TRE POESIE
Arnold
de Vos
FOIAIl
corpo m'insegna la mia alienazione, no so dove metterlo tra me e te anime
che si fondono e volano nella foga della fusione: il corpo sembra disabile
in questo frangente come il tuo dopo l'amore, non si piega e non si placa nella
carrozzella ballonzante dei pantaloni mentre l'anima, diversamente abile lo
spinge nuovamente a me. AVRÒ
69 ANNI Avrò
69 anni e questo corpo che ricorda i tuoi 24 a tutte le ore al di là
delle quali ogni ora cessa. L'ho preparato a portarti con sé, memoria
senza più corpo di un corpo smemorato: splendido dimenticatoio, non
farti visitare dalla mia memoria. Dimentica gli svestimenti, e i rigurgiti dell'ingordigia
d'averti dentro me. IL
RAGAZZO PIÙ BELLO DEL MONDO Reggi
le fila della tua storia come se fosse un ordito da intessere con soli buchi:
marinare la scuola, fare il giro del paese in macchina senza patente. Ma
per questo ci vorrebbe un coraggio che non hai. Hai dalla tua d'essere il
ragazzo più bello del mondo, impreziosito da un vestiario sobrio su
un corpo di eleganza sorprendente. Prendere tra le mie le tue mani, sembra
reggere una teca di cristallo. La luce nella camera si dà una ravviata quando
entri e ti siedi sul letto lesinando sulle parole, ogni gesto diffidenza
verso la figura che hai davanti. I miei occhi si sono affilati alle tue asprezze. Mi
sono sentito uno scalatore del K2 aggrappandomi al tuo corpo, mostrato come
se fosse un ghiacciaio ma con un ghigno. Il ghigno mi ha dato il coraggio di
scalare quella montagna piumata di aigrette intorno all'alta fronte. Che
non si degnava di notare i miei exploit nella regione delle gambe senza
provocare alcuna reazione, fuorché l'erezione. La natura si è
burlata del mio corpo da uomo, per l'occasione. Ridisceso a valle sono un altro, quello
che ti dà del lestofante per sopperire a un'esigenza della gelosia della
tua bellezza di migrante.
La
Postfazione di Vertigo.
77 poesie per Ahmed Safeer : Scrivere
in italiano è per Arnold de Vos - poeta olandese, in Italia da anni - farsi
straniero, saggiare sino in fondo l'ambiguità dell'accoglienza: parola
e gesto oggi estenuati, che nel punto della loro massima torsione divengono esposizione
al conflitto, invito al viaggio e, inevitabilmente, strada dell'erranza. Non potrebbe
essere diversamente. Per questo la sua avventura – la sua via dei canti
– appare più rischiosa, difficile e al tempo stesso seducente. Dietro
di sé, de Vos ha lasciato la terra dei padri, la casa, la memoria, consapevole
che anche se solo per un breve istante cedesse alla nostalgia resterebbe irretito
dall'antico gesto identitario incapace di ascoltare l'altro. I suoi addii non
lasciano tracce. La sua memoria non smette ri-cor-dare, interrogare, dire l'assenza.
Vertigo.
77 poesie per Ahmed Safeer è la sua ultima raccolta. I testi
sono stati scelti da Mia Lecomte, poeta a sua volta, alla quale Arnold de Vos
dedica la poesia Ex-voto , inclusa nella prima sezione dell'opera: Dal
davanzale/ la luce perlustra la stanza/ vuota di te. È la mia cornice giornaliera:/
luce del desiderio da una fonte fuori campo/ su una figura che non c'è:/
l'ho davanti ma non è una presenza./ La religione della persona/ fa sopportabile
la convivenza con le cose,/ rimandi a una schiera di mani/ che hanno maneggiato
anche me. Vivere
il complesso rapporto con sé stessi nell'altro sembra essere il senso di
questa poesia. Lo stare insieme percepito come separazione, un av-venire
che non attende, un infinito che si nutre di una figura assente e, allo stesso
tempo, presente nei pensieri quotidiani come “cornice giornaliera”. Ancor
prima delle sue poesie, Arnold de Vos accoglie il lettore in quello che può
essere considerato il preludio di una partitura musicale. Un sottile
paradosso quello del poeta che, abituato a curare e a scegliere le parole, si
rivolge alla più meravigliosa e asemantica delle arti: la musica. Ne è
segno l'immagine del fauno che, insoddisfatto della musica di Debussy, invoca
la luce per intravedere miraggi. Lui,
uomo del nord, si apre alla contaminazione con le atmosfere mediterranee: qui,
dove la luce inonda il corpo e fa svanire ogni possibile distinzione tra io, tu,
mente, corpo, mondo; qui, dove il tempo è sospeso e ogni ordinata successione
si interrompe, mentre la natura manifesta la potenza della quale è capace;
qui, dove il corpo si separa dalla sua ombra, ma solo per compiervi un ritorno
necessario. Questo perché, scrive de Vos nella sua Mystica naturalis
, “Sole e ombra cantano/ […], sole che giri/ e rigiri il mio corpo/ umbratile
di navata innamorata […]”. La
sua poetica rompe il patto mimetico in cui la narrazione corrisponde al segno
o alla figura. Il poeta non conduce più, ma si affida a un'arte che lo
spinge al limite del nulla. Guarda il nulla da un ponte sospeso sul vuoto e sa
che quel ponte, proprio come in Kafka, è intransitabile. Sì, perché
se soggiacesse alla pretesa – che è la pretesa di conoscere – ogni significato
della realtà diverrebbe ancora più sfuggente. Nella
poesia Trasfigurazione annota: Il
diritto di sapere/ mi ha spinto da sempre/ a provare tutto. Approvare un po' meno,/
