CHI È CLARICE
LISPECTOR?
Guadalupe
Ángeles
In questo saggio, nutrito dalle idee e dalle definizioni che hanno
avuto, tra i vari studiosi, Hélène Cixous e Marly
de Oliveira, Guadalupe Ángeles ci racconta che Clarice
Lispector è stata,
tra le altre cose, l'autrice di "Libri come urla che gridano
tutto quello che tacciamo, e di cui nel nostro silenzio diventiamo
complici". Per rispondere alla domanda che dà il titolo
al saggio, Ángeles fa ricorso alla migliore fonte di risposta
che si può concepire: l'opera di Clarice, cominciando dal
romanzo L'ora della stella, passando per Acqua viva,
Silenzio, Felicità clandestina, e soffermandosi
in modo particolare su La passione secondo G.H. Si avverte
la sensazione di essere di fronte ad un'autrice inaccessibile,
alla quale dobbiamo ritornare molte volte per ottenere una comprensione
più completa di questa "persona sensibile, angosciata
dal fatto di non saper perché vive, e che ha creato un'opera
proprio su questo non-sapere...".
Intitolare un articolo con una domanda è una lama a doppio
taglio: da una parte si vuole svegliare la curiosità del
lettore, e se ci si riesce poi si dovrà soddisfarla. Dall'altra
parte uno deve cercare prima di trovare la risposta per se stesso,
perché chi l'ha scritta l'ha fatto probabilmente perché
non ha una risposta soddisfacente. Camminiamo così sul
filo di questo rasoio affilato. Clarice Lispector è una
scrittrice stupefacente; lo ripeto oggi con lo stesso sguardo
meravigliato della giovane che ero quando per la prima volta ho
affrontato uno dei suoi testi, forse il più conosciuto
nel nostro paese: La passione secondo G.H.. Confesso che
sono stata attratta da questo titolo quando l'ho trovato in un
negozio di libri usati, perché le iniziali del mio nome
sono G.A.H., e credevo di poter trovare nelle pagine di quel libro
qualcosa che potesse aiutarmi a definire, per farlo diventare
mio, il concetto di passione, giacché come ho detto ero
molto giovane ed ero ancora in attesa delle grandi passioni della
mia vita. Non sapevo, allora, che il libro che avrei dovuto leggere
sarebbe stato un altro suo libro, L'apprendistato o il libro
dei piaceri, poiché in questo Clarice Lispector proponeva
una nuova conoscenza, un sondaggio profondo nei cuori dei due
personaggi. Personaggi che cercano di amarsi al di là di
loro stessi, ma dal di dentro del seme più profondo del
loro amore compaiono queste frasi della protagonista del romanzo,
Lori:
"Placami
l'anima, fa' che io senta la Tua mano stretta alla mia, fa' che
io senta che la morte non esiste perché in realtà
siamo già nell'eternità, fa' che io senta che amare
è non morire, che il dono di se stessi non significa la
morte, fa' che io senta un'allegria modesta e quotidiana, fa'
che non Ti chieda troppo, perché la risposta sarebbe misteriosa
quanto la domanda, fa' che ricordi che non c'è spiegazione
nemmeno al perché un figlio vuole il bacio della madre,
eppure lo vuole, eppure il bacio è perfetto, fa' che io
riceva il mondo senza timore, poiché per questo mondo incomprensibile
sono stata creata, e anch'io incomprensibile, e ciò vuol
dire che c'è un legame tra questo mistero del mondo e il
nostro, ma questo legame non ci sarà chiaro finché
cercheremo di capirlo, benedicimi affinché viva con allegria
il pane che mangio, il sonno che dormo, fa' che io abbia carità
per me stessa poiché altrimenti non potrei sentire che
Dio mi ha amato, fa' che io perda il pudore di desiderare che
nell'ora della mia morte vi sia una mano umana amata a stringere
la mia, amen."
Sentiamo
ora la voce di Ulisse, il protagonista maschile:
"Avrei
già potuto averti col mio corpo e la mia anima. Aspetterò,
anni se necessario, che anche tu abbia un corpo-anima per amare.
