Mercoledì, 17 luglio - mattina - Lingua e identità Interventi di Julio Monteiro Martins, Anilda Ibrahimi, Amor Dekhis, Eugenia Mazza, Sonia Cherbino, Cristiana Sassetti (traduttrice) Julio
Monteiro Martins- Due giorni fa è uscito il numero otto della rivista
Sagarana, dove per la prima volta organizziamo noi stessi della redazione
la sessione Ibridazioni, con riflessioni sulla condizione del migrante
da parte di alcuni scrittori migranti, alcuni testi in lingua italiana
scritti da scrittori non italiani, sia in prosa che poesia. Inoltre ci
sono due studi su questa realtà, quello di Eugenia Mazza e di Davide
Bregola, che sarà nostro ospite domani.
Eugenia Mazza Quando
parliamo della lingua e dei nuovi scrittori "stranieri" di letteratura
italiana, ci addentriamo in un territorio accidentato, dove la "parola"
confonde, classifica e ingabbia una realtà ancora in divenire.
La tentazione sarebbe quella di affrontare una problematica così
complessa con argomentazioni ben definite, rischiando di causare l'insorgere
di un senso di disagio da parte di chi si trovi ad essere oggetto di studio.
Cautamente ci disponiamo a procedere, mantenendoci in equilibrio mentre
percorriamo il filo delle nostre e delle loro parole. Note
Sonia Cherbino- Trovo questo testo molto veritiero. Vivo anch'io in questi due universi linguistici, l'italiano e il portoghese, che è la mia madrelingua. Sono assolutamente d'accordo sul fatto che una persona più si adatta alla nuova realtà che è anche culturale e fisica, ma è anche una realtà emotiva, psicologica, implica un continuo andare e venire tra due vasi comunicanti, più la madrelingua diventa un universo del passato, della memoria emotiva, tant'è che quando mi metto a parlare con miei connazionali, è come si collegasse un'altra persona, si aprisse un cassetto che di solito rimane chiuso. Non so bene come definirla perché ha molto a che vedere con la mia emotività, ma è come avere dentro di se vari scompartimenti. Per me è un po' conflittuale, una doppia identità, ma chiaramente può essere più attenuato, una volta che vivo molto di più in Italia che in Brasile. Julio
Monteiro Martins- Quando una persona parla poco la sua lingua d'origine,
come nel mio caso, ed incontra una persona della madrelingua, un parente,
un amico, o un turista, quella prima mezz'ora è molto imbarazzante,
è come avere un freno, non sai come giustificare il perché
parli così male la tua lingua d'origine. Presumi che l'altro capisca
questo imbarazzo, perchè le parole non ti vengono o vengono ancora
insistentemente nella lingua nuova. Quando l'altro è anche lui
un migrante e vive la tua stessa condizione, l'imbarazzo è ridotto
perché si vivono entrambi le stesse difficoltà. Eugenia Mazza- Può darsi che sia soltanto il fatto che tu passi da un codice ad un altro. Come scrittore senti il bisogno di utilizzare anche la tua linguamadre per esprimere qualcosa che in italiano non riesci ad esprimere? Julio Monteiro Martins- In realtà non credo ci sia un cambiamento di sostanza, è solo un cambiamento della forma, è una difficoltà neurofisiologica proprio, le parole all'inizio rimangono dentro un ingorgo fino a che il traffico torna a fluire normalmente. Sonia Cherbino- Certe frasi o parole dette da un madrelingua portoghese, mi vanno a pescare dei ricordi che avevo completamente dimenticato. Ho l'impressione che certi spazi della mia memoria siano legati proprio alla lingua. Certe parole mi evocano odori, paesaggi, momenti, che erano rimasti sospesi da qualche parte. La mia memoria emotiva è nell'universo del portoghese, perché ci ho vissuto per trent'anni, anche se oggi parlo, sogno e scrivo in italiano. Amor
Dekhis- Siamo un po' divisi in due nella mente. Basta poco per riportarci
immediatamente nel nostro paese d'origine anche se la lingua italiana
rimane costante. A tutt'oggi non riesco a dire perché abbia scelto
di scrivere in italiano. Eugenia
Mazza- Ho iniziato solo recentemente a occuparmi di questo argomento.
