IL PROFONDO SILENZIO DELLA DOMENICA MATTINA
- Racconto tratto dall'antologia Il Brasile per le strade -
Luiz Ruffato
Baiano aveva capito che non sarebbe più riuscito a riprendere sonno e si alzò, i piedi che frugavano nell'ancora-notte della stanza in cerca delle sue ciabatte sformate. Luglio acquattato nell'oscurità lo fece rabbrividire in tutto il corpo. Sospirò esausto, un'altra giornata senza aver dormito, i nervi a pezzi, la testa vuota, lo stomaco in fuoco, frantumi i pensieri, da quanto non riposava più! Staccò i pantaloni appesi a un chiodo sulla parete, li indossò, poi tirò fuori una scatola di cartone da sotto il letto, le dita smoccolate indovinarono la morbidezza della camicia, ci si infilò dentro. I suoi occhi giunsero tastoni fino alla porta della cucina, la spalancò. Dalla nebbia che schiacciava il paesaggio emersero le magre costole di Rex, la coda scodinzolante, la lingua frenetica che leccava e sbavava le sue mani, fece per allontanarlo ma il cane insisteva, allora gli diede una spinta, quello sempre più ostinato ritornava e lui ancora a scacciarlo, ma il cane ancora più cocciuto, alla fine gli mollò un calcio sotto. Dolorante, neanche un lamento, il cane si rifugiò in un angolo dello spiazzo imbrattato dalla bianca foschia che copriva il mondo.
Il cinguettio degli uccelli risvegliava il mattino che ancora si attardava.
Tornò in cucina, prese la bicicletta, una Humber 28, inglese, la accostò fuori sulla parete senza intonaco. Nel vascone si lavò la faccia, sciacquò la bocca, chiuse il rubinetto. Si asciugò le mani sulle gambe dei pantaloni, accese la radiolina a pile, Compare Edgar, Zico e Zeca che cantavano Saudades da minha terra di Goiá e Belmon, la musica echeggiava stridente fino al primo gradino della scarpata che risaliva la strada.
I suoi occhi lo portarono tastoni nella stanza dove, ammassati uno sull'altro, quattro figli e due gatti russavano, tutti raggomitolati e infilati nel tepore, un nido di materassi e coperte sparsi sul pavimento di cemento grezzo. "Claudio!", sussurrò, "Claudio!". Un fagottino si mosse, lui palpò quello che gli sembrava essere una gamba, "Claudio! Svegliati!", "Eh?", "Svegliati, Claudio!". Il bambino si liberò degli stracci e, sfregandosi il viso, si diresse in cortile borbottando. Ancora intontito si accovacciò vicino alla cisterna, le palpebre di piombo, sembrava che qualcuno stesse cantando... lontano... lontano... Rex si avvicinò, cauto, le orecchie basse, si distese, il testone in mezzo alle zampe, ancora offeso col padrone.
"Claudio, mettiti una maglietta", ordinò il padre, cancellando pure quell'ultimo briciolo di sonno che gli era rimasto. Il bambino sgranò gli occhi, poi scomparve nel buio della casa dal quale riapparve dopo qualche minuto dicendo: "Dove andiamo, papà?". Baiano si arrampicò sui gradini della scarpata con la bicicletta sulle spalle, il figlio e Rex dietro.