Siamo ancora giovani, possiamo perdere un po' di tempo senza perdere
tutta la vita. Ma guarda tutti quelli che ti stanno intorno e
renditi conto di che cosa facciamo di noi e questa che consideriamo
una nostra vittoria d'ogni giorno. Non amiamo, al di sopra di
tutte le cose. Non accettiamo ciò che non si capisce perché
non vogliamo passare per ingenui. Accumuliamo cose e sicurezze
perché non riusciamo ad averci reciprocamente. Non abbiamo
allegria che non sia stata già catalogata. Costruiamo cattedrali
e ne rimaniamo al di fuori perché le cattedrali che noi
stessi costruiamo, temiamo che siano trappole. Non ci consegniamo
a noi stessi poiché questo sarebbe l'inizio di una vita
vasta, e noi la temiamo. Evitiamo di cadere in ginocchio davanti
al primo di noi che per amore dica: hai paura. Organizziamo associazioni
e club sorridenti dove servono con o senza soda. Cerchiamo di
salvarci ma senza usare la parola salvezza per non vergognarci
di essere innocenti. Non usiamo la parola amore per non doverne
riconoscere il suo intreccio d'odio, d'amore, di gelosia e di
tante altre contraddizioni. Teniamo segreta la nostra morte per
rendere possibile la nostra vita. Molti di noi fanno dell'arte
perché non sanno com'è l'altra cosa. Dissimuliamo
con falso amore la nostra indifferenza, sapendo bene che la nostra
indifferenza è angoscia dissimulata. Dissimuliamo con la
paura piccola la grande paura più grande e perciò
non parliamo mai di ciò che realmente importa. Parlare
di quello che realmente importa è considerato una gaffe.
Non adoriamo perché c'è in noi la meschinità
sensata da ricordarci il tempo dei falsi dèi. Non siamo
puri e ingenui per non ridere di noi stessi e perché alla
fine del giorno possiamo dire "perlomeno non sono stato sciocco"
e così non sentirci perplessi prima di spegnere la luce.
Sorridiamo in pubblico per delle cose per cui, da soli, non avremmo
sorriso. Chiamiamo debolezza il nostro candore. Ci temiamo l'un
con l'altro, soprattutto. E tutto questo, lo consideriamo la nostra
vittoria d'ogni giorno. Ma io ne sono fuggito, Lori, ne sono fuggito
con la ferocia con cui si fugge dalla peste, Lori, e aspetterò
fino a quando anche tu non sarai più pronta."
Questo
è Clarice Lispector, un nuovo modo di vedere il mondo.
È soprattutto il non aver timore delle parole, quelle parole
che esprimono l'ira e i più nascosti segreti che abitano
dentro i suoi personaggi che sono sempre esseri per niente irreali:
al contrario Clarice suole disegnare con tratti chiari e contundenti
quelli che camminano per le strade e in un gesto ci rivelano la
loro vita senza accorgersene. Si può leggere in L'ora
della stella, la cronaca dei lavori di uno scrittore che pretende
lanciare un violento grido alla vita, attraverso la contemplazione
della disperazione contenuta nello sguardo di una ragazza umile
che ha visto passare per strada; questo è Clarice, la paura
è assente. Voglio che sia chiaro: non esiste paura. In
questo stesso romanzo, riferendosi al suo personaggio lei dice:
"Potrei risolverlo nel modo più facile, ammazzando
la bambina-ragazza, ma voglio il peggio: la vita". È
chiaro che Clarice si è mascherata dietro questo scrittore
che, con grande sforzo e a volte contro se stesso, scrive il libro
che abbiamo in mano e non sa' bene come farlo nella maniera di
Josefina Vicens in Il libro vuoto, scrive un libro sull'incapacità
di scriverlo. Si delinea attraverso questo dubbio indefinito che
raccoglie in sé un dubbio sulla validità stessa
dell'esistenza; tratta quindi con materiali pericolosi quest'autore
che non ha nome ma è di sesso maschile, e deve esserlo
per sfuggire alla tentazione del pianto nel suo tentativo di scrivere
questa storia semplice ma profonda, fatta di piccoli eventi che
rispecchiano la miseria del vivere senza sapere di viverla, oppure
la semplice miseria del vivere, e dirlo dando voce alla giovane
Macabea, che non sa quasi nulla di se stessa fino alla fine, quando
non è più possibile (e forse non lo è mai
stato) vivere una vita diversa.
