UN UOMO IN TRAPPOLA

Vittorio Toschi

 

L'uomo solo entrò nell'automobile. Accanto a lui un ragazzo giovane, ben vestito, capelli corti e scuri: Riccardo, ventitré anni, il suo autista. L'automobile partì.

- Dove andiamo?
- Alla sede.
- Facciamo il giro lungo?
- Si, giro lungo.

Invece di tagliare per la tangenziale, il giro lungo prevedeva la circumnavigazione del parco e l'attraversamento della città vecchia.
Aprì la valigetta ed estrasse una ventina di fogli pieni di grafici colorati. Accese una sigaretta, una profonda tirata, e la poggiò sul posacenere. Volse lo sguardo verso i grafici e fece alcuni appunti a matita al margine superiore del foglio. Alzò gli occhi e vide la sigaretta che Riccardo aveva spento per lui. Guardò fuori dal finestrino. L'automobile era entrata nella stradina che gira attorno al più grande parco della città.
- Accosta.
Scese. Si diresse verso il chiosco, allentò la cravatta e si avvicinò per comprare un gelato. Ta-ta-ta-ta suoneria del cellulare. Estrasse un telefonino rosso, vide sul display la provenienza della chiamata e optò per il tasto del rifiuto. Poi tornò verso la macchina.

- Ci fermiamo cinque minuti. Ti va un gelato, Riccardo?
- No grazie. Aspetto qui.
- Come vuoi.

Prese i fogli con i grafici, comprò il gelato e si sedette su una delle panchine ai bordi del laghetto. Ta-ta-ta-ta, ancora il cellulare. Schiacciò il tasto verde.

Cosa vuoi?...
... Bene, tutto bene...
... No ieri sera non ce l'ho fatta, era tardi...
... Biglietti per il teatro? Per quando?...
... No, questa sera non posso...
... Senti, ti ho detto che non posso. Un'altra volta...
... Non eravamo affatto d'accordo. Sei tu che decidi e poi dici che siamo d'accordo...
... Ti ho detto di no. Devo stare a casa. Andrea ha la febbre. Poi domani mattina presto parto per Londra e torno giovedì...
... A parte che non devo renderti conto dei miei viaggi, poi l'ho deciso cinque minuti fa. Il report di febbraio fa pena. Voglio andare a vedere cosa succede...
... No, la videoconferenza non basta. Ci devo andare. Anzi mi sa che dovrò tagliare qualche testa. Insomma la solita merda...
... Ma che dici. Faccio quello che mi pare? Magari. A me sembra di non farlo mai...
... Ora non esagerare. Ci vediamo quando torno. Dai, che a Londra ci sono un sacco di belle gioiellerie e ti porto un regalino ...

Dall'altra parte la voce di Elga, la sua amante, ventisette anni, ex fotomodella, si faceva sempre più isterica finché lui spinse il tasto rosso sul cellulare rosso. Il telefono squillò ancora due o tre volte senza ottenere risposta finché iniziò un volo che lo portò a starnazzare il suo ta-ta-ta-ta assieme alle anatre del laghetto.
Mentre tornava verso la macchina si rese conto che nella concitazione si era macchiato la camicia e la cravatta con il gelato. Per la prima volta nella giornata sembrò sinceramente seccato. Provò a rimediare con un tovagliolo di carta, ma anch'esso era sporco e non face altro che peggiorare la situazione. Era veramente furibondo. Si sentiva ridicolo, ma in verità con quella macchia rosso fragola sulla camicia, che sembrava in tinta con la riga della cravatta, la quale a sua volta portava forti segni di cioccolata, insomma poteva anche apparire simpatico.

- Guarda mamma, guarda che buffo quel signore tutto impatriacchiato.
- Tommaso, ti ho detto tante volte che non sta bene indicare le persone, e poi non si dice impatriacchiato.
- Im-pa-triac-chia-to, im-pa-triac-chia-to.
- Smettila subito. Signore, non faccia caso a Tommaso. Signore? Ecco, vedi Tommaso. Lo hai fatto arrabbiare.