Ho letto i testi degli autori e in Internet mi sono cercata alcune notizie,
letto interviste, e mi sono fatta una certa opinione, senza grossi studi
di base. Julio Monteiro Martins- Anche tu hai un'esperienza curiosa riguardo alla lingua. In Sicilia, parlando di questo argomento con tuo marito, che è messicano, mi raccontava che parlando tu l'italiano e lui lo spagnolo e vivendo entrambi negli Stati Uniti, il vostro inglese è molto contaminato dalle vostre rispettive lingue, mentre quando siete in Italia parlate un italiano molto contaminato dall'inglese. Eugenia Mazza- Sì, è proprio così. L'inglese lo utilizzo perchè per me rappresenta la mia libertà, mi piace molto parlarlo, potrei anche non utilizzarlo visto che lavoro e studio in italiano. Anilda Ibrahimi- Bello! Forse allora alcuni scrittori migranti utilizzano l'italiano perché per loro rappresenta la libertà. Eugenia Mazza- Sicuramente per alcuni di loro sì, ma è anche tante altre cose. Julio
Monteiro Martins- È bello quello che dici perché significa
che ogni lingua rappresenta anche una sorta di simbolo interno affettivo:
l'infanzia, l'oppressione, la libertà, o la sensualità.
Quando ero bambino,
le mie zie quando volevano parlare in casa di cose che non volevano che
i bambini capissero, parlavano in francese. Inoltre c'erano a quel tempo
le canzoni francesi, con Jane Birkin, "Je t'aime, je t'aime, moi
non plus..." , e allora per me il francese é diventato la
lingua sensuale per eccellenza. Anilda
Ibrahimi- Ciascuno nella sua memoria ha dei luoghi del passato che non
riesce a raggiungere perchè troppo dolorosi. Anche l'infanzia è
una vita precedente, e anche tutti gli scrittori hanno un archivio che
non riescono ad aprire e superare lasciandolo chiuso. Per gli scrittori
migranti, usare una lingua diversa può essere un aiuto in più
per riuscire ad esplorare il dolore, a rimuoverlo. Julio Monteiro Martins- Hai citato un aspetto importante che è quello della rimozione affettiva della lingua madre. Ho avuto una domestica brasiliana, che viveva da solo due anni in Italia e non capiva più il portoghese, voleva che le parlassi in italiano: non ho mai visto un blocco psicologico così forte. Sonia Cherbino- Anche i bambini che subiscono traumi e vengono adottati in Italia, dimenticano rapidamente la lingua madre e non la vogliono più parlare e ricordare. Julio
Monteiro Martins-Forse tanti scrittori migranti che hanno deciso di adottare
la lingua d'arrrivo, non avevano mai avuto, in verità, altra scelta,
è stata l'unica lingua in cui loro potevano esprimersi anche se
non la conoscevano così bene. Ricordo una frase del generale Lafayette
che diceva: "In verità non esiste ritorno dai campi di battaglia". Sonia Cherbino- Però c'è un gran vantaggio che è quello di poter leggere in portoghese. Magari non riesci a comunicare bene o a scrivere un bel testo o una poesia, ma se vai a rileggere le poesie brasiliane è un bellissimo piacere. Amor
Dekhis- Quando una persona legge nella sua lingua madre, è come
dicevo prima, torna immediatamente nel suo paese e pensa di non esseresi
mai spostato. Però per la scrittura occorre scrivere con una lingua
viva. La lingua viva è quella del bar, della strada, con la gente
comune. Anilda Ibrahimi- Anch'io ho un aneddoto, anche se non ha niente a che vedere con la letteratura. Nella mia lingua le donne non possono dire parolacce, e io infatti non le dico e non le ho mai pronunciate, però in italiano le so e le dico tutte. Con le amiche parliamo sempre in albanese, però quando dobbiamo insultare lo facciamo in italiano! Amor Dekhis- Penso che in italiano non ci siano diversi modi di esprimesi a seconda se si è in famiglia o per strada, come succede da noi. In Algeria, e forse anche in Albania, ci sono vari linguaggi, quello tra coetanei, in famiglia o con persone che non si conoscono. Certo che un algerino che dice una parolaccia in algerino è terribile, però detta in italiano, niente, è una cosa normale... Anilda
Ibrahimi- Ho un'amica toscana che vive da sempre a Londra. Quando viene
a Roma parliamo in italiano, e lei quando mi sente dice che parlo come
una camionista! Julio Monteiro Martins- Ci sono tanti immigrati clandestini che si rifiutano di imparare la nuova lingua, soprattutto le donne e le nonne che rimangono in famiglia. Quando tu impari una lingua nuova e la fai tua, con il sogno o le parolacce, c'è un senso di appartenenza a quella cultura e a quel paese, ti senti già un cittadino. Il fatto che quel paese non ti adotti, crea una spaccatura interna, perchè la nuova identità creata in quattro o cinque anni non è accettata. E allora chi sei? Non puoi dire che sei quello della lingua precedente perché è sparita tanto tempo fa, e non sei nessuno nella lingua nuova perché non c'è un riconoscimento sociale. Anilda
Ibrahimi- Quando vivevo in Svizzera ho conosciuto un poeta albanese del
Kossovo, uno dei poeti viventi più bravi, che vive da trent'anni
nella Svizzera francese, ma scrive in albanese. Lì c'è una
dispora albanese, hanno persino una loro rivista, e lui non ha nessun
bisogno né voglia di comunicare con gli svizzeri, negli uffici
manda i figli, che ormai sono ventenni. Un grande intellettuale che rifiuta
di comunicare. Julio
Monteiro Martins- Sulla questione della lingua come fatto emozionale,
mi è venuto in mente che un anno fa quando ho cambiato casa, sono
andato in un condominio piuttosto borghese, ma nessuno dei condomini ha
fatto nessuna osservazione sul fatto che fossi straniero. Dopo circa una
settimana, suona il citofono e sento dal ricevitore: "Monteiro?",
dico: "Sì?", "Abadabudubudu, abededubu badada".