Il bambino, il suo orgoglio. Non che sminuisse gli altri, ma questo, così attivo e sempre così curioso di tutto, il maledetto. L'unico figlio maschio, il secondo della nidiata, aveva finito otto anni a maggio e già infilava le parole una dietro l'altra, il disgraziato. Lo faceva persino vergognare, lui che ossequiava le lettere con rispetto, una 'a', una 'e', una 'i', ma quando doveva unire le vocali alle consonanti sillabava asmatico, se... se-di... di...a: se...di... ah! Se-di-a! "È colpa della vista!", si giustificava. Almeno, fosse stato solo intelligente. Ma lui si preoccupava persino di aiutare! La mattina coccolava le sorelle più piccole ogni volta con una nuova trovata, e le faceva divertire con cose da nulla come i semi di momordica, un rocchetto di filo, un sonaglio, dei sassolini, qualche bastoncino di legno... Governava le galline stando attento che non facessero le uova fuori dalla cova, che aveva scavato sul fianco della scarpata dietro alla casa. Dal gallinaio improvvisato, un recintino fatto di pezzi di bambù intrecciati con fili di rame spinato, con un tetto di paglia e un posatoio di rametti, raccoglieva lo sterco e ci concimava l'orticello di insalate, cavoli, cicoria, aro, jiloeiro e pomodori che aveva piantato a metà con la sorella più grande. Il martedì, il giovedì e il sabato, si ficcava il cappello di paglia in testa, la cavezza fatta con lo spago, e scendeva giù per i morros del Paraíso, la cesta in equilibrio sulla spalla, offrendo verdure, uova, oh! Uova! Oh! Verdura!, urlava fino a sgolarsi. Al ritorno, gli occhietti che gli brillavano, consegnava al padre alcune banconote sudicie, poche monetine sudaticce, "In caso di bisogno", si raccomandava facendo tutto l'ometto, il sudore che gli colava sulla fronte lucida. I pomeriggi li dedicava a spaccarsi la testa sui libri, nella calura della scuola improvvisata nei locali della parrocchia di Nostra Signora Di Fatima, sul lungofiume. L'insegnante, una ragazza magrolina e con certi occhiali tristi, una volta all'uscita di scuola aveva detto a Baiano, accarezzando i capelli crespi di Claudio: "Signor Marcos, questo bambino capisce tutto al volo!". Padre e figlio non stavano più in sé per la contentezza. Quando tornava dalle lezioni, non c'era bisogno che gli si dicesse cosa fare. Si cambiava, ripiegava con gelose premure l'uniforme bianco-azzurra nel cassetto del comò, apriva la cartella, tirava fuori i quaderni, la matita, la gomma, si sedeva in un angolo del cortile approfittando di uno sprazzo di sole e si incaponiva sui compiti. Se crollasse il mondo non se ne accorgerebbe nemmeno, osservava orgoglioso il padre affacciato alla finestra della sala mentre ingoiava un altro sorso di cachaça , impaziente tale e quale la madre!
Scacciò Rex, "Via!", battendo minaccioso il piede per terra, "Lascialo venire papà!", "No, questo animale è un farabutto", fece sfrecciare un sasso vicino al suo orecchio, "Via!, la coda tutta avvirgolata, il cane tornò indietro a rifugiarsi nel pollaio sul retro della casetta. Prese la bicicletta, spinse i pedali, Claudio si mise a correre e saltò sul sellino posteriore. Le gomme tracciarono un lungo solco nella polvere di quella lunga estate, serpeggiando incerte tra canaletti, fossi, dirupi, dossi e buche. Il vento freddo strappava lacrime al bambino, goccioline di guazza che trasudavano sul manubrio, sul parafango, la mano gonfia del padre controllava la velocità, il rumore secco della corona che girava a vuoto, dove stavano andando? Squarciavano la nebbia spessa, il bambino, naso e orecchie congelati, indagava, si accertava di quando in quando se il cane avesse davvero desistito.
Ogni volta che gli capitava un lavoro decente Baiano faceva lo schizzinoso, e forse era stato questo ad accelerare la sua rovina; adesso poi, tutto sarebbe stato inutile. Si era rifiutato fin da subito di avere un padrone, non per paura del lavoro duro, non si trattava di questo, ma per l'idea astratta di non voler stare sotto comando. Faceva lavoretti, piccole commissioni, servizi di poco conto, bagattelle, mettendo in fuga la possibilità di un lavoro in regola, stabilità, soldi sicuri alla fine del mese. Seu Chicão, il padre, ignorante, rozzo e irascibile, s'irritava per la sua "fannullaggine", come la chiamava. Disconosceva qualsiasi regime che non fosse comanda-chi-può-ubbidisce-chi-ha-buonsenso. E per rimettere in riga il figlio, era capace di uscire persino sbronzo a dargli la caccia negli angoli più remoti della città. Se lo coglieva in flagrante mentre:
acchiappava un uccellino - trappola e gabbia distrutte lanciava biglie - in ginocchio sopra il granturco nuotava nel fiume Pomba - noccata sulla nuca attaccava briga per strada - schiaffoni guardava di nascosto le partite a carte - tirata d'orecchie sfumacchiava sigarette - pizzicotti su braccia e sedere sfogliava riviste di donne nude - ceffoni dietro al collo faceva lo svergognato a tavola - frustate sulla schiena faceva comunella coi ragazzacci - calci a volontà frequentava donne dell'isola - cazzotti dove capita capita
Rimproveri sgridate ammonizioni ramanzine insulti, non c'era niente che mettesse freno alle sue tentazioni.
