Lunedì 15 luglio - mattina - Apertura e introduzione dei temi principali.

Interventi di Julio Monteiro Martins, Mia Lecomte (poetessa, redattrice delle riviste Semicerchio, Pagine, Sagarana, Kùmà), Anilda Ibrahimi (poetessa, Albania), Amor Dekhis (scrittore e designer, Algeria).

Julio Monteiro Martins - Mi hanno incaricato di fare l'apertura ufficiale dell'evento. In nome dell'Associazione Sagarana e di Porto Franco, organismo della Regione Toscana, nostro sponsor, vorrei ringraziarvi per la presenza e dirvi quanto sono felice di essere riuscito a realizzare questo II Seminario.
Rispetto allo scorso anno ci saranno delle novità: la prima è che si tratta di un seminario aperto al pubblico: studiosi, studenti, ricercatori e cittadini comuni. Crediamo che sia impossibile divorziare la forma dal contenuto, e quando si pensa di trasmettere un contenuto di libertà e democrazia, bisogna cominciare dalla forma stessa con cui si organizza un evento che propone questi valori.
La seconda novità è che sarà un seminario in process, perché alcuni degli scrittori saranno presenti dal primo giorno e resteranno fino in fondo, altri arriveranno e parteciperanno ad una sola giornata, insieme a diversi giornalisti.
Vorrei presentarvi la poetessa Mia Lecomte, studiosa della letteratura della migrazione. Lei ha di questo fenomeno una visione moderna e ricca, che condivido. Recentemente ha partecipato ad un convegno sullo stesso argomento organizzato dalla Sapienza di Roma, insieme all'Istituto Goethe, Svizzero ed Austriaco, e ci porterà anche quest'altra testimonianza, per capire meglio questa nuova letteratura.
Accanto a me è presente Anilda Ibrahimi, poetessa albanese che vive a Roma e scrive poesia in italiano, vicino ad Anilda è seduto lo scrittore algerino Amor Dekhis che vive a Firenze, e scrive racconti in italiano.
Vorrei sottolineare quello che per me è il privilegio e l'opportunità di questo momento storico. Tra i tanti aspetti negativi dell'invecchiamento, ce ne sono pochi positivi, ma importanti lo stesso, uno dei quali è quello di capire o intuire attraverso l'esperienza passata, l'importanza del momento presente, capire dove siamo inseriti e cosa rappresenta esattamente quella occasione. Tutti noi questa settimana abbiamo il raro privilegio non solo essere testimoni della storia della letteratura contemporanea, senza leggerla sui libri, come faranno i nostri figli e nipoti, ma più che altro di farla.
Questa è una vera opportunità di intervenire nel processo storico di un'arte così importante, specialmente in Italia, dove la letteratura si confonde con la storia del paese, nella formazione della civiltà. E' una civiltà in gran parte costruita su una unità linguistica a sua volta consolidata attraverso le grandi opere letterarie del passato. Intervenire nel presente e nel futuro di questa storia letteraria, credo sia un privilegio speciale, ed io sono consapevole del fatto che noi stiamo nell'occhio del ciclone.
La presenza in tutta Italia di scrittori di tanti paesi diversi venuti ognuno con la loro lingua e la lora storia personale, che hanno cercato e imparato la lingua italiana e creato poesia, teatro, narrativa, sta portando e porterà un arricchimento straordinario alla civiltà e alla cultura italiana.
Bisogna capire che tanti altri paesi europei hanno da anni una letteratura di immigrazione come la Francia e l'Inghilterra, ma sono paesi che hanno avuto una grande storia coloniale. In tanti paesi del terzo mondo, si continua ad usare il francese e l'inglese come lingua d'élite, mentre con la lingua italiana questo non succede.
Questi scrittori al contrario di quelli delle ex-colonie inglesi o francesi, non sono venuti in Italia per realizzare una sorta di sogno di una élite coloniale. Questi scrittori sono venuti perché hanno scelto l'Italia, è una scelta molto libera.
Io ho scelto di venire in Italia perché avevo conosciuto una donna italiana che mi piaceva e l'ho seguita, è stata una scelta del cuore. Tutti questi scrittori che vengono dal Sudamerica, dall'Africa, dal Medioriente, dall'Asia, dall'Europa dell'Est, hanno fatto una scelta del cuore per l'Italia e per la lingua italiana.
