VIOLENZA TIPICAMENTE CARCERARIA – Brano del romanzo Il maestro dei nodi –
Massimo Carlotto
(…) Mentre il ciccione parlava capii perché Beniamino era così restio ad affrontare la discussione. Ben prima di me aveva intuito analogie con un passato che voleva dimenticare. Io, invece, avevo osservato la situazione in modo distaccato, senza soffermarmi a riflettere, forse perché troppo preoccupato per quello che poteva accadere a Max. E non avevo capito nulla. Il comportamento degli sbirri mi era sembrato "normale" e questo era corretto se rapportato al mondo del carcere e dell'uso della violenza poliziesca su marginali e malavitosi. Non lo era affatto però nei confronti di persone pacifiche e incensurate.
Negli anni Settanta le forze dell'ordine addestrate a gestire l'ordine pubblico si erano sempre comportate in modo ben diverso, tendendo a contenere gli scontri di piazza. Più di un giovane aveva perso la vita, ma non c'era mai stato un massacro generalizzato dei manifestanti e tantomeno una caccia all'uomo negli ospedali. Inoltre, una volta che gli arrestati venivano consegnati nelle mani della polizia penitenziaria le violenze cessavano. A Genova, invece, le donne e gli uomini che protestavano contro il summit del G8 erano state trattate come criminali comuni colti in flagranza di reato e ne avevano seguito il percorso. Il tipo di violenza esercitata sulle persone era tipicamente carceraria. Quell'accanirsi in gruppi di quattro o cinque contro una persona a terra era il classico Sant’Antonio, il pestaggio punitivo riservato ai detenuti. L'irruzione nella scuola sede del Genoa Social Forum, dal punto di vista operativo, era stato il classico assalto al carcere in rivolta: occupazione dell'edificio, annientamento fisico dei soggetti e trasferimento immediato in un'altra struttura. E la squadra speciale della polizia penitenziaria nel centro di detenzione temporanea di Bolzaneto aveva "accolto" gli arrestati come accadeva normalmente ai detenuti pericolosi spediti nei carceri di massima sicurezza. Il ciccione parlava, analizzava ogni singolo aspetto del comportamento delle forze dell'ordine e nella mia mente scorrevano le immagini delle cariche. Quella selva di mani alzate, di volti atterriti e di bocche spalancate mi ricordò un episodio accaduto molti anni prima nel carcere speciale di Cuneo. Chiusi gli occhi. L'avevo fatto anche allora quando avevo sentito arrivare la prima manganellata sulla schiena.
Max terminò la sua esposizione. Si versò dell'altra grappa e aprì un nuovo pacchetto di sigarette.
«È un problema vostro. Tuo e degli altri sognatori» commentò Rossini. «Noi questi metodi li abbiamo subiti sempre».
Non aveva tutti i torti. «Ti confesso che anch'io non riesco a stupirmi più di tanto. E tantomeno a indignarmi».
«È davvero entusiasmante parlare con voi» ironizzò il ciccione.
«Cosa pretendi?» domandò il milanese. «Per noi non è cambiato nulla. E il plurale comprende anche te. Sei un marginale e lo sarai per tutta la vita».
«Perfino i vigili urbani adesso picchiano come dannati. Hanno fatto carte false per avere pistole e manganelli» dissi. «Guarda come trattano gli extracomunitari che vendono le loro carabattole sotto i portici del centro o con che gusto spaccano gli strumenti ai musicisti di strada...».
«Dovreste essere contenti» mi interruppe, scherzando, il vecchio gangster. «Finalmente abbiamo una polizia democratica che tratta tutti allo stesso modo».
«I tempi sono cambiati per sempre» continuai. «Useranno ogni mezzo per stroncarvi le gambe. E ne hanno un bel po' a disposizione: mass media, manganelli, galere...».
«E provocatori» aggiunse Beniamino. «Queste nuove BR puzzano di servizi. Le useranno contro di voi e per regolare i conti con il passato. Vedrai quanto ci mettono a sbattere in galera i rifugiati a Parigi».
Max sorrise. «Quelli non li toccheranno mai». «Staremo a vedere. Con la scusa del terrorismo si unifica tutto». (…)
(Brano tratto dal romanzo Il maestro dei nodi, edizioni e/o, Roma, 2002.)
Massimo Carlotto
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