GLI
ULTIMI UOMINI
- Mentre una parte del mondo si spegne in stupidi piaceri
artificiali, l'altra è decisa a lottare fino all'autodistruzione -
Slavoj Zizek
Nei film di Hollywood l'ampio sfondo storico è solo un pretesto per
il "vero argomento"; cioè il viaggio iniziatico del personaggio
o della coppia protagonista. In Reds la rivoluzione d'ottobre fa da
sfondo ai due innamorati che si riconciliano in un appassionato rapporto sessuale;
in Deep impact l'onda gigantesca che sommerge l'intera costa orientale
degli Stati Uniti è solo la scenografia della riunificazione incestuosa
tra padre e figlia; nella Guerra dei mondi l'invasione degli alieni
è lo scenario in cui Tom Cruise riafferma il suo ruolo paterno. In
I figli degli uomini di Alfonso Cuarón, invece, lo sfondo è
l'elemento principale. La fantascienza classica hollywoodiana presenta in genere
un futuro pieno di invenzioni inaudite, dove però anche i cyborg si
comportano come noi, o meglio come ci comportavamo noi nei vecchi melodrammi di
Hollywood e nei film d'avventura. Nei Figli degli uomini non ci sono
oggetti strani e Londra è esattamente come oggi, solo di più. Cuarón
si limita a evidenziare il suo potenziale poetico e sociale: i sobborghi invasi
dai rifiuti, le telecamere di sorveglianza dappertutto... Il film ci ricorda che
la realtà è più assurda di qualunque fantasia. Una volta
Hegel osservò che una persona somiglia più al suo ritratto che a
se stessa. I figli degli uomini è la fantascienza del nostro
presente. Siamo nel
2027 e la specie umana è diventata sterile. Il più giovane abitante
della terra, nato diciotto anni prima, è stato appena ucciso a Buenos Aires.
La Gran Bretagna vive in un perenne stato d'emergenza, con squadre antiterrorismo
che danno la caccia agli immigrati clandestini e il governo impegnato ad
amministrare una popolazione in calo che vegeta in uno sterile edonismo. Questi
due tratti – la permissività edonistica con le sue nuove forme di
apartheid sociale e il controllo basato sulla paura – sono forse tipici delle
nostre società? Il colpo di genio del regista è questo: "Molte
storie sul futuro", ha detto Cuarón in un'intervista, "immaginano
un mondo dominato da un Grande fratello, ma io credo che sia un'idea novecentesca
della dittatura. La tirannia del ventunesimo secolo si chiama `democrazia"'.
Per questo le persone che governano il mondo nel suo film non sono grigi burocrati
totalitari in uniforme, come quelli di Orwell, ma amministratori illuminati, colti
e democratici. I figli degli uomini non è un film sulla sterilità
come problema biologico. La sterilità di cui parla Cuarón è
quella diagnosticata molto tempo fa da Friedrich Nietzsche quando intuì
che la civiltà occidentale si stava dirigendo verso "l'ultimo uomo",
una creatura apatica senza passioni né impegni. Incapace di sognare
e stanco della vita, l'ultimo uomo non corre rischi e cerca solo comodità,
sicurezza e tolleranza reciproca: "Un po' di veleno, ogni tanto, per
fare sogni gradevoli. E molto veleno, alla fine, per una morte gradevole. Hanno
i loro piccoli piaceri per il giorno e i loro piccoli piaceri per la notte, ma
sempre badando alla salute. 'Abbiamo scoperto la felicità', dicono gli
ultimi uomini, e strizzano l'occhio". L'ultimo
uomo non vuole che i suoi sogni a occhi aperti siano disturbati, e per questo
"molestia" è una parola chiave del suo universo mentale. Il termine
è usato per indicare azioni brutali come lo stupro, le percosse e altre
forme di violenza sociale che devono essere severamente condannate. Ma indica
anche il fastidio per qualsiasi vicinanza eccessiva a un altro essere umano, con
i suoi desideri, piaceri e paure. Due elementi determinano oggi la tolleranza
liberale verso gli altri : il rispetto per l'alterità e la paura ossessiva
della molestia. Non abbiamo niente contro l'altro a patto che la sua presenza
non sia intrusiva, che l'altro non sia veramente altro. La tolleranza coincide
con il suo contrario: il mio dovere di essere tollerante verso gli altri significa
che non devo avvicinarmi troppo, che non devo intromettermi, insomma che devo
rispettare l'intolleranza per la mia vicinanza eccessiva. E questo che si
sta affermando come il fondamentale "diritto umano" della nostra
società: il diritto di non essere molestati, cioè di tenersi a distanza
di sicurezza dagli altri. In
gran parte delle cause per molestie i giudici proibiscono al molestatore di avvicinarsi
alla sua vittima e gli impongono di tenersi ad almeno cento metri di distanza.
