ACCENTI II Franz
Jung
Nel
maggio del 1914 conobbi nel manicomio regionale di Troppau un disegnatore tecnico
ceco, il cui destino e peripezie piú tardi non mi avrebbero piú
lasciato. Si era alla vigilia dello scoppio della Prima Guerra Mondiale. Ero arrivato
a Troppau per far visita a un amico, lo psicoanalista Otto Gross, che era internato
nel manicomio. Gross era stato arrestato a Berlino nell'appartamento di mia
moglie, in seguito a una denuncia del padre, professore all'Università
di Graz, il cui "Manuale per il giudice istruttore" gode ancora oggi
di autorevolezza internazionale: il primo compito del giudice istruttore consiste
nel sottrarre al sospetto la sicurezza che gli viene dall'apparente convinzione
di essere innocente. Nella denuncia i miei legami con Gross, che avevo invitato
a Berlino, venivano interpretati disparatamente: ricatto e sfruttamento, con una
componente omosessuale, che rendeva necessario un intervento a protezione del
figlio, incapace di difendersi da solo. Il professore aveva interpretato come
attualissima quella componente a partire da tutti gli scritti clinici che Otto
Gross aveva pubblicato in qualità di assistente nella clinica psichiatrica
di Kraepelin; un allievo del figlio non privo di talento. La relazione padre-figlio
aveva già raggiunto uno stadio critico. La polizia per stranieri prussiana
fece un favore al celebre giurista austriaco e arrestò semplicemente il
figlio senza verificare l'attendibilità della denuncia. Poi lo trasportò
al confine, dove i gendarmi austriaci erano pronti ad accoglierlo con un ordine
di ricovero, per il momento nel manicomio di Troppau, a completa disposizione
del padre, il quale nel frattempo preparava le carte giudiziarie. La denuncia
ai miei danni, pretesto per l'espulsione e alibi per la polizia, cadde subito
nel dimenticatoio; riguardo a quel fatto non venni mai neppure interrogato. A
quel tempo avevo appena pubblicato la mia prima opera, "Il libro dell'imbecille",
con un discreto successo e una certa fama, che mi consentirono di guadagnare una
serie di personalità di rilievo per una campagna volta a liberare Otto
Gross. Mi ero preso in prestito una rivista di Monaco, "Revolution",
che riempii di proteste contro il padre da parte di letterati e giornalisti, artisti
e politici, psicoanalisti, socialisti e anarchici di nome, amici ed estranei di
tutto il mondo. Dal modo in cui diffondevo la rivista - ogni caffè di Graz
ne ricevette decine di copie, cosí come le aule dell'università
e i collegi dei professori - era evidente per tutti che il padre di Gross era
l'obiettivo della campagna. Con quella rivista feci anche la mia comparsa
a Troppau, per il terrore delle autorità e della direzione del manicomio.
Arrivai già come vincitore, abbandonando a Monaco la mia tesi di dottorato
sui problemi fiscali dell'industria dei fiammiferi. I giornali maggiori e le riviste
piú influenti come la "Zukunft" avevano ripreso la campagna,
sollevandola a un livello politico piú ampio: professore di diritto violenta
la giustizia, la giustizia austriaca interviene in Prussia; una vera e propria
festa. Il padre aveva intanto chiesto una tregua, ritirando la denuncia e l'ordine
di internamento. Otto Gross sarebbe stato rilasciato dall'istituto dopo alcune
settimane di cura volontaria. Per me Otto Gross rappresentò la prima
esperienza di amicizia profonda. Per liberarlo avevo lasciato tutto, con gioia
mi sarei sacrificato per lui. Ma per dire tutta la verità, non gli ero
neppure particolarmente vicino. Una miscela di rispetto e fede, il bisogno di
credere, di imparare, di elaborare quel che lui ci inculcava per mezzo di sentenze
spesso incongruenti, associative e sradicate dal contesto. Per Gross medesimo
io non ero piú di una figura che veniva spostata in avanti o indietro,