Clarice si è data il compito di lasciare al mondo libri
come questo, riflessivi, intenti a spargere sale sulla ferita,
libri come gridi che urlano le cose che mai diciamo, e con il
nostro silenzio ne diventiamo complici; si sa già, nessuno
è colpevole della miseria e tutti lo siamo; riconoscere
quel poco di umano che il mondo ha permesso di essere a Macabea,
descrivere in che modo lei soltanto sfiora la condizione umana,
ma è profondamente libera nella sua ignoranza di se stessa,
questo è ciò che determina che Clarice rappresenti
l'assenza totale di paura. Non sarebbe proprio questa sua assenza
di paura che l'ha portata a scrivere fino alla propria morte,
come si legge nel libro Un soffio di vita ?, opera postuma
curata da Olga Borelli dopo la sua morte. Fu l'opera ritrovata
sulla sua scrivania e che le é sopravvissuta, con quella
vita intensa che ha saputo imprimere in tutti i suoi libri. Questa,
creata ai confini della vita, è il suo testamento esplicito,
è la conferma che solo un autore coraggioso è in
grado di accettare e di analizzare (con la lentezza propria di
chi studia un caso unico) la sua incapacità di ricevere
la morte. C'è di più, ma molto di più di
Clarice: c'è questo personaggio che, di fronte a un rinoceronte
allo zoo, sa di essere la figura ideale per incarnare l'odio che
la abita, poiché, stanca di dare amore ha deciso di odiare,
e come quell'odio alla fine non riesce ad affermarsi nel mondo
soave di una donna che ama. Lei guarda il rinoceronte e sa che
può uccidere, che è in grado di odiare come qualsiasi
altro: questo la redime, questo va molto oltre le lacrime.
Leggiamo queste frasi, queste benedette frasi che ci trasmettono
l'assenza di paura (in L'ora della stella):
Chi
non si è mai chiesto: Sono un mostro o è proprio
questo essere una persona? [...] che fare oltre a meditare per
cadere in quel vuoto pieno che si raggiunge solo con la meditazione.
Meditare non deve per forza raggiungere dei risultati: la meditazione
può essere vista come fine a se stessa. Medito senza parole
e su niente. Ciò che mi confonde la vita è scrivere
[...] voglio accettare la mia libertà senza pensare quello
in cui tanti credono: che esistere è una cosa da matti,
un caso di demenza. Perché così sembra. Esistere
non è logico [...] i fatti sono sonori, però tra
i fatti c'è un sussurro. È questo sussurro ciò
che mi impressiona [...] che la vita sia così: si preme
un bottone e la vita si accende. Solo che lei non sapeva quale
era il bottone che doveva premere [...].
Dal
racconto Un'amicizia sincera: "solo molto più
tardi avrebbe capito che stare era anche dare". E questo
frammento diafano, intitolato Silenzio:
Si
può pensare in fretta al giorno che è passato. O
agli amici che ci sono stati e che si sono persi per sempre. Ma
è inutile sottrarvisi. Il silenzio c'è. Anche la
sofferenza peggiore, quella dell'amicizia perduta, è solo
una fuga. Perché se all'inizio sembra che il silenzio aspetti
una risposta - come si muore dalla voglia, Ulisse, di essere chiamati
e di rispondere - ben presto si scopre che da te lui non esige
nulla, forse solo il tuo silenzio: ma quelli della massoneria
lo sanno. Quante ore ho perduto nell'oscurità pensando
che il silenzio ti giudica - come ho aspettato invano di essere
giudicata dal Dio. Spuntano le giustificazioni, tragiche, giustificazioni
inventate, scuse umili fino all'indegnità. È così
soave per l'essere umano mostrare infine la propria indegnità
ed essere perdonato con la giustificazione di essere un essere
umano umiliato dalla nascita.