Il fenomeno della migrazione letteraria e artistica attira una grande attenzione perché è il più importante effetto collaterale della globalizzazione economica. Una volta che il mondo si è globalizzato anche gli uomini hanno acquisito le informazioni e le libertà necessarie, il desiderio e la capacità di muoversi, cosa che in passato era diversa. Un fenomeno quando è mondiale risveglia un grande interesse, però credo personalmente che risvegli un grande interesse come metafora, come il titolo di un libro di Susan Sontag L'Aids come metafora, ovvero oltre ad essere una malattia, l'Aids è anche una metafora. Il migrante, lo straniero, lo spaesato è un fenomeno sociologico, demografico, ma anche una metafora di tutti noi, anche di tutti quelli che non sono mai usciti dal loro paese d'origine. Perché in un senso o nell'altro siamo tutti migranti, migranti dentro la vita, nel tempo, anche l'infanzia è un paese. Se il mondo della maturità è in un certo senso ancora simile a quello dell'infanzia, tu non hai l'idea di essere stato esiliato. Però, quando con queste trasformazioni vertiginose, il mondo dell'età matura è così in contrasto con il mondo dell'infanzia, non ci sono più punti di riferimento del passato, allora tu sei uno straniero, hai perso il tuo paese, e devi ricrearne un altro nel tuo futuro, anche se continui a vivere nella stessa città dove sei nato.
Questo magari in Italia non sarà così drammatico come nel mio paese d'origine. La mia città, Niterói, aveva sessantamila abitanti quando ero bambino, un piccolo paradiso sul mare di fronte a Rio de Janeiro. Oggi è una megalopoli di oltre due milioni e mezzo di persone. L'ultima volta che sono andato ho camminato un'intera mattinata e non ho visto un volto conosciuto! Non c'è più un unico palazzo o casa della mia infanzia: la scuola dove studiavo, il parco dove giocavo, non c'è più nulla, non esistono più. E' come una bellissima poesia di Carlos Drummond de Andrade, poeta brasiliano, appunto, che dice parlando della sua regione, Minas Gerais, "Minas não tem mais", Minas non c'è più, ossia non c'è più la sua Minas.
Sperimentando questo senso di esilio, di migrazione, una volta che niente ci appartiene e noi non apparteniamo a nessun posto, allora siamo liberi di vivere nel mondo, il mondo ci appartiene. E' una forma di abbandono e liberazione al contempo. Credo che questo fenomeno della letteratura della migrazione affascini tanto perché, in fondo, esiste un'identificazione inconscia tra la situazione esistenziale dell'uomo contemporaneo e la situazione obbiettiva del migrante.
Lo scrittore migrante è uno spaesato a due livelli: come migrante e come scrittore. Sono due forme di essere esiliato e straniero nel mondo. Due stati dell'essere entrambi al margine della vita collettiva. In un certo senso una situazione illumina l'altra. Se uno è abituato come scrittore a restare fuori dalla meccanica del sistema, non è tanto difficile arrivare come straniero in un paese nuovo, perché anche lì resterai fuori dalla meccanica del sistema. Vi è identità tra la condizione profonda dello scrittore e la condizione profonda dello straniero.
Poiché l'area di cui si sta parlando è nuova, ci sono anche diversi modi di definire questo fenomeno: si parla di letteratura migrante, letteratura di ibridazione, letteratura transculturale. Per il momento li chiamemo scrittori migranti, ma non è detto che sia una scelta definitiva, anche questo sarà oggetto di discussione del seminario.
Il contributo che la letteratura migrante può portare all'Italia o al paese che la ospita è molto interessante.
Uno dei compiti più importanti della letteratura è quello di illuminare certi angoli bui dell'esistenza umana, vedere quelle cose che nessuno può o vuole vedere, ma che sono sempre state lì e che puoi osservare solo attraverso un fascio di luce.
Lo scrittore straniero arriva con uno sguardo vergine e sa che deve cercare perché vede tutto per la prima volta. Le rivelazioni conseguenti, trapiantate nella scrittura, danno a quelli che hanno uno sguardo più antico, una visione nuova della loro stessa realtà.
Questo è un contributo straordinario, significa mettere gli italiani di fronte a uno specchio rivelatore, che riflette sì lo stesso oggetto, però l'immagine è diversa. Per questo ho parlato di un piccolo miracolo. E' ovvio che quando una persona si vede in uno specchio rivelatore per la prima volta, sa che è se stesso ma non si riconosce perché l'immagine è interpretata diversamente e così acquisisce una visione di se stesso e delle cose e del mondo, che si aggiunge alle visioni precedenti e le arricchisce. E' un'alternativa nuova per capire se stessi. Questo è il contributo straordinario che la letteratura migrante porta o può portare all'Italia.
Noi vorremmo dare attenzione alle idee e ai concetti sulla storia di questo argomento, ma anche alle opere di questi autori, perché non si può immergersi nel mondo degli scrittori senza prendere in considerazione la cosa più importante che fanno e che sono le opere che scrivono. L'esperienza di questi giorni, il convivio tra gli scrittori e i partecipanti è altrettanto importante, mi auguro che tutti noi possiamo avere una esperienza ricca intellettualmente ma soprattutto un'esperienza piacevole.

