DICAS  
IL LUTTO DEL PESSIMISMO
BLAISE DU BLAISIL
LA CONDIZIONE UMANA
IL PARTITO DELLE COSE
ESORTAZIONE AI COCCODRILLI
LA PRESENZA AUSTRALIANA
CULTO DELLA BELLEZZA
UNA CERTA FAMIGLIA DI CREATORI
L'ARTISTA DI CORTE
CECKOV E GORKIJ
PERCHÉ SCRIVO
TRAGEDIA FAMILIARE
UNA GIORNATA COME QUESTA
FAVOLA VERA


IL LUTTO DEL PESSIMISMO

Julia Kristeva, saggista, psicanalista e romanziere bulgara di espressione francese, occupa oggi un posto di mito intelletuale tanto in Francia quanto nella comunità accademica statunitense. Il suo nome - anche se a volte contro la sua stessa volontà - è sempre collegato ai movimenti etichettati come "nuovo femminismo", facendo della Kristeva una sorta di guida di un pensiero che ha generato, in mezzo a tante polemiche, il cosidetto "inferno relativista", oppure la supposta "nuova speranza sociale", con libri come Stranieri di noi stessi, "Les Nouvelles Maladies de l'Âme " e "La Révolte Intime".
In una recente intervista ad un giornale brasiliano, la Kristeva ha dichiarato che, secondo lei, nei peggiori momenti di crisi della Storia che comincia ad essere scritta ora, l'umanità sarà divisa in piccole comunità erranti ed infelici, e questo sarà tuttavia motivo di speranza, perchè, dal suo punto di vista, qualsiasi fede apocalittica è una forma di isteria.
Più avanti, rispondendo alla domanda dell'intervistatore, "Allora lei è ottimista?", rispose: "Mi piace pensare che la felicità è un lutto dell'infelicità e che l'ottimismo è un lutto del pessimismo. Bisogna capire in quale punto la giusta misura è sbagliata e in quali difficoltà si trova il mondo moderno, ma è a partire da questa misura che possiamo provare a proporre soluzioni non strabilianti, ma piuttosto di un ottimismo moderato."



BLAISE DU BLAISIL

E' già da qualche tempo che molti grandi scrittori hanno due o tre "patrie letterarie" . Pensiamo a Beckett, irlandese che ha adottato la Francia, Conrad, polacco che ha adottato l'Inghilterra, Nabokov, russo che ha adottato gli Usa e così via. Un caso esemplare di doppia passione, è quello del poeta svizzero Blaise Cendrars, che ha fatto sua la cultura brasiliana in modo tale da essere soprannominato "Blaise du Blaisil ", un gioco di parole creato per lui da Oswald de Andrade, personaggio di spicco del movimento antropofágo, un movimento che ha rivoluzionato l'arte brasiliana nei primi anni del Novecento.
Cendrars, che più che essere un poeta era un grande avventuriero - si è arruolato nella Legione Straniera durante la prima Guerra Mondiale fino a che, avendo perso il braccio destro in una battaglia, ha dovuto scrivere per sempre con la mano sinistra, in una calligrafia illeggibile - non ha mai veramente capito il momento storico in cui era capitato quando arrivò nel paese sudamericano. Su di lui il modernista Paulo Prado ha scritto: "volevamo adeguare il Brasile alla modernità che si stava affermando nel resto del mondo. Cendrars, sempre in cerca di esotismo, si era deluso perché non aveva trovato tra i giovani di São Paulo quegli esseri strani, bizzarri, diversi che corrispondessero alla visione fantastica che aveva del Brasile. Ciò che lo attirava era il fenomenale, e noi non avevamo niente di esotico". Borba de Morais, però, ha commentato più tardi che, nonostante delusi da quell'improbabile guru, che non aveva esitato nel criticarli, i modernisti hanno continuato a stimarlo ed ad ammirarlo come scrittore.



LA CONDIZIONE UMANA

Per poter capire in profondità la vera natura degli eventi e delle contraddizioni della Storia contemporanea, molte volte è necessario tornare ai testi dei pensatori di altri tempi. Un'opera, per esempio, che dovrebbe essere riletta oggi è il Trattato della natura umana, del filosofo scozzese David Hume. Quest'opera, divisa in tre volumi: Della comprensione, Delle passioni e Della morale, scritti tutti tra il 1732 e il 1736, pone, tra le altre, le seguenti opportune domande: Quali sono le origini delle nostre idee? Cosa ci fa agire? Dev'essere la ragione schiava delle passioni? Quali sono le fonti della moralità? Come possiamo veramente distinguere ciò che è il bene da ciò che non lo è?
Hume, che ha costruito la più brillante negazione delle teorie di Cartesio, e il cui apprezzamento della vita e del linguaggio comune hanno fertilizzato il pensiero degli autori dell' antidogmatismo contemporaneo - Wittgenstein, Quine, Davidson, Goodman - era considerato al suo tempo un uomo semplice, cordiale, stimato da tutti, al contrario della sua filosofia, che era temuta per quello che credevano essere il suo potenziale rivoluzionario. Su di lui ha detto John Gregory, un professore dell'Università di Edinburgo: "Detesto la filosofia dell'autore, ma amo l'autore della filosofia". Magari oggi questa formula sarebbe ben diversa.



