I SANTI ANDARONO VIA
Aurora Filiberto Hernández
Aveva circa otto anni, la fronte coperta da lunghi riccioloni biondi. Il bambino era arrivato alla casa di Zuleima in quella tiepida mattina di Maggio e si era fermato davanti alla porta. Tra un po' Zuleima sarebbe uscita piano piano dalla sua stanza perché aveva capito che era giunto il momento.
Teresa, la vicina di Zuleima, fu la prima ad accorgersene dell'arrivo del bambino. La vecchia era in cucina. Voleva farsi una camomilla, ma quando aprì il rubinetto nemmeno una goccia d'acqua scendeva giu. Sembrava che l'acqua appena fuoriuscita dal tubo sparisse nell'aria senza arrivare nemmeno a bagnarle le mani. Allora Teresa si rese conto che il bambino doveva essere lì fuori.“Che Dio ci aiuti”, disse sconsolata, facendosi più volte il segno della croce. “Povera Zuleima”, pensava, mentre si affacciava alla finestra e sentiva come l'aria della stradina dove vivevano diventava pesante. Sapeva che alla fine qualcosa di brutto stava per accadere e che il bambino era lì per Zuleima. Ricordava con angoscia che glielo aveva avvertito tante volte, anche due giorni fa, quando era andata a visitarla per sapere come stavano le cose e l'aveva trovata coricata sul divano di casa. “Il medico ha detto che non sei malata Zuleima, hai solo un po' di disanimo, cerca di reagire, altrimenti i santi andranno via dalla tua casa e allora saranno guai seri”, le diceva Teresa, mentre agitava una rivista per allontanare le mosche che volavano in circoli sopra la fronte della ragazza.
Da alcune settimane Zuleima, era molto cambiata. Lei che era sempre stata una ragazza laboriosa e vivace, adesso era in preda ad una strana debolezza che tutti i giorni aumentava, tanto, che di mattino si sentiva incapace di alzarsi. Era come se ad ogni giorno che passava, Zuleima perdesse sempre un po' di più quel coraggio che tutti abbiamo: il coraggio abituale di uscire fuori dal letto per entrare convinti nella giornata che inizia. Lei non credeva che il suo corpo sarebbe stato vigile per tutte quelle ore e in grado di sbrigare le faccende di casa. Temeva di cadere per terra da un momento al altro, morta e senza più forze e attendeva con impazienza l'ora di andare al letto, per chiudere gli occhi e riposare. Aspettava il buio della sera che sembrava confermarle che nella giornata appena trascorsa, lei, Zuleima era riuscita a vivere, ancora respirava, non era morta.
Iniziò a diventare triste, passavano i giorni e Zuleima non aveva più voglia di uscire. Non andò più a messa e smise di frequentare le amiche con cui si riuniva tutti i pomeriggi a ricamare. Non faceva neanche la spesa e il suo aspetto diventò trascurato, era spesso in camicia da notte e dimenticava persino di lavarsi. A malapena puliva un po' la casa, muovendosi con lentezza, e annaffiava il giardino come se si trattasse di una tortura, ma adesso che il bambino era fuori Zuleima sorrideva. Si, il bambino era arrivato, perché le matassine di fili da ricamo dalle tonalità pastello che Zuleima teneva in un cassetto del comò della sua stanza, diventarono un grosso gomitolo di filo nero, e la polvere delle strade del paese si tinse di un colore rosso scuro.
Quel giorno il marito di Zuleima era uscito presto, mentre lei ancora dormiva, e prima di andare via, come sempre, l'aveva baciata sulla fronte. Un bacio normale, quotidiano, da marito responsabile. Era molto preoccupato per Zuleima, e la sera prima, disperato, aveva litigato con lei, e le aveva detto di andare al diavolo, ma in quel momento, nel momento in cui lui proferì la frase “vai al diavolo”, si avverò quello che Teresa tanto temeva. I santi della casa si voltarono e andarono via, lasciando loro senza protezione. La colpa non era stata sua (lui non aveva mai desiderato l'arrivo del bambino), era solo molto arrabbiato con Zuleima perché lei non reagiva al malessere che aveva, e invece si lasciava andare verso quella stanchezza che lentamente le consumava le forze.
Quel giorno il marito di Zuleima non sapeva che al suo ritorno avrebbe trovato in casa tanti fiori. Lui stesso più tardi tiro fuori della credenza il servizio di caffè più nuovo che avevano, quello per gli ospiti. Mentre Teresa, la vicina, asciugandosi le lacrime faceva il caffè per tutti quelli che erano venuti per vedere Zuleima adagiata sul letto, pallida e rigida; con una corona di rose sopra la testa e un rosario di plastica tra le mani. Tra alcune ore, il suo corpo sarebbe stato chiuso in una bara di pino. Teresa dopo averla lavata e profumata di essenza di violetta, l'aveva messo il vestito con cui Zuleima si era sposata qualche anno fa. Intanto l'anima di Zuleima, scalza e con i capelli sciolti, era uscita di casa per riunirsi con il bambino che dal mattino la stava aspettando. Insieme attraversarono correndo il paese fino ad arrivare ai campi. La stanchezza era sparita e Zuleima si sentiva di nuovo allegra. Si alzò un forte vento che piegava i rami degli alberi e che spostò in dietro i riccioli biondi dalla fronte del bambino scoprendo due piccole corna che Zuleima guardò con sorpresa. Si fermò di colpo e pensò a suo marito, si rese conto di averlo lasciato, di essere morta, e capì con chi se ne stava andando. “È stato mio marito”, disse al bambino che adesso rideva, ”é stato lui a mandarmi da te”.
Aurora Filiberto Hernández č nata a Tumeremo nello stato Bolivar in Venezuela, il 28/07/1968. Dopo essersi laureata in lettere presso la "Universidad Central de Venezuela", si trasferisce in Italia per motivi famigliari. Ha pubblicato poesie e racconti in alcune riviste venezuelane come: "Casa de la Cultura de Guayana", "Centro de Estudiantes de la Escuela de Letras" e "La Cueva del Ratňn", rivista del laboratorio di scrittura di cui ha partecipato presso la "Biblioteca Nacional de Caracas". Attualmente insegna lo spagnolo nelle scuole superiori.
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