RIVELAZIONE


Marie Ndiaye




La donna e suo figlio avevano percorso il lungo tratto di strada che collegava la loro casa con la fermata della corriera e, dal momento che nel corso dei due mesi precedenti aveva piovuto senza una sola giornata di tregua, senza nemmeno una mattina o perlomeno qualche ora di interruzione, la strada era ridotta a una pista fangosa tra i campi coltivati.
Il figlio osservava di tanto in tanto che non c'era ormai più differenza tra la strada e i campi che la fiancheggiavano, e sua madre gli faceva pazientemente notare che i campi erano di colore marrone scuro, quasi nero, a parte le zone nelle quali ristagnava l'acqua luccicante, mentre la strada inzuppata aveva un colore grigiastro.
Il ragazzo assentiva con il capo, come profondamente soddisfatto della risposta. I due camminavano in silenzio per qualche minuto, poi lui ricominciava, come avesse improvvisamente scoperto qualche cosa di straordinario. "Ma non vedi? Non c'è più differenza tra la strada e i campi." E una volta di più, la donna doveva constatare con doloroso stupore fino a che punto suo figlio fosse incline a ripetere simili futilità con il medesimo rinnovato interesse; ciononostante gli rispondeva dolcemente, imperturbabile, paziente, non ascoltando nemmeno più la propria voce. Lui approvava gravemente, la fronte aggrottata per la concentrazione, mentre la donna avvertiva l'assurdità delle proprie parole, che si facevano addirittura enigmatiche a forza di dire banalità, e sentiva l'irrefrenabile impulso di mettersi a sghignazzare irridendo se stessa e il figlio, paragonabili in tutto e per tutto a due vecchi rimbambiti, tuttavia non faceva niente del genere, non sorrideva nemmeno, ben sapendo che suo figlio era in quel momento del tutto incapace di comprendere o di percepire l'ironia della situazione. A quel pensiero si sentiva assalire da un acuto senso di tristezza, senonché, poco dopo, il ragazzo ripeteva: "Sì, proprio strano: non c'è nessuna differenza tra..." volgendosi verso di lei alla ricerca di una spiegazione, e allora lo smarrimento e il disappunto allontanavano per un attimo la tristezza, e la donna ricomponeva accuratamente il proprio tono di voce e il proprio atteggiamento, conformemente ai dubbi che la tormentavano circa lo stato mentale del figlio che andava gradatamente rivelandosi irrecuperabile.
A volte, si diceva: è davvero insopportabile. E anche: più che pazzo, mi sembra scemo, irrimediabilmente scemo.
Provava risentimento verso se stessa. Quel ragazzo non era cattivo. Le sue potenzialità aggressive diminuivano proporzionalmente all'aumentare del violento rancore di sua madre. Lei si rendeva conto che il suo risentimento e il suo sconforto venivano alimentati proprio dal progressivo attenuarsi dei suoi sentimenti nei confronti del figlio.
No, quel figlio non era cattivo. E ora, dal momento che la pioggia aveva finalmente cessato di cadere per la prima volta da così tanto tempo, stavano andando insieme a prendere la corriera per Rouen, ma, la sera, la donna sarebbe ritornata sola a Corneville.
Avrebbe ripreso la corriera nella direzione opposta; suo figlio non sarebbe tornato con lei e, chissà, forse lui se ne rendeva conto, o forse no: ormai era troppo tardi per accertarsene. Nel primo caso, avrebbe potuto improvvisamente rifiutarsi di salire sulla corriera, e la donna si immaginava quel suo ragazzo, immobile sul ciglio della strada, che scuoteva piano la testa e ripeteva, calmo, incredulo: "Ma che idea... ma che idea, mamma".
Giunti al termine del loro cammino, si misero accanto al palo che indicava la fermata della corriera, sulla striscia d'erba che separava i campi dalla strada maestra. Il palo era storto e arrugginito, in cima la donna vi leggeva: Corneville. Suo figlio era ancora in grado di farlo? Aveva voglia di gridargli con la sua voce dura: ehi, ma che cosa credi? Che, questa sera, ritornerai assieme a me? Che un giorno ritornerai a casa?
