ASEM
J. R. ABDALHADI (PPP) La
seguente intervista è stata condotta a Nablus il 15.08.06 da Evamaria Haupt
e Alexander Krohn. Asem Abdalhadi è membro dell'ufficio politico del Partito
Popolare Palestinese (PPP) e a capo del dipartimento internazionale del partito.
Negli anni Sessanta ha studiato economia a Varsavia. Il PCP (Partito Comunista
Palestinese) era il partito palestinese piú antico. Costituitosi nei primi
anni Venti, non è mai stato parte di un paese sovrano. All'inizio degli
anni Novanta si è dato una nuova piattaforma e da allora si chiama Partito
Popolare Palestinese. Domanda:
Possiamo chiederle innanzi tutto quanti anni ha e da quanto è iscritto
al suo partito?
Risposta:
Ho 63 anni e sono nel partito da 49. Sono quindi uno dei membri piú anziani
ancora attivi. Volontariamente, si intende, giacché il nostro partito non
paga stipendi. Sono stato eletto nel politburo e partecipo a tutte le attività.
Ci incontriamo ufficialmente una volta alla settimana nel nostro quartier generale
di Ramallah. A causa delle difficoltà che ci vengono causate dall'occupazione
israeliana, è spesso però impossibile per i nostri tesserati muoversi
da un luogo all'altro. Alcuni di loro sono anche ricercati dagli israeliani. D.
Cosa pensa del crollo dei paesi socialisti e cosa è cambiato da allora
nel vostro partito? R.
Da vecchio comunista credo che abbiamo perso molto con quel tracollo, perché
per esempio la politica sovietica appoggiava la nostra lotta per l'indipendenza.
A quel tempo eravamo un grosso partito. D'altra parte eravamo anche molto indipendenti
e non siamo mai stati guidati dalle decisioni sovietiche. Abbiamo sempre avuto
i nostri progetti per lo sviluppo della missione nazionale. Ma anche oggi abbiamo
molti amici nell'arena internazionale. Intendo naturalmente i partiti comunisti,
progressisti e di sinistra. Dato che conduciamo una lotta comune, spero che in
futuro potremo varare una vasta piattaforma per respingere l'influenza degli americani
e le loro aggressioni contro i paesi poveri. D.
Quali sono i vostri rapporti con gli altri partiti palestinesi? Per esempio con
Hamas o Fatah? R.
In questo punto ci distinguiamo da altri partiti. Noi stessi sosteniamo che finché
dura l'occupazione, tutti i mezzi sono legali nella resistenza contro l'invasore.
Questo è un fatto certo. Ma all'interno del partito riteniamo che il conflitto
israelo-palestinese possa essere risolto solo attraverso la trattativa diretta
con gli israeliani. Ovvero con gli strumenti della politica. Noi speriamo che
la comunità internazionale assuma un ruolo significativo per convincere
gli israeliani che i palestinesi devono ottenere uno stato proprio. Per questo
abbiamo le risoluzioni dell'ONU n. 242 e 238, che affermano il diritto dei palestinesi
a uno stato e l'illegalità dell'occupazione del nostro paese. D.
Che cosa pensate delle Brigate Al-Aksa e della Jihad islamica? R.
Noi non esercitiamo resistenza militare contro gli israeliani. Nel secolo scorso
i comunisti furono i primi ad insorgere contro gli inglesi, i giordani e gli israeliani.
A quel tempo anche militarmente. Ma poi siamo giunti alla conclusione che non
avremmo potuto liberare il paese solo con i mezzi militari. Innanzi tutto per
il semplice motivo che alla resistenza militare partecipa solo una minoranza.
I mezzi militari possono forse essere d'aiuto, ma l'unica strada sono le trattative
politiche. Nelle questioni sociali e nelle manifestazioni tuttavia cooperiamo
con altri movimenti. D.
Come sono i vostri rapporti con altri partiti della sinistra palestinese, come
per esempio il PFLP (Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina)? R.
Abbiamo ottimi rapporti con tutti i partiti e ci incontriamo con i loro membri.
Per quanto riguarda i raggruppamenti militanti possiamo solo dire: li rispettiamo
insieme alle loro opinioni, ma crediamo che le loro azioni creino solo nuovi problemi
al nostro popolo. Paghiamo un prezzo molto alto per questa resistenza. In questo
momento è molto difficile entrare o uscire da Nablus. Organizzando manifestazioni
e scioperi si può esercitare una certa pressione sugli israeliani. Questa
è la nostra politica. D.
È questa la differenza maggiore con il PFLP? R.
Sicuramente, ma ci distinguiamo anche nelle questioni sociali. Noi vogliamo costruire
una società socialista in cui esista una giustizia sociale. Perciò
siamo molto attivi nelle organizzazioni commerciali e sosteniamo lavoratori, contadini
indigenti e disoccupati. Questo rientra nella lotta sociale. Non vogliamo costruire
una società capitalista, poiché abbiamo molto sofferto sotto tutti
i capitalisti - gli invasori israeliani, gli Usa e tutti quei gruppi che non credono
che i palestinesi abbiano gli stssi diritti di tutti gli altri uomini di questo
mondo. D.
Gli israeliani in questo momento sono concentrati sulla resistenza in Palestina.
Anche il vostro partito è toccato dagli arresti? R.
