CARO UNICO AMICO


Monica Dini

 



Caro unico amico,

rispondo alla tua mail con una lettera di quelle che si imbucano, mi fa bene immaginare quando la terrai in mano, la guarderai considerando, e l'aprirai. Un pensarmi di fogli che si spiegano. Mi hai parlato di quel tuo amico molto malato che è riuscito a morire e della sua compagna che ha pazientato fino in fondo accontentandosi di poco. Chissà se anche tu hai qualcuno che ti ama tanto. Mi dici che mentre moriva hai fatto un viaggio con lei lungo una strada fra i campi, le colline e i boschi, cose conosciute e amate che facevano parte della loro vita prima della malattia. Eravate tutti in viaggio è vero? Lui che moriva e voi nella vita che era stata. Mi dici che era troppo grande quello che sentivi, che non potevi scriverne, che io forse avrei saputo farlo. Grazie, ma non sottovalutarti, hai già saputo scriverne perché attraverso le tue parole ho visto la malattia, l'amore, la strada della loro vita scorrere, la tua investitura di testimone. Non mi hai detto che il vostro era un viaggio parallelo al suo, in gallerie separate, perché vi sentisse accanto, per illudervi che non fosse troppo solo quando l'ultimo nodo che lo teneva in sicura, attaccato al mondo, si fosse sciolto. Non l'hai detto con queste parole ne hai usate altre. Le ho capite bene. Non sottovalutarti, sei bravo a raccontare.

E' mattina presto, sono sulla veranda.

E' stata la striscia di luce che contendeva all'ombra l'altra metà del monte, che mi ha fatto pensare. Non ci sono ragioni in queste cose è come se l'occhio autonomo parlasse con una parte ignota del cervello. Mi sono fermata a guardare e ho sentito come un raccontare. Erano le tue parole. Le avevi lasciate da scrivere. L'alba come un rullo ha sbiancato il bosco, l'ha reso uguale. Non più luce e ombra. Solo luce uniforme. Ed io ti domando caro unico amico cosa c'è da immaginare là dove tutto è chiaro di luce? Niente. Sono migliori le ombre, guardandole quasi soffoco nella percezione di qualcosa che non capisco. In molti vivono nella luce. Tutto è chiaro per loro. Io ho certezze di ombre. E' stupido per una materialista come me, ma a tratti mi sento un segno. Un incidente dove è caduto un nocciolo di dubbio. Ha trovato terreno fertile. Ombre da lasciar decantare per intuire. Che stupidaggine. Intuizioni non verificabili. Che senso hanno.

Mi dici che io avrei saputo scrivere di questa storia di uomini, hai pensato che potessi illuminare l'ombra, riparare per un attimo il vento forte che prima ha spazzato via la dignità dell'uomo che conoscevi, poi ne ha succhiato gli avanzi. Non ho luce da darti. Tu sai che non c'è. Posso assorbire le tue parole. Mi hai raccontato che anche tu hai creduto di essere un segno. Lo credo. Accompagnavi quello che sembrava dolore ma era stupore. Un vento forte spazzava tutto. Tutto stava dunque per finire o per cambiare? Quando si muore abbiamo la presunzione di finire perché abbiamo la presunzione di essere stati.

Ricordo quanto ti faceva male parlare di lui. Il morbo di Alzheimer ruba l'anima come mangiasse pollo e lascia intatte le ossa del corpo. Sai che non credo all'anima unico amico mio, credo che essa sia il frutto delle reazioni chimiche del corpo.

E' stato bello quando nella mail, parlando della strada e del paesaggio struggente, hai scritto: devi vederla. Capirai.

Come se, tornando su quella strada, si potessero ritrovare le sensazioni come manine dei pioppi, raggruppate o a tratti sparpagliate dal vento, reali, toccabili certezze.

Ripiega il foglio come una carezza di mani, unico amico mio.

Le parole che sapevo sono scritte. Il sole è alto sembra quasi che non esistano ombre. Possiamo riposare e credere che sia così. Adesso bevo un po' di vino. E' un brindisi solitario.

Ti abbraccio. Abbi cura di te.





Monica Dini ha pubblicato recentemente la sua seconda raccolta di racconti, Leggerezze, per Besa editrice.



        Precedente       Successivo        Copertina