Mia Lecomte - La mia visione iniziale del fenomeno non è stata teorica, sono una poetessa e una scrittrice, non sono un'accademica. Sono sfociata in questo studio perché nel '96 avevo fatto un libro con un fotografo, libro che era una sorta di schedatura della poesia italiana contemporanea attraverso i suoi luoghi: c'erano ventun poeti contemporanei di tre generazioni diverse, 80enni, 60enni e 40enni, ritratti nei loro luoghi, da me con le parole e dal fotografo con le immagini.
Alla fine di questo percorso, che è durato due anni, il libro ha avuto un certo successo ecc., però mi sono sentita in colpa, nel senso che mi è sembrato di aver fatto una cattiva azione, perché di tutti i poeti catalogati, soprattutto per quanto riguarda l'ultima generazione, ce ne erano in realtà pochi che ritenevo tali. Sostanzialmente questa passeggiata all'interno della poesia italiana mi aveva fatto venire voglia di altro.
C'è sterilità, e aridità, in certa nuova poesia italiana, una poesia d'accademia. Anche se non voglio assolutamente generalizzare, la malattia fondamentalmente è questa: si tratta di una poesia per pochi addetti ai lavori, scritta per i colleghi, per sé stessi, poiché ognuno legge sempre sé stesso, una sorta di circolo vizioso dove, purtroppo, non può uscire niente di buono.
Per cercare ossigeno, e per cercare di redimere un po' le mie colpe, mi sono sentita in dovere di cercare ancora un luogo poetico dove però questa poesia venisse effettivamente condivisa.
Poiché di formazione sono una comparatista, e lavoravo e lavoro anche per la rivista di poesia comparata Semicerchio, mi sono chiesta con il direttore della rivista, Francesco Stella, se esistesse una fonte nuova, vitale, che potesse portare contenuti, e sentimenti, alla poesia italiana. E ci siamo rivolti appunto a tutti gli stranieri stabilitisi in Italia che scrivevano in italiano. L'idea inizialmente era quella di catalogare sia quelli che scrivevano in italiano, sia quelli che per vari motivi rimanevano legati alla propria lingua.In seguito abbiamo deciso di considerare solo i primi.
Questo percorso era un po' pionieristico, perché la poesia era ancora una terra di nessuno, non c'erano tutti i poeti che ci sono adesso, e forse neanche gli scrittori, perché nel frattempo questi autori hanno avuto tempo di costruirsi.
Questa ricerca, motivata da una insoddisfazione di fondo, è stata fatta con entusiasmo e anche con totale mancanza di pregiudizi, e di aspettative. Ho cominciato inizialmente a rivolgermi ad ambasciate e centri culturali, che in linea di massima ignoravano i propri poeti e scrittori, o per motivi politici o per totale disinteresse. C'era, e c'è ancora, un unico premio dedicato alla letteratura della migrazione, il concorso Eks & Tra di Rimini, al quale mi rivolsi per sapere i nominativi di alcuni di questi autori. Mi risposero che se ero interessata dovevo anzitutto comprare le loro antologie, e che comunque loro non avrebbero fornito il recapito di nessuno degli autori antologizzati! Come inizio è stato molto "italiano", direi: questi autori erano stati presi, erano diventati proprietà di un certo discorso lontano dagli interessi della letteratura, e servivano per scopi ben diversi da quelli letterari. Comprai comunque le antologie e rimasi colpita dall'impostazione: un'accozzaglia di testi di narrativa e poesia mischiati, uno per ogni autore antologizzato, presentati con titoli molto retorici e funzionali.
Questo non mi aiutava in quello che stavo cercando, nonostante fossero le antologie più autorevoli in commercio. Comunque c'era ancora di peggio: opuscoli dei centri sociali, o di organizzazioni cattoliche, fatti con tanta buona volontà ma poco criterio, sia nelle scelte grafiche che nelle scelte degli autori, piuttosto causali, che nella peggiore delle ipotesi servivano per avere finanziamenti dalle regioni o dalle provincie, e nella migliore per cercare di testimoniare qualcosa, anche importante, ma comunque sia senza criterio letterario.
Senza falsa modestia, noi fummo un po' tra i primi a cercare veramente degli scrittori e non i rappresentanti di un fenomeno. Perché poi come fenomeno, in fondo, é molto labile, perché chi scrive in italiano a certi livelli, almeno linguisticamente è uno scrittore italiano, .
E' un po' come definire il tracciato di una meteora, la sua esistenza può essere definita in un piccolissimo spazio di tempo, finché poi questi autori non rientrano a pieno titolo in quella che è la letteratura italiana, o almeno quella che si auspica essere ormai letteratura italiana, non più chiusa, provinciale, appunto accademica, ma aperta, ibrida, contaminata, vitale..
