NEODESTRA


Raffaele Simone



Tipi di destra


Mentre le sinistre si decostruiscono e si ristrutturano per cessare di apparire quel che erano (o quel che i lo­ro oppositori pensano che fossero), cosa accade nell'al­tro côté, quello che chiamiamo «di destra»?

Qui il discorso si fa più impegnativo, perché la natu­ra della Cosa di destra non è chiara. Può essere utile cercare di tracciarne alcuni lineamenti. Ma bisogna av­vertire che quella di cui sto per parlare non coincide con nessuna delle destre che si sono susseguite nel No­vecento. bensì rappresenta un'aggregazione d'ingre­dienti del tutto nuova. La chiamerò quindi Neodestra, pur sapendo che anche questa designazione è poco espressiva e insufficiente a descriverne le peculiarità.

La Neodestra non è un'evoluzione delle destre con­venzionali: non è fascismo, non è salazarismo, non è franchismo, non è dittatura di colonnelli. Meno che mai è nazismo, anche se, per motivi strettamente elet­torali, non esita ad allearsi con gruppi di quel segno1. Non pratica né predica nessuno dei comportamenti delle Destre Dure del Novecento (benché a volte – come in Italia – la sua componente originariamente fascista tradisca spesso qualche rimpianto di quel passato):2 l'incarcerazione degli avversari e la confisca dei loro beni, il confino, l'invasione militare di stati limitrofi, il colonialismo, il militarismo, la repressione di libertà civili e stampa, lo squadrismo, e tanto meno i campi di concentramento.

La Neodestra si tiene furbamente alla larga da pro­cedure di questo genere, che preferisce lasciare ai regimi che chiama «comunisti» (come quello cubano): ma­gari a volte amerebbe usarne qualcuna ma sa che l'opi­nione pubblica non le accetterebbe più, perlomeno non se applicate ai paesi «civili». Inoltre, siccome il mondo d'oggi sta quasi per intero sotto l'occhio dei media e in particolare della televisione, la Neodestra sa che, se usasse la mano pesante, tutto il mondo lo saprebbe e da ciò potrebbero derivare effetti negativi.

Le sue tecniche per contrastare l'avversario sono intonate ai tempi, cioè incruente, anche se possono essere devastanti: isolamento professionale, denigrazione e dileggio anche attraverso i media, damnatio memoriae, in­duzione di danno economico, persecuzione giudiziaria, emarginazione politica. La Neodestra «non distrugge, impedisce di nascere», avrebbe detto un grande la cui analisi seguirò tra poco da vicino. Certo, talvolta vengono prese misure davvero di destra, cioè di mano dura, ma ciò succede solo in alcuni posti: misure siffatte sono infatti riservate a paesi «altri» e remoti (America Latina, Asia Meridionale e Centrale, ecc.) o a particolari grup­pi di persone considerate «pericolose» o «indesiderabi­li». Gli USA illustrano con una chiarezza da manuale questa perversa e crudele doppia linea: sono ostentatamente (ma non sinceramente) liberali in casa3, repressivi e veramente «fascisti» extra moenia. Basti pensare ai prigionieri islamici tenuti segregati a Guantánamo dal 2002, senza accuse, senza processo e senza rispettare alcuna regola, ignorando sordamente le proteste e le de­nunce internazionali; all'efferata gestione dei campi di prigionia in Iraq e Afghanistan negli anni in cui quei paesi sono stati colpiti dalla guerra americana; in particolare alla condotta della guerra in Iraq, spacciata per anni in tutto il mondo come una missione per «esportare» la democrazia in quel paese che di «democrazia» vi­sibilmente non sa che farsene.