IL PARTITO DELLE COSE

Per quelli che amano la poesia è forse il momento di rileggere l'opera del poeta francese Francis Ponge (1899-1988), il più importante erede della tradizione della poesia scientifica del XVI secolo, ed in particolare delle "piccole invenzioni" liriche di Rèmi Belleau.
Ponge è per eccellenza il poeta delle cose che richiedono definizione, delle cose partite, delle cose naturali, delle cose inanimate ed animate. Nel suo bellissimo Il partito delle cose, scritto tra il 1924 e 1938, lui descrive l'universo, i meteoriti, la pioggia, il fuoco. Si meraviglia dei molluschi, delle ostriche, delle lumache. Cerca in tutti i momenti di dare voce alle cose silenziose. Porta alla luce il mondo magico della natura. Alla fine lui avrà idealizzato un uomo in totale armonia con i quattro elementi: la terra, il fuoco, l'acqua e l'aria.



ESORTAZIONE AI COCCODRILLI

Quando, due anni fa, il Premio Nobel di letteratura è stato concesso a José Saramago, molti critici, soprattutto i francesi, erano delusi ed irritati perchè consideravano che un altro scrittore portoghese sarebbe stato più meritevole di quel riconoscimento: il medico pschiatra ed ex combattente nell'Africa coloniale, António Lobo Antunes.
Autore di romanzi più psicologici ed esistenziali, e meno politici ed impegnati di Saramago, Lobo Antunes ha appena lanciato nel Portogallo e nel Brasile il suo nuovo titolo, che si potrebbe tradurre in italiano Esortazione ai coccodrilli.
La trama gira attorno alle angoscie di quattro donne: Mimi, Fátima, Celina e Simone. La sequenza delle loro voci si ripete, in una spirale, fino al trentaduesimo ed ultimo capitolo. Mimi soffre per la sordità, il cancro e la nostalgia della nonna scomparsa, Fátima soffre per il rapporto ambiguo, di figliastra ed amante, che instaura con il vescovo, dopo la separazione con il marito. Celina soffre per la cellulite, le smagliature, le rughe e anche per aver ordinato l'assassinio del suo ricco ex compagno. Così lo giustifica lei: " Non poteva evidentemente piacermi il fatto che lui mi avesse rubato il poco che avevo: la mia infanzia." Simone soffre per le "ghiandole", che le fanno dover sopportare un corpo di ottantatre chili. Quindi, tutte soffrono, e questo è il primo fattore che le fa essere complici. Inoltre, vivono tutte nell'ombra di uomini brutali, integranti di un'organizzazione dell'estrema destra insoddisfatta per il sistema democratico finalmente ripristinato nel loro paese.



LA PRESENZA AUSTRALIANA

La cultura e l'arte in Australia vive un momento particolarmente intenso. Oltre al cinema, il quale ha raccolto molti consensi negli ultimi anni, la sua "letteratura degli aborigeni" aquisisce sempre più importanza nello scenario internazionale, che comincia ora a scoprire le diverse tendenze letterarie di un paese che, una volta sciolti i legami di dipendenza con l'Impero Britannico, presenta ora una sua indipendenza culturale. Nonostante il dominio della lingua inglese, la letteratura australiana incorpora culture di etnie diverse, dagli immigranti alle comunità indigene. Tra i titoli usciti recentemente, ricordiamo Paperback, un'antologia che riunisce racconti orali, racconti tradizionali e lettere scritte dagli aborigeni. L'autrice, Alexis Wright, considerata la "Toni Morrison australiana", ha già vinto con un altro suo libro, Jack Maggs, il Booker Prize, nel 2001. Si tratta di un nome da tenere d'occhio per i prossimi anni.



