Giovedì 18 luglio - mattina - Incontro con Francesca Caminoli e Brenda Porster

Interventi di Julio Monteiro Martins, Amor Dekhis, Brenda Porster (poetessa, Stati Uniti), Francesca Caminoli (scrittrice), Andrea Sirotti, Mia Lecomte, Sonia Cherbino, Anilda Ibrahimi.


Julio Monteiro Martins-L'argomento di questa mattina vuole approfondire e sviluppare la natura stessa della letteratura migrante. Ci sono vari scrittori, di diversa origine culturale e anche religiosa, scrittori del mondo islamico, dell'Africa subsahariana, scrittori dell'America Latina, che hanno deciso di scrivere in italiano. Io, poi, dico sempre che questa espressione, "America Latina", non vuol dire nulla perché include almeno tre realtà: quella ispanica, quella brasiliana e quella caraibica. Usare l'espressione letteratura latinoamericana, per me, equivale a dire letteratura euroasiatica. Ci sono inoltre gli scrittori dei Balcani e dell'Europa dell'Est. In che modo questa eredità che portano con sé entra nella letteratura scritta in italiano?
Basterebbe guardare la forma dell'Italia per capire che è una propaggine che avanza verso l'Oriente. C'era un nazionalista russo che, contro la forte influenza della cultura francese nella Russia dell'Ottocento, parlando dell'Europa diceva: "Quella nostra penisola a occidente". Ragion per cui l'Italia è una penisola della penisola.
L'Italia, dunque, è stata scelta come terra del cuore, visto che non ha un passato coloniale lungo e intenso come quello francese e inglese, e la lingua italiana non è la lingua di un' élite. La scelta può riguardare anche l'aspetto geografico, i due paesi che si proiettano verso Sud sono la Spagna e l'Italia. Quest'ultima sembra proprio un liquido che gocciola verso Sud: c'è una prima grossa goccia che è la Sicilia e poi le altre gocce come Lampedusa ecc., che arrivano fino all'Africa.

Amor Dekhis-Bella questa immagine. Però, se osserviamo bene, la Spagna dal punto di vista culturale è più presente nel Nord Africa e in Africa. Quando ero nel mio paese, dell'Italia si parlava pochissimo, solo a causa degli scioperi, delle brigate rosse o della mafia.

Julio Monteiro Martins- Stamani abbiamo con noi due presenze che arricchiscono il nostro incontro: Brenda Porster, una poetessa di origine statunitense, che vive da tanti anni in Italia, molto brava, le cui poesie sono state pubblicate sulla rivista Sagarana. E Francesca Caminoli, una grande amica da tanti anni, la quale ha scritto un bellissimo romanzo sulla guerra in Bosnia, intitolato Il giorno di Bajran pubblicato dalla Jaca books. Il libro narra la storia di un gruppo di persone che vogliono visitare i loro morti, solo che il cimitero musulmano è rimasto dall'altra parte del fronte. Il pullman carico di queste persone che vogliono onorare i loro morti viene fermato dai serbi, si crea una situazione di tensione e da qui l'autrice ripercorre la storia personale di ogni passeggero. Il pullman è una sorta di microcosmo della realtà sociale e culturale, con giovani e vecchi che fanno da contrappunto a questi paramilitari serbi.
La presenza di Francesca qua è importante perché, appunto, è una scrittrice italiana che si è dedicata alla conoscenza di altre realtà, diverse dall'Italia. Il suo secondo romanzo parla di un ragazzo curdo che è in prigione in Italia. Inoltre, si occupa di un'associazione che aiuta i bambini di strada in Nicaragua, per cui va anche spesso là. Vorrei che anche lei desse la sua testimonianza su questa Italia che si apre al mondo, con tanti conflitti interni, un'Italia che al tempo stesso è esterofila e razzista.

Brenda Porster- Come si sente ancora, purtroppo, non sono italiana, ma vivo a Firenze da trent'anni. Scrivo poesie e sono stata per tanti anni insegnante di liceo. Ho ricominciato a scrivere dopo tantissimo tempo. Scrivevo quando ero giovane, poi avevo lasciato perdere perchè mi ero dedicata totalmente alla famiglia italiana. Dopo essermi separata, ho ricominciato a scrivere, forse anche per motivi sentimentali. All'inizio scrivevo esclusivamente in inglese ora, però, scrivo anche in italiano.
Forse le cose che ho scritto in italiano, hanno uno specifico italiano, non le potrei scrivere in inglese, sono diverse dalle cose scritte in inglese, può anche darsi che andando avanti ci sarà una fusione, non lo posso prevedere. Per adesso sono ben distinte, sia come contenuto che come stile.
Non sento di potermi muovere con sicurezza nella linea poetica italiana, mentre questo accade con l'inglese. Non tanto per conoscenza linguistica, ma è un sentirsi dentro una tradizione di scrittura che per la poesia è anche fortemente legato al possedere corporalmente la metrica. Quando scrivo in inglese lo sento nel corpo, mentre con l'italiano ho un rapporto più di testa, penso.

Julio Monteiro Martins- Come vedi tu, a Firenze, il cambiamento che gli stranieri hanno apportanto all'Italia? Tu che hai uno sguardo da straniera, trent'anni in Italia sono tanti...

