GLI INDIOS TOBAS A ROSARIO: NUOVI
POVERI URBANI
Luis
César Bou
Situazione originale:
I Tobas appartengono a un grande gruppo di popoli indigeni
denominati guaycurúes. Originalmente abitavano una vasta
regione del nord dell'Argentina: la zona conosciuta con il nome
Chaco, termine che in lingua aymará vuol
dire "luogo di caccia". Oltre alla provincia che porta
questo nome, la regione del Chaco comprende, parzialmente
e totalmente altre quattro province argentine (Sant Fé,
Santiago del Estero, Salta e Formosa) e si estende fino al vicino
Paraguay. Nelle sue origini il Chaco era coperto da immensi
boschi ricchi di spezie vegetali molto pregiate, come il quebracho.
I Tobas erano un gruppo nomade, e come tale viveva di caccia,
di pesca e di raccolta, anche se, per influenza della regione
delle Andes, hanno adottato subito qualche elemento culturale
più avanzato, come la lavorazione della ceramica, del tessuto
di fibra vegetale e della cesteria.
A partire dal 1880 è iniziata l'occupazione sistematica
dei territori indigeni da parte del Governo Nazionale. Nel Chaco
questa campagna di appropriazione durò fino al 1919, l'anno
in cui è avvenuto l'ultimo grande scontro tra i gruppi
guaycurúes e l'esercito. I fucili a ripetizione
e soprattutto gli alcolici hanno decimato gli indigeni. I loro
ancestrali territori di caccia si sono convertiti in immensi latifondi
adibiti, in un primo momento, all'estrazione di legname pregiato.
Una sola ditta, con sede a Londra, La Forestal è
riuscita ad appropriarsi di più di due milioni di ettari
in una sola delle province della regione del Chaco. La
produzione di tanino o strato di quebracho, di dormenti
per gli strati di ferro e di pali per la recinzione, ha convertito
in pochi decenni l'immenso bosco in una gigantesca superficie
arida. Un albero di quebracho richiede cent'anni per crescere,
e a nessuno interessava aspettare tanto tempo... Con grande difficoltà,
i Tobas hanno dovuto adattarsi a una situazione molto più
oppressiva. Pochissimi hanno lavorato nell'industria del legname:
nella loro cosmovisione gli alberi di quebracho erano sacri,
e gran parte dei loro conflitti con i bianchi aveva avuto origine
proprio a causa della distruzione del bosco. Hanno potuto continuare
a pescare nel fiume Bermejito, che attraversa la regione della
provincia del Chaco dove la maggior parte di loro si sono
stabiliti. Potevano, eventualmente, vendere il loro artigianato,
tuttavia erano pochi i turisti che visitavano la regione in grado
di comprare qualche cosa; potevano anche fare i contadini o le
domestiche, nel caso di donne al servizio dei colonizzatori bianchi.
Ma è stato solo quando la regione del Chaco si è
indirizzata verso la produzione del cotone, che i Tobas
hanno avuto più possibilità di sopravvivenza. Una
volta all'anno partecipavano massicciamente alla raccolta del
cotone, ciò permetteva loro di ottenere un'ingente somma
di denaro. Gestito dalle loro donne, questo denaro poteva essere
sufficiente per coprire le necessità più urgenti
fino alla prossima raccolta.
Il problema serio nasceva quando, a causa delle condizioni climatiche,
la raccolta falliva. La provincia di Chaco è una
delle più povere della regione, le risorse per l'assistenza
sociale sono scarse. E, anche quando non lo sono, difficilmente
sono destinate alle comunità indigene. Così che,
la siccità, l'eccesso di piogge, o qualsiasi altro evento
naturale che diminuisca la produzione del cotone ha effetti irreparabili
nella vita di quelle comunità. Non avendo alternative economiche,
l'unica possibilità è emigrare. E l'emigrazione
può essere solo verso il Sud, fino alle regioni più
ricche e sviluppate della Pampa Húmeda. Queste emigrazioni,
periodiche e limitate, hanno avuto il loro apice a partire dal
1982, quando il Chaco fu colpito da inondazioni senza precedenti.
Alla classe politica che governava il Chaco non interessava
assistere i Tobas nè regalare loro qualche possibilità
di sviluppo autonomo. L'unica possibilità di sopravvivenza
nel Chaco è data dall'agricoltura, e questo significa
concedere terre agli Indios: un assurdo impensabile nelle menti
dei proprietari terrieri. Il problema degli Indios fu risolto
in un modo molto più semplice ed economico: pagando il
biglietto di tutti quelli che decisero di andarsene verso il Sud.
