SPECCHI
Ingo Shulze
Cosa hanno da dirsi Barbara e Frank Holitzschek. Una scena nel bagno. Il politico non reagisce e poi si meraviglia. La scarpa perduta nella fuga.
Frank sfiora la porta del bagno con la fronte. “Tutto okay?” chiede. La sua voce ha un suono soffocato. Mette la mano sulla maniglia. “Si può?” Nonostante la gomma da masticare, l'alito gli ricorda la cena, fricassea alla panna preceduta da zuppa di cipolle, tiramisù per dessert. Oltre alla birra non ha bevuto niente. Sono usciti dal ristorante del municipio verso mezzanotte. Adesso è l'una.
“Barbara?” Le sue dita picchiettano sullo stipite. “Tutto okay?”
Indietreggia quando lei gira la chiave, aspetta e poi apre la porta . “Si può?”
Lei è davanti allo specchio, in maglietta, e si tampona con un batuffolo di ovatta il sopracciglio sinistro. La gonna è buttata sul coperchio del water, la camicetta e i collant sono abbandonati per terra, sulle piastrelle. Preme l'ovatta su una bottiglia che rovescia rapidamente e gira la testa dall'altra parte. Quando solleva il braccio, lui vede i peluzzi appiccicati dell'ascella.
“Babs,” dice e la bacia sui capelli. “Fa ancora male?” Nello specchio il volto di lei ha un'altra espressione.
“Cosa succederebbe se sostenessi che mi hai picchiata, menata di santa ragione? Cosa succederebbe?”
Il viso di Frank si distende. Sorride. “La fine. Sarei rovinato.”
“Non credo,” dice lei piegandosi di nuovo in avanti. “Tu affermeresti il contrario e tutti testimonierebbero che siamo una coppia ben equilibrata. E allora sarò di nuovo io la cattiva, la donnetta avida e isterica. Lo so che è così.” Ficca il batuffolo dietro al rubinetto. “E non ti toglierebbero nemmeno l'immunità.”Eppure,” dice lui baciandola di nuovo, “qualcosa resta sempre.”
“E se fossi stata incinta?” Lo guarda nello specchio.
Lui le sposta di lato la coda di cavallo e la bacia sulla nuca. Con la punta delle dita le sfiora le scapole.
“Mi dispiace tanto,” dice e chiude gli occhi.
“Non c'è bisogno,” dice lei.
“No, no,” dice lui mettendole le mani sul ventre,” avrei dovuto arrivarci prima, molto prima. Ma nessuno poteva immaginarselo!”
“Frank,” dice lei. Lui scivola sotto la maglietta. La tira su velocemente e osserva nello specchio le sue dita sui seni. Barbara cerca di togliersi l'ombretto. “Nessuno poteva immaginarselo,” dice. Sul sopracciglio è rimasta dell'ovatta. “Come si poteva immaginare?”
Lui le bacia le spalle.
Lei torce il braccio sinistro e si osserva il gomito graffiato. “Trovi anche tu che io sono maneggevole, Frank? Sono maneggevole?”
“Scemenze,” dice lui.
“Sto solo chiedendo. Le donne piccole sono maneggevoli, no? Dimmelo. Sono maneggevole?” Lui la lascia andare. Barbara si tira giù la maglietta.
“Come si poteva immaginarlo!” ripete, raccoglie l'ovatta sul bordo del lavabo e schiaccia il pedale della piccola pattumiera. Un batuffolo cade fuori. Frank si china. Sputa nella mano la gomma da masticare, la preme sull'ovatta bagnata e butta tutto nella pattumiera. “Scolaretti di quattordici, quindici anni,” dice rialzandosi. “Bocciati tre volte, dei poveri disgraziati, presi uno per uno.”
“Nessuno di voi si è mosso, Frank, quando hanno cominciato.” Apre il rubinetto e tiene il braccio piegato sotto il getto.
“Non bisogna fare così,”dice lui. “Si pulisce da sé.”
“Cinque uomini,” dice lei. “Di cinque uomini, nessuno che abbia alzato il culo. Sai cosa mi stupisce?”
“E va bene,” dice lui.
“Questo è il tuo punto di vista. Ma io credo che fosse giusto così.”
“Sai cosa mi stupisce? Che non abbiate incaricato la cameriera…”
“Volevano provocare, soltanto provocare.”
“Be', grazie al cielo non ci siamo cascati, Frank, proprio un comportamento intelligente. E il tuo amico Orlando… anche lui volevano solo provocarlo? Per questo gli hanno piantato il coltello nella schiena?”
“Dai, su!”
“Per una buona mezz'ora hanno gridato i loro slogan. E voi ve ne stavate lì seduti…”
“E tu ti sei ubriacata…”
“Belli seduti, coi vostri costumi bavaresi, a masticare gomma americana. E quando Hanni ha detto che lì non voleva più restarci, avete detto va bene e avete chiesto il conto.”