Fino a che si scopre, Ulisse - neppure la tua indegnità
vuole. Lui è il silenzio.
Ho
menzionato l'aneddoto di La passione secondo G.H. perché
esso è semplice ma allo stesso tempo abissale nel suo contenuto:
una donna, attraverso una riflessione che occupa quasi tutte le
pagine del libro, si trova di fronte a un insetto, uno scarafaggio;
taglia il suo corpo a metà mentre chiude una porta di un
armadio, vede uscire la sostanza bianchiccia dal suo corpo e sa
che essa è l'essenza della vita, della vita animale che
fino ad allora rifiutava di ammettere che esistesse; ora deve
provarla...E se ho menzionato solo questo aspetto del romanzo
è perché l'inquietudine fisica (questo piegarsi
involontario) che produce il fatto, riproduce esattamente l'esperienza
di leggere Clarice Lispector. E qua riporto dal romanzo questo
momento culminante:
Santa
Maria, Madre di Dio, offro la mia vita in cambio che non sia vero
quel momento di ieri. Lo scarafaggio con la materia bianca mi
guardava. Non so se mi vedeva. Non so cosa vede uno scarafaggio.
Ma lui ed io ci guardavamo e non so nemmeno cosa una donna vede.
Tuttavia se i suoi occhi non mi vedevano la sua esistenza "mi
esisteva" - nel mondo primario nel quale ero entrata, gli
esseri esistono negli altri come un modo di vedersi. E in questo
mondo che io stavo conoscendo, ci sono molti modi che significano
vedere: uno guarda l'altro senza vedere, uno posa per l'altro,
uno mangia l'altro, uno sta solo in un deserto e l'altro è
anche lui lì: anche tutto questo significa vedere. Lo scarafaggio
non mi guardava con gli occhi bensì con il corpo... ciò
che io vedevo era la vita che mi guardava. Come chiamare altrimenti
quella orribile e cruda materia prima e plasma secco che era lì,
mentre io indietreggiavo fino dentro me stessa in una nausea secca,
e cadevo per secoli e secoli dentro il fango - era fango e non
era nemmeno fango già secco ma uno umido e ancora vivo,
era un fango dove si muovevano con lentezza insopportabile le
radici della mia identità.
Devo riportare qua una frase che Clarice Lispector dichiarò
in un'intervista su questo libro: "Il libro è scappato
al mio controllo quando io, per esempio, ho capito che la donna,
G.H., avrebbe dovuto mangiare le interiora dello scarafaggio.
Rabbrividii di paura." La scrittrice francese Helène
Cixous, sedotta dall'opera di Clarice, ha scritto in Il riso
della medusa, Saggi sulla scrittura, a proposito dell'opera
di questa donna straordinaria, le frasi che riporto di seguito,
nelle quali si scopre che ha saputo leggerla come una donna che
legge le righe scritte da una donna, senza che questo sia interpretato
come una cosa anomala; al contrario è solo una personalità
di una donna soave e riflessiva, eroica nel momento di vivere
la vita di tutti i giorni, e chiara e contundente nel momento
di scrivere: "Le cose belle arrivano solo di sorpresa. Per
darci piacere." "Che imponga i suoi bisogni come un
valore senza lasciarsi intimidire da questo ricatto culturale...
Un luogo di lucidità dove nessuno confonda un simulacro
di esistenza con la vita... La vita che è qua, esattamente,
e non mi sbaglio. Dopo, la morte." E queste parole che definiscono
il suo mondo raffinato e terribile, terribile perché guarda
sempre negli occhi la morte, esprimono la voce profonda della
stessa Clarice, che in Silenzio dice: "È fino
a me stessa dove vado. E da me esco per vedere. Vedere cosa? Vedere
ciò che esiste."
