IMPRIGIONATA DALLA SPUMA

Eunice Odio

 

I


Imprigionata in carceri di spuma

nella misura del tuo corpo,

non vedo passare la notte,

solo vedo il giorno

che entra dalle tue ascelle trasparenti

e ti denuda.


Vedo, amore mio,

il letto dove stiamo

e dividiamo i doni,

i cieli…

Tutto quello che ci negò e affermò per ciò che siamo:

mille anni di allegria corporale

e materia senz'ombra

e parole

che si dicono diurnamente perché vengono dall'aria

e bisogna udirle e pronunciarle

attraverso gli alberi

e in ciò che non si scrive perché ancora non si inventa il suo

nome;

perché il suo giubilo

tuttavia non è stato scoperto

e i fiori del suo intorno

ancora non sono cose del vento

(ancora non sono andati a un inverno né tornati alla primavera).


II


Vado al tuo corpo come vado ai fiumi,

come vanno i fiumi agli uccelli

e questi allo spazio slegato e florido.


Vengo da te all'era

in cui tutto è di tutti:

quelli che arrivano, quelli che se ne sono andati,

quelli che ancora non sono giunti,

quelli che non torneranno…


Perché questo è il tuo corpo:

un dentro, un fuori condiviso

da me e dal vento,

dal mare e dagli esseri che lo guardano;

dal colore e dagli assalti dell'autunno

e dalle avventure dell'estate

che indossa cose silvestri

ed è custode della api

e fonde le erbe in un crogiolo mattutino,

in un prolungamento di gigli.


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In lingua originale:

APRISIONADA POR LA ESPUMA



I


Aprisionada en cárceles de espuma,
en la medida de tu cuerpo,
no veo pasar la noche,,
sólo veo el día
que entra por tus axilas transparentes
y te desnuda.

Veo, amor mío,
el lecho donde estamos
y compartimos
las dádivas,
los cielos...
Todo lo que nos negó y afirmó como lo que somos:
mil años de alegría corporal
y materia sin sombra
y palabras
que se dicen diurnamente porque vienen del aire
y hay que oírlas y decirlas
a través de los árboles
y en lo que no se escribe porque aún no se inventa su
nombre;
porque su júbilo
todavía no ha sido descubierto
y las flores de su alrededor
aún no son cosas del viento
(aún no han ido a un invierno ni regresado a la primavera).

II

Voy a tu cuerpo igual que ir a los ríos,
igual que van los ríos a los pájaros
y ellos al espacio desatado y florido.

Vengo de ti a la era
donde todo es de todos:
los que llegan, los que se han ido,
los que aún no han venido,
los que no volverán...

Porque eso es tu cuerpo:
un adentro, un afuera compartido
por mí y por el viento,
por el mar y los seres que lo guardan;
por el color y las embestidas del otoño,
y las andanzas del verano
¡que viste cosas silvestres
y es custodio de las abejas
y funde las hierbas en un crisol matutino,
en una prolongación de azucenas.

 


(Introduzione e traduzione di Tomaso Pieragnolo)


Eunice Odio nacque a San Josè in Costa Rica il 9 ottobre 1919 da una famiglia piccolo borghese della capitale e morì a Città del Messico il 23 marzo 1974 in completa solitudine, a causa del carattere collerico e dei problemi di alcolismo che accompagnarono gli ultimi anni della sua inquieta esistenza e che la resero infrequentabile anche ai suoi stessi amici.

Sembra a volte che il destino di una persona sia legato fatalmente al suo stesso nome; così può apparire infatti per la poetessa Odio, la cui vita fu segnata inizialmente dal mutuo disprezzo che divise con i suoi concittadini e che la allontanò definitivamente dalla sua patria, in seguito da una esistenza errabonda e impulsiva alla ricerca di un equilibrio che contenesse un sentire sempre estremo e una passione bruciante, caratteristiche che la resero per la società di allora una donna spigolosa e problematica, spirito libero e creatore, anticipatrice dei tempi in quanto padrona di se stessa, non sottomessa alle convenzioni piccolo borghesi e maschiliste dell'epoca.

Dopo aver frequentato le scuole primarie e secondarie a San Josè mettendosi in evidenza per la vivacissima intelligenza e la rapida capacità di apprendimento, arricchì la propria formazione con lo studio approfondito della poesia moderna, viaggiando per tutta l'America Centrale, Cuba e gli Stati Uniti. Di ritorno in Costa Rica nei primi anni quaranta, alcune sue poesie furono lette alla radio nazionale con lo pseudonimo di Catalina Mariel; dal 1945 al 1947 pubblicò i suoi testi nel Repertorio Americano di J.G. Monge e nei periodici La tribuna e Mujer y Hogar .