Di colpo il cielo si rischiarò, e nello stesso istante la corriera si arrestò davanti a loro, comparendo, agli occhi della donna, in un subitaneo, imprevedibile, accecante balenio di luce. Da tempo anche la più tenue manifestazione luminosa era completamente scomparsa dal cielo, tanto che la donna ne rimase disorientata. Strizzò gli occhi, contrasse il viso. Il figlio, accanto a lei, alzò lo sguardo e sorrise di felicità. "Oh, mamma", mormorò, "com'è strano!" E come ogni volta che lui apriva la bocca, lei si sentì irragionevolmente prendere da un'incontenibile irritazione. Dovette trattenersi per non ribattere con asprezza: credi che esista al mondo qualcosa o qualcuno più strano di te? Invece lo spinse bruscamente verso la portiera che si era aperta sulla parte anteriore della corriera con una sorta di profondo sospiro di sfinimento.
Quel ragazzo non manifestava mai il suo disappunto nell'essere trattato quasi alla stessa stregua del cane di casa, e la donna si rendeva perfettamente conto di approfittarsene troppo spesso, strapazzandolo, spintonandolo senza necessità, ma addolorata nel vederlo tanto indifferente alle più basse umiliazioni, alla propria indegnità, e vanamente impegnata nel tentativo, prevedibilmente del tutto inutile, di provocare in lui anche solo un accenno di collera.
Ciononostante, chiese bisbigliando al conducente due andate e un ritorno.
Pensò amaramente tra sé che avrebbe sicuramente desiderato un qualche accenno di insubordinazione da parte di suo figlio, ma non certo a quel riguardo.
Il ragazzo avanzava lungo l'angusto corridoio tra le due file di sedili, quando il conducente lo notò. Distolse lo sguardo dalla donna e fissò prima il volto, poi la schiena del ragazzo con i suoi occhietti chiari, improvvisamente colmi di stupore e di un'ammirazione franca e cordiale che suscitarono l'attonita curiosità della donna. E, quando il ragazzo si fu seduto, pressappoco al centro della corriera, dalla parte del corridoio per permettere alle sue lunghe gambe di distendersi più agevolmente, il conducente rimase lungamente a contemplarlo nello specchietto retrovisore, con un leggero sorriso sulle labbra.
Il conducente non era giovane.
La donna aspettava con il denaro in mano che lui si decidesse a darle i biglietti. L'uomo scosse la testa, come per risvegliarsi. Finalmente si voltò di nuovo verso la donna, lo sguardo ancora velato di un vago, confortante compiacimento.
In seguito, mentre la corriera correva tra i campi in quell'improvvisa profusione di luce, la donna notò che gli altri viaggiatori si voltavano frequentemente verso il ragazzo o gli lanciavano occhiate furtive, sempre comunque con espressione palesemente benevola se non addirittura rapita, e che suo figlio, quel figlio che era la fonte delle sue preoccupazioni, non si rendeva conto di niente. Si sentiva avvampare per l'imbarazzo e l'incapacità di comprendere, e cercava di dissimularlo guardando dal finestrino. In quella corriera si sentiva esattamente come al centro di un paese straniero in cui il minimo gesto da parte delle persone che la circondavano le risultava del tutto incomprensibile. Eppure i viaggiatori della corriera appartenevano a precise categorie che lei ben conosceva: vecchiette rinsecchite in impermeabile beige, un contadino con gli occhiali scuri, dei liceali che tornavano da scuola, una donna che le assomigliava in tutto e per tutto.
Ma perché avevano tutti gli occhi fissi su suo figlio?
E perché il semplice fatto di posare lo sguardo sul volto beato e assente di quel ragazzo sembrava irradiarli di un simile benessere?