Marly de Oliveira dice, riferendosi a Clarice: "E così,
una persona sensibile, angosciata per il fatto di non sapere perché
vive, crea un'opera su questo non sapere..."
Che ci dice lei del suo epitaffio? (ripreso dal libro La passione
secondo G.H.): "Dare la mano a qualcuno è stato
sempre ciò che ho sperato con gioia".
Quale sono i suoi libri? I romanzi Vicino al cuore selvaggio,
La mela nel buio, La passione secondo G.H., Un apprendistato o
il libro dei piaceri, Acqua viva, La vita intima di Laura, e le
collane di racconti La legione straniera, Silenzio, Legami familiari,
Felicità clandestina, La via crucis del corpo, La donna
che ha ammazzato il pesce. Ne restano da citare altri; ma
il problema è che molti dei libri citati e anche di quelli
non citati, non sono stati ancora tradotti in Spagnolo.
Chi è Clarice Lispector? Lei stessa risponde: "Sono
nata in Ucraina. I miei genitori sono andati in un villaggio che
non compare in nessuna mappa, chiamato Tchetchelnik, per farmi
nascere, e poi si sono trasferiti in Brasile, quando io avevo
due mesi. Allora, chiamarmi straniera è una sciocchezza.
Sono più brasiliana che russa, evidentemente... Quando
avevo quattordici, quindici anni ho scritto un racconto e l'ho
portato a una rivista che si chiamava Leggiamo, e sono
rimasta lì in piedi. Io ero ciò che continuo ad
essere oggi, una timida impertinente. Sono timida, ma mi butto.
Gli ho dato il racconto perché lui lo leggesse e gli ho
detto: "È per lei, perché lo pubblichi".
Lo lesse, mi guardò e disse: "Hai copiato questo da
qualcuno? Lo hai tradotto da qualcuno?" Risposi di no e lui
lo pubblicò... (ripreso da Dichiarazioni autobiografiche
e letterarie). Un'altra volta ha detto: "Sono nata per
amare gli altri, sono nata per scrivere e per crescere i miei
figli. Amare gli altri è così vasto che include
il perdonare me stessa, con ciò che avanza. Amare gli altri
è l'unica salvezza individuale che io conosca: nessuno
è perduto se dà amore e a volte riceve in cambio
amore."
Ha studiato Giurisprudenza e si è sposata nel 1943 con
Maury Valente, diplomatico, con il quale ha vissuto fuori dal
Brasile, tra il 1944 e 1960, a Napoli, Berna e negli Stati Uniti;
ha avuto due figli, si è separata dal marito nel 1959:
ha tradotto in Portoghese Oscar Wilde, Edgar Allan Poe, Jack London,
Bella Chagall, Agatha Christie, John Farris, Anne Rice; sono state
traduzioni fatte per sopravvivere. Ha scritto anche per diversi
periodici, giacché per tutta la sua vita ha mantenuto il
contatto stretto con la stampa che era iniziato nel 1941. È
stato molto difficile pubblicare i suoi libri nel suo paese, perché
scriveva (dicevano) cose strane. È morta di cancro nel
1977 a cinquantadue anni.
Clarice Lispector è stata riconosciuta come una scrittrice
straordinaria nel suo paese e anche all'estero. La sua scrittura,
come si può vedere dagli esempi riportati, è piena
e trasparente, è chiarezza e turbamento e, oltre a quello
che si può dire con le parole, la sua scrittura respira,
vive la sua propria intensa vita.
Per dare una risposta alla domanda iniziale forse sarebbe valido
dire: Clarice non è la paura, è la passione, la
vita nuda.
(Articolo tratto da La
Jornada Semanal,
supplemento del giornale La
Jornada,
Messico, dicembre 2001; tradotto dallo Spagnolo da Julio Monteiro
Martins, i brani tratti dal libro Un
apprendistato o libro dei piaceri
sono stati tradotti da Rita Desti.)
.
Successivo
Copertina
|