"Al diavolo!". E un sabato di ciucca, quando ormai il giorno aveva superato lo zenit già da un pezzo e il fannullone ancora russava, lo cacciò da casa. "Sparisci, disgraziato!". Costrinse la madre a infilare i suoi stracci -appena qualche cambio- in un sacchetto di carta, e maledicendolo lo scaraventò furioso fuori dalla finestra, disseminando camicie, pantaloni, mutande e calzini nella polvere della strada disselciata.
Baiano si accovacciò, raccolse le cose a una a una e ignorando lo scherno silenzioso del vicinato guardò dritto davanti a sé, mentre si allontanava da Ibraim senza un posto dove andare a sbattere la testa.
Avrebbe conquistato il mondo. Un accenno di crepuscolo cominciava a scendere su Rio de Janeiro, ah, il mare! le spiagge! i palazzi! le luci! il cristo redentore! Tra una raccomandazione e l'altra ottenne un lavoretto in un'officina di biciclette a Bangu, caldo infernale, sette mesi con la puzza d'olio addosso a:
lubrificare e ingrassare mozzi, ammortizzatori, cuscinetti bagnare catene nel cherosene sostituire cerchi, raggi, corone e pedali
raddrizzare ruote
collaudare camere d'aria
sostituire parafanghi e ganasce di freni e sellini e pneumatici
saldare sellini posteriori e forcelle
accertarsi di campanelli e pulisci-raggi e specchietti e fari e pompe e lucchetti e frange per le impugnature. E distinguendo le marche:
Le tedesche, le migliori. La Opel! La Göricke! La Wanderer!
E le inglesi, allora? La Philips! La Humber! La Raleigh! Le svedesi, imbattibili! La Hermes! La Presidente! La Monark! La Vega!
Soltanto un fesso cambierebbe una Peugeot...
A Bangu si invaghì della cachaça. Se prima rincorreva l'incendio che scivolava giù nel profondo della gola, pelle raggrinzita spalle spasmodiche bocca contratta addome ricurvo braccia convulse, "deliquio da amatore", lì, nell'agonia pomeridiana, attorno a un tavolino di fòrmica, quando il canto della sirena faceva traboccare per strade, vicoli, piazze e viali centinaia di biciclette proletarie di ogni colore e provenienza, lui si aggrappava naufrago a una bottiglia di acquavite. Usciva dal lavoro, quaranta gradi, selci arroventate a liquefare la suola delle scarpe sformate, afa a ribollire il paesaggio, e se ne restava seduto al tavolino per ore a bersi le fanfaronate della sua comitiva di bicchiere, masticava uno spiedino rotolato nella farina di manioca, un jiló cotto, pancetta fritta, una fetta di mortadella, una zampa di gallina, un collo di pollo, una coscetta, una punta di goletta "al capriccio", un'acciuga...
Il quindici novembre di quell'anno, sessanta? sessantuno?, lo passò a Catagueses. In piazza Rui Barbosa, tra un sacchetto di popcorn e un ghiacciolo, poco prima dello spettacolo delle otto e mezza al Cine Nello gli cadde l'occhio su una mulattina bruna -il nome proprio non riesce a ricordarselo-, si innamorò, decise di non tornare a Rio e non si preoccupò nemmeno di licenziarsi. La tacchinò un po', lei abboccò compiaciuta, addio Bangu, bicicletteria, pensione!, addio colleghi, addio! Gli rimaneva il ricordo della sua frequentazione con Ubirajara, Zózimo, Ademir da Guia, e raccontava sempre a tutti, anche se pochi ci credevano, che li accompagnava alle partite e agli allenamenti al Moça Bonita, e "poi andavamo a far due chiacchiere insieme nei baretti di Rua Sul America, e Ademir da Guia, oh! dovreste vederlo, un ragazzino, una merdina così", diceva con voce biascicata prendendo in giro i beoni che lo circondavano, e loro: "Ma sentitelo 'sto Baiano!"
