APPUNTAMENTO
- Racconto tratto dall'antologia Lusofônica: la nuova narrativa in lingua portoghese
- Adriana
Lisboa
L'oggi
fugace è tenue ed eterno; altro Cielo non ti aspettare, né altro
Inferno. Jorge Luis Borges
Ha un appuntamento con
lei al tavolo del bar, un po' più tardi. Un appuntamento più intuito
che combinato, più accettato che pianificato, rimandato molte volte finché
non era più stato possibile rimandarlo ulteriormente, finché sfiorarla
con gli occhi e farsi sfiorare da lei divenne urgente. Lei, che lui aveva ora
desiderato, sentendo il peso di chi infrange un sacro comandamento, e ora esecrato,
con il fastidio di chi fugge da se stesso. Lei, con quella sua imbarazzante giovinezza,
con quella sua bellezza brusca, con quella sua imperdonabile dignità. Lui
si sveglia molto presto, come al solito, ora che il suo sonno si è rarefatto,
ma chi ha vissuto così tanto non ci mette più lo stesso impegno
nel dormire, semplicemente perché non ci mette più lo stesso impegno
nel rimanere sveglio, e i due stati si fondono, sonno e veglia, sogno e realtà,
si mescolano in un impasto senza lievito in cui lui cuoce le ventiquattr'ore delle
sue giornate. Non che la cosa sia triste. C'è un retrogusto che sa di tristezza,
è vero, ma c'è altrettanta allegria, disperazione e coraggio. Semplicemente
lui oggi sa che ogni anno, ogni giorno che passa non ha fatto che dotarlo di nuovi
prismi, attraverso i quali ha deformato la realtà in modi sempre originali. Si
sveglia presto e raccoglie il giornale vicino alla porta. Lo legge da cima a fondo.
In quel giorno, con una particolare attenzione. Non basta. Vuole scendere in strada
e comprare l'altro giornale, quello della concorrenza, per tirare a lucido il
suo aggiornamento nei riguardi del mondo. Si fa la barba e si veste prima di preparare
il caffè. Poi va in cucina, mette a bollire l'acqua, versa i soliti misurini
di polvere nel filtro di carta. Mangia le sue due fette di pane tostato col burro,
beve la sua tazza di caffè. Ed esce. Prima, un ultimo sguardo alla vetrinetta
vicino alla porta: gli animaletti di cristallo che Laura aveva comprato in Argentina
gli provocano delle fitte di nostalgia. Di Laura, dell'Argentina. Ma ormai non
c'è più tempo per queste cose. Ed esce. È consolante per
lui poter affermare che la General Glicério è la sua strada. Conosce
la storia di quel posto. Sono trentaquattro anni che abita lì, nello stesso
palazzo, il Timbaúba. Sa che prima (quella strada) si chiamava Aliança,
perché lì c'era la fabbrica di tessuto Aliança, ma anche
per questo ormai non c'è più tempo - né per il nome, di due
secoli fa, né per ricordarsi del nome. Cammina fino all'edicola. Saluta
il giornalaio, ma rinuncia a comprare il giornale. Pensa a lei. Si ricorderanno
ancora l'uno della faccia dell'altra? Vedendola, avvertirà quell'antico
desiderio di tornare indietro e ricominciare? Guarda l'orologio da polso che Laura
gli ha regalato, anni fa. Avrebbe potuto scambiare Laura per lei? Come sarebbe
stato ricominciare? Quali erano stati i momenti chiave della sua vita, le stazioni
nelle quali sarebbe potuto scendere dal treno, effettuare un trasbordo e prendere
un'altra direzione? Riusciranno oggi a credere nell'opportunità che non
hanno mai avuto? E questa opportunità si potrà lanciare sul tavolo
di un bar, come in una partita a dadi (dove il caso non va mai ignorato)? Il caso,
ha detto qualcuno una volta, è lo pseudonimo scelto da Dio quando non vuole
firmare. Passa al vaglio la sua memoria: l'aveva detto Anatole France. Ma oggi
lui non ha più tutta questa fede, né in Dio, né nei Suoi
pseudonimi. Passa al vaglio il suo cuore: che fede immensa e liberatoria non avere
fede. Senza giornale, scende per la General Glicério fino a via das
Laranjeiras. Una giornata così limpida. Forse non pioverà mai più.