La situazione, già critica, degli Indios del Chaco,
si è deteriorata ancora di più in modo drammatico
negli anni Novanta. Innanzitutto, i crescenti contrasti hanno
fatto sì che molti Indios fossero espulsi dalla poca terra
che ancora possedevano. In secondo luogo, divenne sempre più
importante la diffusione dell'uso delle macchine mietitrici che
rese l'attività svolta dagli Indios non più indispensabile
per le attività agricole.
Per molto tempo per i proprietari terrieri l'uso delle mietitrici
meccaniche non è stato conveniente. Quelle poche che esistevano
oltre ad essere molto più costose della manodopera indigena,
risultavano inadeguate alle varietà di cotone coltivate
nel Chaco. Le politiche neoliberali applicate all'economia
e l'integrazione al Mercosud hanno favorito l'importazione
di macchinari e di tecnologie brasiliane a bassi prezzi, facendo
in modo che verso la metà del decennio tutta la raccolta
fosse già meccanizzata.
Per le comunità indigene questo ha rappresentato l'Olocausto.
Sarebbe un compito interminabile descrivere tutte le violenze,
i ricatti e le truffe utilizzate dai proprietari terrieri che
governano il Chaco, per "levarsi di dosso" gli
Indios, a cui avevano usurpato la terra che fino ad allora li
aveva arricchiti. Tutto questo, ovviamente, giustificato ideologicamente
dal più crudo e inconfessato razzismo.
Ma, se alla violenza pura e semplice si può sempre opporre
qualche forma di resistenza (e gli Indios hanno resistito per
molti secoli) è molto difficile resistere alla fame. Ed
è più difficile ancora che gli affamati possano,
loro stessi, uscire dal marasma. Le comunità indigene sono
state assediate dalla fame, e l'unica uscita che gli si è
presentata è stata quella dell'emigrazione. Se un giorno
si scrivesse la storia degli Indios del Chaco, gli anni
che vanno dal 1990 al 1995 sarebbero chiamati "Il grande
esodo" verso il Sud.
A piedi, in pullman, in camion, in treno merci e anche in carro
bestiami, affittati per questo scopo dai governanti del Chaco,
gli Indios sono arrivati nelle grandi città del Sud. Dal
Chaco hanno potuto portare con sé soltanto la tubercolosi
cronica, la denutrizione dei loro bambini, la scabbia, la malaria
ed altri "beni" del genere.
A Rosario:
Il
fatto che i Tobas hanno scelto la città di Rosario
come uno dei loro principali luoghi di assestamento si deve principalmente
a due ragioni: in primo luogo, perché si tratta di una
grande città vicina alla regione del Chaco, ed inoltre
perché possiede una struttura sociale abbastanza aperta
da non respingere frontalmente i nuovi arrivati. In altri villaggi
o città non gli è stato permesso di sistemarsi,
o addirittura li hanno cacciati e costretti a ritornare verso
il Chaco. A Rosario, dove il cento per cento della popolazione
discende da immigranti di origini diverse, arrivati in periodi
relativamente recenti, i Tobas non sarebbero stati ben
accolti ma nemmeno sarebbero stati espulsi. D'altra parte, esiste
ormai un precedente di popolazione Toba radicata già
da molto tempo. Negli anni '50 e '60 un nucleo importante degli
Indios del Chaco arrivò a Rosario attirato dalla
prosperità industriale di cui la città godeva in
quel momento. Si sono stabiliti nel quartiere San Francisquito,
nella periferia della città. Anche se questo gruppo è
riuscito in gran parte ad integrarsi con il resto della popolazione,
non per questo ha perso la sua identità etnica, né
il suo rapporto con il luogo d'origine. Come si sa, i legami di
parentela sono molto stretti tra le popolazioni indigene. Questo
si deve al fatto che originalmente, nelle società aborigeni
senza stato, tutto il sistema politico di controllo sociale e
di ridistribuzione economica aveva come base la struttura familiare.
Le reti familiari tra i Tobas di Rosario e quelle del Chaco
rimanevano salve, nei momenti di catastrofe economica, e si trasformarono
in vere reti di solidarietà sociale. I nuovi arrivati hanno
potuto così contare su qualche aiuto da parte di coloro
che si radicarono a Rosario '30 o '40 anni prima.
Quando, a partire dal 1982, e a seguito del disboscamento, iniziò
un periodo di grandi inondazioni nel Chaco, i Tobas
arrivarono in massa a Rosario. Non lo hanno fatto in cerca di
un lavoro né di una sistemazione permanente, ma semplicemente
cercando il rifugio e l'assistenza che nella loro terra di origine
gli era negata. Molti sono tornati al Chaco quando le condizioni
climatiche migliorarono. Altri restarono, stabilendosi nei terreni
abbandonati della città. Nel quartiere Empalme Graneros,
uno dei più poveri, si stabilì il nucleo principale.