S'infilarono silenziosi nel sonno mai appagato delle case basse del lungofiume, avvolgendosi nel brusio mattutino di ali e pigolii delle cascine di Santa Clara, abbracciarono la solitudine infinita della Reta da Saudade, attraversarono le frontiere imboccando in direzione del Ponte do Sabiá. Tutto era un tale silenzio che lui udiva nitidamente la gomma dei pneumatici della bicicletta far schizzare il brecciolino e una brutta sensazione gli trafisse la testa. Un gabbiano spaventato quasi li fece cadere volandogli sopra. Dove stavano andando? Indagava irrequieto dentro di sé mentre attraversavano luoghi prima d'allora mai sospettati, regioni più che trasparenti.
Baiano il tuttofare fece un po' di tutto.
Al Rodoviàrio Mineiro caricava e scaricava merci dai camion che arrivavano da Rio de Janeiro, da Sao Paulo e da Belo Horizonte, "a quei tempi mi sfiancavano..."
In Rua do Comércio, alcuni commercianti lo ingaggiarono per riscuotere debiti dai truffatori, "combinai solo guai..."
Nella fabbrica della Industrial accatastava le balle di cotone che arrivavano dal nord, "e lo chiami un lavoro da cristiani?"
Estraeva sabbia dal fiume Pomba con la barca, "il freddo mi ha spaccato le articolazioni".
Se c'era aria di zuffa chiamavano lui.
Al Club del Remo puliva le maioliche quando venivano svuotate le piscine.
Al Collegio Cataguases scacciava i tagliatori di legna dal bosco durante le vacanze.
Al Flamenguinho faceva il guardarobiere della squadra giovanile.
In periodo di elezioni faceva il propagandiere elettorale e lo scrutinatore per i Prata.
Nel vicolo aiutava Zé Pinto nella manutenzione di quelle casupole in fila: pitturava le pareti, restaurava i tetti, risistemava le tavole del pavimento, sostituiva tubi, localizzava
condutture danneggiate, portava l'elettricità nelle abitazioni, sarchiava le erbacce, dissodava.
E da sempre ripescava i corpi dei morti affogati nelle acque insincere di cascate, pozzi, dighe, laghi, chiuse, o nelle piene di fiumi, fiumiciattoli, torrentelli e ruscelli. A guadagnarci era solo la sua vanità, soldi non ne vedeva proprio. Nel cortile della casa che aveva tirato su mattone dopo mattone, in cima al Paraìso, riceveva il messaggio addolorato di madri, mogli, figli e altri parenti, "Vai Baiano, solo tu puoi mettere fine alla nostra angoscia", ed estraendo dal fango e dalla melma il corpo irrigidito, lo restituiva ai suoi per un degno compianto. Arrivava sul posto, tirava fuori dalla tasca la bottiglietta di acquavite, buttava giù un sorso, si asciugava la bocca con il dorso della mano, sputava da un lato. Accovacciato sulla riva osservava la superficie scaltra e ingoiava un altro sorso, adesso te la devi vedere con me , bisbigliava. V uoi tenerti il ragazzo, vero? Nessun problema, vengo lì e me lo ripiglio. Si alzava, calcolava il punto probabile in cui era affogato, si liberava dei pantaloni, della camicia, delle scarpe, faceva qualche esercizio, respirava a fondo, si buttava. Raramente falliva. Certe volte l'infelice si incagliava nei fondali e risaliva a galla solo quando i polmoni esplodevano. Ogni tanto poi, qualcuno veniva trascinato via dalla crudeltà delle acque; per quelli non ci sarebbe stata sepoltura.
Si comportava sempre più stranamente il padre, così nervoso! La faccia cupa, freddo, scorbutico, strambo, proprio lui, sempre così mattacchione... Il ragazzino, labbra livide di freddo, alberi che scuotono nebbia dalle foglie e dai rami, le mani ruvide della madre in una carezza delicata, il grembiule che puzzava di acqua di gabinetto, ninnananna sottovoce "se questa stra, questa strada fosse mia, la farei, la farei pavimentar, con pietrù, con pietruzze di brillanti, ché l'amor mio, l'amor mio possa passar", galline che razzolano nel cortile, una trascina la zampetta fasciata con strisce di stoffa, rumorini lontani dalla bambusaia, mamma, ti voglio tanto bene! Una lucertola gironzola nel fosso, una tortorella becchetta nel cortile appena spazzato, gli urubus si librano nell'indaco celeste, la felicità si è rintanata sul tetto tra le latte di birra e le coca cola formato famiglia, le sorelle più piccole sudano sonni pomeridiani di zanzare e ronfi mentre la più grande, uniforme scolastica dietro a un banco, codini che intrecciano i capelli crespi così belli, la benedizione mamma, che dio ti benedica figlia mia , i colori svolazzano sullo stenditoio. Gli stringe il braccio magro, si accosta un po' di più, il padre sarebbe tornato a luci ormai accese vomitando novità, qualche soldino per aver piantato un recinto di filo spinato a Paraìso-basso, due spiccioli per una scommessuccia con Zunga, una filza di pesci del fiume Meio-Pataca, una miseriuccia per un trasloco a Vila Teresa, una fesseria per aver pulito un cortile in centro... tu... tu... senti ancora...