Abbiamo già l'esempio, in Italia, del poeta albanese Gezim Haidari, che ha partecipato al seminario dello scorso anno, qui a Lucca, ed ha vinto il Premio Montale come autore italiano, senza nessun distinguo. È forse a questo che dovremmo arrivare: a riconfigurare la storia delle letterature, non la definizione degli scrittori, che passano ormai da un paese all'altra, si inseriscono per un periodo in quelle "letterature nazionali" che non devono esistere più, vincendo appunto indifferentemente il Montale, o il Goncourt, solo con la qualità del proprio lavoro, liberi da definizioni. Bisogna capire che anche in Italia ormai si fa fatica a parlare per categorie, come eravamo un po' abituati a scuola: è tutto felicemente in costruzione.
L'impostazione del seminario di Roma, Diaspore europee, organizzato da Armando Gnisci, prendeva in considerazione tre tipi di migranza: dai paesi Extraeuropei in Europa, dall'Europa ai paesi Extraeuropei, e all'interno dei paesi della Comunità Economica Europea, quest'ultimo aspetto anche per cercare di capire se esista una coscienza comunitaria che annulli le differenze conseguenti all'emigrazione/immigrazione almeno all'interno della Comunità.
In Germania, per esempio, come ha spiegato lo scrittore Carmine Gino Chiellino, scrittore italiano, di origine calabrese, emigrato in Germania, dove scrive in tedesco, c'è ancora un grosso distacco tra gli immigrati e i tedeschi. Però la Germania ha vissuto il fenomeno con qualche anno d'anticipo rispetto all'Italia ed il tentativo di "ghettizzazione" di questa letteratura, per cercare di impedirgli di rientrare nella letteratura nazionale, anche se con caratteristiche autonome, c'è già stato. Chiellino ha una posizione radicale, e parlava della necessità di non rimanere in sospeso tra le due identità. Nel momento in cui si abbraccia la lingua di un paese, bisogna avere anche la coerenza di rimanere fedeli a questa nuova scelta, senza considerare la possibilità di un ritorno, sia linguistico che esistenziale: perché il risultato sia valido, la scelta deve essere totale, radicale.
Si è parlato anche dell'interesse delle università anglosassoni per il fenomeno della letteratura della migrazione in Italia. Nei dipartimenti di italianistica, sia negli Stati Uniti che in Inghilterra, stanno moltiplicandosi i corsi che si occupano di questa letteratura, anche se i due testi fondamentali che vengono studiati sono ancora Immigrato di Salah Methnani e Mario Fortunato, e I bambini delle rose di Mohsen Melliti. I motivi per cui sia così monitorato questo fenomeno sostanzialmente nostro, sono vari: dai più nobili ai meno nobili. Forse è più facile studiare nei dipartimenti di italianistica all'estero una materia in cui non ci sia una critica consolidata, tutto sostanzialmente è ancora nuovo, c'è più libertà. Però è anche vero che gli anglosassoni sono interessati al fenomeno migratorio perché lo hanno vissuto, e quindi ne hanno una coscienza diversa. Ci sono anche dei siti dove si possono consultare i corsi dell'Università di Harward, di Bristol, di Warwick e di Bologna, a chi fosse interessato poi posso dare gli estremi.
Anilda Ibrahimi era presente anche a Roma, e dopo il suo intervento e quello degli altri scrittori presenti, di provenienza diversa, e con diverse caratteristiche e finalità di scrittura, ha chiesto al Prof. Gnisci che cosa, secondo lui, si poteva definire come letteratura. Perché, trattandosi di un seminario sugli scrittori migranti, non sapeva in che termini si stesse parlando di scrittura, se si potesse considerare letteratura anche la semplice testimonianza, cioé se persone che sono state costrette a lasciare il proprio paese, dove non si dedicavano alla scrittura, alla letteratura, e qui scrivono magari un libro di testimonianza sulla propria storia, o in quanto impegnati in lavori socialmente utili, si possano considerare scrittori. Perché questo ha molto a che vedere anche con l'uso della lingua, perché un uso della lingua letterario ha determinate caratteristiche, un uso della lingua cronicistico, di testimonianza, può fare a meno di queste caratteristiche. E' un discorso di cui io e Anilda abbiamo parlato spesso, che le sta a cuore, e che credo oggi vorrà affrontare.
Ho pubblicato Anilda come poetessa, nella mia collana di poesia. Ha vissuto tanti anni in Svizzera francese, dove scriveva anche in francese. E' giornalista ed è venuta via dal suo paese come esule politico in quanto non poteva più svolgere la sua professione. E' arrivata quindi in Italia, ha una bambina di sette anni. Era anche una poetessa in Albania, aveva già pubblicato nel suo paese, e dunque non appena ha acquisito gli strumenti in Italia, questo ha continuato a fare.

