IL TEMPO DELLA PAROLA INCARNATA

Milva Maria Cappellini



Raffaele Crovi

 

"Il tempo si consuma e questo diminuisce lo spazio dell'esperienza. Non ho, però, la coscienza fisica del passare del tempo, non ho l'angoscia del passare del tempo, perché ogni minuto lo vivo come un tempo attivo, non come un tempo d'attesa". Così, in una lunga conversazione con Athos Nobili, pubblicata nel 1999 nel volume I luoghi della vita, Raffaele Crovi (1934-2007) spiegava la propria percezione del tempo in transito; e poco più avanti continuava: "Probabilmente, la mancanza del senso della limitatezza del tempo è quello che mi mette in una situazione di ingordigia del fare, come se avessi ancora uno spazio enorme davanti a me in cui l'attività può scandire la catena degli atti ancora da compiere, dei libri ancora da scrivere, degli amori ancora da vivere, dei desideri ancora da soddisfare, delle amicizie e dei progetti di cui godere, della conquiste da immaginare".
Ora che Crovi riposa a Cola, sull'Appennino emiliano, i frutti del suo "tempo attivo", della sua "ingordigia del fare" appaiono sempre più chiari: un gran numero di libri - poesia, narrativa, saggistica, testimonianza - e di progetti culturali realizzati, una pluridecennale militanza intellettuale, una presenza imprescindibile nell'editoria italiana, una rete fitta di collaboratori, allievi, sodali.
Nel dichiarare la propria mancanza di inimicizia con il tempo, Crovi sottintendeva anche la propria sostanziale amicizia con il mondo. L'idea che il mondo sia sempre un texte lisible, un complesso di esperienze interpretabili e descrivibili, è di fatto una delle coordinate dell'opera croviana. Un'altra è il legame sempre stretto fra scrittura ed esperienza, con tutto ciò che ne consegue: una scelta forte e chiara della verità, senza indulgenze ad alcun tipo di debolismo; una problematicità intensa ma immune da paralizzanti perdite di senso; nella scrittura, il primato indiscusso della comunicabilità, lontano da tentazioni bellettristiche; nella pratica intellettuale, la certezza che la cultura sia "la metodologia, addirittura la strategia terapeutica contro tutte le violazioni della libertà, la terapia contro ogni autoritarismo, ogni fondamentalismo, ogni settarismo ideologico, ogni massimalismo"; infine, il senso preciso della letteratura "come utopia: come testimonianza di crisi costante dell'identità della storia, come testimonianza di rivoluzione permanente della libertà, come documento di sdoppiamento creativo della realtà, come riproposta di inesauribili investimenti di salvezza" (Parole incrociate,1995).
All'interno di queste linee vive l'intero lavoro culturale di Crovi, un lavoro che si basa sull'idea e la pratica costanti della parola incarnata (non è certo un caso la ricorrenza dell'incipit del Vangelo giovanneo nelle sue pagine). Convergono, in questo, i "due modelli culturali in dialettica e non in conflitto ed esclusione" che Crovi rivendica per sé, ossia "la Bibbia e l'Encyclopédie" (Dialogo con la poesia, 2005). Per il cristiano illuminista Crovi, la parola è in sé azione, in quanto strumento e motore del dialogo, che a sua volta è seme e terreno di convivenza. La parola, nel suo essere sostanza e mezzo della comunicazione, è esperienza. La parola, nella sua simmetrica capacità di tradurre la memoria e strutturare il progetto, è ponte aperto fra passato e avvenire. Se non vuole condannarsi alla sterilità autoreferenziale, che è peccato davvero imperdonabile, la parola deve essere azione, il conoscere deve coincidere con il fare. "La cultura - scrive ancora in Parole incrociate - è dialogo. La cultura si costruisce progressivamente come il grande vocabolario per interpretare la realtà e definirla, per organizzare l'esperienza e la conoscenza".
La parola decifra l'esperienza, la organizza e si fa esperienza - si fa mondo, realtà - attraverso la condivisione e grazie all'energia connaturata al reale: quello che interessa allo scrittore è proprio "un discorso sulla realtà che sopravvive nonostante tutto, nonostante i processi di distruzione a cui noi la sottoponiamo: la realtà biologica, naturale, fisica, corporale voglio dire, che sopravvive alla manipolazione culturale. È la tematica della storia come scoria di storie naturali, come sopravvivenza e resurrezione della realtà". La tenacia del mondo, la sopravvivenza della realtà umana grazie alla parola che intende e dice, diventa il "grande tema" di Crovi: " Il grande tema che io mi sento addosso e che cerco di interpretare attraverso le mie poesie è proprio quello dell'esistenza, dell'esperienza storica, che consuma la realtà, ma nello stesso tempo la ricrea" (ancora Dialogo con la poesia).
Tutto questo giustifica la natura pragmatica (nel senso più alto e ricco) che accomuna il variegato lavoro di Crovi, dagli anni del precoce apprendistato accanto a Elio Vittorini fino all'ultima feconda stagione. E spiega l'energia del suo lungo magistero: molti - all'epoca giovani scrittori, giovani critici, giovani editori - hanno infatti sperimentato negli anni la sua generosità infaticabile di maestro. L'approdo pedagogico è, in fondo, naturale per chi, come Raffaele Crovi, ha nutrito la convinzione salda che ancora e sempre sia possibile incarnare la parola, farla mondo, esperienza, realtà.


Al caval cun a li eli

Quan a sun stuf e cunfus
a togh in man un léber per avrir
al fnestri e movrem in dla lus:
al caval cun a li eli
dal penser e dal dir
am porta vers un mond
de stori e vos
indù a gh'è al naser
e mia al murir.
Ander cun un léber
deinter a la fantasia
at fa spavald, sicur
e léber.

(luglio 1951; in Linea Bassa, 2003)

Traduzione:

L'ippogrifo

Quando sono stanco o confuso
prendo in mano un libro per aprire
le finestre e muovermi nella luce:
l'ippogrifo
del pensare e del dire
mi porta verso un pianeta
di storie e voci
dove c'è il nascere
e non c'è il morire.
Muoversi nella fantasia
con un libro
rende sicuri, invincibili,
liberi.

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Poetica (2)

Non scriverò più versi
che si incartino dolci
dentro la musica
delle parole ritmate,
delle rime baciate.
Alla grazia dell'assonanza
preferisco
la forza della dissonanza:
dunque, finisco
il giro attorno
al mappamondo
del cuore e della mente,
delle idee delle cose,
non protetto in una serra
seduto su un letto di rose,
ma onorevolmente
con il culo per terra.

(da Pianeta Terra, 1999)

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Il vizio, il piacere di scrivere

Il vizio, il piacere di scrivere:
scalare la pagina bianca
come una parete senza intagli;
sì, scrivere stanca,
perché lacera e dissangua,
coinvolge in metamorfosi
che tolgono il respiro;
però è terapeutico, peristaltico,
come le acerbe bacche
che raccoglievo lungo la cavedagna
che conduceva alla pieve
del mio paese di montagna.
Leggere, scrivere, dialogare
con la fantasia e il linguaggio
degli altri, non mi ha dato sicurezza,
non mi ha reso saggio:
ma mi ha dato la febbre, l'ebbrezza
per rischiare
senza strafare e truccare.
Scrivere, dopotutto, non è vivere:
è solo l'esorcismo, la magia
che aiuta a sopravvivere.

(da La vita sopravvissuta, 2007)



(Le poesie sono tratte dal sito www.raffaelecrovi.it)



Milva Maria Cappellini

 

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