È una sorta di difesa contro la realtà traumatica del desiderio
dell'altro: è ovvio che c'è qualcosa di violento nel mostrare
apertamente la propria passione per un altro essere umano. La passione per definizione
"fa patire" il suo oggetto, lo ferisce, e anche chi accetta con gioia
di esserne il bersaglio non potrà mai farlo senza timore né sorpresa.
È così
anche per il divieto di fumare. Il fumo è stato bandito innanzitutto dagli
uffici, poi dai voli aerei, dai ristoranti, dagli aeroporti, dai bar, dai club
privati, in alcuni campus universitari nel raggio di cinquanta metri dall'ingresso
degli edifici, e infine – in un caso esemplare di censura pedagogica che ricorda
le foto ritoccate della nomenklatura stalinista – le poste degli Stati Uniti hanno
cancellato le sigarette dai francobolli con l'immagine di Jackson Pollock e del
chitarrista Robert Johnson. Questi divieti prendono di mira il piacere eccessivo
e rischioso dell'altro, incarnato dall'atto "irresponsabile" di accendersi
una sigaretta e aspirare profondamente con un'imperturbabile voluttà
(al contrario degli yuppie clintoniani, che non aspirano, fanno sesso senza una
vera penetrazione e mangiano solo cibi senza grassi). Come ha detto Jacques
Lacan, se Dio è morto, più nulla è permesso. Moltissimi
prodotti sono stati privati delle loro proprietà nocive: il caffè
senza caffeina, la panna senza grassi, la birra senza alcol e così via.
Il sesso virtuale è sesso senza sesso. E la dottrina di Colin Powell della
guerra senza vittime (dalla nostra parte, naturalmente) non è forse
una guerra senza guerra? La politica come arte della buona amministrazione
è una politica senza politica, e il multiculturalismo tollerante e liberale
è un'esperienza dell'altro privato della sua alterità (nell'immagine
dell'altro idealizzato vediamo le sue danze affascinanti e il suo approccio
olistico ecologicamente sano alla realtà, ma dimentichiamo le percosse
alla moglie o lo stupro incestuoso). Per noi abitanti del primo mondo è
sempre più difficile immaginare una causa universale per cui valga
la pena di sacrificare la vita. La spaccatura tra primo e terzo mondo segue
la linea che contrappone una vita lunga, ricca e soddisfacente a una vita dedicata
a una causa trascendente. È l'antagonismo tra ciò che Nietzsche
definiva nichilismo "passivo" e nichilismo "attivo".
Noi occidentali siamo gli ultimi uomini, immersi in stupidi piaceri quotidiani;
mentre gli estremisti musulmani sono pronti a rischiare tutto, impegnati in una
lotta nichilistica fino all'autodistruzione. Nei Figli dell'uomo l'unico
posto dove prevale uno strano senso di libertà è Bexhill, una città
circondata da un muro e trasformata in un campo profughi diretto dai suoi abitanti,
immigrati clandestini, che alla fine del film viene spietatamente bombardata dall'aviazione.
La vita, lì, è in fermento: ci sono manifestazioni militari dei
fondamentalisti islamici ma anche gesti di autentica solidarietà.