Anilda Ibrahimi - I temi da affrontare sono tanti, vorrei cominciare dalla mia storia, come sono finita in questo fenomeno, come sono diventata una scrittrice, o poetessa migrante. Ho conosciuto Mia per caso, quattro o cinque anni fa, a Roma, dove cercavamo tutte e due un caffè turco. Ci siamo conosciute tramite un amico comune, un poeta famoso albanese, Visar Zhiti, il quale, due anni fa, era Ministro consigliere dell'ambasciata albanese, e adesso ha terminato il suo mandato. Ho conosciuto Mia nel periodo in cui lei stava preparando il secondo volume sui poeti balcanici della sua collana.
Quando sono arrivata in italiana, non avevo né gli strumenti né lo stato d'animo per scrivere. Non ho scelto l'Italia né per amore né per le sue bellezze. Io con mia figlia, siamo state in un certo senso costrette a farlo. Una scelta non scelta. Al momento del mio arrivo non pensavo di vivere qui, era un momento tragico e drastico, un taglio netto con il passato.
Lavoravo come giornalista e dopo il sequestro sia mio che di mia figlia, dopo esser state liberate, sono stata costretta ad andarmene e ora vivo qui come rifugiata politica.

Mia Lecomte - Questo è un altro tema che potremo vedere nei prossimi giorni, ossia se ci sia una differenza nella produzione letteraria di chi arriva in Italia per necessità, la sceglie semplicemente perché non ha altra scelta, e chi invece arriva per un percorso esistenziale fondalmente libero e sceglie l'italiano come lingua realmente "del cuore", come diceva Julio.

