-Ciao!-
disse quando rispose al telefono. Era allegra, bastava il "ciao" per
capirlo.
Era quasi allegra. Che bello, -pensai- era già da un bel po'.
-Tutto bene?- domandai.
-Si, si- e rise lievemente, come un colpo di tosse.
Fece una pausa.
-Dimmi.- E pensavo al perché mi avesse telefonato,
a metà mattina, orario strano pure per lei, che aveva passato anni a telefonarmi,
quasi mai prima di pranzo.
-Boh.- Avevo voglia di chiamarti. Era già
un po' che non ti chiamavo di mattina.
-è vero, molto tempo. Ci stavo
pensando proprio ora. Anni?
-Me lo sentivo che stavi pensando proprio a questo.
Buffo, no? Pensa un pò come ci conosciamo
-è vero. Ti conosco
talmente tanto che mi sa che hai qualche problema che non mi vuoi dire, Nora.-ci
pensai un po'- Ma allo stesso tempo, vorrei sbagliarmi, non voglio che tu abbia
problemi.
-Eh si, questa è amicizia. Lo so com'è. Proverei la
stessa cosa, se non fossi tanto confusa.- disse lei.
Un'altra pausa. Chi parla
ora sono io:
-Dai, Nora, che c'è?
-Niente, te l'ho già detto.-
e mi impressionò come la sua voce era cambiata, la tristezza dietro le
sue parole.
-Stò bene- menti- Ti ho chiamato solo per dirti che ho
visto, dalla finestra del salotto, una bambina che stava leggendo un mio libro,
dentro una macchina ferma al semaforo.
-Che bello!- ressi il gioco- E che libro
era?
-Non lo so- e si fermò di nuovo. Quando proseguì, la voce
tremava, quasi piangeva. -Non l'ho ancora scritto.
Mi si gelò il sangue
nelle vene. Oh Dio no, di nuovo no!
-Cos'è che hai detto , Nora?- speravo
di aver capito male come se lei avesse detto un'altra cosa, qualsiasi cosa che
si assomigliasse a ciò che avevo sentito. Lei in silenzio, io la sentivo
respirare.
-Nora?
-Non sto bene, caro. Lo so che non stò bene.- disse
lei, calma, molto calma, senza nessuna tristezza.
-Nora, dove sei?
-A casa,
non te l'ho già detto?
-Si, lo so, ma a casa dove? In salotto?
-Si,
in salotto, te l'ho già detto. In mezzo alla stanza.
-Nora, non uscire
assolutamente da lì, sto arrivando. Fa ciò che ti dico, per favore.
-scandivo
ogni sillaba come se volessi che lei memorizzasse il procedimento. -Sono già
lì.
-Un bacio, amico mio. -e lei mi lascio in compagnia del segnale
di occupato. Freddo. E pulsante.
Nel tragitto fino a casa di Nora, in taxi,
urlai all'autista che andasse più veloce, i ricordi di Nora dietro le sbarre
e corridoi catene sirene grida che rimbombano tra le pareti di cemento, lei che
era trascurata un'altra volta, buttata in terra, il tonfo di un sacco di carne,
Nora, sbattuta sul pavimento, il dolore e l'abbandono che le avevano strappato
via la luce dagli occhi, il bianco della pelle, la testa rasata al posto delle
dita fra i capelli lunghi, scesi dal taxi e feci due ultimi isolati correndo tra
macchine e marciapiedi affollati scontrando inciampando, le urla nella cella,
alti ululati, perché noi sentissimo la donna coperto di bruciature e cicatrice
che incontrai nel cortile in una giornata di sole, unghie spezzate dal graffiare
pavimenti e pareti, le nocchie coperte di croste, un odore acre quanto il mio,
il sorriso pieno di lacrime che lasciò vedere che le mancava un dente,
salii le scale e il terrore che sentii nel vedere la porta dell'appartamento aperta
per metà, due dita di porta aperta, fessura per dove è entrata la
mia paura, e da dove era uscito l'amor-proprio di Nora.
La trovai in bagno,
caduta, la testa a lato della tazza, tutto intorno sporco di un vomito rosastro
che puzzava di macelleria e varichina. Una bottiglia bianca per terra. Al sole,
sul davanzale della finestra, la lattina di soda caustica aperta, un cucchiaio
infilato nella polvere bianca. Morbida tiepida, quasi bella. Morta.
Andai
in salotto. Attraversai il fascio di luce che entrava dalla finestra e proiettava
il giallo mostarda del tappeto in tutta la stanza. Mi sedetti sulla poltrona,
quella poltrona dove le avevo detto di sedersi e aspettarmi, quella poltrona di
velluto color vinaccia, quella poltrona che lei mi disse un giorno, in cella,
che avrebbe dato di tutto per poterci stare seduta dieci minuti. Avrebbe dato
tutto per posare la faccia su quella sorta di tappetino che aveva messo dove appoggiava
la testa. Avrebbe dato tutto per quei dieci minuti in poltrona.
Presi il telefono,
ancora profumato della sua ultima chiamata, e chiamai la polizia, sentendo il
buon odore. Posai la testa sul tappetino, guardai il soffitto, chiusi gli occhi,
e finii di leggere l'ultimo libro di Nora, mentre ascoltavo le sirene che si avvicinavano.
Traduzione
di Julio Monteiro Monteiro Martins, insieme ai suoi allievi dell'Università
di Pisa:
Silvia Mencarelli, Simona Bruno, Claudia Sgadò, Laura Marletti,
Maria Teresa Marè, Nunzia De Palma, Viola Fiorentino e Sara Bresciani.