A Rosario, i Tobas hanno potuto accedere ad una certa assistenza
medica negli ospedali pubblici; i loro figli hanno potuto ottenere
buoni mensa giornalieri nelle scuole; ed hanno potuto anche ottenere
generi alimentari di prima necessità concessi dal governo
municipale. Anche se più che assistenza sociale questa
é una sorta di elemosina, é pur sempre molto più
di ciò che erano abituati a ricevere nel Chaco.
L'accesso a questi "beni", infatti, ha permesso di prolungare
la loro permanenza nel luogo.
Come conseguenza di tutto ciò, Rosario è finita
per diventare uno dei luoghi preferiti dal nuovo insediamento,
il luogo del Grande Esodo degli anni '90. La diffusione della
meccanizzazione agricola nel Chaco ha fatto sì che,
in pochissimo tempo, siano comparsi a Rosario grandi accampamenti
di rifugiati. È difficile stimare il numero esatto di Tobas
che sono arrivati complessivamente, poiché molti si sono
distaccati dalla loro comunità, hanno scelto delle strade
individuali di sopravvivenza. In questi casi spesso si rinnega
la propria condizione di Indios, come se si trattasse di uno stigma
vergognoso. All'incirca, possiamo stimare in diecimila i Tobas
che, vivendo in comunità, sono oggi radicati a Rosario.
Numero significativo in una città con un po' più
di un milione di abitanti.
Strategie di sopravvivenza nel nuovo habitat:
Nei
decenni '80 e '90, Rosario non è più il grande centro
industriale e commerciale di venti anni fa. Le politiche neoliberali
e conservatrici, in vigore in Argentina da molto tempo, hanno
trasformato questa città in qualcosa di molto diverso.
Le poche affidabili statistiche ufficiali ci danno circa il 24%
di disoccupati. Se a questo aggiungiamo un valore simile di sottoccupati
e di lavoratori temporanei, la conseguenza é che almeno
il 50% della popolazione ha grandi difficoltà nel soddisfare
le sue necessità primarie. In questo contesto, gli Indios
appena arrivati non hanno avuto molte alternative economiche a
disposizione. I primi ad arrivare hanno fatto ricorso alle elemosine.
II fatto di aver emigrato a causa delle forti inondazioni ha fatto
nascere un certo grado di simpatie e di solidarietà da
parte del resto della popolazione, ma questo è stato solo
per la durata del fenomeno meteorologico, ma successivamente i
nuovi arrivati se volevano rimanere a Rosario, hanno dovuto cercarsi
nuove alternative. Dobbiamo sottolineare che soltanto poche donne
sono finite in una mendicità cronica, e sempre si trattava
di individui che avevano pochi rapporti con il nucleo della comunità.
Ai bambini, sporadicamente, era concesso di mendicare, ma gli
adulti erano troppo orgogliosi per chiedere qualcosa.
Un'altra fonte di sopravvivenza è stata la vendita di prodotti
di artigianato: ceramica, cesteria, e qualche tessile. A Rosario,
i Tobas trovarono per questi prodotti un mercato molto
più vasto di quello che avevano a Chaco. Ma questa
fonte di reddito presentava diverse limitazioni: innanzitutto,
l'artigianato indigeno è stato svalutato durante i secoli
dai dominatori bianchi del Chaco, e ciò ha portato
a una sottovalutazione dei prodotti artigianali degli Indios.
A sua volta, questo prodotto risultava limitato nella sua varietà
e nella sua qualità estetica, per questi motivi il nuovo
mercato artigianale non si è potuto allargare ulteriormente.
In secondo luogo, esisteva un ulteriore problema: gli Indios non
sempre potevano vendere direttamente i loro prodotti. Le migliori
piazze erano controllate spesso dagli intermediari, tra i quali
purtroppo erano inclusi alcuni assistenti sociali e antropologi,
che si impossessavano della parte più sostanziale dell'affare.
A lungo andare, la fonte principale di sostenimento finì
per essere l'immondizia. Da un lato nelle immondizie domiciliari
i Tobas trovavano resti e avanzi alimentari che a volte
diventavano il loro pasto quotidiano. Tutte le sere si poteva
vedere il triste spettacolo di intere famiglie che percorrevano
il centro della città, mangiando là dove trovavano
resti di cibo. Da un altro lato l'immondizia li offriva anche
del vestiario, delle calzature e anche un incasso economico regolare.
In effetti la raccolta della carta, del vetro e dell'alluminio,
cercati con pazienza e venduti a prezzo stracciato, consentivano
un apporto economico che sostituiva quello che in passato era
garantito dalla raccolta del cotone. Il problema che i Tobas
dovevano affrontare, oltre allo sfruttamento dei rivenditori,
era la dura competizione per l'appropriazione della spazzatura.