Brenda Porster- Ho sempre vissuto a Firenze, o comunque nei dintorni, e questo penso sia un limite. Le realtà in Italia sono diverse. Firenze è una città internazionale e profondamente provinciale. Quando sono arrivata io era una situazione molto strana perché si vedevano soltanto facce bianche per le strade, non c'era mescolanza, era una tradizione monoculturale. Adesso nonostante i problemi, per me, che provengo da una tradizione coloniale, vedere tanti colori nell'autobus è un sollievo. Non credo che i fiorentini pensino lo stesso.
Nella scuola dove insegnavo nei primi anni ottanta avevo introdotto i temi del razzismo, negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Dopo averci lavorato sopra con testi letterari, i ragazzi mi dicevano che il tema era interessante ma per loro il problema non esisteva perché in Italia questo problema non esisteva. Le cose sono cambiate in modo estremamente veloce, ora non potrebbero rispondere più così.

Julio Monteiro Martins- Francesca ci racconti la tua esperienza di questi anni in tre mondi?

Francesca Caminoli- Il primo libro che ho scritto si intitola Il giorno di Bajran, il secondo si chiama La neve di Amed. Ho cercato di capire il perchè di questi temi. Forse anche grazie alla mia origine familiare: sono molto mista, non ho un posto da cui viene la mia famiglia. Ho un'origine di confine tra paesi slavi, Austria e il nord d'Italia, e poi anche Sudan, Sicilia, Spagna. Ovunque io sia mi sento sempre straniera, non esiste un posto dove possa dire sono a casa, e nello stesso tempo sono a casa ovunque. C'è come un'osmosi naturale con quello che non è il mio paese.
L'altra cosa è che in fondo scrivere di altri mi obbliga anche a conoscerli. Il primo libro è stato scritto dopo aver conosciuto abbastanza bene il mondo balcanico. Per quest'altro ho dovuto documentarmi molto: leggere libri sui curdi, sui rom e mi piace molto questa parte della conoscenza. Il terzo motivo è che non mi interessa scrivere dei miei malesseri di borghese occidentale: un giorno avevo pensato a un titolo di un libro che avrei voluto scrivere che sarebbe stato I miei mariti ed altri animali. Mi divertiva come cosa, però mi interessa dare la voce a chi non ce l'ha. Io che vengo da un mondo privilegiato, ho in fondo questa fortuna, di poter entrare dentro altre persone di diverse religioni e paesi.
Un ragazzino curdo di 12 anni non si può esprimere. La mia fatica, e anche il mio piacere, è poter dargli una voce e che a qualcuno potrà piacere.
La mia esperienza in America centrale è un'esperienza privata, con quello ci lavoro, per cui è difficile per me, non posso fare un lavoro di finzione su un mondo reale che conosco molto bene. Forse in futuro potrà avvenire questo scarto per cui riescirò a fare un lavoro di finzione su un mondo reale.
Non mi piace il reportage giornalistico, anche quello lo potrei fare. Non mi interessa perché nel reportage giornalistico non si dice più la verità. Secondo me, oggi, trovi più verità nella letteratura, i giornali non mi interessano più, non dànno informazioni, uno al limite le informazioni più vere e più profonde se le può andare a prendere dentro alcune cose che non hanno a che fare con i media e l'informazione tradizionale.

Julio Monteiro Martins-Mi ricordo un' intervista in cui Salman Rushdie diceva: "In un tempo in cui quelli che dovrebbero raccontarci la verità inventano delle storie, forse è arrivato il momento per coloro che inventano le storie di raccontare la verità."

Francesca Caminoli- È bello, perché una cosa che mi ha fatto effetto delle persone che avevano letto Il giorno di Bajran, è che mi avessero detto che pur essendo un romanzo di finzione, chiaramente verosimile perché i posti li conosco, avevano capito di quella guerra la sofferenza dei civili - perché poi oramai queste guerre sono tutte sui civili - e l'hanno capita molto di più attraverso la finzione che non attraverso i telegiornali.
C'è un brano in cui descrivo la distruzione di una casa dove muore anche un ragazzo, e la madre tenta di ricomporne il corpo dilaniato dalla bomba, ma non trovano la mano. E allora la madre diventa matta perché non riesce a ricomporre tutto il figlio. Non è un libro sulla guerra di Bosnia, ma sul ritorno dei profughi, più che altro.

Julio Monteiro Martins-Come vedi tu questi nuovi scrittori che scrivono in italiano?