sulla scacchiera combinatoria dei suoi pensieri. Era già abbastanza difficile
seguirle, le combinazioni dei suoi pensieri, soprattutto nell'ambito della comunicazione
personale. Occorreva fantasia, per stare dalla parte di Gross. Piú tardi
quest'amicizia è finita, lasciando sul campo una profonda amarezza. Credo
che Gross mi ritenesse responsabile di averlo allontanato dagli amici, ovvero
dalla famiglia. Col tempo si sviluppò in lui un mondo di visioni che non
era poi troppo distante dalla denuncia del padre. Si era già all'epoca
della guerra. Nessuno può superare in buona salute una guerra che non ha
almeno contribuito a scatenare. Gross agí da posizione defilata, come medico
militare in un lazzaretto. Da lí era possibile forse mandare a casa qualcuno
con un certificato, ma naturalmente non si poteva cambiare il corso della storia. Nell'inverno
1914-15 raggiunsi Gross a Vienna, dove soggiornava regolarmente per un paio di
giorni al mese. Avevo la piena convinzione che mi avrebbe aiutato. Nei primi mesi
di guerra avevo disertato dal fronte polacco, e con grandi difficoltà ero
arrivato a Vienna, passando per Berlino e per una baita montana sopra il lago
di Tegern. Arrivavo tuttavia alquanto a sproposito. Gross nel frattempo aveva
conquistato il calore che gli era mancato negli anni precedenti - donne che lo
adoravano, che lo tenevano occupato, che gli facevano dimenticare la sua ancora
attuale condizione di sbandato, di emarginato. Gross non sapeva come comportarsi
con me, non poteva neppure fare niente, dati i regolamenti vigenti. Da me emanava
nuova irrequietezza, quasi una minaccia in quei tempi, la guerra e tutto il resto.
Mi sistemò in un albergo a ore in cui si poteva evitare la registrazione.
Ma lí ben presto venni arrestato e dopo alcuni mesi di prigione nell'Elisabeth-Promenade
- in quel frangente Gross sarebbe potuto intervenire, andare in cerca di un avvocato,
come aveva promesso - venni estradato in Germania, per l'ulteriore procedimento.
Ma questo in fondo non è quel che conta, che è degno di memoria.
Gross non era abbastanza forte per intraprendere una battaglia e per sostenerla.
Piú avanti l'oppio e la cocaina lo aiutarono a superare quella debolezza.
Quel che rimase fu la percezione della distanza, dell'estraneità, degli
alti e bassi nei legami umani che contano. Non me lo aspettavo. Non ritenevo possibile
finire io stesso improvvisamente davanti a quel muro, per di piú privo
della possibilità di defilarmi in un'analisi delle vie di scampo, a causa
dello stesso Gross. Vorrei ripeterlo: non che le condizioni esteriori abbiano
rivestito una parte straordinaria o piú tardi fossero state anche solo
degne di menzione... la fredda mattina di novembre sul fronte polacco, alla vigilia
dell'ordine di marcia, un passo fuori dalla fila, in mezzo a tutti i signori canarini
del reggimento dei Granatieri della Guardia numero 5 di Spandau, con esperienze
e bottino del Belgio già alle spalle. Appartenevo ai primi rinforzi appena
arrivati, avevo passato la notte in una stalla, per l'esattezza in mezzo allo
sterco di vacca, dato che gli altri non mi avevano fatto spazio nelle passerelle
laterali... il nuovo venuto, il nuovo camerata... e avrei potuto anche congelare
all'aperto sul ciglio della strada. Non volli andare oltre, come non avevo voluto
fin dall'inizio. Sapevo di avere il destino in mano, come la pallottola che stringevo
tra le dita: la lasciai semplicemente cadere. Non importava. Venni gettato
in un carro di foraggio al seguito della compagnia, per il trattamento successivo.
Non si arrivò a tanto, nel frattempo si era sviluppata qualcosa come una
battaglia. Si sparava da tutte le direzioni, tutto precipitava nel caos piú
completo e nessuno sapeva piú dove andare e cosa fare. E io mi allontanai.
Infine eravamo un gruppo di una buona dozzina, a marciare in direzione di casa...