CULTO DELLA BELLEZZA

Secondo Wendy Steiner, professoressa dell'Università della Pensylvania, autrice di Venus in exile: the rejection of Beauty in 20th century art, uscito da poco negli U.S.A., l'intelligenza dovrà cedere il posto alla bellezza nel XXI secolo. Tra tante sue polemiche affermazioni in difesa della bellezza come valore di trascendenza estetica, menzioniamo quella in cui lei considera la bellezza "un'esperienza indipendente e potente, la cui assenza è causa diretta dei peggiori problemi sociali nella famiglia, nella scuola e nella vita pubblica".
Questo suo punto di vista sarà probabilmente rinforzato dall'uscita prossima di un'edizione, in quattro volumi riccamente illustrati, dedicata agli standard universali della bellezza, pubblicata dall'Università di Oxford. Il titolo è The nature of order: an essay on the art of bulding and nature of the universe, e l'autore è il professore Christopher Alexanders, dell'Università della California.



UNA CERTA FAMIGLIA DI CREATORI

In un famoso testo, Kafka e i suoi precursori, Jorge Luis Borges ha proposto un forma alternativa di pensare la storia della letteratura, e in un senso più ampio la storia dell'arte. Per esempio, sarebbe stato inutile identificare gli scrittori che avrebbero ispirato Kafka. Sarebbe soltanto una linearità senza alcun interesse, nella quale gli elementi precedenti avrebbero determinato i successivi.
La vera intelligenza critica consisterebbe nel riconoscere che, dopo la lettura della sua opera, per la prima volta siamo capaci di osservare l'atmosfera kafkiana di una certa famiglia di creatori. Si inverte così il rapporto causa-effetto: Kafka non è stato propriamente influenzato da quelli che lo hanno preceduto, ma ci ha invece rivelato una nuova chiave di lettura per la stessa tradizione occidentale. Attraverso questa chiave possiamo oggi capire meglio il senso recondito di opere anteriori al secolo in cui Kafka ha vissuto.



L'ARTISTA DI CORTE

Qualche anno fa è uscita in Germania una nuova edizione dell'importante libro di Martin Warnke che si potrebbe tradurre in italiano L'artista di corte: il predecessore dell' artista moderno. Già subito nel primo paragrafo Warnke enuncia la sua tesi: "Sotto la parola arte, ciò che concepiamo come un sistema speciale dell'attività umana non è altro che una consequenza delle forme specifiche attraverso le quali le corti relazionavano con le arti e gli artisti".
Warnke, quindi, ha scritto una provocante storia del ruolo sociale occupato dall'artista tra il XIII e il XVIII secolo, periodo per eccellenza di formazione, apice e declino delle società di corte in Europa. Studiandole, lui crede di aver trovato un'inaspettata genealogia dell'artista moderno: l'artista di corte.
Nell'opera, lui contesta l'interpretazione più comune, secondo la quale "l'autonomia della conoscenza dell'artista e dell'arte sarebbe stata una delle grandi conquiste della cultura borghese delle città del Rinascimento". Lui crede, invece, che le caratteristiche modernamente attribuite all'artista non sono state sviluppate nelle città, bensì nell'ambiente delle corti, e la sua accurata ricerca sarebbe in grado di dimostrarlo.
A questo proposito varrebbe la pena di rileggere, contemporaneamente, l'idea che su questo tema si è fatto Régis Debray, interpretando il ruolo dell'intelletuale come quello di un "clerico" a servizio del potere di uno Stato burocratico.



CECKOV E GORKIJ

L'aggettivo ceckoviano ha preso durante gli anni un significato che va oltre il contenuto delle pièce straordinarie di Ceckov, come Il gabbiano o Il giardino delle ciliege, per diventare sinonimo di delicatezza e soprattutto di quella specifica malinconia presente in tutto l'occidente, dall'Ottocento fino alle grandi guerre del secolo scorso.
Per capire bene le differenze tra la sua epoca e quella successiva, basta leggere la corrispondenza tra lui e il più giovane Massimo Gorkij, quest'ultimo già totalmente integrato al secolo delle tragedie delle masse. Nel suo recente libro Anton Ceckov: lettere per una poetica, la professoressa Sophie Angelides, dell'università di São Paulo, che ha dedicato tutta la sua lunga carriera accademica a questo argomento, riporta a galla, nelle sue analisi e anche nelle citazioni scelte, quello spirito: il Gorkij sempre eccitato, sanguineo, passionale, nella migliore tradizione dostoevskijana, proprio quella detestata da Ceckov, che al contrario presentava sempre un tono di tranquillità, una ricerca di sottigliezze e di sfumature. Ma in questo caso gli opposti si completano, ed i due costruiscono nel loro dialogo epistolare un rapporto di punto e contrappunto che illumina tanto le opere quanto le personalità dell'uno e dell'altro.
Inoltre, tante volte, parlando di loro stessi, scrivono delle frasi che sembrano essere state strappate dalla bocca di uno dei loro personaggi, come questo passaggio di Ceckov: "In mezzo a fallimenti e delusioni, il tempo passa veloce, uno non si accorge della vita presente, e il passato, quando io ero così libero, sembra che non sia il mio, ma quello di un estraneo".