Francesca Caminoli- Come dicevi prima tu l'Italia non ha una tradizione coloniale. Però l'italiano tende a parlare male del suo paese e bene di altri paesi, questo almeno fino a qualche anno fa, però, è anche molto campanilista. Secondo me la chiusura che c'è attualmente è un fatto di non conoscenza e la non conoscenza è fomentata ad arte. Voglio dire, abbiamo un governo che non spinge certo all'apertura, ma al nazionalismo, al campanilismo e alla salvaguardia dei propri privilegi, con molte menzogne poi, perché nessuno toglie il lavoro agli italiani, anzi, le industrie li chiamano perché non trovano manodopera.
Secondo me l'Italia dovrà fare un lungo percorso, perché è vergine ancora in questa esperienza, però, è anche un momento pericoloso perché dipende molto da come verrà rotta questa verginità. Se viene rotta verso un'apertura allora possiamo diventare un paese multiculturale, se, come in questo momento, vince il rifiuto, la chiusura ecc., allora verranno tempi duri, ma non solo per gli stranieri, anche all'interno degli stessi italiani che hanno posizioni diverse. Voglio dire, questo può essere uno dei motivi dirompenti tra destra e sinistra, seppure si dica che non esistono più. Purtroppo una cosa che io noto è che in Italia non esistono movimenti di giovani su queste cose, e in generale, sul futuro del mondo. Ancora è tutto in mano a quelli della mia generazione o poco più giovani. I giovanissimi, e questa è la cosa più pericolosa di questa chiusura, tendono a pensare a se stessi.

Julio Monteiro Martins- Ma c'è il movimento No global che è abbastanza attivo.

Francesca Caminoli- È abbastanza attivo ma non incide ancora negli spostamenti importanti.

Julio Monteiro Martins- Si parlava di sinistra e destra, mi sembra che ci sia una contraddizione che cresce nella società italiana: quelli che hanno una tendenza all'inclusione e quelli che hanno una tendenza all'esclusione. Per questo la questione degli immigrati è diventata, per così dire, uno spartiacque. Sinistra vuol dire oggi coloro che hanno una propensione all'inclusione, all'accettazione, e destra quelli che hanno una tendenza all'isolamento, all'esclusione.

Francesca Caminoli- Questo non è nemmeno così vero. Anche all'interno della sinistra c'è una spaccatura, perché la vecchia sinistra è molto conservatrice. Io mi ricordo già anni fa, quando si cominciavano a vedere i primi problemi con gli immigrati, tantissimi vecchi militanti del partito comunista avevano verso l'immigrato lo stesso atteggiamento di una persona di destra. Quindi è qui il problema, se questa cultura di inclusione non passa, soprattutto attraverso la sinistra, perché non è passata ancora, allora sarà dura. È più a sinistra la chiesa in questo senso!

Amor Dekhis- Vorrei dire qualcosa a proposito di destra e di sinistra italiana. Mi sembra che la sinistra sia meno sinistra mentre la destra è più destra...E a proposito della verginità, ho il timore che l'Italia rischi di rimanere vergine e addirittura zitella! Temo che abbia perso l'occasione rispetto a paesi come la Francia, l'Inglilterra e la Germania e altre nazioni europee. Prendiamo il calcio, per esempio, nella nazionale italiana non c'è nessun giocatore di origine straniera, penso sia l'unica squadra in Europa. Anche nella Germania e nella Svezia ho visto ragazzi di colore!

Francesca Caminoli- In Italia non ci si è preparati. Come diceva Julio, lo sgocciolamento verso l'Africa dovrebbe favorire il contatto con l'Africa magrebina o con i Balcani.
Mi ricordo che era l'inizio della guerra del Kosovo, e Veltroni era andato in Birmania a parlare con quella donna premio Nobel per la pace, non ricordo più il nome. Benissimo, ma se il segretario Ds, invece, si fosse fatto un bel giro di tutti i paesi affacciati sul Mediterraneo, dai Balcani al Magreb, e se si fossero fatti anche vent'anni fa...c'è proprio una grande ignoranza!

Amor Dekhis-C'è stato un periodo di stragi in Algeria e noi sapevamo benissimo che il nostro paese aveva rotto completamente i rapporti diplomatici con l'Iran, perché l'Iran sosteneva i gruppi armati e così via. Dini, che era ministro degli affari esteri nel governo che qui chiamano ribaltone, per creare un dialogo, pensò di rivolgersi all'Iran per intervenire in Algeria!!! Tutto il governo algerino, compresa l'opposizione, aveva criticato aspramente l'Iran. Mi sembra così tipico italiano, per questo prima dicevo che l'Italia è più lontana della Spagna, perchè non conosce certe realtà, anche se non dimentico una brava giornalista italiana del Manifesto, l'unica forse che conosce benissimo l'Algeria, perchè ci va spesso e fa dei reportage sul campo: si chiama Giulia Nasgrena.

Brenda Porster- Da questa considerazione volevo riallacciarmi al discorso della scrittura. Scrivere per rendere la soggettività, ovvero, assumere la voce di un soggetto ha una funzione potentissima per rompere questo isolamento e introdurre la comprensione. Questo è molto più importante di quanto possa narrare un giornalista preparato. A mio avviso narrare in prima persona assume tutt'altra potenza. Un piccolo episodio che mi è capitato recentemente. Sono stata chiamata a un festival di poesia, a leggere in quanto poetessa americana o comunque con doppia nazionalità. In questa occasione ho letto una poesia che si intitola Racconto di una madre zingara, una sorta di monologo drammatico che, per coincidenza, narra anch'essa la storia della sepoltura di un figlio. Ho preso spunto da un eposodio realmente accaduto a una donna rom sbarcata sulle spiagge della Puglia, la quale aveva nascosto durante il viaggio un bambino o bambina appena nata e morta, per non farla buttare in mare e l'aveva sepolta sulla spiaggia. Poi è stata arrestata, questo è accaduto circa tre anni fa. Dopo la mia lettura è venuto un professore di lettere di Napoli e mi ha chiesto se poteva portare questo testo in classe perché pensava, attraverso questo punto di vista soggettivo, di introdurre il tema a un gruppo di ragazzi disagiati che non accettavano gli immigrati, e questo mi ha fatto molto piacere. Attraverso il punto di vista soggettivo ho voluto esprimere la differenza, ma soprattutto, ciò che ci accomuna.