a Te Kaiser Guglielmo abbiamo giurato, a Te Kaiser Guglielmo tendiamo la mano... Avventure
e situazioni critiche fino a Berlino e da Berlino - arrivavo a sproposito, mia
moglie si era trasferita da un amante, lui pure un fuggitivo, anche se musicista,
lo incontrai casualmente anni dopo a Mosca per strada, era stato promosso maestro
di ballo nel Teatro Ebraico di Granovskij - da Berlino attraverso tutta la Germania,
di stazione in stazione, fino a quella baita sul lago di Tegern, ricoperta dalla
neve alta e inaccessibile... è la neve che oggi mi manca... lí mi
raggiunsero finalmente le carte che mi dovevano condurre da Gross. Mi limito a
sfiorare il tutto, perché tutto appunto è irrilevante. Cosí
come in definitiva il su e giú nella stanza dell'albergo a ore in cui attesi
Gross per giorni, i ritmici rumori dietro le sottili pareti, l'avanti e indietro
e il dentro e fuori in mezzo al borbottio e ai gemiti... finché non venni
arrestato. Qualcosa non andava. Non era per quello che avevo lasciato tutto:
essere lasciato a se stesso, farsi strada da solo fra le trappole che la vita
ci tende, di anno in anno come i relativi cerchi di un tronco, arrivare improvvisamente
davanti a un obiettivo personale. Non era quello che mi immaginavo, ma è
cosí che andò. Anch'io all'epoca finii in un manicomio, per osservazione,
e tutto considerato non fu il peggio, neppure i molti mesi di detenzione nella
fortezza di Spandau. Mi affrancai con le mie forze. Dovetti solo studiare l'avversario
e le persone coinvolte, spostarle su una scacchiera immaginaria, le figure per
lo piú di mollica appallottolata. Non sono affatto orgoglioso di tutto
questo, qualcuno mi avrebbe dovuto aiutare. Non ho rinunciato a niente e non
ho neppure perso niente. Qualcosa ha solo acquistato piú peso ed è
scivolato in dentro piú profondamente. La distanza, il sentirsi estranei,
la rottura del cordone. Forse è cosí quando si diventa improvvisamente
adulti. Resterà cosí? Resterà cosí, figliolo. Durante
le agitazioni nei primi mesi dopo la Prima Guerra Mondiale, Otto Gross è
letteralmente morto di di fame in una strada di Berlino. Se oggi affermassi
il desiderio di confessare di averlo abbandonato a se stesso, non direi il vero.
Nel nostro nuovo rapporto era subentrato qualcosa come un punto morto, che non
poteva piú essere acceso. Una simile fiamma però è necessaria,
se si vuole realizzare un'impresa che a cose normali appare impossibile. Un miracolo
che si ripete spesso diventa convenzionale. Gross non era un debole. Combatteva
disperatamente contro il giogo delle droghe. Era perfettamente cosciente di quel
che era in gioco per lui, ora che aveva appena ricominciato a pubblicare, nell'uscire
ancora una volta da quell'ultima trappola, la dipendenza dall'oppio e dalla cocaina.
Gross combatteva contro il tempo per riacquistare il dominio di sé. Ciononostante
era ancora necessario procurargli regolarmente i suoi stupefacenti. Di quel che
riuscivo a mettere insieme andava perduto subito piú della metà,
Gross lo disperdeva o lo gettava via, inconsciamente. Avevo organizzato dei gruppi
speciali incaricati di procurargli quotidianamente la sua dose. Io stesso non
facevo granché in tal senso, restavo fondamentalmente in disparte, in verità
costretto in posizione neutrale da Gross medesimo. Gross era alla ricerca di nuove
amicizie. Nella situazione di allora, non ci sarebbe stata per lui altra possibilità
che di assoggettarsi. E io sapevo che non lo avrebbe mai fatto. Per alcune
settimane, con l'ondata di agitazioni rivoluzionare, le operazioni di braccheggio
degli stupefacenti furono relativamente agevoli. Piú tardi tuttavia ebbi
sempre maggiori difficoltà a mettere insieme le tre persone, assolutamente
necessarie per assaltare una farmacia notturna e coprire la fuga con una minima
speranza di successo. E Gross trovò nuovi amici, che si attaccavano a lui
sperando di riceverne una spinta verso il futuro. Era troppo, troppa pressione:
invece di comprensione, pazienza e un po' piú di calore, una nuova funzione
di guida... non solo lui ne sarebbe uscito distrutto. A Gross non restò
piú la forza di cercare nessuno, anche solo al fine di chiedere rifugio
per qualche tempo. Una notte si è trascinato in un ingresso altrimenti
inutilizzato di un magazzino nel quartiere di Moabit - una zona piccolo-borghese
che sicuramente non aveva mai visitato prima - ed è restato lí semplicemente
per terra. Due giorni dopo venne ritrovato, dal punto di vista clinico senza piú
speranze. La stella di un grande combattente contro l'ordine sociale, la millanteria
e la dissoluzione delle reazioni umane, per mezzo delle deduzioni della psicoanalisi,
disgregazione della famiglia e dello stato - la stella è esplosa, dissolta
e tramontata. L'epoca non era matura, la feccia dei sazi ancora troppo numerosa.