“Dopo dieci minuti è arrivata la polizia e li ha sbattuti fuori. Forse un quarto d'ora…” Dà uno strattone all'asciugamano sullo stenditoio.
“E quelli ci hanno aspettato fuori.”
“Pensi che mi avrebbero dato retta? Se li avessi buttati fuori con le mie mani, allora no, non sarebbe accaduto. È questo il tuo ragionamento? Devo addestrarmi nella lotta corpo a corpo?” Lei si lava il viso.
Lui dice: “Non tutti i ragazzini che fanno i bulli sono dei nazisti! Vuoi sbatterli tutti in galera?”
“Tu cosa dici?”
“Non fare così.”
“Frank,” dice lei. Le sue mani si aggrappano ai bordi del lavabo. Dal mento e dalla punta del naso gocciola acqua.
“Ho ancora della stima per te…”
“E allora? Cosa avrei dovuto fare? Me lo dici?”
“Sai come hanno chiamato tua moglie? Hai finto di non sentire quando mi hanno detto come volevano maneggiarmi, Frank, ma-neg-gia-re la tua maneggevole moglie?”
“Smettila, Babs…”
“Ho tenuto a mente solo le frasi migliori.”
“Non gridare così! Le ho sentite anch'io.”
“Allora va bene. Se le hai sentite anche tu… Pensavo solo che non avessi sentito. Avevo quell'impressione. Mi sono sbagliata un'altra volta. Scusa il mio atteggiamento ingiusto.”
“Devo mettermi a menar le mani?” Frank fa un passo indietro. “Due li avrei sistemati, forse tre. Ma quelli erano in dieci o di più. Mi avrebbero massacrato, e poi…”
“Poi?” chiede lei, il viso bagnato sopra il lavabo. Cerca l'asciugamano a tastoni. “Va' avanti, Frank. Massacrato e poi? Poi cosa?”
“È questo che vuoi? Che mi massacrino?” Si appoggia alla parete e incrocia le braccia. Gli slip di lei sono scivolati un po' in basso.
“In compenso abbiamo corso come lepri, Frank. Come lepri. E quando sono caduta, hai persino aspettato. Non ti ho neppure ringraziato, per questo. Sono veramente ingiusta. Mi hai aspettata, qualche passo più avanti, e mi hai dato dei consigli!” Rimette a posto l'asciugamano. “Non hai mai fatto a botte, Frank? Dopo una settimana al massimo saresti uscito dall'ospedale. Sarei venuta a trovarti ogni giorno, ti avrei anche portato da mangiare. Lo sai cosa sei?”
“Tu sei fuori di testa,” dice lui e scende con lo sguardo lungo le sue gambe. “Mi basta uscire dalla porta. Posso ancora recuperare tutto.”
“Giusto,” dice lei, scioglie la coda di cavallo e comincia a spazzolarsi i capelli, la testa piegata di lato. “Volevo proprio chiedertelo. Almeno la scarpa me la puoi riportare. Sono solo due striscette di cuoio, ma mi sono costate ben duecento marchi.”
“Babs,” dice lui.
“Sì? Ti ascolto, Frank.”
“Pensi che io mi senta bene?”
“No, non lo penso. Come ti viene in mente?”
“Come mai mi viene in mente!” La segue nello specchio mentre toglie i capelli dalla spazzola. “Pensa pure quello che vuoi di me,” dice infilando le mani nelle tasche. “Avremmo dovuto prendere un taxi. Ma quanto al resto?”
“La vostra bella democrazia non andrà in malora per quelli là. Non per loro.
“ La vostra democrazia! Davvero originale, Babs! È roba che leggo tutti i giorni a colazione. Ne ho fino alla nausea!”
“Ehi, non sono sorda.” Apre l'astuccio dell'ombretto.
“Certo che no. Non sei sorda, solo ubriaca. Ce l'ha fatta di nuovo, brava.” Frank si sbottona la camicia.
“Non mi hai ancora risposto, Frank.” Si inchiostra le ciglia.
“Non ho cosa?”
“Risposto alla mia domanda. “Picchietta col mignolo gli angoli degli occhi. Lui appende la camicia al regolatore del termosifone e apre la fibbia della cintura.
“Vai o no a prendermi la scarpa? Tanto per sapere.” Richiude il vasetto.
Lui lascia scivolare a terra i pantaloni. “Mi fai passare?”
“Frank,” dice lei ritoccandosi il contorno delle labbra.
“Questo vuol dire… questo può solo voler dire… che non sei disposto ad andarmi a prendere la scarpa. È così?”
Frank getta i calzini nel cesto della biancheria, ci depone sopra i pantaloni e si siede sul bordo della vasca. Dalla doccia a telefono si fa scorrere acqua fredda sui piedi, Barbara si tira su gli slip, esce dal bagno e si chiude alle spalle la porta della camera da letto.