Dove la Neodestra rivela il suo autentico volto è nel fatto che ama contare su maggioranze «pesanti», dato che può usarle come supporto alle sue aspirazioni popu­listiche. «Siamo stati votati dal popolo!», «Il popolo lo vuole!» sono tra i suoi appelli più frequenti, a cui ricor­re soprattutto quando cerca di giustificare la produzio­ne di leggi abusive o la plateale inosservanza di norme e restrizioni.4 Secondo la sua vena populista, la Neodestra non fa che rilanciare al popolo i suoi stessi umori, facen­dogli credere che si tratti di autentiche elaborazioni po­litiche. Perciò la Neodestra è profondamente anti-poli­tica – come si dice in Italia – in quanto rifiuta le tradi­zioni, il linguaggio e le regole della vita politica e anche delle istituzioni. Per anni, quand'era al potere, Berlusco­ni sostenne che al popolo non interessa il conflitto di in­teressi, omettendo così di risolvere il proprio, che era gi­gantesco. Analogamente, dopo l'Undici Settembre G.W. Bush fece votare leggi liberticide con il pretesto della lotta al terrorismo islamico, sostenendo che il po­polo voleva proprio quello, in nome della propria sicu­rezza e tranquillità.

La Neodestra sa ciò che il popolo vuole e soprattut­to sa sfruttare lo scarto tra quel che vuole il popolo e quel che impongono le leggi: se il popolo vuole una cosa in contrasto con quanto prescrive la legge, è il primo che deve prevalere. L'appello al popolo conferisce alla posizione populistica sia una legittimazione dal basso (che è una leva potenzialmente eversiva) sia una patente di «socialismo», un'ansia di preoccupazione per i problemi della gente. Quest'ultima sfumatura appaga l'anima «sociale» («andare verso il popolo») che affio­ra spesso in parti diverse della Neodestra.

Ma se non è una Destra Dura secondo i modelli sto­rici recenti, la Neodestra non è neanche liberale come le destre storiche tra Ottocento e Novecento, delle quali ignora gli obiettivi fondamentali. Le destre storiche non accettavano l'intervento dello Stato nell'economia e negli affari, ma in cambio erano laiche (spesso anche massoniche), in grado cioè di distinguere nettamente i confini tra Stato e Chiesa, tra potere politico e potere reli­gioso. Inoltre, pur avendo una limitata sensibilità uma­nitaria (che non andava molto oltre la «filantropia», cioè il solidarismo tipico dei reazionari) e praticando per principio l'arricchimento e il colonialismo, si preoc­cupavano della ricchezza delle nazioni e non solo di quella di alcuni individui. La Neodestra invece non è laica, perché ha ben capito che il movente religioso può funzionare bene quando ci si rivolge al popolo, e non si cura della ricchezza generale perché preferisce riservare la maggiore attenzione a quella di alcuni gruppi (sia pure rilevanti) di singoli. L'arricchimento personale è infatti tra i suoi valori pubblici più importanti, affermato e propagandato dai media in ogni momento, esempli­ficato da testimonial politici di primo piano.

Il fatto è che la Neodestra, malgrado la posizione che occupa nell'arco politico, è un prodotto nuovo, embed­ded nella globalizzazione e nella rete dei poteri planetari, di cui è insieme causa ed effetto, precursore e distillato. Ciò si vede dal fatto che è molto up to date quanto a metodi e strumenti, a immagine e tecniche di propaganda, pur perseguendo obiettivi ultra-tradizio­nali: vuole apparire moderna, vitale, giovane (anche se è spesso governata da vecchi) e piena di energia, apoli­tica. Sa che legandosi a un partito o identificandosi con esso si esporrebbe a un rischio fatale: per farla fuori sa­rebbe infatti sufficiente battere quel partito. Perciò con il cruciale aiuto dei media ha preferito prendere un'altra forma: si presenta piuttosto come una mentalità diffusa e impalpabile, un'ideologia aleggiante, un complesso di atteggiamenti e modi di comportarsi che si respira nell'aria, i cui avatar si osservano per strada, in te­levisione e nei media. Insomma, di qualcosa di ubiquo e infiltrante e alla fin fine inafferrabile.

