Mercoledì 17 luglio - pomeriggio - Criteri di definizione Interventi di Mia Lecomte, Selena Delfino (redattrice di Prospektiva), Anilda Ibrahimi, Eugenia Mazza, Julio Monteiro Martins, Amor Dekhis, Sonia Sabelli (ricercatrice). Mia Lecomte - A mio avviso il tracciato attuale della letteratura prodotta da stranieri nella nostra lingua potrebbe essere la brevissima parabola di qualcosa che prima non c'era e poi diventerà letteratura italiana, una letteratura italiana che certamente viene sempre più configurandosi, e questo si deve cominciare ad accettare, come qualcosa di molto diverso dal passato, come già si è detto della tedesca, e come è avvenuto per la francese o l'inglese. In che termini sia giusto definire, nel frattempo, questo tracciato, è un problema che si è già posto, ed è stato risolto diversamente. Selena
Delfino - Ho partecipato ad una iniziativa del Comune di Milano, un concorso
letterario dedicato ai giovani dell'interland milanese. Questo evento
si chiama "Subway letteratura", perché i racconti dei
dodici
finalisti selezionati, venivano esposti in box o jubox nelle gallerie
e crocevie della metropolitana. L'iniziativa ha avuto un grande successo,
i dodici vincitori hanno pubblicato ognuno il loro raccontino e sono state
distribuite 15.000 copie, più altre quindicimila che sono andate
in ristampa e si stanno distribuendo in questi giorni. Julio
Monteiro Martins - Una frase che le avevo scritto era: noi dobbiamo conquistare
il diritto alla normalità. Volevo dire che sentivo un interesse
culturale rispetto a questa letteratura, perché ci sono spazi nelle
riviste, concorsi, collane ecc, spazi specifici purché questi scrittori
si rassegnino a rimanere nella nicchia degli scrittori migranti. Il sistema,
così facendo, crea un filone a parte che non minaccia lo status
quo, senza farli rientrare nella mainstream, mentre quello che rivendicano
questi autori, visto che scrivono in lingua italiana, su fatti e personaggi
italiani, storie ambientate in Italia, è che le loro opere siano
rispettate e valorizzate, indipendentemente se gli scrittori siano nati
qui o altrove. Mia Lecomte: Sì, ma nel frattempo come definisci quello che è in corso, che c'è? Julio
Monteiro Martins - Analizzando il percorso di ogni scrittore, la sua storia
personale, mi sembra quasi che ognuno dovrebbe avere la sua propria etichetta.
Anilda Ibrahimi- Avete ragione entrambi. Perché anche le definizioni servono, e forse bisogna vedere con quali criteri classificare gli scrittori. Julio Monteiro Martins- Oggi usiamo diverse definizioni: letteratura della migrazione, migranti, transculturale, letteratura di ibridazione, interculturale, mi sembra ci sia un po' di confusione. Selena Delfino- Ho cercato in questo periodo di guardare questi testi, non confondendo lo sguardo sociologico con quello estetico. Ci sono romanzi che rientrano in uno e altri nell'altro aspetto. Forse é da qui che si può partire. Mia Lecomte- Infatti, ci siamo domandati in questi giorni cosa sia definibile veramente come letteratura, se esista quest'ultima, nel significato che ci hanno insegnato ad attribuirle, e se utilizza un linguaggio diverso. Riferendomi al mio campo, alla poesia, un conto è la lingua utilizzata da un poeta a certi livelli letterari, e un conto è lo sfogo disordinato di una problematica esistenziale. Dicevamo che forse il secondo aspetto può avere il suo sfocio naturale nelle scuole, servire per una didattica sociologica, che accosti emotivamente i ragazzi ai problemi dell'intercultura. Julio Monteiro Martins- Già lo scorso anno durante il primo seminario qui a Lucca, c'è stato uno scontro forte tra gli organizzatori del seminario. Avevo proposto una prima distinzione tra migranti che scrivono e scrittori che migrano. I primi danno una testimonianza mentre i secondi, scrittori già nel proprio paese d'origine, continuano a fare nel paese di accoglienza il proprio percorso letterario. Questo ha creato un putiferio... Mia Lecomte- Dipende dalla formazione critica di ciascuno, per una formazione critica di un certo tipo l'aspetto estetico ha un'importanza relativa, funzionale. Sono scuole di pensiero diverse, tra le quali occorre trovare un equilibrio, per permettere a questa letteratura di affermarsi nella maniera più libera e autonoma possibile. Julio
Monteiro Martins - Dietro al rifiuto della distinzione che proponevo,
che tra l'altro è stato transitorio, perché questi concetti
sono ora utilizzati da tutti senza eccezione, c'è una vecchia mentalità,
ancora presente nel momdo accademico ed editoriale. Una sorta di paternalismo,