Frank stende un piccolo asciugamano davanti al lavabo. Da un tubetto rosso strizza dentifricio sui due spazzolini, riempie un bicchiere con acqua calda, ci mette sopra lo spazzolino di lei e comincia a lavarsi i denti. “Beauty Cosmetic – Pads Naturelle” legge sulla confezione appesa di fianco al lavabo. “Doppi dischetti di puro cotone ultradelicato, a più strati, privo di sfilacciature e amico della tua pelle.”
Barbara bussa e apre la porta quasi nello stesso momento. “Mi dai quella roba?” Indica il coperchio del water. Lui le allunga un indumento per volta, senza togliersi lo spazzolino di bocca.
“Anche questi sono andati,” dice lei, getta i collant sotto il lavabo e indossa la camicetta.
“E adesso?” chiede lui con la bocca piena di dentifricio. Lei infila la gonna. “Che fai?”
Barbara chiude la lampo. Frank si china verso il rubinetto e si sciacqua la bocca. Si sposta di lato, in modo che lei possa guardarsi allo specchio.
“Ma che diavolo succede?” chiede rizzandosi.
“Io sopporto molte cose,” dice lei. “Ma dovermi nascondere… Mi chiedo solo a cosa mi serve avere un uomo.”
Nell'ingresso si infila le scarpe appoggiandosi al tavolo del guardaroba e fruga nella borsetta.
“Almeno mettiti un golf” dice lui.
“Dov'è la mia chiave?”
“Nella toppa.”
“Non ci hai nemmeno pensato se andare, vero Frank?”
“No,” dice lui, “non ci ho pensato.”
La segue alla porta. Lei apre. Lui la afferra per una spalla e la tira indietro prima che lei possa abbassare la maniglia. Strattona Barbara attraverso l'ingresso tenendola per le braccia, poi la prende per il ventre e la fa piroettare. Adesso Frank è davanti alla porta. “Babs,” dice.
“Con me non funziona.”
“Non ci crederebbe nessuno,” dice lei. “O no? Mi crederebbero? Che uomo energico! E come sa farsi valere, di punto in bianco. Tanto di cappello, non posso che dire tanto di cappello!” Si riaggiusta la camicetta. “Su, Frank, lasciami uscire. O vuoi star qui in piedi tutta la notte, eh?”
Avanza di un passo. “Dai! Non pensarci troppo. Faccio un salto a prendere la mia scarpa e poi andiamo dritti a nanna. Domani hai una giornata pesante.”
“Perché ti comporti così?”
“È tutta la sera che te lo sto spiegando,” dice lei appoggiandosi sull'altra gamba.
“Allora? Per quanto tempo andremo avanti con questo gioco?”
Il campanello. Due suoni brevi e uno lungo, e dopo una pausa nella quale i due si guardano, ancora un suono breve. Lui le fa cenno di indietreggiare. “Babs,” sussurra. “Babs!” Si infila nel bagno passandole davanti. Spegne la luce e va alla finestra. La apre senza far rumore e si sporge. Il lampione sopra l'ingresso si spegne. Dopo un po' lui grida: “Ehilà!”. Nello stesso istante sente il rumore della porta di casa. Nella luce che arriva dal pianerottolo scorge una figura nello specchio, in piedi, in maglietta, una mano sulla maniglia della finestra. Osserva quel volto e aspetta che qualcosa cambi. Avverte una corrente d'aria sulle gambe.
“Frank,” chiama lei sbattendo la porta di casa. “Vieni fuori! Qualcuno l'ha portata. Era qui, qui davanti all'ingresso. Vieni, filiamo a nanna!” Senza togliersi le scarpe, corre in camera da letto.
Lui si vede ancora lì in piedi, la mano sinistra sulla maniglia della finestra. E poi vede come la finestra viene chiusa, lentamente.
(
Racconto tratto dalla raccolta Semplici storie , Traduzione di Claudio Groff, Feltrinelli, MIlano, 2008.)
Ingo Shulze è nato nel 1962 a Dresda. Ha studiato lettere a Jena e lavorato come drammaturgo e redattore ad Altenburg. Dal 1993 vive a Berlino. Nel 1998 il "New Yorker" lo ha annoverato tra i "sei migliori giovani romanzieri europei" e "The Observer" lo ha citato tra i "ventuno autori di cui ci si ricorderà nel ventunesimo secolo". È membro dell'Accademia delle arti di Berlino e dell'Accademia tedesca per la lingua e la poesia. I suoi libri sono tradotti in ventisette lingue. In italiano sono stati pubblicati anche la raccolta di racconti 33 momenti di felicità (Mondadori 1999) e Vite nuove (Feltrinelli 2007). Semplici storie (1998) ha vinto il premio letterario della città di Berlino.
Precedente Successivo
Copertina
|