Si tratta di una cultura più che d'una forza politica concreta: certo, si polarizza più su alcuni partiti che su altri, ma, essendo impregnante, influenza tutta la com­pagine sociale, inclusi gli strati che, essendo elettivamente di sinistra, dovrebbero incaricarsi di contrastarla. Data la capillarità della sua diffusione e il fatto che è possibile osservarne dappertutto le manifestazioni, la cultura della Neodestra può essere vista, ammirata, de­siderata e se occorre copiata senza difficoltà. Non occorre neanche creare sistemi di indottrinamento per diffonderne i principi: per assorbirla basta seguire i media (soprattutto la televisione), guardarsi attorno e vivere.



Arcicapitalismo


Proviamo a vedere alcuni tratti caratteristici di que­sta entità. Siccome esprime in modo diretto il grande capitale nazionale e multinazionale, la Neodestra è tec­nologica e capitalistica, ma di un capitalismo più finan­ziario che industriale. Il motivo è semplice: le industrie comportano operai (cioè soggetti potenzialmente peri­colosi), la finanza solo impiegati e funzionari, molti dei quali invisibili al padrone e incapaci di vedere e di capire chi sia il padrone.

In economia è nemica dell'intervento pubblico, so­prattutto nella gestione dei grandi sistemi di servizio (scuola e università, poste e comunicazioni, sanità e cu­ra degli anziani, trasporti, perfino prigioni);5 in questi campi e in molti altri la sua propensione è nettamente mercatistica e privatistica. In politica è totalitaria e ra­dicale: per esempio, con l'avversario non si negozia, lo si deplora fino al dileggio. Le regole generali della lot­ta politica le paiono inutili, non solo perché limitano la libertà d'azione ma perché rallentano l'esercizio dei poteri e la cura degli interessi.

È ultraconservatrice, salvo per quanto riguarda l'in­novazione dei prodotti e l'espansione dei consumi, che devono invece svilupparsi senza fine. Il mercato e il consumo sono per essa la vera mission della modernità. Come ho detto prima, è populista e antipolitica: rifiuta il principio elettorale, sostenendo che una decisione è opportuna e giustificata solo se «interessa al popolo», se la «vuole il popolo», anche nel caso in cui ciò che vuole il popolo dovesse essere difforme da ciò che vuole la legge. Sfrutta volentieri i riferimenti religiosi ed esibisce spesso una cura speciale per le tematiche religiose, vere o presunte che siano. E noto che G.W. Bush appartene­va alla setta dei «Christian Reborn»; Berlusconi, per parte sua, pur non potendo appoggiarsi a riferimenti re­ligiosi (preferiva recitare la parte del seduttore, anche se con famiglia), amava ricorrere alla contrapposizione tra un «partito dell'amore» (i suoi) e un «partito dell'odio» (gli avversari, i «comunisti»).

La Neodestra non riconosce Classe Generale all'in­fuori della borghesia (piccola e media), che cerca di portare a livelli sempre più alti di consumi, di benesse­re e di entertainment, ignorando il resto della popola­zione (poveri, quasi poveri, gente in pericolo di impo­verirsi, minoranze e immigrati). Questi cominciano a diventare rilevanti solo nel momento in cui arrivano a consumare. In realtà disprezza il popolo, che vede solo come pubblico e come clientela da indurre ai compor­tamenti desiderati.6

Il suo procedere rivela un forte stridio tra la superfi­cie apparente e il nucleo duro sottostante. La Neode­stra infatti da una parte è drastica nel contrastare le cri­tiche ideologiche, dall'altra è generosa nell'esibire un atteggiamento globale di «amore», di gioia e di divertimento, diffuso con l'aiuto dell'uso infiltrante dei media, della comunicazione e dell'entertainment. Fa la faccia feroce agli avversari ma teorizza il successo, la ricchezza, la pace e il fun, che sono i suoi valori pubblici. Disprezza la cultura, la ricerca e tutte le attività in­tellettuali; è indifferente alla creazione artistica salvo che non si traduca in prodotti mediatici o non ne costi­tuisca un elemento decorativo o un'integrazione;7 evoca sovente valori familistici, moraleggianti, allusivi a una indefinita tradizione di rispetto della tradizione.