Vede cose sorprendentemente belle: un cane che annusa uno scarabeo color bronzo.
Una ragazza che inciampa strappandosi il cinturino del sandalo, e adesso come
farà. Una bambina con la divisa della scuola che attraversa la strada,
i capelli pettinati, la frangia che le copre le sopracciglia, mano nella mano
con la madre, dev'essere la madre, si assomigliano così tanto. Attraversa
una striscia di sole sul marciapiede. Cammina fino alla panetteria. Sì,
è vero, ha già fatto colazione, ma le panetterie lo attraggono irresistibilmente,
che ci può fare. Entra e guarda le tartine e i dolci che a loro volta lo
guardano da dietro al vetro e allo scheletro metallico del bancone. Che peccato
non avere fame. Guarda i pacchetti di sigarette, così belli, vicino alla
cassa. Che peccato non fumare più. Sente l'odore del caffè, respira
profondamente. Il bambino: capo, mi compri qualcosa? E lui lo fa. Ordina un caffelatte
per quel bambino anche lui con la pelle caffelatte, buffo, cos'altro vuoi? Un
panino alla piastra, con molto burro, ci si può mettere anche del formaggio,
capo? Si può fare. Guarda il bambino mangiare. Poi paga il conto ed esce.
Grande, capo. Un marciapiede sconnesso. Ma chi ha il diritto di esigere marciapiedi
quando abita, o cammina, come nel suo caso, in una strada con un nome poetico
come via das Laranjeiras, come ha detto una volta qualcuno? Niente di più
assurdo. Cerca di ricordarsi chi l'aveva detto. Passa di nuovo al vaglio la sua
memoria, scavando dei solchi. Questa volta, niente da fare. Le tre figlie avute
da Laura studiavano musica lì vicino. Una poi aveva deciso di diventare
hostess e aveva sposato uno svizzero. Un'altra è direttore di banca. E
un'altra, che fa la ballerina, snella e muscolosa, gli ha dato appuntamento per
pranzare insieme domani - ma che ne sarà di lui, domani? Sale lentamente
via Alice. Molto lentamente. Quando le sue figlie studiavano musica lì
erano tre adolescenti che si divertivano ad attirare gli sguardi altrui. Vede
altre graziose adolescenti salire la scalinata, scenderla, ragazze dai capelli
lunghi e dalle magliette attillate, vede i loro seni disegnati sotto alle magliette,
non ricorda molto bene come era stata l'ostentata adolescenza delle sue figlie.
Non sa, per esempio, se si truccavano. Queste non lo fanno. Ma le ricorda in divisa
pronte per andare a scuola, la divisa era composta da scarpe da tennis, blue jeans
e camicette di jersey con lo stemma della scuola. Protestavano sempre per il caldo.
Salivano sul 184 a Largo do Machado e scendevano al capolinea. Arrivavano a casa
all'una, tutte sudate. Le adolescenti non lo guardano. È arrivato a
un'età in cui è come se si mimetizzasse rispetto al mondo. Non immaginava
che sarebbe stato così. Oggi semplicemente il suo tempo non è più
misurabile. Non sa più quante siano le sue rughe, i capelli bianchi, quelli
che mancano all'appello. Gli manca Laura, questo sì, ma guardare lo spazio
vuoto una volta occupato da lei è la sua quotidiana lezione di generosità.
Il primo giorno senza Laura, gli sembrava di andarsene insieme a lei. Il secondo
mese, si riabituò al mantice dei polmoni e al tambureggiare del cuore.
Dopo due anni, lei era questo: la generosità risemantizzata sul dizionario. Davanti
alla scuola di musica delle sue figlie, legge un'insegna dalle lettere argentate.
Seminari di Musica Pro Arte. Si volta e scende lungo il marciapiede opposto, fino
al bar di Serafim. Ormai è giunta l'ora. Gli piacerebbe continuare a passeggiare,
per non sottrarre la segreta aspettativa del giorno. Il suo appuntamento potrebbe
non arrivare mai: mancherebbero cinque minuti, un minuto, trenta secondi, un secondo,
un decimo, un centesimo, un millesimo di secondo. Achille in gara contro la tartaruga.