Si diresse inferocito verso l'automobile. Riccardo era seduto lì vicino.

- Muoviti. Andiamo a casa.
- Tutto bene?
- Senti, sei in preda ad un attacco acuto di servilismo o forse un'improvvisa cecità ti impedisce di notare che ho la camicia e la cravatta completamente macchiate. Perché nel secondo caso forse é meglio che guidi io.
- No, no, ci vedo benissimo. Non ci avevo fatto caso.
- Un bambino di cinque anni ha quasi inventato una canzone su come sono im-pa-trac-chiat-to e tu non ci hai fatto caso. Farai un carrierone.
Insomma, vuoi partire o devo prendere la metro?
- Vado.

Partirono. A metà strada la rabbia sembrava sopita. In fondo avrebbe tardato meno di un'ora e nel frattempo non aveva appuntamenti con persone più importanti di lui.
Tutto pareva tornare al suo posto e si rimise ad esaminare i grafici. Mentre li studiava iniziò distrattamente a disegnare sulla parte bassa del foglio. Poi la sua attenzione si spostò lentamente sulla matita che iniziò a disegnare un albero, poi altri due alberi più grandi, poi un fiore, uno di quei fiori stilizzati come li disegnano i bambini, un fiore grande, più grande degli alberi, e sotto il fiore disegnò un uomo, e accanto un altro uomo nudo che guardava il primo; poi sorridendo aggiunse all'uomo nudo un enorme pene eretto. Guardò verso Riccardo per essere sicuro che non lo stesse osservando, ma tanto, pensava, questo è talmente tonto che non si accorge neanche se uno ha addosso tutto un arcobaleno di macchie, figuriamoci se fa caso ad un disegno. Comunque per sicurezza strappò la parte disegnata del foglio e la accartocciò nel posacenere, poi ci ripensò e la riprese dal posacenere per gettarla dal finestrino.
Volse il suo sguardo verso l'esterno e rimase immobile mentre la sua mente registrava l'immagine che avrebbe elaborato nei minuti successivi. Doveva essere successo da poco, dieci minuti al massimo. In lontananza si sentivano le sirene delle ambulanze che stavano arrivando. Era una Punto, una Punto nera, rovesciata, i finestrini frantumati, il tetto schiacciato sui sedili, la parte anteriore accartocciata. Accanto alla macchina poche persone attorno ad un corpo immobile sull'asfalto. Una sola ferita sull'estremità destra del capo con una riga di sangue che raggiungeva il terreno.
Solo quando la scena uscì dal suo campo visivo si rese conto dell'accaduto e si stupì di quanto la realtà potesse apparisse irreale. Si girò per vedere di nuovo e gli sembrò che tutto si svolgesse in tempi infinitamente lunghi e senza senso. Si rese conto di non poter più guardare. Gli sembrò che se avesse continuato a stare in quella scena, qualcosa di terribile sarebbe successo alla sua vita.
Iniziò a sudare, fissò lo sguardo in avanti e si sforzò di non pensare. Fin da piccolo non aveva mai saputo resistere alle scene di sangue e di dolore. E' tanto sensibile, diceva sua madre alle amiche, ma per lui era solo uno schifoso segno di debolezza. Poco alla volta aveva sviluppato una tecnica per non pensare, così, quando vedeva una scena che lo impressionava, anneriva la mente e questo gli permetteva di resistere qualche minuto senza svenire. Ma l'effetto durava poco ed era fondamentale allontanarsi al più presto verso un luogo incontaminato dal sangue. Spinse il piede destro come se comandasse l'acceleratore, e invece la macchina rallentò.