Senti ancora la mancanza di tua madre? La voce, reticente, si condensava in vapore.
Eh?
Uh?
Il padre scese, drizzò la bicicletta sul cavalletto, bevve un sorso di cachaça dalla fiaschetta. "Mi senti?"
Il bambino si svegliò impaurito, aveva di nuovo fatto pipì nel pigiama. Panico, il padre lo aveva già avvisato che se non avesse smesso gli avrebbe tagliato il pisellìno, cercò la porta della camera, camminando sopra alle sorelle che dormivano sparpagliate sul pavimento. In cucina, lo intravide che sorvegliava la stufa a legna accesa... quatto quatto cercò di svignarsela nel cortile, la voce lo inseguì, "Dove vai, ragazzino?". Impietrito, sussurrò: "Da nessuna parte, papà". Quando il padre diede un pugno sul tavolo e lui lo sentì urlare, capì che era ubriaco, "Tornatene a letto, maiale! È ancora presto...", cercando di alzarsi fece cadere la sedia, "Puttana ladra!". E barcollando cadde lungo sul pavimento. "Mamma, mamma! Corri! Mamma!". Da terra il padre, con le labbra che sanguinavano, sbraitò furioso: "Tu non ce l'hai più una madre, disgraziato! Non ce l'hai più una madre, capito?". Risvegliatesi, le figlie accorsero tutte impaurite nella penombra della luce mattutina che cominciava a stiracchiarsi.
Nessuno aveva parlato mai più di lei. Dentro casa il nome era proibito. Nonni, zii, cugini, vicini, amici, tutti lo evitavano come una malattia, e smettevano subito di parlottare appena i bambini si avvicinavano.
Un anno prima, il giorno del suo settimo compleanno, la madre aveva preparato una torta Santista e l'aveva divisa in misere fette, la sorella più grande, brocca in mano, serviva succo d'uva Q, nel terreno la banda faceva una gran cagnara, lui inaugurava una camicia di jersey nera e calzoncini di sargia azzurri, regali della madrina Zulmira, la madre gli aveva stirato i capelli con lo strutto, "Guarda che ti sporchi i vestiti!", acchiapparella, "Smettila di correre!", capricci, "Guarda che sto già perdendo la pazienza!", scaramucce, "Allora, cos'ho detto?!". Il padre intratteneva gli ospiti-uomo, cachaça con limone alcuni, birra altri. Nel cortile spiegava: "Ogni volta bisogna andare a prendere l'acqua laggiù alla sorgente, per bere, per cucinare, per lavarsi... e lei poverina, per lavare le scodelle, i panni, doveva accosciarsi a terra per usare la bacinella... allora mi sono deciso...", e mostrava il vascone acquistato di recente. Nel campo di manioca faceva progetti: "Io pianto i pali, a quel punto dipende solo dalla Forca-e-Luz portare i cavi. Dopodiché: candele solo ai funerali!". Nella sala, fantasticava: "Zé Pinto, lui ce n'ha uno, di qualcuno che se l'era impegnato e poi non l'ha più riscattato, così lei potrà seguire le telenovele..."
No, non la sento, rispose il bambino, come se la nostalgia cicatrizzata palpitasse di nuovo.
Baiano camminò lentamente fino alla riva del fiume Pardo.
(una bobina di spago di nailon)
Inverno, costole a fior di pelle, pietre e banchi di sabbia, l'alveo si era spostato.
(tre metri di corda di sisal)
Provò a sentire la temperatura, gelata!
Tolse dalla filza i pesci, i cascudos , le traíras , e buttò tutto nel secchio. "Claudio, prendimi un coltello", li squamò, li eviscerò, i gatti, eccitati da quelle carni squartate, "Dove hai preso questi pesci, papa?". "Là, dalle parti del Ponte do Sabiá", l'alito acre di cachaça. "Dì a tua sorella che li passi nella farina di granturco e li frigga".