Mentre il tempo sprofonderebbe, mentre il tempo si ripiegherebbe su se stesso,
il momento che lui aspetta non arriverebbe e così, in una specie di anticamera, l'eternità
si dilaterebbe senza difficoltà. Ma improvvisamente le lancette dell'orologio
si muovono, in maniera tanto arbitraria quanto definitiva. Passa un autobus.
Lui si ferma e si guarda intorno. Vede un muro su cui è dipinta la faccia
di Ronaldinho, l'hanno fatto in occasione della Coppa del mondo. Entra nel bar
quasi vuoto, si siede e aspetta. Da qualche parte stanno ascoltando la partita
alla radio. Qualcuno dice: dipende dal risultato del Botafogo e del Santos, domenica.
Arriva la sua birra, bella ghiacciata. Ne beve un sorso, che scende anestetizzandogli
non soltanto la gola, ma anche le vene, gli avvolge i nervi, i muscoli, le ossa,
che brillano tutti, luccicano, le sue cellule volteggiano in un'estatica quadriglia
da pentacampionato mondiale. Quando lei finalmente arriva, è, evidentemente,
una donna diversa. Non assomiglia più all'idea che per tanto tempo si era
fatto di lei. Ma in una cosa non si sbagliava: è sempre bella, come tutte
le volte in cui erano stati così, faccia a faccia. Sembra che arrivi fluttuando,
sembra che non abbia peso quel corpo che si accomoda sulla sedia davanti alla
sua. "Ti stavo aspettando", le dice. "Ma come facevi a sapere
che era oggi, che era adesso?" Lui non risponde. "Vuoi una birra?" Lei
non risponde. La mano di lei, bianca e liscia come seta cinese, sfiora la sua
mano coperta di macchie e di rughe. Lui si guarda intorno come se facesse una
fotografia di quel posto per portarla con sé, come un passaporto, o un
souvenir. Una fotografia per il traghettatore, invece delle tradizionali monete. Come
in risposta al suo pensiero, lei dice: "Il traghettatore non esiste." "Lo
sapevo che non esisteva." E, dopo qualche istante: "Ma qualcosa
esiste?" Lei non risponde. E possibile che sia così bella? Lentamente,
gli occhi di lui si chiudono, come se la luce fosse quasi un pericolo. L'ultima
cosa che vede, in vita, è il sorriso di lei, quel sorriso che non significa
niente perché significa tutto. Sul tavolino la sua testa cade senza quasi
fare rumore. "Tutto bene, signore?" chiede, poco dopo, il ragazzo
del tavolo accanto. Lui non risponde. Edmilson, vieni qui! Dev'essere successo
qualcosa a questo signore. Non c'era una donna insieme a lui? Dov'è finita?"
(Il
racconto Appuntamento è tratto dall'antologia Prosas Cariocas.
Uma nova cartografia do Rio de Janeiro pubblicata nel 2004 dalla casa editrice
Casa da Palavra. La traduzione italiana, fatta da Patrizia di Malta, è
stata pubblicata nell'antologia Lusofônioca - La nuova narrativa in lingua
portoghese, a cura di Giorgio de Marchis, casa editrice la Nuova Frontiera,
Roma, 2007)
Adriana
Lisboa è nata a Rio de Janeiro nel 1970. Ha lavorato come flautista,
come cantante e come insegnante di musica. Ora si dedica esclusivamente alla letteratura
nella doppia veste di scrittrice e traduttrice. Nel 1999, ha pubblicato il suo
primo romanzo Os Fios da Memória cui hanno fatto seguito Sinfonia
em Branco - che le è valso, nel 2003, il premio "José Saramago"
- e Um Beijo de Colombina. Nel 2004, ha pubblicato una raccolta di brevi
prose, Caligrafias, e recentemente il libro per l'infanzia Língua
de Trapos. E presente in diverse antologie brasiliane di racconti tra cui
25 mulheres que estão fazendo a literatura brasileira, curata da
Luiz Ruffato. Nel 2005 ha vinto, il premio "Fundação Bunge"
nella categoria romanzo.
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