Dopo mezz'ora risuona il campanello e sento "È Monteiro?",
"Sì?", "Abudu, abada, bududu", così
ho aspettato un momento, poi ho sceso le scale in silenzio ed ho visto
alla porta due adolescenti di dodici anni, e ho detto loro: "Volevate
Monteiro?", con un bel vocione, e questi che sono scappati gridando
dallo spavento. Amor
Dekhis- Ragionare sulla lingua parlata e scritta per me è un modo
anche di femminilizzare un po' gli uomini. Per femminilizzare intendo
dire, ragionare, avvicinarsi comprendersi l'un l'altro. La cultura e soprattutto
la lettura sono una maniera di sensibilizzare la persona. Cristiana Sassetti- Vivendo tutti in Italia da anni, come vi sentite in rapporto al vostro paese, ne accompagnate le vicissitudini anche politiche, economiche? Credete di poter ancora attuare nel vostro paese d'origine? Amor Dekhis- A volte mi interessano solo i fatti italiani, mi appassiono per qualche causa dipende dal momento. Poi, in certi periodi, seguo anche le vicende politiche del mio paese, attraverso Internet. Il mio paese è presente tanto quanto l'Italia. Cristiana Sassetti- Vi sembra di partecipare, dall'Italia, al futuro del vostro paese? Julio
Monteiro Martins- Io credo che ci sia un momento critico che è
quello delle elezioni nel paese d'origine, soprattutto in Brasile, dove
le elezioni del Presidente della Repubblica definiscono tutto. Vedo che
si avvicina un'altra volta la campagna presidenziale di Lula, candidato
per la terza volta dal Partito dei Lavoratori, che equivale a Rifondazione
Comunista, e sembra che questa volta abbia più possibilità
di essere eletto, anche se sto già aspettando che la Rede Globo,
la nostra Mediaset, gli prepari qualche trappola, come ha già fatto,
per cambiare il pronostico. Sonia Cherbino- Non credo che sia un'illusione, stai diffondendo la tua cultura. Cristiana Sassetti- Queste giornate insieme mi hanno suscitato certe impressioni sugli scrittori migranti. Vi vedo una sorta di figli ribelli, che la madre patria ha rifiutato, e così a volte ho avvertito un senso di amore e odio per il vostro paese. Vedevo ognuno di voi seduto su una gigantesca altalena che oscillava tra l'Oceano e il Mediterraneo, tra l'amore della madre e il desiderio di compiere un percorso personale. Sonia Cherbino- Bisogna ricordare che nostra madre è una madre povera. Gran parte delle persone che vengono in Europa, vengono a cercare qualcosa di meglio, sia a livello economico che cultrurale. Julio
Monteiro Martins- E' vero, vorrei solo ricordare che oggi c'è un
numero grandissimo di italiani che sono andati a fare le vancanze in Brasile
e poi sono rimasti lì, non per ragioni economiche, ma forse perché
gli è piaciuto quello stile di vita. Amor Dekhis- Penso che il nostro paese sia presente in noi e anche noi siamo presenti nel nostro paese. Per me il mio paese forse è una fase, gli anni settanta. Negli anni settanta c'erano molti progetti, c'era molta speranza e c'era una grande aspettativa verso il futuro, eravamo tutti inseriti in questi fermenti. Continuo a conservare queste immagini dell'Algeria, quella fase, conservando anche la speranza che prima o poi arriverà più democrazia. Anch'io critico molto il mio paese, perché dico sempre che dopo gli anni settanta ha prevalso la mediocrità. Noi siamo molto bravi ad essere mediocri, a prendere certe decisioni, e i mediocri, poi, occupano sempre i primi posti. Julio Monteiro Martins- Capisco bene come la patria di una persona possa essere un periodo storico. In Brasile succede lo stesso, tanti brasiliani si riconoscono nel Brasile dei cosiddetti "anos dourados", gli anni d'oro dal '55 al '62, l'epoca di Jucelino Kubichek, un paese vincente e creativo, quando è nata la Bossa Nova, il Cinema Novo, la nazionale brasiliana vinceva tutti i mondiali, avevamo costruito Brasilia. Tutto il resto, pensano loro, è stato un'usurpazione. Sonia Cherbino- Anche il miracolo economico brasiliano degli anni settanta non si è più ripetuto. Anilda Ibrahimi- Anch'io, rispondendo a Cristiana, volevo dire che anche l'Italia non offre lavoro, specialmente agli intellettuali. Conosco tante persone che sono emigrate in Messico, Africa, Inghilterra perché qui non trovavano posto, tutti laureati. Eugenia Mazza- Arrivano i cervelli da fuori e se ne vanno via quelli che vivevano qui, è un ricambio e una ricchezza. Cristiana