(devi pensare ai bambini... quattro bocche da sfamare...)
Si liberò della maglia, della camicia, dei pantaloni, delle ciabatte. Seduto, il bambino lo guardava incuriosito con quella pancia rotonda che gli gonfiava i pantaloncini, lo vide avanzare, vagliare, restare senza fiato appena bagnò i polsi, poi la testa, e infine immergersi, spruzzando gocce sui rami della riva, scacciando il silenzio.
"Vieni Claudio, entra".
"No papà, non vengo, è fredda".
"Macché fredda! Entra! È un ordine!"
"Ma papà, mi verrà un raffreddore".
"Un cazzo di niente ti verrà! Sei un uomo o una femminella?"
Baiano, dritto in piedi, gli indicò "Dai, entra da qui". Si spogliò contrariato, tremando.
La pianta dei piedi calpestava la freddezza dell'erba, del fango, gli stinchi sottili lo spinsero,
si fermò
"Papà".
"Vieni!"
E ansimando rabbrividì tutto al contatto con l'acqua. Battendo i denti si avvicinò al padre, cercava di aggrapparsi al suo collo ma gli sembrava che lui si allontanasse, si diede una spinta e di nuovo ebbe la sensazione che si fosse allontanato,
papà!
pensò di tornare indietro, perse il fiato, papà !
si lanciò verso di lui i piedi senza appoggio le mani che si dibattevano scomposte,
A
F
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Tornò a galla, papà ! Dimenava il corpo l'acqua inondava il naso la bocca,
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Tornò a galla, papà ! Urubù che si librano nell'indaco celeste,
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La corrente mite sospinge la domenica, dissipando i vapori che soffocano la superficie.
(quando vado a dormire, mi ricordo che non posso arrendermi... lutto... tutta la notte a rigirarmi da una parte e dall'altra... al mattino, però... ho già dimenticato tutto...)
Baiano prese il corpo ancora caldo del figlio e lo trascinò fino alla riva, ancorandolo nella melma fetida. Legò alla caviglia lo spago di nailon, avvolgendo l'altro capo alla sua vita. Verificò che il nodo non si rompesse e restituì il cadavere alle acque. Fluttuò, galleggiò, e affondò, risucchiato dall'acqua.
(compare, anni fa ho vinto un coltellino per uccidere i porci, di quelli con la punta molto fina che penetrano facilmente nel cuore della bestia... manico di madreperla, un tale gioiello che ha persino il fodero. Se un giorno scopro dove si è cacciata, giuro, compare, sulla vita di mio figlio, che è la cosa più sacra che ho al mondo, che la scovo, ovunque sia, e l'ammazzo di botte, compare, l'ammazzo...)
Dal nodo di un ramo della sapotiglia Baiano srotolò la corda di sisal e trascinandola si arrampicò sull'albero, la legò intrecciandola bene al ramo più grosso, mentre osservava paziente gli strattoni alla lenza da pesca infilò il collo nel cappio preparato la sera prima, e senza esitare si lanciò. Il filo di nailon, ragnatela tesa che vibra contro l'orizzonte.
(Racconto tratto dall'antologia Il Brasile per le strade , Azimut editori, Roma, 2009. Organizzazione di Silvia Marianecci.)
Luiz Ruffato, affermato giornalista e scrittore ha esordito con Cotidiano do medo (poesie), cui sono seguiti i racconti di Histórias de remorsos e rancores e di Os sobreviventes , con il quale nel 2001 ha ricevuto speciale menzione nel Premio Casa de Las Américas, per il miglior libro pubblicato in lingua portoghese. Con Eles eram muito cavalos , pubblicato anche in Portogallo, Francia e Italia (Come tanti cavalli, Bevivino), ha vinto il Premio APCA e il prestigioso Premio Machado de Assis. Altri romanzi che si segnalano: Mamma son tanto felice , O mundo inimigo , Vista parcial da noite , De mim já nem se lembra e Tarja preta . Ha organizzato le antologie: 25 mulheres que estão facendo a nova literatura brasileira (25 donne che stanno facendo la nuova letteratura brasiliana) e +30 mulheres que estão facendo a nova literatura brasileira (altre 30 donne che stanno facendo la nuova letteratura brasiliana), Fora da Ordem e do Progresso e nel 2008 Entre Nós . 83.
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