Francesca Caminoli- Quando ho scritto questo libro, un po' così, da profana, l'ho spedito a diverse case editrici e solo ad una l'ho mandato alla persona che conoscevo. Ho avuto risposte cortesi e non risposte. Una casa editrice mi ha chiesto secondo me, un libro così, quanto poteva vendere...non è il mio mestiere per cui non ne avevo idea! Un'altra invece mi ha detto: "Mah, il libro non è male però della Bosnia chissenefrega oramai!". Questo significa proprio non capire, perché è un libro sui sentimenti umani in situazioni abbastanza estreme. Il rapporto con la casa editrice è un po' curioso.

Anilda Ibrahimi- Non solo nelle case editrici ma anche in televisione e nel cinema. Io l'ho notato con l'Afganistan, ma anche con il Kosovo, si cerca freneticamente qualcosa scritto di fresco da vendere, anche di scarsa qualità, purtroppo è come una moda.

Amor Dekhis- Anche il film Viaggio a Kandahar che ha vinto diversi premi all'estero, in Italia è stato proiettato solo quando è scoppiata la guerra, per cavalcarne l'onda.

Julio Monteiro Martins- Tornando al tema della soggettività. Mi ricordo un intervista ad Hermann Broch in cui gli si chiedeva qual'era il compito della letteratura e lui aveva risposto che il compito della letteratura "era quello di dire ciò che solo la letteratura poteva dire". Vedo che in Italia quando si parla di extracomunitari - parola strana che somiglia a extraterrestri - si usano tutti gli stereotipi, sia negativi - ladri, sporchi, violenti e così via - che positivi - quelli che arrivano sono i più intelligenti, hanno studiato, sono più forti o belli fisicamente. Insomma, si ragiona sempre per generalizzazioni, in positivo e in negativo, ma è nel mezzo che si nasconde la verità.
Ho raccontato già del mio racconto Ottantacinque, ottantanove, in cui una donna italiana si innamora di un ragazzo marocchino. L'unica pecca nel loro rapporto era che lui non le tocca o le bacia mai il seno. Così lei, ad un certo punto, gli chiede perchè, e il ragazzo esita per qualche tempo e poi le racconta il vero motivo per cui era venuto in Italia. Le racconta la vicenda di sua madre che aveva un tumore al seno e il giorno dell'esame istologico, il laboratorio era chiuso perché iniziava il Ramadan. Il medico, allora, gli aveva consegnato in mano il pezzo di seno e lui e il fratello erano andati a cercare un altro laboratorio. I due ragazzi, in questa strada di Casablanca avevano scambiato il numero 85 per l'89 e così, essendosi sbagliati, non riuscivano a liberarsi da questo seno sgocciolante che tenevano in mano. Dopo la morte della madre, prima il fratello poi lui avevano deciso di allontanarsi da uno scenario che per loro rappresentava una grossa sofferenza psicologica. Allora, questa amante, non solo rimane sconvolta dal dramma personale, ma capitsce che quello è un essere umano, così, anche il loro rapporto cambia nel senso che lei comincia a nutrire per lui del rispetto, che è un sentimento superiore a quei "preconcetti positivi". Questo è il percorso che il racconto propone, e l'ho fatto di proposito, solo con la narrativa potevo farlo. Anzi, è un racconto fatto solo di dialoghi, non c'è narrazione in terza persona.
Racconto questo perchè la letteratura, secondo me, può avere un ruolo importantissimo nella formazione di una futura società italiana multiculturale, o transculturale addirittura, perchè come il cinema, che per me è un genere letterario, è l'unico strumento che abbiamo per poter proporre la verità profonda e umana di queste persone. Perchè quello che vedo nelle discussioni teoriche e ideologiche su questo tema sono variazioni attorno a generalizzazioni.

Brenda Porster- La differenza però è che leggendo siamo dentro un testo soggettivamente, mentre sullo schermo mi sembra che ci sia un certo distanziamento rispetto alla lettura, perchè tu stai seduto e guardi un'immagine lontana da te.

Amor Dekhis- Il cinema può essere una lettura abbastanza pigra, non partecipiamo con la nostra immaginazione e allo stesso tempo siamo orientati nella visione delle cose. Il libro ci fa lavorare di più, e poi possiamo gestirlo noi, quando iniziare, quando interromperlo, direi che è un rapporto più intimo.

Francesca Caminoli- È vero che il cinema è una visione più passiva però, in certo cinema, può essere formativo e importantissimo come un libro. Posso portare un esempio personale. Quando i miei fratelli ed io avevamo intorno ai dodici tredici anni, i nostri genitori ci portavano a vedere film importanti, film di giustizia sociale, diciamo, ricordo ancora Viva Zapata, Spartacus, Com'era verde la mia valle non prevedendo che in questo modo hanno fatto diventare tutti i loro figli di sinistra, perchè da ragazzino ovviamente parteggi per il più debole. Infatti una volta lo dicevamo a nostro padre, che è una persona liberale, democratica, ma non un uomo di sinistra: "Ma è colpa tua se tutti noi siamo diventati comunisti, come dici tu, perché ci hai portato a vedere questi film!".