Per il momento il singolo è ancora impotente contro il suo destino. Il
tracollo non mi colse impreparato. Il mio baricentro era già scivolato
un po' piú in basso e aveva cominciato a tastare nuovi puntelli, per mettere
radici, per dire cosí. Aveva già cominciato a germinare, nel manicomio
di Troppau, e da allora è cresciuto, e ancora cresce. Franz
Jung
A
Troppau Gross, allora attivo come assistente medico, mi aveva fatto conoscere
Anton Grosz. Lo incontrai in una delle grandi sale comuni, nascosto in un angolo,
ben distante da una finestra e da tutti gli altri; si avvertiva il muro invisibile;
per la sorpresa dei dottori - Otto Gross era insieme a due colleghi - Anton venne
verso di me e mi strinse con forza la mano; una piccola sensazione. Nelle visite
successive Anton Grosz cominciava già ad agitarsi mentre ero in cammino
verso il manicomio e la tensione cresceva quando facevo ingresso nell'istituto.
Avrebbe potuto certamente indovinare il momento preciso in cui entravo nella sala
comune. Restammo seduti per un po' nel suo angolo ad osservarci. Una vera e propria
conversazione non aveva luogo. Anton Grosz parlava troppo rapidamente, le parole
si accavallavano, riuscivo a carpirne meno della metà. Ma andava bene anche
cosí. Avevo la sensazione che fosse profondamente soddisfatto della nostra
comunicazione. Durante la mia ultima visita mi strinse in mano un fascio di fogli,
manoscritti in tutte le direzioni in una grafia incisa come col cesello, costellati
di disegni, diagrammi e un sempre ricorrente schizzo di ritratto, un viso rotondo,
occhi un po' in fuori e una testa probabilmente appuntita verso l'alto, ma coperta
da un rigido cappello con la tesa molto sottile: la sagoma di Seidel. Lo stesso
Anton Grosz era di corporatura tarchiata, un viso già molto segnato, baffetti,
gli occhi ricoperti da folte sopracciglia, ma nel complesso una figura mediocre,
niente che rimarrebbe impresso nella memoria. Un uomo a cui, se lo si incontrasse
per strada, si potrebbe offrire un sigaro. In quei fogli manoscritti Anton
Grosz descriveva gli eventi attorno a sé con sorprendente obiettività,
quasi come se non fosse coinvolto, con un'avvincente precisione. Non invoca aiuto,
sebbene la sua vita sia fin dall'inizio minacciata. Osserva gli altri uccidersi
reciprocamente, si sente egli stesso assassinato, lentamente e nelle tappe previste,
come dal programma della nostra epoca. Piú tardi ho smarrito quel manoscritto,
oppure mi è stato trafugato, ma confesso che mi è restato presente
con una tale profondità, che ha continuato ad agire dal sottofondo in tutto
quello che ho scritto, indipendentemente dal fatto che lo abbia usato o trattato
direttamente. Il manoscritto agisce nel ricordo in modo perfino piú chiaro
e incisivo di quanto non possa dire superficialmente. Voglio in questa sede
riportarne il contenuto generale. Non so chi sia Seidel. Per dirla tutta, non
ho mai conosciuto una persona di nome Seidel. Ma ora ho la certezza che esistano,
che mi circondino. Mi rivolgono la parola, ma io sono incapace di farmi capire
da loro. Anche se volessi rispondere, invece di ucciderli semplicemente. Le fantasie
sono già abbastanza difficili da sopportare, si insinuano e divorano. Ma
ancora piú difficile è tenerle sotto controllo, apparire tranquilli
all'esterno e continuare. I Seidel sono a casa a Komotau. L'oste al mercato
è un Seidel, il macellaio, l'esattore, che era fidanzato con la sorella
di Anton e l'ha lasciata gettando vergogna sulla famiglia. Ci sono molti parenti
e acquisiti dei Seidel nei villaggi vicini e guardiani ingaggiati dai Seidel.