Naturalmente. Soprattutto i nostri compagni piú giovani siedono in galera,
e per molti anni. Non abbiamo alcuna possibilità di liberarli. Al momento
si tratta di piú di 360 di nostri giovani compagni. Nel corso della seconda
Intifada il nostro ufficio è stato distrutto tre volte. Vengono di notte
e demoliscono tutte le porte e i nostri computer, ma i nostri atti non li conserviamo
piú qui. Anche se militarmente non siamo piú attivi, siamo molto
impegnati nel sociale. Gli israeliani osservano questo tipo di resistenza molto
attentamente, perché è ben altra cosa rispetto a un militante da
arrestare. Quando ci riesce di organizzare una manifestazione a cui partecipano
tra le 10.000 e le 50.000 persone, ed essa viene registrata dai media, si tratta
di un fatto rilevante. Un militante isolato lo possono definire terrorista, ma
se piú di 50.000 persone manifestano contro gli attacchi, i massacri o
il muro di Israele, non possono dire che si tratta di terroristi. D.
Nel PPP ci sono anche membri musulmani o cristiani? R.
Naturalmente. Non è piú come nell'epoca comunista. Noi accogliamo
tutti, chiunque essi siano. Se pregano o meno non ci interessa. La cosa piú
importante è che siano convinti dei principi del nostro partito e che vogliano
giovare agli interessi dei palestinesi. D.
Collaborate anche con i comunisti israeliani? R.
Abbiamo ottimi rapporti con il Partito Comunista Israeliano. Talvolta organizziamo
insieme manifestazioni al confine tra la Cisgiordania e Israele. Ogni tanto anche
a Gerusalemme, perché noi consideriamo Gerusalemme-Est come la nostra capitale.
Naturalmente evitiamo ingerenze reciproche nei nostri affari interni, ma abbiamo
delle iniziative in comune. D.
Avete anche contatti con anarchici palestinesi? R.
No, siamo contro queste cose. Noi siamo contro l'anarchismo, perché ciò
può essere molto pericoloso per il futuro di una società. Noi vogliamo
che regni un ordine nella nostra società. L'epoca di anarchia che gli israeliani
hanno portato nella nostra società è già abbastanza. Quando
manifestiamo noi non distruggiamo niente, né negozi né altro, perché
si tratta dei nostri negozi. D.
Ci sono per voi, dalla prospettiva di oggi, motivi di critica verso i paesi ex-socialisti? R.
Vede, noi crediamo che il futuro appartenga a coloro che scelgono il socialismo.
Non c'è nessun dubbio a questo proposito. Gli uomini hanno vissuto sulla
loro pelle tutte le altre altenative e nessuna è riuscita a trovare le
soluzioni per i problemi della società. Ad eccezione del socialismo. Anche
se Lei non è d'accordo! (ride) Il sistema capitalista non sarà mai
in grado di risolvere i problemi dell'uomo. Forse all'inizio dello sviluppo capitalista
sembra tutto rose e fiori, ma poi l'uomo comincia a soffrire. Per esempio in Germania...
come si chiama questa nuova signora? D.
Merkel, Angie. R.
Merkel, sí. Da Willi Brandt ad Angela Merkel, le riforme che sono state
messe in atto non sono una politica al servizio degli strati poveri della popolazione.
Danno loro forse qualche sussidio, ma la maggior parte del guadagno viene destinato
per i loro interessi particolari. Non saranno mai in grado di costruire una società
progressista. O almeno, questo è quello che crediamo noi qui. Va bene? D.
Sí, ma non ha risposto alla mia domanda. R.
Senta, durante l'epoca socialista in Europa ho studiato in Polonia. Io sono un
comunista palestinese. Le mie impressioni sulla situazione nei paesi socialisti
furono negative. Ciò che è stato realizzato in quelle società
era molto lontano dalle idee socialiste. Era la teoria giusta con le persone sbagliate.
Anche negli ex-paesi socialisti ci sono partiti comunisti e socialisti, ma essi
non si comportano piú come prima del 1990. Allora c'era un grande deficit
democratico. Gli oppositori venivano arrestati. Era un retaggio dello stalinismo.
Forse in quel periodo poteva anche essere accettabile, ma oggi non lo è
piú. In quanto marxista occorre capire le cose nel loro cambiamento. Non
si può credere che ciò che era buono 100 anni fa funzioni ancora
oggi. Anche i paesi socialisti hanno bisogno di riforme. Pensi solo alla burocrazia!
O alla doppia, tripla o anche quadrupla occupazione di un posto di lavoro, solo
per evitare che sorgesse disoccupazione. L'ho visto con i miei occhi. Se avevi
una scarpa bucata e la portavi a riparare, c'erano quattro o sei persone addette.
La prima diceva: ecco il biglietto. C'era scritto sopra che si aveva una scarpa
bucata. Il secondo lo passava poi a un terzo e cosí via. Quello non era
socialismo. Non è quello che noi vogliamo qui. Ho dimenticato qualcosa
di importante: noi abbiamo rapporti con 242 partiti e diverse organizzazioni umanitarie
in tutto il mondo. Quando possiamo, partecipiamo anche a congresi internazionali.
Abbiamo ottime relazioni con paesi come Cuba, la Bolivia e il Venezuela. Qualche
volta non abbiamo i mezzi per muoverci. Rispetto ad altri partiti abbiamo minori
possibilità, ma siamo convinti che il futuro appartenga a noi. Ai nostri
giovani compagni viene impedito di lasciare il paese, ma noi vogliamo soprattutto
che ricevano il permesso di fare ritorno, nel caso in cui possano lasciare la
Palestina. Per il resto non abbiamo rapporti con l'occupante israeliano e non
li abbiamo mai cercati.
Traduzione di Antonello Piana Tratto da FLOPPY MYRIAPODA
(www.subkommando.pappelschnee.de), nr. 4, inserto di GEGNER, nr. 19
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