Julio Monteiro Martins- Un giorno ho comprato il film Ladri di biciclette per guardarlo insieme a mio figlio, che ha sei anni, e pensavo: "Chissà come reagirà a un film in bianco e nero, più lento, abituato com'è a film tipo Star Wars... Lo abbiamo visto insieme ed è stato incredibile l'impatto che ha avuto su di lui: prima di tutto ha assistito al film dal primo all'ultimo minuto senza mai muoversi, poi non capiva perchè il padre doveva rubare la bicicletta, e gli ho spiegato che ne aveva bisogno per lavorare altrimenti lui non poteva mangiare e andare a scuola. Come dicevi tu prima, ho dovuto riprendere un film in bianco e nero di cinquant'anni fa, per potergli dare una storia semplice, di contenuto sociale. Per lui non è stato un film difficile, è stato trasparente.

Anilda Ibrahimi- È successo anche a me con mia figlia di otto anni, ho trovato da un rivenditore il film Roma città aperta. Lo abbiamo visto insieme, prima però le ho spiegato che era un film vecchio fatto con le pellicole, scuro, quindi l'ho dovuta un po' convincere. Le ho detto che noi abitavamo sulla Prenestina e il film era stato girato nel nostro quartiere, proprio nella porta accanto al nostro palazzo. E lei mi diceva: " Mamma non va bene perchè quella signora non parla bene, parla romanaccio". Lei è cresciuta a Roma, io sono fissata, dalla mattina alla sera le dico sempre di parlare l'italiano corretto, non come gli amichetti di scuola. Il suo commento quindi è stato questo, riferendosi ad Anna Magnani.

Mia Lecomte- Ritornando alla letteratura. Dicevo pochi giorni fa della mia necessità di rintracciare in ogni modo da qualche parte la poesia, di aver fatto una rassegna di poeti italiani contemporanei e di essermi sentita in colpa perché di poesia ce ne era molto poca... E' l'equivalente di ciò che stiamo dicendo adesso: io, nel mio settore, trovo con grande difficoltà questa commistione di sentimento ed estetica, che non c'è più, ed è il motivo per cui ho cominciato a cercarla nella letteratura migrante, dove è presente. Perchè c'è una carica di storie che comporta una carica di sentimenti fortissima, che da noi si è completamente persa. Però nella ricezione, all'interno del mercato editoriale e nell'ambito della critica, ancora non viene compresa. Si cerca di strumentalizzarla dal punto di vista sociale. Questa nuova letteratura non è intesa nella commistione, nell'impasto del vecchio cinema, e anche della produzione poetica di un certo periodo della nostra letteratura. Viene completamente sfuocato l'obbiettivo, e si punta sul dato sociale, sulla necessità di conoscere storie di altri paesi, o approfondire culture diverse, i retroscena di determinate guerre, ma non è questo. È anche il peso estetico che aiuta la comprensione delle storie.

Francesca Caminoli- Hai perfettamente ragione. Quando c'è del sentimento ti dicono che è una roba buonista, fuori moda proprio. In effetti nella letteratura italiana contemporanea, nonostante non la conosca benissimo, mi sembra sempre di vedere un gran narcisismo, un gran compiacimeno, una ricerca della parola giusta, ma con poche viscere dentro.

Amor Dekhis- Ogni opera è un'opera d'arte. Anche il cinema è straordinario, la televisione e la radio sono importanti. Però bisogna vedere che cosa propongono. Vorrei chiedere a Julio se, secondo lui, con la globalizzazione non ci sarà molta standardizzazione del prodotto nel futuro, una certa monotonia?

Julio Monteiro Martins- Prima di risponderti, volevo fare solo un'osservazione sulla questione del sentimento. Secondo me c'è questo problema dell'assenza del sentimento, ma c'è anche un altro problema, altrettanto grave, che è la banalizzazione del sentimento. Per la rivista Sagarana ricevo una gran quantità di racconti, ed ho un po' un'idea di quello che si scrive oggi in Italia, non pubblicato e anche non pubblicabile. Vedo tante cose stucchevoli, dolciastre, che non sono veri sentimenti, sono una sorta di simulacro dei sentimenti, come dovrebbero essere idealmente nelle menti meno mature.

Mia Lecomte- Manca totalmente il dolore, e questo porta a dei risultati artistici scadenti. Come scrive Alda Merini: "Le più belle poesie si scrivono con le ginocchia piagate". Il dato che mi fa decidere se è il caso di lavorare al fianco di un poeta è l'aggressione fisica che io sento all'incontro con i suoi versi. Una bella poesia si avverte fisicamente, prima ancora che intellettualmente, la comunicazione è addirittura corporale, per quello che mi riguarda.

