura. Ha paura che gli si domandi cose che non sa, è un piccolo tempio di una religione, nel quale non entri se non appartieni a quella fede. Ora con le bancarelle forse meno. Ma se prendi una Feltrinelli di Milano, dove siamo stati a presentare il libro Non siamo in vendita, è un tempio, non è mica un negozio, con tutti i poster degli scrittori, tanto è un tempio che rispecchia l'iconografia di una chiesa bizantina, con le foto degli scrittori uno accanto all'altro... Non so se consapevolmente o meno, ma hanno riprodotto un tempio. Mia
Lecomte- Siamo al solito discorso delle persone che sono scomparse nel
tempo. E' scomparso l'editor, è scomparso l'editore, ed è
scomparso anche il libraio che ti consigliava i libri. Io ricordo che
quando stavo a Firenze andavo spesso in una libreria dove chiacchieravo
tanto con il proprietario, mi diceva "Leggiti questo", oppure
mi prestava un libro, e se non mi piaceva glielo riportavo pure. Una volta
il libraio era questo, adesso no, e allora, asettico per asettico, entro
veramente in Internet e mi scelgo quello che voglio. E poi se costruisci
un sito dedicato all'argomento, con finalità editoriali, puoi aggiornarlo
in continuazione, mentre l'editore non ha questa possibilità. Julio Monteiro Martins - Mia mi ha fatto venire in mente una cosa. La letteratura cosiddetta della migrazione è molto più forte, antica, letta ecc. in altri paesi europei, soprattutto in Francia, Inghilterra e Germania. Quindi un'alternativa, visto che qua è tutto bloccato, sarebbe fare una collana di questo genere con le opere scritte in italiano e tradotte in inglese o francese. E' molto più facile che una casa editrice francese sia interessata a questi nuovi autori italiani migranti. Questo magari potrà avere una ripercussione... Mia Lecomte-Ma la cosa interessante è proprio che scrivono in italiano... Se li traduci!... Lo vedo molto americano come discorso, dove fanno i corsi sulla letteratura della migrazione italiana con i testi tradotti in inglese. Julio Monteiro Martins - Sembra una cosa un po' strana però, c'è questo amico mio, Frédéric Pagès, che è un poeta francese, che mi dice spesso: "Julio, ma perché non proponi queste cose qui? Le case editrici qui vanno matte per queste cose!" Anilda Ibrahimi- Questo è quello che diceva Mia l'altro giorno, pubblicare all'estero per avere ripercussione nel proprio paese. Julio Monteiro Martins- È vero. In Brasile c'è una canzone di Milton Nascimento che si intitola Boléia de Caminhão, che dice: il cantante va dove c'è il suo pubblico. Allora se uno ti gira le spalle e l'altro ti apre le braccia, anche se l'altro è di un'altra lingua, ha sempre le braccia aperte... Mia Lecomte- Ma allora è assurdo che tu usi una lingua "intermedia". Scrivi in portoghese e manda i tuoi romanzi in Francia perché te li traducano e te li pubblichino là! E questo non c'entra niente con la letteratura della migrazione! Amor Dekhis- Comunque io non sono d'accordo sul fatto di farsi pubblicare nel proprio paese d'origine, per poi essere pubblicato in Italia, e poi di tradursi di nuovo in un'altra lingua...Basta insomma!!! Mia Lecomte- La ricerca del proprio pubblico, di cui parlava Julio, è valida anche per gli italiani...il passaggio che uno scrittore straniero fa da un paese ad un altro, scegliendo la lingua con la massima accoglienza-e si sta parlando del caso di libera scelta, di un passaggio linguistico non necessitato- in gli scrittori italiani lo fanno da un genere ad un altro. Lo si diceva prima a proposito della poesia, il genere dove si trovano più porte chiuse. Insomma, un poeta vuole un lettore, una comunicazione, se la comunicazione non c'è, sì scrive ugualmente ma è frustrante, è una specie di masturbazione. Per questo, per esempio, sempre Dario Bellezza, diceva di essersi messo a scrivere teatro. Quando vinse il premio Fondi La Pastora, gli chiesero da dove nascesse la sua spinta verso il teatro, e lui rispose molto semplicemente: "Scrivo teatro perché non ho pubblico come poeta, e ho un gran bisogno di comunicare con un pubblico. Il teatro, oltretutto, ha un tipo di pubblico di cui sento fisicamente la presenza, posso avvertire direttamente la reazione". Quindi scriveva del teatro in versi che poi sostanzialmente è poesia, per trovare quel lettore che come poeta non aveva, era un'astrazione. Julio Monteiro Martins - Hai toccato un argomento molto serio, molto importante. Non è un discorso banale dire che l'artista ha bisogno del suo pubblico, e lo scrittore del lettore, è una cosa molto più profonda. C'è un legame, un'alchimia che io non ho mai capito