Ed è proprio qui che appare il neonato. E
allora dove abbiamo sbagliato? Chi ha letto il marchese De Sade sa bene che la
disinvolta affermazione della sessualità, spogliata da ogni traccia di
trascendenza spirituale, si trasforma paradossalmente in un esercizio meccanico
privo di autentica passione sensuale. Un rovesciamento simile si trova anche nell'impasse
degli ultimi uomini di oggi, gli individui "postmoderni" che respingono
ogni finalità "superiore" e dedicano la loro vita a una
sopravvivenza piena di piaceri sempre più raffinati e indotti artificiosamente.
Se le vecchie società gerarchiche schiacciavano gli impulsi vitali con
i loro rigidi sistemi ideologici imposti e difesi dagli apparati statali, le società
di oggi stanno perdendo la vitalità a causa del loro edonismo estremamente
permissivo: tutto è lecito, ma a patto che sia decaffeinato e privo di
sostanza. E questo vale anche per la democrazia: è sempre più decaffeinata,
senza sostanza e forza politica. Un secolo fa, G.K. Chesterton scriveva: "Gli
uomini che cominciano a combattere la chiesa per amore della libertà e
dell'umanità finiscono per gettar via la libertà e l'umanità
pur di lottare contro la chiesa". I fanatici difensori della religione
fanno lo stesso: hanno cominciato attaccando ferocemente la cultura laica contemporanea
e hanno finito per rinunciare a qualunque esperienza religiosa significativa.
E i guerrieri liberali sono così decisi a combattere il terrorismo e il
fondamentalismo antidemocratico che finiranno per gettare via la libertà
e la democrazia. Pur di dimostrare che il fondamentalismo non cristiano è
la peggiore minaccia alla libertà sono pronti a limitare la libertà
nelle nostre presunte società cristiane. Mentre i terroristi sono pronti
a distruggere questo mondo per amore dell'altro, i nostri guerrieri antiterroristi
sono pronti a distruggere il loro stesso mondo democratico spinti dall'odio nei
confronti dell'altro, cioè dei musulmani. Oggi
la politica dominante è la politica della paura, una difesa contro la possibilità
di diventare vittime o di essere molestati: paura degli immigrati, della criminalità,
della depravazione sessuale, paura perfino di uno stato invadente (con
tasse troppo alte), delle catastrofi ecologiche, delle molestie. Ed è per
questo che il politicamente corretto è l'espressione liberale per eccellenza
della politica della paura. Una politica che si affida agli slogan spaventosi
di uomini spaventati. All'inizio dei 2006 la politica contraria all'immigrazione
ha conquistato l'Europa, tagliando il cordone ombelicale che la legava ai partiti
di estrema destra. Dalla Francia alla Germania, dall'Austria ai Paesi Bassi,
con un nuovo orgoglio per la propria identità culturale e storica, i partiti
più importanti hanno considerato accettabile sottolineare che gli immigrati
sono ospiti e devono adeguarsi ai valori culturali dei paesi in cui cercano accoglienza.
È per questo che lo "scontro di civiltà" è la malattia
di Huntington del nostro tempo, nel senso di Samuel Huntington, secondo il quale
dopo la fine della guerra fredda "la cortina di ferro dell'ideologia"
è stata sostituita con la "cortina di velluto della cultura".
Questa visione pessimista può sembrare l'esatto contrario della luminosa
prospettiva di Francis Fukuyama, quella di una "fine della storia" sotto
forma di una democrazia liberale mondiale. Forse, però, lo scontro di civiltà
è la fine della storia: i conflitti etnico-religiosi, cioè, sono
la forma di lotta più adatta al capitalismo globale. Nella nostra era postpolitica,
in cui la politica vera e propria viene progressivamente sostituita dalla buona
amministrazione, le tensioni culturali – etniche e religiose – restano l'unica
fonte legittima del conflitto. Perciò, per citare l'indimenticabile sintesi
freudiana del presidente George W. Bush, non "sottovalutate male" I
figli degli uomini : il nuovo film di Cuarón colpisce al cuore della
nostra complessa situazione.
Slavoj
Zizek è nato nel 1949 a Lubiana. È filosofo, sociologo e studioso di psicoanalisi.
Insegna alla European graduate school di Leuk-Stadt, in Svizzera, e all'università
di Lubiana. Questo articolo fa parte dei contenuti speciali del dvd di I figli
degli uomini (Universal 2007).
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