Brenda Porster- Se parliamo della banalizzazione del sentimento bisogna pensare al modello che offre il cinema americano. Molto spesso a fianco della tecnica ammirevole, c'è un assoluto rifiuto di un rapporto con la realtà vera. Ultimamente c'è stato A beautiful mind. Se andiamo a leggere il libro, il protagonista era abbastanza bastardo. La realtà vera è così più sottile, complessa. Su questa tradizione della letteratura e del cinema europeo, con la globalizzazione, sta avendo la meglio il modello hollywoodiano.

Mia Lecomte- Lo schema americano poi, è sempre lo stesso, quello del debole, del povero, dello svantaggiato in tutti i sensi, che arriva al premio Nobel, e solo nei film, nella realtà crepano, o li fanno direttamente fuori!. Perché quello che conta è il successo, la realizzazione esistenziale coincide con la realizzazione sociale, pubblica! E i film sono perfino recitati troppo bene. Sono talmente bravi gli attori americani, che finisce per dare fastidio, è stucchevole, patinato...

Julio Monteiro Martins - Rispondendo allora ad Amor. Prima di tutto vorrei dire che non sono un fautore della globalizzazione, anzi, vedo come un rischio e una minaccia la questione dell'omologazione. Noi camminiamo sul filo del rasoio, c'è una sorta di biodiversità culturale nel mondo che è una ricchezza per il genere umano. Queste diverse visioni di mondo, con storie e tradizioni diverse, religioni diverse, è proprio un patrimonio. Perchè allora parlo di filo del rasoio. Accanto a questa diversità cammina la condizione umana che fa sì che un marocchino o un'eschimese o un tedesco abbiamo un rapporto con situazioni drammatiche umane simili. Non c'è più umanità in un europeo piuttosto che in un peruviano. Quindi la sfida per chi lavora con l'arte e la letteratura è quella di stabilire un rapporto dialettico tra l'unità della condizione umana e le diversità delle culture, senza far prevalere l'una o l'altra.
Io cerco sempre di evitare le generalizzazioni: gli ebrei hanno una tradizione così ecc., oppure quel popolo professa una religione intollerante e così via, ma allo stesso tempo come uomo di cultura, curioso dell'antropologia, sono affascinato dalle generalizzazioni! Mi piace pensare alle caratteristiche dei polacchi, che come un sandwich, sono sempre stati spremuti tra due grandi culture. Che tipo di psicologia hanno, perché Chopin fa quel tipo di musica, che cosa c'è nell'animo polacco... Come posso non parlare di questo senza cadere in generalizzazioni? Questo è il filo del rasoio. A che punto possiamo evitare le generalizzazioni sui popoli, sul carattere delle culture dei popoli? Io non riesco a trovare una risposta.

Mia Lecomte- È come la definizione di migranza. È una generalizzazione, per alcuni, però è anche vero che non c'è nessun'altra definizione possibile, perchè se tu parli di uno scrittore migrante non parli di uno scrittore stanziale, perchè uno scrittore migrante ha delle caratteristiche, delle combinazioni alchemiche all'interno del suo percorso letterario, e umano, che non sono assolutamente identificabili con quelle di uno scrittore stanziale. Quindi generalizzare è brutto, è buttare le differenze in uno stesso contenitore, però è un contenitore che definisce globalmente ed efficacemente un fenomeno .

Anilda Ibrahimi- A proposito della ricerca del sentimento in poesia di cui Mia ha parlato. Mi ricordo di quando lei stava preparando il Quaderno balcanico II, e abbiamo lavorato insieme. Volevo spiegare che nei Balcani tutto è tragico. È un mondo diverso, quello delle ballate ma anche della vita reale. Si entra ed esce dalla morte, c'è un continuo incrocio tra reale e irreale, tra i vivi e i morti. Anche nell'amore, e per le cose belle, si usano espressioni tragiche, pesanti. È una nostra caratteristica. Mi ricordo una mia poesia che Mia ha tradotto. Si intitola I cortei delle stagioni. C'è un momento della poesia in cui dico "...lasciami uscire svestita/ torrenti d'acqua/ scorrono sulle mie spalle/ come i crini sciolti/ dopo il pianto funebre/ della grande tragedia.". Da noi, le donne, quando c'è una tragedia in famiglia, tengono i capelli sciolti, e piangono tutte insieme. Si dice che nei Balcani, su tre persone, due sono poeti, perché hanno questo modo di esprimersi. L'universalità di questa letteratura viene prima di tutto dall'identità nazionale.

Andrea Sirotti- Mi veniva in mente di fare l'elogio della generalizzazione o della generalità e poi distinguerla nettamente dal suo versante negativo, che è lo stereotipo o il pregiudizio. Il cercare la generalità fa parte della curiosità umana. Solidarizzo e capisco molto bene "chissà come la pensano i polacchi". Sono domande che mi pongo anch'io, perché se c'è una curiosità verso l'uomo, che è anche una curiosità individuale verso una persona, c'è anche una curiosità verso un'intera cultura. Quindi, come diceva Julio, se l'unità della condizione umana è sacrosanta, è anche vero che ci sono degli approcci individuali, e ci sono degli approcci culturali nei confronti della stessa unità, ed è quello che incuriosisce ed interessa. L'essenziale è non cadere nel banale e nello stereotipo. Il tentativo di trovare questa essenza, questo minimo comune denominatore che ti fa dire "io sento dentro di me questa balcanicità", credo sia una cosa sana, giusta e bella, e verso la quale deve venire a patti il traduttore.