Sassetti- Ho letto gli atti di un convegno organizzato a Firenze il maggio
scorso da varie associazioni non governative, e dall'Arci, proprio sull'alta
qualifica degli immigrati in Italia, dove si diceva che il quaranta per
cento degli immigrati, in special modo africani e sudamericani, sono tutti
laureati e in Italia fanno gli operai. Quindi esiste in questo paese anche
un impoverimento intellettuale oltre che economico, perché ingegneri,
medici, ricercatori, tecnici, se ne vanno tutti, specialmente dall'Africa. Amor Dekhis- Io so che negli ultimi anni, tanti cervelli se ne sono andati, circa quarantacinquemila nel Canada francese e in Francia. Non dico che stiano bene, ma sono sicuramente ben inseriti. Penso che l'Italia non investa nei suoi cervelli, a me dispiace che accada anche in Italia. Julio
Monteiro Martins- Gli spostamenti avvengono anche perché ognuno
ha il diritto alla speranza, cioè di utilizzare la fantasia per
progettare un ipotetico futuro, più interessante e positivo del
presente, che potrà avverarsi oppure no. Questa è una tendenza
fortissima negli esseri umani, e se non si riesce a realizzarla nel paese
dove si vive, subentra una tendenza naturale a progettarla nell'altrove,
in un paese distante. Si emigra per trovare il vero se stesso, che crediamo
di trovare altrove. Eugenia Mazza- Quando poi le aspettative vengono deluse, come gestiscono gli scrittori questa frustrazione di vivere altrove, e come si riversa nella letteratura? Forse è anche un caso abbastanza frequente. Riuscite ad avere lo stesso senso critico che avete nei riguardi dei vostri paesi, per l'Italia? Julio
Monteiro Martins- Parlo per me stesso, ma credo di rappresentare anche
gli altri. Il nostro rapporto con il paese d'arrivo è meno critico
di una persona nativa, questo perché noi veniamo alimentati da
questa speranza che, almeno all'inizio, ci fa costruire una bella cornice
intorno a tutte le cose. Anilda Ibrahimi- Ciascuno di noi ha aspettative diverse riguardo al paese d'accoglienza. Io, per esempio, ho molte aspettative legate a mia figlia, e non alla mia carriera di scrittrice. Eugenia Mazza- Sicuramente il processo di integrazione deriva anche dalla vita affettiva. Ho fatto una ricerca legata alla malattia e alla migrazione. Questo malessere è presente anche nella loro letteratura. Ho notato, comunque, che quelli che stanno bene sono riusciti a crearsi un loro equilibrio dal punto di vista psicologico e affettivo. Julio Monteiro Martins- Direi che tutto è proporzionale al "tipo di inferno" che si viveva nel proprio paese d'origine, secondo che cosa vivi è difficile rimanere delusi in Italia. Amor Dekhis- Vivo in Italia da circa vent'anni ed ho osservato una crescita della ricchezza. Mi dispiace solo che siano gli immigrati a definire la politica italiana, perché non è il vero problema, tutto questo è fomentato molto dai giornali e dalla televisione. Julio Monteiro Martins- Anch'io provo una certa amarezza nel vedere certi valori e sicurezze sociali sparire, frutto di conquiste secolari, a favore di un modello, quello americano, molto più arretrato. Sonia Cherbino- Da quale momento, secondo voi, un immigrato da semplice spettatore passa ad interessarsi a quello che accade in Italia, a commentarne gli eventi principali. Julio
Monteiro Martins- Certi eventi della vita italiana ci convocano tutti,
come per esempio i fatti del G8 a Genova, che ha provocato una spaccatura
civile nell'Italia. Nel mio caso, essendo uno scrittore, ho scritto un
racconto, L'irruzione, pubblicato nel libro Non siamo in vendita,
uscito con L'Unità, dove si parla di un uomo che ha avuto
un figlio violentato e torturato, e uno zio che poteva aiutarlo, e non
l'ha fatto. Quindi ho parlato di una spaccatura all'interno di una famiglia,
perchè era un'allegoria della spaccatura che vedevo nascere in
quel momento nella realtà italiana. |
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