A prima vista è la versione globalizzata di quella che negli anni Quaranta dell'Ottocento, cioè statu nascenti, a Marx appariva come l'«aristocrazia finanziaria», il diabolico gruppo di potere nelle cui mani politica, fi­nanza, economia, religione, magistratura si amalgamavano in un tutt'uno. Leggendo la descrizione che Marx dà di questo ceto nelle Lotte di classe in Francia, e che si può utilmente affiancare a quella che se ne trova, nello stesso giro d'anni, nella grande tradizione romanze­sca europea — specialmente francese (gli italiani erano indietro anche nella rappresentazione del potere): in La peau de chagrin (1831) di Balzac, nel Comte de Monte-cristo (1844) di Alexandre Dumas, nel Maupassant di Bel Ami (1885) o nell'Argent di Zola (1891) — può sem­brare che nelle strutture del potere hard di oggi non ci sia nulla di veramente nuovo rispetto a quelle formida­bili dipinture ottocentesche. Si noti per esempio il rife­rimento di Marx al controllo simultaneo dei pubblici poteri, della stampa, della legislazione e degli affari:


[sotto Luigi Filippo] essa [l'aristocrazia finanziaria] sedeva sul trono, dettava leggi nelle camere, distribuiva gli im­pieghi dello stato, dal ministero allo spaccio dei tabacchi, [...] dirigeva l'amministrazione dello stato, disponeva di tutti i pubblici poteri, dominava l'opinione pubblica, coi fatti e con la stampa; E […] si spandeva l'identica prostitu­zione, l'identica smania di arricchirsi non con la produ­zione ma rubando le ricchezze altrui già esistenti. [...] il denaro, il fango e il sangue scorrono insieme.8


Malgrado quest'apparenza, però, molti tratti della Neodestra sono nuovi e perfino rivoluzionari rispetto a quelli descritti da Marx e messi in scena dai romanzieri suoi coevi, e perfino rispetto a quelli dei grandi potenta­ti politico-finanziari dell'epoca moderna. Anzitutto la Neodestra, essendo globale e planetaria, non limita i suoi affari a pochi paesi ma li estende incessantemente a tutto il globo; inoltre il sistema di potere politico-finan­ziario che esprime, pur somigliando prima facie a quello dell'epoca di Luigi Filippo, è davvero sottratto a ogni controllo politico (sia nazionale sia internazionale) e sin­dacale, incorpora la stampa e l'informazione e spesso anche lo sport, è in grado di dettare leggi ai governi, che non di rado sono costituiti da suoi agenti politici. Infine, il circuito in cui il suo potere e i suoi profitti si ramificano si è immensamente allargato, includendo accanto alla rete dei beni materiali quella degli immateriali.

Per tali motivi, a designare questa nuova formula non basta il convenzionale termine di capitalismo. Ne occorrerebbe uno nuovo, più ricco e pregnante. In mancanza di meglio userò il termine Arcicapitalismo e sosterrò che l'Arcicapitalismo è la manifestazione poli­tica ed economica della Neodestra.

L'Arcicapitalismo è dotato di una specificità che nella storia appare nuova: accumula profitti non più solo (come nella tradizione) sfruttando i propri lavoratori, bensì catturando e opprimendo la propria clientela mon­diale, Questa si è lasciata avvolgere (senza che a sinistra nessuno se ne accorgesse) in una spirale in cui s'intrec­ciano una varietà di fattori che non sono più solo economici, ma coinvolgono più dimensioni della vita indi­viduale e associata: pubblicità, prodotto, marketing, credito facile per il piccolo consumo, desiderio di fun e di evasione, speranza di restare giovani a lungo e di trarre prolungati piaceri dalla vita sessuale, una vaga aspirazione a una vita abbondante e disinvolta, una ve­latura di spiritualità religiosa e di pathos... In quest'in­volucro trasparente, i cittadini, trasformati in clienti condannati allo stato di puerizia (cioè in utenti e consu­matori), sono stati «fidelizzati», resi captive alla volon­tà del venditore, che potrà fare di loro più o meno quel che vorrà. Alla spirale del consumo festoso e fastoso non possono più sottrarsi, perché quello è diventato uno dei meccanismi cruciali della vita globalizzata, cioè della loro vita.