PERCHÉ SCRIVO

Lo scrittore israeliano Amos Oz, nel suo libro Mio Michel, del 1968, fa dire ad uno dei suoi personaggi: "Scrivo perché le persone che ho amato sono già morte. Scrivo perché quando ero una bambina c'era in me una gran forza per amare, ed ora questa forza sta morendo. In non voglio morire."



TRAGEDIA FAMILIARE

Parole dette dal personaggio Facundo Rodriguez, creato dal romanziere brasiliano Antonio Callado, nel romanzo "Memorie di Aldenham House", sulla storia del continente latinoamericano: " La nostra storia non è come quella francese o quella inglese, nelle quali ci sono tante regine ghigliottinate e re barba-blu, e nelle quali, da mille anni, accadono mille cose, mille volte al giorno. La nostra è una storia così piccola, così semplice, che diventa quasi una storia personale, intima. Una tragedia familiare."



UNA GIORNATA COME QUESTA

Michel Onfray - filosofo francese contemporaneo, un ribelle come di consueto nel suo paese, le cui idee circolano attraverso i rivoluzionari del Settecento, gli anarchisti dell'Ottocento, i surrealisti degli anni '20, con tanto di ammirazione per i libertari del '68 e con tanto di aspirazione per una resistenza più efficace alle "unanimità" del XXI secolo - inizia il suo libro del 1997, La politica del ribelle: trattato di resistenza e di insurrezione, partendo da una poesia di un altro francese, di una generazione precedente, Jacques Prévert, che parla di un operario che arriva al cancello della fabbrica, guarda il bel sole della mattina e gli dice: Ne trouves-tu plutôt con, de donner une journée pareille à un patron? (Non trovi stupido regale una giornata come questa ad un padrone?). Una domanda che probabilmente servirà di ispirazione a molte altre rivolte nei prossimi decenni, anche perchè è difficile credere nel caso che la risposta inevitabile non sia un bel tondo sì.



FAVOLA VERA

La “Favola vera”, di Andrea Camilleri:
“Eletto a furor di popolo Presidente di tutto (della Repubblica, del Senato, della Camera, del Consiglio) il Cavaliere riunì i suoi ministri e disse: «Da tempo avevo preparato la riforma della Costituzione. Prendete appunti. Il testo l’ho già inviato alla Gazzetta Ufficiale».
Diligentemente, i ministri si munirono di carta e penna.
«Articolo 1», dettò il Presidente, «Iliata è una Repubblica fondata sui lavori del Cavaliere».
I ministri annuirono.
«Articolo 2», proseguì il Presidente. «Il colore rosso, simbolo dell’odiato comunismo, è dichiarato anticostituzionale e pertanto viene abolito».
«Come la mettiamo con le Ferrari?», domandò il ministro dell’Industria.
«Non c’è problema. Diventano azzurre», ribattè il Cavaliere.
«E con il Tricolore?», domandò a sua volta il ministro della Difesa.
«Rimane tricolore, ma al rosso si sostituisce l’azzurro», fece seccamente il Cavaliere.
E via di questo passo. Furono stabilite multe salatissime per chi, coinvolto in un qualsiasi incidente, mostrava pubblicamente il rosso del suo sangue, con i diserbanti si fecero sparire rose e fiori rossi, la carne rossa non venne più messa in vendita mentre il pesce azzurro fu portato alle stelle, l’unico vino in commercio rimase quello bianco.
Sommersi da tutto quell’azzurro, gli Iliatani cominciarono ben presto a soffrire di nostalgia del rosso, una nostalgia che diventava di giorno in giorno sempre più acuta. Si ebbero i primi attentati rivendicati dai Grar (Gruppi rivoluzionari adoratori rosso).I contrabbandieri facevano affari d’oro non con le sigarette o i clandestini, ma con le scatole di sugo di pomodoro, assolutamente proibite in Iliata.
Finché un mattino, dopo un violentissimo acquazzone, apparve in cielo un gigantesco arcobaleno che coprì l’intero paese. Il rosso di quell’arcobaleno non era solamente un colore, ma un altissimo grido di rivolta, deciso e terso. Quell’arcobaleno segnò, sempre a furor di popolo, la fine del Cavaliere.”




       Copertina.