Anilda Ibrahimi - Al momento del mio arrivo avevo quasi 25 anni, avevo pubblicato nel mio paese una raccolta di poesie apprezzata dalla critica e vinto un premio nazionale di poesia contemporanea albanese. Il mio percorso letterario era abbastanza limitato anche in ragione dell'età.
Quando ho conosciuto Mia mi ha chiesto se ero interessanta a far parte di questa seconda antologia, e mi ha fatto leggere il primo volume.
Tramite il mio lavoro, sono consulente per i rifugiati politici, avevo conosciuto le persone che si occupano della rivista Sinnos, e mi avevano chiesto se volevo parteciparvi parlando dell'Albania. Ho letto queste edizioni, però con tutto il rispetto per il bel lavoro, ho risposto loro che non volevo partecipare perchè non mi sembrava trattarsi di letteratura. Gli usi e costumi della mia cultura possono essere una testimonianza valida in ambito scolastico, però non avere un valore letterario. Dovevo fare una scelta, o diventare una bandiera o un ponte tra le due culture, che può anche accadere in futuro, o essere una scrittrice punto e basta. Non voglio essere un ponte tra le due culture, non mi interessa, è un'altra cosa, che fanno gli storici e i sociologi, .

Mia Lecomte - Anche nell'editoria forse ci potrebbero essere due sbocchi: quello per la letteratura vera e propria e poi, all'interno della scolastica, tenere presente tutta quella parte di testimonianze che ha una sua utilità, ma forse rientra in una categoria diversa.

Anilda Ibrahimi- Sì, possono coesistere, parallelamente. Io vorrei testimoniare nelle scuole per sensibilizzare i ragazzi sulla migrazione, sulle realtà dell'Eritrea, dell'Algeria, del Marocco, dell'Albania... con le loro culture antiche, ed è un fatto importante. Ma poi c'è la letteratura, che è tutt'altra cosa. Non scrivo per portare la voce del mio paese agli italiani non conoscono la mia cultura. Mi sono spesso trovata in ambienti letterari poco seri, che trovano dalla letteratura della migrazione fonti inesauribili di guadagno...con organizzatori che a fianco della poesia mettevano pure concorsi di alta moda. Da tutto questo mi sono allontanata.
Ma devo anche ammettere che non sono molto brava a pubblicare. Sono stata pubblicata oltre che nell'antologia di Mia, in un'altra rivista abbastanza seria chiamata Lingue di terra, lingue di mare, che riguarda tutta la poesia mediterranea.. In un certo senso sono una poetessa da antologia! Bussare alle case editrici non è facile, purtroppo ho altre cose da mandare avanti, con il lavoro e mia figlia. Ed è anche un lusso poter andare in giro a fare relazioni pubbliche.

Mia Lecomte - Inizialmente Anilda scrivevi più in albanese, e noi lavoravamo un po' insieme, con il dizionario dei sinonimi in albanese e in italiano. E adesso?

Anilda Ibrahimi - Adesso sto ancora con il dizionario dei sinonimi in mano. L'italiano è sempre la mia seconda lingua, ho sempre dei limiti, mia figlia, che è arrivata qui a due anni, e l'italiano è stata la prima lingua in cui si è espressa, si sente italiana, e parla bene . Con lei parlo sempre in italiano, comunque. Come presentazione credo che basti, lascio la parola ad Amor Dekhis.

