SAGARANA: 8 ANNI
UNA BOZZA DI FUTURO
La Sagarana, che questo mese completa otto anni di esistenza, è una pubblicazione on line europea diretta da un scrittore brasiliano, con collaboratori internazionali. Per questo mi è sembrato opportuno approfittare di questa edizione commemorativa per fare una riflessione sul futuro dell'Europa e sul suo possibile ruolo nel mondo, a partire da un parallelo con ciò che la cultura brasiliana e il suo progetto di una civiltà meticcia e sincretica possono rappresentare oggi per noi.
Innanzi tutto, bisogna sfatare miti e stereotipi e digerire l’idea che quella Napoli in preda alla cultura camorrista e sotterrata dalla spazzatura è Europa come la colta Liège o la pia Cracovia, oppure che i palazzoni fatiscenti e anneriti di Bucarest sono Europa quanto la snob e ipermaterialistica Ginevra delle banche e dei grandi gioiellieri. Non sempre è facile, guardandosi intorno, ricordarsi dove siamo, e questa sensazione di mancato collegamento tra un certo immaginario signorile ispirato al concetto di Europa e il paesaggio reale non penso sia solo degli stranieri, ma confonde sempre di più l’autoimmagine degli europei stessi.
L’Europa è un continente, nel senso geografico, ma soprattutto nel senso letterale del termine perché contiene in sé tutte le contraddizioni plasmate dalla storia e le mette insieme, a volte pericolosamente, nello stesso quartiere della stessa città: Sud e Nord, immigranti e casate tradizionali, quelli che non hanno niente da perdere e quelli che ne hanno fin troppo. Anche il Brasile, terra di contrasti non di rado sconvolgenti, è allo stesso modo un continente, e può equazionarsi come: “grande paese = grandi problemi = grandi progetti”. Il massimo progetto brasiliano, in parte già realizzato, è quello della società trasculturale, una grande democrazia razziale e religiosa, non il semplice “multiculturalismo” dei ghetti che sostiene il sistema statunitense o sudafricano, ma una realtà sincretica, mescolata, meticcia. Un’antesignana della società del futuro, nel caso auspicabile in cui il mondo andrà per il verso giusto, pacifico, e cioè se non prevarranno le funeste minacce dello “scontro di civiltà”.
Il continente europeo, da parte sua, che grande progetto avrà in serbo? Quale idea di fondo potrà essere tanto bella (e opposta alla recente decisione che ha istituito il carcere per chi non abbia il Permesso di Soggiorno) da spingere alla sua unificazione al di là delle insicurezze, degli odi storici e dei potenti retaggi nazionalistici e coloniali? Io un’idea ce l’avrei. Questi millenni di storia europea concentrata, da Cartagine ad Auschwitz, da Verdun a Guernica, dai pogrom alle recenti stragi dei migranti in mare, – orrori subiti e orrori inflitti che finiscono per confondersi in un solo inferno di colpe condivise – forse potranno servire a farci capire qualcosa di essenziale e di ineluttabile sull’uomo, forse qualcosa è già maturata in questo senso, una saggezza si sta addensando faticosamente.
In un tale disordine internazionale, in questo mondo del XXI secolo che diventa sempre più entropico ed esplosivo, non potrebbe questa Europa matura, provata, sviluppare una sorta di coscienza etica dell’umanità? Farsi il bastione della difesa dei diritti dell’uomo e della solidarietà mondiale, al posto della “fortezza caucasica” a cui tanto sa già che non potrà più aspirare?
Sarebbe questo un progetto degno dell’idea “alta” che l’Europa desidera coltivare di sé: impedire che le nuove potenze, in cerca di “spazio vitale” e di risorse naturali, ripetano le catastrofi del passato, un rischio non solo possibile ma sempre più probabile. L’Europa però deve prima studiare bene sé stessa per poter affrontare e risolvere le acute antinomie che l’avviliscono e l’allontanano da una qualsiasi riscrittura della propria identità.
Julio Monteiro Martins