Julio Monteiro Martins- Ieri, nell'intervista che ho dato a Farenheit, mi hanno chiesto qual'era il mio libro del cuore. Ho citato Massa e Potere di Canetti, che è uno dei libri più belli e intelligenti che abbia mai letto, ma che è un libro di generalizazioni. Fa una bella metafora poetica per ogni popolo: i tedeschi sono la foresta, un bosco, eccetera. È bello vedere espresso metaforicamento lo spirito più profondo di ogni popolo, però dietro le generalizzazioni ci sono caratteristiche individuali, e che sono comuni a tutta l'umanità.
Nel periodo in cui facevo parte del movimento ecologico brasiliano chiamato Os Verdes, ho partecipato alla prima riunione tenutasi a Brasilia, delle rimanenti tribù indigene. Ricordo che arrivò da una regione sperdutissima del nord del Brasile, chiamata Roraima, dove vivono gli Yanomami, - è sopra la foresta amazzonica, una regione montuosa dove si trova la montagna più alta del paese, chiamata Pico da Neblina, il Monte delle Nebbie, perchè non si vede mai la cima - il capo tribù Yanomami, una delle tribù più primitive del Brasile. Per avere un'idea, il loro rito di comunione è vomitarsi a distanza, ed era preceduto da un corteo, diciamo, di sottogerarchi. Questo grande capo tribù si è presentato con un cappellino di Batman! C'è stato un silenzio generale al congresso. Io ho pensato: "O si tratta di un equivoco tremendo, oppure sta nascendo qualcosa di talmente nuovo ed insolito su cui ragionare". Parliamo di individuo e generalizzazione, bisogna capire anche che siamo in un mondo che ci sfida alla comprensione.

Sonia Cherbino- Noi facciamo parte di una piccola comunità, ma l'indigeno forse voleva integrarsi e non rimanere ai margini.

Julio Monteiro Martins- Quello che volevo dire è che la maestosità con cui si è presentato non corrispondeva a quel cappello nero con la proiezione gialla sui cieli di Gotham City.

Andrea Sirotti- Il fatto che lui indossasse un cappellino che nel resto del mondo è portato dai bambini, probabilmente spiega la sua diversità, è quella sfida che dicevi. Mi sembra non tanto un desiderio di uniformarsi, magari gli sono piaciuti i colori, oppure non dava importanza al film.

Sonia Cherubini- Poiché gli indios amano molto truccarsi, usare molti colori, forse si tratta di un'estetica nuova.

Brenda Porster- Il mio ex-marito, fiorentino, tiene molto all'eleganza, ha questo modo di essere elegante anche quando è casual, - cosa che si ammira tanto negli italiani, perchè effettivamente è un loro dono, tanto per fare una generalizzazione!
La prima volta che è venuto negli Stati Uniti, in metropolitana o alla fermata degli autobus di New York, eravamo allora studenti, aveva rimarcato quanto erano eleganti i neri e i poveri del ghetto, proprio perchè avevano questo gusto libero, di scegliersi qualsiasi oggetto, di qualsiasi provenienza e mescolarlo liberamente. Di questo io non mi ero mai accorta perchè abituata a certe regole del bon ton, e non capivo questo "sincretismo stilistico" che al tempo stesso era del tutto individuale.

Anilda Ibrahimi- Io non credo che la voglia dell'indios era quella dell'integrazione, e vi spiego il perché. Nella mia vita, per sopravvivere, lavoro allo sportello legale del Consiglio Italiano per i Rifugiati Politici. Ricevo tante persone dando loro un orientamento legale. In questo momento arrivano tanti dal Congo, dallo Zaire, questi bellissimi ragazzi che, anche se vogliono integrarsi ecc., si vestono in un modo strano per l'Italia. Portano questi cappellini bianchi, con un doppiopetto giallo, cravatta rossa e camicia nera, molto eleganti davvero, belli da vedersi, però totalmente fuori moda. Mi sembra contraddittorio, perché cercano lavoro, frequentano italiani, hanno subito la fidanzatina italiana - perchè dopo una settimana tornato sempre accompagnati dalla fidanzata! -questo accade anche con i cubani, sono davvero bei ragazzi, bisogna dire!
Allora dicevo questo perché, magari, questo indio semplicemente era stato attratto da questo elemento nuovo.

Julio Monteiro Martins- Un caso emblematico sono gli indiani d'America, che li vedi con il cappellino da baseball, ed il cinema ci ha proposto degli eroi perdenti, sono grassi, bevono la birra. C'è una sorta di delusione, e questa immagine non collabora all'affermazione dei loro diritti.

Anilda Ibrahimi- Non abbiamo mai parlato di come noi vediamo gli italiani quando arriviamo, oppure come vediamo gli altri popoli che vivono qui.

Julio Monteiro Martins- Noi in Brasile abbiamo delle espressioni peggiorative sia per riferirci ai bianchi che ai neri. Per esempio, diciamo "ah aquele branco azedo!", cioè quel bianco acido, oppure "aquela barata descascada" quello scarafaggio senza la corazza. I bianchi che vogliono offendere i negri dicono: "Preto quando não caga na entrada caga na saida", un nero quando non caca all'entrata, caca all'uscita. Questa espressione è tremenda perchè significa, non dare lavoro a un nero, perchè se sembra che ha cominciato bene ti farà perdere alla fine. Non fidarti di uno con la pelle nera.