Amor Dekhis- Vorrei innanzitutto ringraziare Mia e Julio per l'impegno dedicato a questo seminario. Sarò di poche parole, perchè non sono abituato a parlare molto.
Devo dire che provengo da un paese, l'Algeria, dove le persone sono di poche parole, e così quando sono arrivato in Italia la prima cosa che mi ha colpito è stato proprio il modo di parlare degli italiani: amano parlare tantissimo, e poi ti squadrano dall'alto in basso, normalmente, senza cattiveria... ma ora un po' mi sono abituato a queste cose. In seguito ho scoperto che gli italiani non parlano più degli spagnoli, degli argentini, dei sudamericani!
Come scrittore ho iniziato a scrivere direttamente in italiano, perché i miei studi non avevano niente a che fare con la scrittura, studiavo belle arti e design negli anni Ottanta a Firenze. Mentre studiavo ho pubblicato qualcosa su riviste specializzate come Casa Vogue, o Domus, ma sempre articoli sul design. Terminati gli studi a Firenze avrei dovuto ritornare nel mio paese, ma lo strappo era troppo forte, e allora ho provato a parlare di questa mia permanenza in Italia. Leggevo anche molto, e raccoglievo materiale sull'Italia e sugli italiani, finché ho pensato di scrivere un romanzo su Firenze e su un gruppo di giovani magrebini che studiavano e lavoravano. Era un romanzo che narrava le difficoltà di convivenza e la reciproca diffidenza. Quando scrivevo credevo di essere un po' pazzo, perché non lo stavo scrivendo nella mia lingua. Io dichiaro sempre di non avere una lingua madre. Vengo da un paese le cui lingue sono l'arabo o il francese, quest'ultima è la lingua più usata dagli scrittori algerini, l'Algeria è infatti il secondo paese francofono dopo la Francia. Sono passato da un sistema all'altro, dall'arabizzazione al francofono e viceversa a seconda dei decenni e delle vicissitudini storiche. La lingua che si parla per strada è un dialetto. Così la lingua con cui volevo scrivere era proprio l'italiano.
Da quel momento non mi sono più liberato della scrittura. Ho partecipato a concorsi come Eks & Tra , sono stato premiato altre volte. Ho fatto tutto questo quasi in isolamento, perché non mi sembrava di far parte di una categoria. Quando ho pensato di mandare questo mio romanzo alle case editrici l'ho fatto un po' per gioco, sapevo bene che era difficile, senza essere presentato da nessuno, e per di più straniero che scrive in italiano. Le risposte erano sempre gentili, a volte mi suggerivano dei cambiamenti.
Ho conosciuto il concorso di Eks & Tra per caso, leggendo un articolo sul Venerdì di Repubblica. L'ho mandato e loro lo hanno pubblicato, senza chiedermi nessun contributo. Grazie a loro comunque è stato possibile farci conoscere.

Anilda Ibrahimi - Loro ti fanno scrivere un racconto dandoti un soggetto specifico, devi stare dentro una specie di ghetto, altrimenti non ti pubblicano.

Amor Dekhis - Io ho mandato quello che scrivevo, senza subire pressioni. La scrittura è un po' come la pittura, devi essere libero di esprimere ciò che vuoi, quello che è dentro di te.
Noi, immigrati stranieri che scriviamo in italiano, abbiamo anche deciso di organizzarci. Circa due anni fa mi arrivò un e-mail, da Kossi il quale intendeva riunire tutti questi scrittori in un movimento, forse per pubblicare qualcosa indipendentemente. Era una buona idea, c'erano coinvolti anche Armando Gnisci e Julio. Purtroppo dopo questo incontro in via Montenevoso, sono sorti molti problemi e incomprensioni e così l'idea è morta sul nascere. Spero comunque che un giorno ci sarà un gruppo che seguirà questo cammino, perché anche solo l'incontro tra di noi, può essere positivo, creare nuove possibilità.

Mia Lecomte - Se n'è riparlato il febbraio scorso, e in autunno dovrebbe uscire il primo numero della loro rivista, che si chiamerà Ghibli. Rispetto al progetto iniziale vorrebbero allargare un po' il discorso, e mi hanno invitata a collaborare nella redazione.

Julio Monteiro Martins - Da questo primo intervento viene fuori in modo molto chiaro come questa area sia recente. Qualche giorno fa ho letto un articolo molto bello di una giornalista brasiliana su Timor Est. Voi sapete che è diventato il primo paese indipendente del ventunesimo secolo, allora le discussioni che si fanno lì sono cose che nessuno fa: da dove inizia la storia, la lingua quale sarà, l'indonesiano o cos'altro.
Questo è molto emozionante, vedere nascere una cosa, queste prime antologie, o discussioni sono i primi vagiti di un nuovo movimento letterario. Come tutti i movimenti prima nascono le riviste, le antologie e poi ognuno intraprende un proprio percorso personale: è come vedere questo Gondwana letterario, dopo il continente si spacca e si allontana.

 

Nella foto: Amor Dekhis, Anilda Ibrahimi e Julio Monteiro Martins