L'impoverimento degli ultimi anni ha fatto diventare l'immondizia,
per molti, un oggetto prezioso. Intorno ad essa sono comparse
delle mafie che disputano ferocemente per la sua raccolta
e per la sua commercializzazione. I Tobas con il loro carattere
pacifico e rassegnato, finirono per essere sconfitti, e spesso
hanno dovuto accontentarsi dei residui meno "ricchi"
e vantaggiosi.
L'assistenza sociale per questo gruppo:
L'assistenza
sociale in Argentina è stata sempre legata a favore dei
politici. Più che prevenire i problemi sociali, si è
sempre preferito intervenire quando già erano sorti. Prevenire
un problema offre pochissimo reddito politico. Inoltre la distribuzione
di palliativi e di elemosine può generare una clientela
elettorale che porta molti voti. In considerazione di ciò
non è quasi niente quello che i Tobas possono ottenere,
a livello ufficiale, sotto forma di iniziative che consentano
uno sviluppo autonomo ed indipendente. Molti di loro non votano,
sia perché non hanno documenti sia perché il loro
domicilio elettorale è in un'altra provincia. E poiché
non votano non hanno alcuna importanza nel momento della distribuzione
dell'elemosina.
Un'altra questione che impedisce ai Tobas l'accesso all'assistenza
sociale è l'incomprensione religiosa. In effetti, la chiesa
cattolica, e le sue istituzioni collaterali, sono in Argentina
il principale organismo di assistenza sociale. Ma questa assistenza,
che non è nemmeno abbondante ed è anch'essa destinata
a creare un clientelismo, esiste fondamentalmente per i fedeli
cattolici e i Tobas nella loro maggioranza non sono cattolici.
I tentativi di convertire al cattolicesimo gli Indios guaycurúes
fallirono totalmente, già nel periodo coloniale: il rito
cattolico della messa era facilmente associato all'antropofagia,
praticata dai vicini guaranies e oggetto di un forte tabù
per gli Indios del Chaco. Già nel ventesimo secolo,
le chiese evangeliche pentacostali erano praticate dai Tobas,
ed è stato un successo. Il messaggio millenarista dei pentecostali
incontra ottima accoglienza tra gli emarginati. Inoltre, le chiese
pentecostali tollerano un più alto sincretismo con i credi
tradizionali. Questo ha allontanato definitivamente i Tobas
dalla Chiesa Cattolica, e li ha portati ad assumere un atteggiamento
passivo e contemplativo di fronte alla realtà: l'ingiustizia
e la miseria sono riconosciute e criticate, ma la loro soluzione,
che non è alla portata degli uomini potrà aversi
solo con un evento apocalittico. Un altro grande problema è
che l'assistenza sociale e l'educazione tra i popoli indigeni
sono state sempre, direttamente o indirettamente, esplicitamente
o implicitamente, orientate verso l'acculturazione. Questo è
collegato alla storia di un paese dove la maggior parte della
popolazione discende da immigranti delle più varie origini,
e nel quale gli Indios sono considerati, nel migliore dei casi,
degli stranieri in più. L'obiettivo dello Stato fu, sin
dall'inizio, quello di integrare questa diversità in un'identità
nazionale nuova. La diversità culturale era accettabile
per lo straniero appena arrivato, ma non per i suoi figli nati
nel paese. La missione di acculturarli era a carico delle istituzioni
dello Stato, soprattutto del sistema educativo e delle Forze Armate,
attraverso il Servizio Militare Obbligatorio. Queste istituzioni
offrivano anche un controllo medico e sanitario, e aiuti alimentari
in caso di necessità. Per fortuna, il Servizio Militare
non esiste più, ma il sistema educativo conserva in gran
misura le sue caratteristiche originali. Di conseguenza gli indigeni
argentini non possono accedere a un'educazione nella loro lingua
madre. Questo determina una grande difficoltà per i bambini
che iniziano la loro istruzione primaria a cinque o sei anni.
Questa diversità provoca nel migliore dei casi, un ritardo
scolastico e, spesso, l'abbandono precoce degli studi. Se si riuscisse
a superare l'ostacolo dell'idioma, secondo il programma scolastico
attuale, i bambini indigeni imparerebbero che gli Indios argentini
erano dei selvaggi senza cultura e che i generali che conquistarono
i loro territori e massacrarono i loro antenati erano eroi da
venerare. Negli ultimi anni, l'unico progresso che si è
riusciti ad ottenere è l'introduzione di maestri bilingue
nelle scuole con un'alta frequenza di bambini indigeni. Ma questo
serve solo a facilitare l'educazione ad un'altra cultura che non
è quella indigena. E tutti noi sappiamo che l'acculturazione
è a lungo termine sinonimo di etnocidio.
(Tradotto dallo spagnolo da Julio Monteiro Martins)
Luis
César Bou è professore presso l'Universidad Nacional
de Rosario, in Argentina.
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