Più che il lavoratore, oggi è il cliente che dovrebbe sentirsi insidiato ogni volta che vede uno stesso marchio presente in tutto il mondo o che s'imbatte in un sistema di servizi o una multinazionale operanti sull'intero pia­neta. Sulle prime quella presenza può sembrargli confortante: contare su cose note è un fattore di sicurezza. Poi si rende conto che quei marchi non gli promettono solo beni e servizi, ma gli annunciano anche fidelizza­zione e sfruttamento ovunque egli si trovi. Il servaggio è però invisibile, perché, a dispetto dell'estrema durez­za del loro modo di procedere, questi poteri hanno dato alla Neodestra — la loro manifestazione politico-culturale – un volto affabile, festoso e friendly. Infatti, essa appare alla moda, occidentale e in, dato che le sue istan­ze combaciano perfettamente con taluni tratti della modernità di massa nella sua forma attuale.



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Note:

1 – In Italia ciò accade in diverse delle tornate elettorali della lunga era Berlusconi, a cavallo del Duemila.

2 – In generale la Neodestra sostiene che la distinzione tra destra e sinistra sia superata e che si possano praticare senza difficoltà alleanze più vaste. Ciò comporta come prezzo la delegittimazione e l’infiacchimento di alcune pregiudiziali chassiche della sinistra, a partire dall’antifascismo. L’ondata di revisionismo che spazza l’Europa da vent’anni risponde alla stessa ambizione: quella di mostrare che gli orrori non sono solo di destra o di sinistra ma di entrambe le parti, e che anche chi si considera immacolato e incorruttibile può avere delle macchie, delle mende o delle ambiguità.

3 – Tra la libertà dei cittadini gli USA mettono anche il diritto a minirsi di armi personali.

4 – Il libro di Y. Mény & Y. Sureò, Par le peuple, pour le peuple: le populisme et les démocraties, Fayard, Parigi 2000, analizza il ruolo del populismo nella politica moderna.

5 – Durante la guerra portata dagli USA in Iraq e in Afghanistan tra il 2001 e il 2002 è venuto alla luce che gli Stati Uniti avevano privatizzato perfino la gestione dei prigionieri, inclusi carceri e interrogatori. Del resto, risulta che anche nella madrepatria diverse carceri statunitensi sono gestite da società private con proprio personale.

6 – Anche qui Berlusconi è stato uno straordinario precursore. Il suo pensiero politico non è famoso per ricchezza di articolazione ma contiene pur sempre una varietà di principi importanti. Nei tardi anni Ottanta, per esempio, quando ancora si dedicava ai suoi affari, ai suoi venditori di pubblicità menzionava il seguente concetto: “Ricordate che i nostri spettatori, come dicono in America, hanno più o meno la licenza media – e non erano i primi della classe” (cito da A. Stille, Citizen Berlusconi, Ganzanti, Milano, 2006).

7 – Ecco la definizione del “nuovo potere consumistico” che dava Pasolini a proposito dell’Italia, nel 1974: “Completamente irreligioso; totalitario; violento; falsamente tollerante, anzi, più repressivo che mai; corruttore; degradante (mai come oggi ha avuto senso l’affermazione di Marx per cui il capitale trasforma la dignità umana in merce di scambio)” (Lo storico discorsetto di Castelgandolfo (1974) in Scritti corsari, ora in Saggi sulla politica e la società).

8 – K. Marx, Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850, Editori Riuniti, Roma, 1966.


(Tratto dal saggio Il Mostro Mite, Garzanti editori, Milano, 2008.)




Raffaele Simone, oltre che linguista di reputazione internazionale, è autore di numerosi saggi di analisi della cultura e di fortunati pamphlet. Nel 2005 ha pubblicato Il paese del pressappoco. Ilazioni sull’Italia che non va.


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