condiscendenza, che al primo impatto può sembrare generosa, ma
che in fondo è un atteggiamento eurocentrico e neocoloniale. Ricordate
la frase di Lampedusa nel Gattopardo "A volte bisogna cambiare tutto
perché tutto rimanga come prima". Amor
Dekhis- In Algeria, gli scrittori negli anni quaranta e cinquanta usavano
il francese come lingua letteraria, mentre le tematiche non avevano niente
a che vedere con quelle degli scrittori francesi della metropoli. Comunque
sia nelle enciclopedie sono messi insieme agli scrittori francesi, senza
nessuna distinzione. Julio Monteiro Martins- Volevo chiedere a Mia, che ha partecipato al convegno a Roma, come l'Austria, la Svizzera e la Germania hanno affrontato questa situazione. Mia
Lecomte- La Germania rispetto all'Italia è avanti di qualche anno,
ma il percorso all'inizio, almeno per quel che ha raccontato Carmine Gino
Chiellino, è stato ghettizzante: l'identità che la Germania
offriva all'immigrato era sempre un'identità negativa, di "lavoratore
a termine", . Anilda Ibrahimi- Dei miei vecchi compagni, che scrivevano come me durante il primo anno di Università, alcuni sono emigrati in Francia, Austria e Germania, e continuano a scrivere nella lingua del paese d'accoglienza e sono stati pubblicati, senza etichette. Purtroppo in Italia c'è ancora questa visione che gli scrittori migranti rientrano nel fenomeno della immigrazione, fenomeno nato circa dieci anni fa. Julio
Monteiro Martins- Sì, infatti noi siamo ancora in una fase "primitiva"
del fenomeno, stiamo facendo i primi passi, lottando contro le difficoltà,
rispetto ad altri paesi europei che le hanno già superate da molto
tempo. Tuttavia mi sembra più un'opportunità che un problema,
perché abbiamo il privilegio di intervenire sulla nascita di un
movimento storico. Anilda Ibrahimi- A Roma era emersa la posizione di uno storico senegalese e di una poetessa eritrea, che affermavano di voler scrivere per essere portavoce del loro popolo. Mia Lecomte- Credo che la posizione di molti scrittori africani abbia una forte giustificazione storica, legata ai soprusi del passato coloniale. Julio Monteiro Martins- Mi piacerebbe che si chiudesse il circolo vizioso degli scrittori migranti che scrivono di abusi, soprusi, mancanza di lavoro, violenze sulle donne, come si legge nei racconti di tante riviste, e che in fondo anche gli italiani vogliono leggere. Eugenia Mazza- Volevo sapere se comunque a te importa puntualizzare la tua origine brasiliana. Come si può mantenere la propria identità, diversità rispetto a uno scrittore italiano, senza essere etichettati. Il vostro problema nasce dall'essere etichettati come scrittori italiani o come scrittori stranieri, ma di letteratura italiana. Julio
Monteiro Martins- Per quanto mi riguarda, vorrei essere uno scrittore
punto e basta. Dall'età di sedici anni ho cominciato a viaggiare
e vivere all'estero, prima in Francia, poi negli Stati Uniti, in Giappone,
Portogallo e adesso qua in Italia. Le mie esperienze sono esperienze di
mondo, la mia narrativa non posso dire che sia necessariamente italiana
o brasiliana. Tanto é vero che uso tecniche di narrativa frequenti
negli scrittori nordamericani. Mia Lecomte: Tutto questo rientra nella definizione di "identità multipla" di Amin Maalouf.. Julio Monteiro Martins- Se tu vuoi definire la natura di una letteratura a seconda della lingua utilizzata, allora saremmo scrittori italiani. Ma non credo che sia un criterio giusto. Sento di essere fedele alle tematiche e alla natura dei miei personaggi, il mio impegno è con la mia letteratura. Non importa se in un determinato momento della mia vita ho smesso di scrivere in portoghese, comincio a scrivere in inglese, poi smetto, passo al francese o all'italiano. Sarebbe una menzogna definirmi anche come scrittore italiano perché adesso ho adottato la lingua italiana. Il nostro sforzo è quello di cercare di avvicinarsi alla verità del problema. Anilda
Ibrahimi- Mi domando perché gli scrittori ed artisti americani,
francesi e inglesi che vivono a Roma, per esempio, non si chiamano migranti
o extracomunitari? Julio Monteiro Martins- Il termine migrante è una spugna piena di preconcetti, di razzismo. Forse bisogna gettare via questa spugna, purtroppo, e cercare qualcosa di nuovo, non fare il refreshing di questo termine. Se continuiamo ad usare la parola migrante, come facciamo a spiegare ad ogni persona che quella parola ha tutt'altro significato rispetto al poveraccio, disgraziato che viene dai paesi del Sud del mondo?! Amor