Anche la moglie di Anton, Anna, è stata presa di mira e in giardino le
è stato rubato il bucato dal filo. Anton ha dovuto lasciare Komotau ed
è emigrato in America, ha trovato lavoro in una fabbrica di macchinari
di Pittsburgh in Pennsylvania, grazie al vecchio compagno di scuola Stefan Schönherz,
che lavora nella fucina, mentre Anton entra nell'ufficio costruzioni. Può
abitare dai Schönherz. C'è una moglie, e la figlia grande come la
sua, che ha lasciato a casa. Sua moglie gli ha scritto che entrambe non vogliono
raggiungerlo. A Pittsburgh tuttavia sono all'opera di nuovo i Seidel. Un Seidel
è portiere all'entrata della fabbrica. La strada in cui abitano i Schönherz
pullula di Seidel e di spie dei Seidel. Sente poi quel che accade in strada.
Parlano di lui. Deve stare a guardare mentre un Seidel strangola la moglie nell'appartamento
di fronte. Lo circondano, faranno sparire la figlia dei Schönherz e gli addosseranno
l'omicidio. Lo ubriacano. Lui scappa in un bordello e lí le ragazze tentano
di pungerlo con aghi avvelenati, portati in precedenza da un Seidel. Anton ubriaco
viene gettato sul marciapiede, sente sussurrare: pungilo ora - pungilo. Anton
fugge. Perde il lavoro. Abbandona la casa degli Schönherz, sebbene la moglie
voglia tenerlo. Assomiglia ad Anna, nasconde qualcosa. Anton finisce alla polizia.
Deve ascoltare tutto ciò di cui lo accusano e quello che i Seidel hanno
dichiarato a suo carico. Schönherz viene a prenderlo dall'ospedale e lo accompagna
anche alla nave che lo riporterà ad Amburgo. A bordo un Seidel, vestito
da steward, tenta di mettergli le mani addosso. Anton ha per la prima volta la
convinzione che non tornerà sano e salvo a Komokau. Allo steward però
riesce a scampare. Viene inseguito per tutta Amburgo, finché non riesce
a salire sul treno per Breslavia. Sente i controllori sussurrare qualcosa alle
sue spalle. Arriva però a destinazione. Vaga per le strade di notte. Vede
i portieri all'entrata degli alberghi, Seidel travestiti. Si fischiano tra loro.
Una ragazza gli rivolge la parola. Gli offre rifugio. Nella stanza si rende conto
di essere in trappola. Non ha denaro. La ragazza scappa urlando. Lui vuole difendersi
e combattere. Arrivano gli inservienti dell'albergo. Spara attraverso la porta
con la pistola che ha comprato a Breslavia. Un Seidel, cappello rigido dalla tesa
sottile, cerca di introdursi nella stanza dall'esterno, attraverso una scala a
pioli. Anton spara - lo fa sentir bene, un ultimo, profondo respiro di piena soddisfazione.
Dal corridoio i poliziotti abbattono la porta. Alla testa degli intrusi vede il
grasso oste e spara - quindi tutto crolla. Qualcosa lo investe, lo schiaccia in
poltiglia. Molto piú tardi giace all'ospedale ed è costretto a fissare
il soffitto: i Seidel vanno e vengono. Finché non finisce a Troppau. Anton
non riesce a farsi capire, nessuno gli offre una spiegazione, un sostegno o un
aiuto - ma lui non ha bisogno di aiuto. A quale scopo comprensione, a quale scopo
calore - sii come gli altri. Non lo hanno concesso, gli altri e coloro di cui
si ricorda e che si fanno vivi anche se comincia a dimenticarli, la moglie, i
figli, le persone rispettabili e il cognato di Schönherz, che abita ancora
a Komotau e a cui ha scritto da Breslavia. Questa è in breve la storia.
Al centro ruota, pronunciata nell'atmosfera e non a parole: la rivolta. Tutti
contro uno e uno contro tutti. Il ricordo dei Seidel si è impresso a fondo
in me, e io ho tentato per tutto il tempo di formulare quel che Anton Grosz non
è riuscito a sciogliere dalla coscienza, per metterlo in parole. La tensione
interna, prima che si formi la parola, si è impadronita di lui. Può
essere che io abbia gioco piú facile. Io sono anche arrivato piú
avanti di alcuni passi, ma entrambi finiremo davanti al medesimo muro. Accadrà
come è accaduto ad Anton Grosz a Breslavia, intorno al Mercato Nuovo o
in un'altra città che le assomiglia. Malgrado ciò - cosí
non si muore. L'elemento vivo nel singolo è parte di una forza immensa
che prima o poi si scatena - quando? chi lo sa, chi se ne preoccupa - e distrugge
tutto quel che la circonda.
Traduzione di Antonello Piana.
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