Non riusciva proprio a comprenderlo. Tutti loro certo ignoravano fino a che punto fosse insopportabile vivere con un figlio come il suo, tuttavia le sembrava che la cosa fosse sufficientemente intuibile da spingerli, proprio per questo, quantomeno a non guardarlo.
Il brusio e il caldo opprimente della corriera le conciliavano il sonno. Nel tempo necessario a coprire il tragitto si sentiva autorizzata a non prendere alcuna decisione, qualunque essa fosse. Veniva presa dal panico nell'immaginare il momento in cui avrebbe dovuto scendere dalla corriera, ricominciare a riflettere, dissimulando al figlio i propri pensieri e valutando i pro e i contro.
Ma all'improvviso la donna si domandò se quel figlio fosse un animale da vendere al mercato di Rouen. Se lei avesse un qualche interesse a sbarazzarsi di lui. No, certo che no, si rispose con uno stanco sorriso, era semplicemente intollerabile, inquietante, avere presso di sé, sotto il proprio tetto, a respirare la medesima aria, proprio quel figlio con le sue oscure manie, i suoi pensieri soffocanti e monotoni.
Quando la corriera fece una fermata a Saint-Wandrille, la donna si rizzò sul sedile e lanciò un'occhiata al grande specchietto retrovisore all'interno del mezzo. E vi scorse quello che si era aspettata di scorgervi: le fessure slavate degli occhi del conducente fissi su suo figlio, sul suo volto riflesso che spuntava al di sopra degli schienali; il bel viso pacifico di suo figlio, si disse la donna al colmo dello stupore, domandandosi, incredula, sardonica, se il conducente e tutti coloro che nella corriera contemplavano apertamente il ragazzo, si rendessero conto che lui era così bello e così pacifico proprio perché assolutamente incapace di percepire quell'attenzione di cui era oggetto; ed era così bello e così pacifico che era ora necessario rinchiuderlo, impedirgli di essere visto ulteriormente a Corneville e di appesantire l'atmosfera in casa con la sua presenza opprimente e assillante.
La donna capiva che la bellezza del figlio le era ormai divenuta insopportabile e che, un tempo, quando quel figlio stava ancora bene, sembrava decisamente meno bello. Nessuno si sarebbe voltato per ammirarlo, quando non era necessario nascondergli dove lo si stava conducendo. Il suo volto di allora non aveva alcuna ragione di essere tanto bello quanto adesso, perché vi si esprimevano dei pensieri ordinari; nondimeno, rifletteva la donna indignata, non si doveva pretendere da lei che si sentisse riconoscente e lusingata per un simile cambiamento, non si poteva domandarle di unirsi agli altri nell'ammirazione di quel ragazzo, seppure tanto bello e sereno.
Lei gli sussurrò nell'orecchio: "Ritornerò senza di te a Corneville."
"Lo so", replicò suo figlio.
Le sorrise dolcemente, per rassicurarla. Le diede persino dei colpetti sul braccio, e a quel punto lei non riuscì più a trattenersi e gli confessò che avrebbe tanto desiderato che la corriera non si fermasse. E suo figlio le disse tranquillamente che capiva. Pensò tra sé che gli altri suoi figli non l'avrebbero affatto capito, e già sentiva la mancanza di quel figlio. Sarebbe ritornata da sola, tanto meglio... ma come le sarebbe mancato!



(Racconto tratto dalla raccolta Tutti i miei amici, Baldini Castoldi Dalai editore, Milano 2005, traduzione di Ombretta Marchetti.)

Marie Ndiaye è nata nel 1967 a Pithiviers, in Francia, da madre francese e padre senegalese. Precocissima, ha iniziato a scrivere all'età di dodici anni e ha pubblicato il suo primo libro, Quant au riche avenir, appena diciassettenne. È autrice di sette romanzi, tra i quali En famille e Rosie Carpe (Prix Femina, 2001).


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