bene, è una cosa tutta nell'inconscio, tra la recettività generale di un testo che tu scrivi e la qualità dei testi che comincerai a produrre. E' una cosa misteriosa che però è così. Lo scrittore che è più letto comincia a scrivere meglio, e l'opposto è la stessa cosa, quando comincia a non essere letto, qualcosa si atrofizza dentro, nella materia stessa della creatività. C'è un legame tra quanto una comunità ama quella letteratura e quanto la letteratura fatta per quella comunita sarà alta. Mia Lecomte- Sì, perché è una comunicazione, è chiaro che se tu parli con una persona e ti accorgi dai suoi occhi, dall' espressione, che gli interessa quello che dici, la voglia di comunicare aumenta e dici delle cose sempre più valide più importanti. Ed è esponenziale, l'altro ti risponderà di conseguenza. Se tu vedi gli occhi a pesce lesso ti passa la voglia di parlare. Julio Monteiro Martins- È vero, però si sente anche dire: il vero scrittore, il vero poeta, non è interessato al fatto che sia letto o meno. Io non credo sia così. Ci sono eccezioni, per Kafka o altri grandi la motivazione, l'alto livello di creatività esisteva comunque, con o senza lettori. Allora, io credo che se ci fossero questi partners legati allo sviluppo della letteratura della migrazione in Italia, in pochi anni il livello delle opere salirebbe enormemente. Mia Lecomte- È da quando è iniziato il seminario, che continua a frullarmi per la mente l'idea del sito, adesso ci pensiamo. Julio Monteiro Martins - La Sagarana ha già una media di trecento visitatori al giorno. Mia Lecomte- Voglio dire, se tu sai che tutto quello che ti interessa su un argomento lo trovi in un posto specifico, cominciano gli addetti ai lavori, e poi si diffonde la voce, e diventa un punto di riferimento importante. Puoi mettere tutto quello che esiste, anche, che ne so, gli autori che leggono nella loro lingua e in italiano, oppure un abbozzo di traduzione in modo che l'autore possa comunicare con i propri lettori originali, quelli della madrelingua. C'è infatti sempre la questione di una sorta di tradimento della lingua del proprio paese d'origine quando si scrive nella lingua di quello d' accoglienza: si possono mettere delle traduzioni, anche un po' sommarie, cosicché, ad esempio, se anche la mamma di Anilda vuol leggere quello che scrive la figlia, può farlo. Julio Monteiro Martins - Volevo dire che le precondizioni materiali ci sono tutte. C'è già una sezione chiamata scrittori migranti, che ospiterà anche questo seminario, volendo possiamo anche cambiare il nome, lo spazio costa poco, e poi il prossimo anno ci sarà il convegno sulla scrittura on-line. Ma siccome la Sagarana è un'associazione non a scopo di lucro, non posso vendere niente, non posso fare attività commerciale. Anilda Ibrahimi- Puoi fare un'associazione Onlus, tanti le creano per scaricare le tasse, o per avere finanziamenti. Mia Lecomte- Tutti sarebbero disposti a collaborare, anche inizialmente non pagati. Julio Monteiro Martins- I sistemi di scaricamento dei libri sono falliti, mi sembra. La cosa ideale sarebbe iniziare così, e poi vedere come va. Ma ti dico la verità, Mia, io ho quarantasette anni, non voglio più fare cose amatoriali, minuscole, non ho più tempo. Mia Lecomte- Ma questo e un progetto grandioso! Non è minuscolo e amatoriale. Julio Monteiro Martins - A questo punto preferisco leggere, scrivere, stare con mio figlio, perché so che una cosa che comincia senza risorse, è uno sforzo fisico enorme. Mia Lecomte- In Italia è così: fino a che non c'è qualcuno che prende in mano una situazione non cambia niente... Julio Monteiro Martins - Allora è perché non doveva essere... perché non è arrivato il momento, dobbiamo essere un po' fatalisti. Faccio qualsiasi cosa pur di non arrivare a quella situazione che ho vissuto già tante volte in passato, dopo mesi di lavoro duro arrivare alla conclusione che già dall'inizio era una forzatura. Mia Lecomte- I tempi sono maturi, bisogna semplicemente avere la coerenza di dire: "Va bene, se siamo arrivati a questo punto con tutte queste cose da mettere insieme, se non c'è un interesse pratico, la pratica ce la metto io". Julio Monteiro Martins- Io faccio il discorso opposto, vorrei essere ottimista ma non lo so. Delle nove persone che dovevano venire quattro hanno cancellato. Io non sono convinto che non sia.... Mia Lecomte- Ma qui non è che devi investire miliardi che poi non rientrano... Julio
Monteiro Martins: Vediamo, via...Avrei forse più successo se mettessi
su un ristorante brasiliano!
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