Dekhis- Rispondendo alla domanda di Eugenia Mazza, volevo dire che quando
ho iniziato a scrivere, prendevo un po' in giro la mentalità degli
algerini in Italia. Poi ho pensato di partecipare ai concorsi e i miei
racconti sono stati pubblicati in diverse riviste. Ad un certo punto ho
trovato il mio nome che faceva parte della categoria "scrittori migranti
in Italia". Julio
Monteiro Martins- Il concetto di migrante è molto flessibile, perché
può significare un determinato tipo di lavoratori, fino a tutte
le categorie che si spostano dal loro paese d'origine ad un altro per
qualsiasi ragione. Poi può essere anche migrante chi migra all'interno
del proprio paese, dal Sud al Nord o viceversa, e viene trattato male
ecc. Sonia Cherbino- Ma esiste chi migra per necessità e chi lo fa per scelta. Julio
Monteiro Martins: Sì, ma il confine tra scelta e necessità
è molto labile, e difficile da stabilire. Nel mio caso, non sono
stato mandato in esilio, come accadeva agli scrittori e intellettuali
brasiliani degli anni settanta, quando il governo li ha caricati tutti
su un aereo e ha detto loro: vi ammazziamo oppure andate via. Quindi non
sono un esiliato, e di me si può pensare che sono venuto qua per
scelta, perché avevo conosciuto una ragazza italiana, sarei quindi
un emigrato per amore. In verità, sono anche un esiliato, perché
quando il tuo paese d'origine non ti fornisce le minime condizioni perché
tu possa realizzarti e sviluppare il tuo potenziale, allora ti caccia
via, anche se non con un decreto ufficiale. Selena Delfino- Visto che dicevi che stavi cercando altre parole per definire gli scrittori migranti, a questo punto ha un senso ancora dare loro una definizione? Oppure che significato ha questo seminario e la nostra presenza, qui, in questo momento? Julio Monteiro Martins- Condivido l'opinione di Mia espressa all'inizio di questo pomeriggio. Ci troviamo in un momento di cambiamento molto veloce in cui dalla testimonianza si arriverà alla letteratura tout court. Mia Lecomte- Nemmeno dalla testimonianza, dalla non esistenza. Julio
Monteiro Martins- Esattamente, dalla non esistenza alla letteratura senza
etichette. Questi ultimi tre, quattro anni sono il percorso di questo
processo. Mia Lecomte- Infatti lei ha confessato che le fa comodo definirsi scrittrice migrante, perché vive in Italia ma é polacca, ha vissuto in Polonia, Marocco, Canada, Venezuela... Quando le chiedevano di dove venisse, per lei era un problema, così il termine migrante le è servito, nel senso di dare un nome ad una "non identità". Sonia
Sabelli - Quando ho iniziato a lavorare su questi testi, consideravo la
migranza, un posizione mentale, ossia il non identificarsi con una sola
lingua e cultura. Alcune risposte le ho trovate all'interno dei classici
del femminismo, tra i quali Il soggetto nomade di Rosi Braidotti, nella
quale la scrittrice dà una definizione della migranza come nomadismo
dell'essere: il non identificarsi con un pensiero unico. Mia Lecomte- C'è una frase di uno scrittore cinese Bei Dao, esule a Parigi, che ha girato tutto il mondo, tra cui la California, che dice: ripensando alla mia esperienza ho l'impressione di essere sempre stato sdraiato sulla chaise longue del mio giardino, e che sia stato il mondo a ruotare intorno a me. Julio Monteiro Martins - Credo che tutta l'idea delle letterature nazionali debba essere cambiata e ripensata. Questa non è più valida dopo gli anni '60. Quando si legge il racconto di Caio Fernando Abreu Linda, una storia orribile, che narra la storia di un ragazzo malato di Aids, che dalla megalopoli di São Paolo, torna a morire a casa della madre, in un piccolo paese dell'entroterra dello stato di Rio Grande do Sul, e lì ritrova il suo cane, Linda appunto, che sta morendo anche lei di vecchiaia. Questa si può dire letteratura brasiliana, latinoamericana? No, questa è letteratura mondiale dell'uomo contemporaneo. Qualsiasi definizione sembra una giacca molto stretta. Sonia Sabelli- Il concetto di stato/confine non esiste più con la logica del tardo capitalismo. Non esistono più a livello economico e rimangono ancora all'interno della letteratura? Mi sembra abbastanza ridicolo! Julio
Monteiro Martins- Infatti, per me è come discutere di questi argomenti
con una camicia di forza dei concetti dell'Ottocento, e non posso scappare
da questi concetti perchè non mi sono stati offerti altri strumenti
concettuali. Vedo che la vita reale e la letteratura vanno avanti indipendentemente
dai concetti, cambia e basta.
Nella foto: Selena
Delfino e Brenda Porster
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