- Che fai, Riccardo?
- Mi fermo. Vado a vedere se hanno bisogno d'aiuto.
- Non se ne parla. Ho fretta e poi stanno arrivando le ambulanze.
- Ma ... ho fatto il corso di prima assistenza. Forse posso dare una mano.
- Senti crocerossina. Mi spiace, ma tanto non puoi fare niente per quel ragazzo.
- Forse é solo svenuto.
- Riccardo?
- Si?
- La vita é una battaglia di merda. Andiamo.

Si asciugò il sudore con un fazzoletto. Prese dalla tasca interna della giacca un cellulare grigio scuro, il fratello maggiore di quello rosso gettato nel laghetto.

Devo chiamare casa. Olga e i bambini. Si, devo sentirli, mi farà bene. Mi aiuterà a stare calmo. Di sicuro. Certo, non che sia stato un buon marito e anche come padre non ne parliamo, ma insomma, in fondo ci sono sempre stato e, cazzo, non li ho mai abbandonati, e anche Olga, quando l'ho trovata nel letto con Andrea, insomma, ho lasciato fare e ora, cazzo, ora sono io che ho bisogno di appoggiarmi a loro. Non possono abbandonarmi.

Ciao, sono io...
... No tutto a posto. Mi sono sporcato e sto venendo a casa a cambiarmi...
... Ah ... E non puoi aspettarmi?...
... No, é solo che mi faceva piacere vederti...
... Ma no. Non é vero. Mi fa sempre piacere stare con te...
... Ma cosa c'entra ora Elga? Per favore. Stavo parlando di noi. Senti, se solo mi aspetti cinque minuti possiamo ...
... No é solo che ... no, niente, c'é stato un incidente...
... No, tutto a posto. Non mi é successo niente. Però c'era una ragazzo immobile sull'asfalto con una brutta ferita alla testa...
... Si, una Punto. Completamente distrutta. Mi sa che é sbandato e é venuto giù dal cavalcavia...
... No, davvero. Noi niente. Solo che siamo passati che era appena successo. Non era ancora arrivata l'ambulanza e ... insomma era tutto così assurdo...
... Si, certo, lo so, ogni giorno succedono un sacco di incidenti. E' normale. Non é questo. E' solo che ... pensavo che se mi aspettavi potevamo vederci ... stare un po' assieme e ...
... Ho capito ... se proprio no puoi...
... Va bene, ci vediamo questa sera...
... Si, dopo le dieci quando torni dalla lezione di Yoga ...

Arrivano di fronte alla sua abitazione. Scende dall'automobile e si dirige verso il portone del grande palazzo antico. Mentre cammina cercando di calmare quel misterioso rimbombo che continua a risuonargli dentro, sente la strada sbarrata. Alza gli occhi e vede un giovane malvestito, capelli lunghi e sporchi, che lo spinge verso il muro e lo afferra per la gola impedendogli di respirare. Con una ginocchiata riesce a liberarsi, chiama disperato l'aiuto di Riccardo, che corre verso di lui. Il giovane malvestito fa per scappare ma, prima di girarsi, lo colpisce con un destro e grida -bastardo-
Nella concitazione la scena rallenta.
Il giovane fugge.
Riccardo si avvicina al suo capo, che cade a terra.
L'uomo solo é in ginocchio di fronte alla porta vuota della sua casa vuota.
L'anziana coppia di vicini che sta rincasando si trova incredula di fronte al suo portafoglio cadutogli nella lotta. E' aperto e lascia intravedere una foto.
Sulla foto è lui, nudo, accanto ad una bambina, scura, svestita, legata e imbavagliata.



Vittorio Toschi é nato a Lucca nell'ottobre del 1968. Dopo la Laurea ha vissuto quattro anni in varie località italiane per poi tornare, nel '98, dentro le Mura della città natale. Ha iniziato e continua a scrivere perché ama le storie, quelle raccontate, lette o viste. Ha appena terminato il corso invernale della scuola Sagaranaa.



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