Nel 1947 vinse il premio di poesia “15 di Settembre” con la raccolta Los elementos terrestres e dopo essersi recata in Guatemala per ritirarlo, decise di fermarsi a vivere in quel paese, lavorando come funzionario del Ministero dell' Educazione e come giornalista per riviste e periodici.

Continuò comunque a viaggiare frequentemente per l'America Latina, specialmente in Argentina dove pubblicò nel 1953 il secondo libro Zona en territorio del alba , selezionato per rappresentare il Centro America nella collezione Brigadas Liricas .

Fu del 1957 il suo libro di maggiore esito, El transito de fuego che vinse il “Certamen de Cultura de El Salvador”. Nello stesso anno si trasferì in Messico dove visse fino alla morte (tranne una permanenza di due anni negli Stati Uniti) e dove lavorò come giornalista culturale, critico d'arte e traduttrice dall'inglese, pubblicando racconti, saggi e rassegne in riviste specializzate, sviluppando per questo paese e la sua storia mitica un amore profondo e creativo, tanto da farle rifiutare diverse e ben retribuite offerte di lavoro in altri paesi, compresa l'Italia.

Nel 1962 diventò cittadina messicana e dal 1964 collaborò con la rivista venezuelana Zona Franca . I suoi ultimi anni furono amareggiati dall' aspra polemica con la sinistra messicana che mal reagì ai suoi critici articoli nei confronti di Fidel Castro, isolandola professionalmente e ostacolando la sua carriera giornalistica. Alimentò quel periodo della sua esistenza con l'alcol e una collera lacerante che ancor più la separarono dal mondo; morì nel 1974 mentre preparava una antologia dei suoi migliori testi ( Territorio del alba y otros poemas ) che ebbe edizione postuma nello stesso anno. La morte la colse in assoluta solitudine, tanto che il suo corpo fu trovato nel bagno di casa dieci giorni dopo il decesso.

Ebbe grandi amici fra gli intellettuali del Messico (come ad esempio Octavio Paz, suo grande ammiratore) uomini e donne che vedevano con distanza e disapprovazione la costante battaglia e il luccichio sempre pronto dei coltelli della signora Odio, ma che non smisero mai di ammirare e riconoscere l'importanza della sua opera letteraria, riscoperta negli ultimi anni dopo un lungo periodo di oblio grazie all'interesse del suo grande amico Juan Liscano.


La poesia di Eunice Odio si può a grandi linee situare nella transizione tra realismo e avanguardia, specialmente dentro la corrente surrealista, coniugata a quel realismo magico che ha prodotto alcune delle opere migliori del secolo scorso. Cercò di ricreare nella sua opera la visione duttile e inappagata di un mondo spesso gravoso, trasmettendo nei suoi versi la stessa intensa passione con cui visse i suoi giorni.

Da una prima produzione più tradizionale ( Los elementos terrestres ) di cui l'erotismo esplicito e delicato e la celebrazione della consegna fisica tra amato e amata sono gli argomenti portanti, ricreati con echi letterari di San Juan de la Cruz e del Cantico dei Cantici, Eunice sviluppò in Territorio del alba una maggiore audacia lessicale con immagini forti e originali ed una punta di surrealismo come apporto all'avanguardia del periodo. In Transito de fuego praticò una sorprendente intelligenza creatrice, capace di materializzare il nominato mediante la parola scritta in forma allegorico-drammatica, con versi spesso indecifrabili ed ermetici, fino ad arrivare nell'ultima produzione ( Pastos de sueños ) ad una poesia più metafisica e concettuale, più distaccata e di più ampia estensione.

Un aspetto importante che pervase quasi tutta la sua opera è l'importanza che concesse al corpo umano, descritto e cantato come parte inscindibile della natura, come un uccello o una montagna; e spesso in piena natura mitica situò i personaggi, fusi con il resto degli elementi in uno spazio aperto e terrestre.

Ma per capire più a fondo la poesia di Eunice Odio probabilmente è necessario comprendere la solitudine che sempre accompagnò la sua vita, un senso di perdita costante che la portava a celebrare ogni aspetto dell'esistenza come ricerca estenuante dell'amore totale e mortale con visceralità stremata e bruciante, come dono naturale e unico consegnato interamente in ogni gesto e parola; quel genere di amore certo a volte estremizzato, ma che solo può esistere nella anime illuminate e che spesso è destinato a eludersi e deludersi per il ripudio timoroso che nel mondo può incontrare. Se a questo aspetto si aggiungono il fastidio e il sospetto che la figura indipendente ed emancipata di Eunice sempre provocò nella società conservatrice del tempo, il suo isolamento professionale e da un certo punto in poi sociale risultano il perno di una vita che mai si adattò alla convenienza e alla convenzione, ma che sempre cercò di costruire un ponte tra un sé vitale e impetuoso e una società impreparata ad accoglierlo.

(Fonte parziale: El mundo, Biografìas )

 


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