Mia Lecomte- Ho un amico curdo, nato a Baghdad e cresciuto in Turchia, che adesso sta a Roma, ma che ha vissuto tanti anni in America. Mi ha raccontato che in alcuni Stati americani fino a quindici o vent'anni fa - non so se esista ancora - sui visti c'era una classificazione: bianco, nero e "other". In "other" rientravano tutte le sfumature tra il bianco e il nero. Lui, ad uno sportello dove doveva rinnovare il permesso, di fronte ad un'impiegata nerona che gli chiedeva il suo colore, ha risposto che era bianco, e lei diceva di no, che non era bianco. Insomma alla fine ha dovuto accettare di farsi scrivere la "o" di "other", perché dal suo punto di vista non era bianco e però non era neppure nero come lei.

Anilda Ibrahimi- Forse dipende in quale stato ti trovi, perché io ho conosciuto un signore egiziano che vive a Roma, ma che ha vissuto in America tanti anni. Lui era nero, però per l'Egitto rientrava negli Stati a maggioranza bianca, per cui aveva scritto bianco sul passaporto, e lui si lamentava perché in realtà era nero.

Julio Monteiro Martins- C'è un cantante brasiliano, molto famoso, Pery Ribeiro, che faceva bossa nova, era bianco con capelli ricci, ma bianco. In una tourné americana, nei teatri lo presentavano come "The black brazilian singer". Questo cantante ebbe un esaurimento nervoso ed andò a finire in clinica perchè non acettava che lo presentassero in quel modo, anche se un fondo di verità c'era perché la madre era mulatta, ma si dipingeva i capelli di biondo.

Brenda Porster- Per provocazione, in commissione di esame di maturità, io non dichiarai il mio genere: maschio o femmina. Ricordo che provocai uno scandalo!
Se possiamo tornare al senso del tragico, di cui parlava Anilda, mi chiedevo, rigirando la moneta, in che modo entra il senso dell'umorismo. Abbiamo sentito poche sere fa a Pistoia un poeta bosniaco che aveva una serie di poesie umoristiche meravigliose. Anche il senso dell'umorismo nelle varie culture è nazionale ma anche universale. Pensiamo all'umorismo irlandese oppure a quello ebraico.

Julio Monteiro Martins- Negli Stati Uniti ricordo un umorismo nero molto forte, un grottesco della violenza portato così ad oltranza che ti fa ridere. Quando sono tornato in Brasile ho cercato di raccontarlo ma non funzionava. E ci sono popoli privi di senso dell'umorismo.

Brenda Porster- Quello che mi interessa è proprio il nesso tra la sopravvivenza e il senso dell'umorismo. Mi sembra che questo sia presente tra certi popoli solcati da una storia tragica.

Francesca Caminoli- La prima volta che sono andata a Sarajevo, pochi mesi dopo la fine della guerra, una cosa che mi ha colpito tantissimo è stato l'umorismo bosniaco agghiacciante e anche tremendo; riuscivano a sorridere su cose di morte più che di vita. Ho visto personalmente, infatti poi l'ho scritto nel libro, il muro di una casa nella periferia, dove tutto era distrutto, e c'era scritto: "Questa casa è serba", e sotto: "Cretino, questa era la casa di mia nonna". In un primo momento ho pensato che questi erano matti, è un po' matti lo erano diventati effettivamente, però poi lo capisci, era anche probabilmente un'arma di sopravvivenza.

Brenda Porster: Questo esempio di culture umane che portano un certo tipo di abbigliamento, alcuni capi tipicamente occidentali adattati allo loro esigenza di colori ecc., forse potrebbe essere un modello di quello che fa la scrittura migrante.

Anilda Ibrahimi-Volevo dirvi anch'io una cosa che fa ridere, a proposito della casa serba. Mi ricordo a Valona nel '97: la popolazione aveva rubato dai depositi le armi, e una banda di criminali è entrata in un ristorante . Finito di mangiare, il cameriere ha chiesto i soldi, ed uno della banda gli ha risposto che soldi non ne aveva ma poteva prendersi un kalashnikov, e rivenderselo. Il cameriere, che non era troppo sicuro, è andato via e poi è tornato con otto pallottole, e gli ha detto: "Ecco il resto".
C'è anche la storia di un vecchietto del quartiere che vendeva sigarette vicino al muro di una scuola - si vendono sigarette dappertutto e ne puoi comprare anche solo una di un pacchetto - e si faceva i fatti suoi. Ad un certo punto pare che la polizia cercasse una banda di persone armate, così, ha chiesto al vecchietto se aveva visto qualcuno passare e lui ha risposto di sì, che aveva scavalcato il muro. La polizia- lì, sapete, non scherza- è andata ma non ha trovato nessuno, così è ritornata dal vecchietto e gli ha chiesto se l'aveva visto davvero, e lui ha risposto che non l'aveva visto davvero, ma l'aveva visto fare in tutti i film.


Nella foto: Francesca Caminoli e Stephanie Damoff