godere ancor meno. Con gli anni/ la lingua ci prova con l'indicibile […]. Se
in passato si è messo in atto il tentativo di fondare una parola che fosse
segno ed evidenza (si pensi al surrealismo), Arnold de Vos accetta, invece, questo
vuoto e senza pretendere di colmarlo. Il suo sforzo di comunicare il proprio senso
al mondo è un gesto estremo che lo conduce in una terra di nessuno, in
quello spazio-limite che è luogo di caduta in cui la poesia può
mostrarsi. Scrive
de Vos ne Il mio verso è nudo : Il
mio verso è nudo, non riesco a vestirlo:/ lo voglio succinto sulla pagina/
saltellando su immaginarie note./ Il mio verso non mi spiega niente,/ non fa parte
neanche della mia vita./ Se ho vissuto è nel mio verso, nei rari momenti/
in cui mi ha preso per buono […]. Nel
verso “saltellando su immaginarie note” ritorna la musica. Allora, l'immaginazione,
potente e luminosa, vince la forza catturante dell'oblio, mentre il linguaggio
poetico diviene mistero estatico del mondo. Mistero che non pretende di spiegare
nulla. Per Jankélévitch “La musica non significa niente - ma l'uomo
che canta è il luogo di incontro dei significati”. Arnold
de Vos canta nella casa antica del linguaggio. Qui le cose mute possono
parlare, i misteri rivelarsi, il disagio calato sulle parole redimersi. Miriadi
di frammenti, all'apparenza incomponibili – ricordi e dimenticanze, sogno e realtà,
emozioni e percezioni – pazientemente, cercano di colmare la distanza tra parola
e silenzio. Ne Il poeta è un trovatore , dove in trasparenza ci
sembra cogliere il grande lusitano Fernando Pessoa, egli scrive: Il
poeta è un trovatore: assembla scarti semantici/ imbevuti della pozione
della sua voce,/ aromatizzata con decotti di parole riesumate./ Officia sul cimitero
delle lingue/ scomodando lastre con epigrafi/ in cerca di etimi nascosti. Il poeta
è un vandalo/ che assimila quel che distrugge/ sulla fuga in avanti dagli
unni delle proprie ugge. Nel
tempo dell'origine, riemergono parole dimenticate o condannate, che finalmente
sembrano poter dire, mentre ogni cosa si ri-vela. La scrittura è una scoperta
che accade quasi per caso, e isolare l'istante in cui le parole e i pensieri si
allontanano da noi, per impossessarsi della pagina bianca, è un'operazione
complessa. Eppure, il poeta ha visto qualcosa in un varco schiuso. Una terra di
mezzo dove cogliere l'intervallo tra la genesi e il compimento della forma. Il
poeta è, dunque, un trovatore, anche nel significato dell'antico provenzale
trobar : è colui che inventa, compone. Scrivere
è una nuova narrazione compiuta da chi non smette mai di interrogarsi.
Se, inoltre, identità e alterità vengono accolte nella parola poetica,
essa non conosce interruzioni, riposo, quiete. Allora, la scrittura traduce il
dolore per il passato, la sua durata, luci e ombre, i pensieri che si vogliono
liberi. Scrive
de Vos in Paure, assilli e misteri : Paure,
assilli e misteri/ macchiano d'inchiostro il foglio,/ ma lucidano la scrittura:/
magica, liberatoria, non dà tregua/ all'autore alla catena/ che cerca di
manomettere gli anelli/ per allargare la libertà di manovra,/ ma non desidera
liberarsene./ È il suo legame con il reale/ che gli consente di avvistare
l'irreale,/ tenuto alla contemplazione a distanza/ anche del proprio intimo. Si
compie un atto deliberativo grazie alla parola che ottenebra un luogo conquistato
solo per rischiarare ciò che va fondando. E se si muove in zone limite,
quasi in prossimità dello zero come direbbe Hölderlin, è semplicemente
per far spazio all'oltranza, per permettere alla poesia di mostrarsi, senza accantonare
mai paure, assilli e misteri . Ora
se Arnold de Vos presta attenzione alla parola, non di meno rivolge il suo sguardo
all'esperienza del corpo, intesa come presa di coscienza che ci sottende e, al
contempo ci costituisce. Proviamo
a stabilire un nuovo percorso di lettura, che ha il corpo come chiave di volta,
partendo da una delle ultime poesie, Il mantice , contenuta nella V a
e conclusiva sezione della raccolta dal titolo Post Scriptum : O
luce spoglia, sospendi la veste/ sull'erezione in fuga dalla mia notte/ che dirada
il sogno: il suo pulsare/ è musica, ninna nanna per la parola/ desta dal
simulacro del tuo corpo. La
lingua profonda del sogno si apre alla trepidazione del sentire umano; il suo
pulsare diventa musica, mentre un ordine ri-umanizzato, attraverso il corpo, prova
a scongiurare l'abisso di un inconscio assoluto. Ma più dell'inconscio,
può la coscienza incarnata che consente di essere-al-mondo , pronta
a realizzarsi nel suo ritmo esistenziale, in estasi dove vivono frammenti di tempo
appartenenti a una individualità irripetibile ed irriducibile. Il
corpo, per Arnold de Vos, si pone non solo come strumento, ma come luogo dell'incontro
con l'altro e con sé stesso. Il corpo è relazione, viaggio, vista
sull'anima: Viaggio,
volo e cavalco/ nelle strette di una stanza tomba/ e del cervello che me lo consente./
Ti stendi accanto a me: viaggio volo e cavalco/ per gli spazi del tuo corpo/ con
vista sull'anima/ che, quando decolla, viaggia e cavalca/ col mio corpo a tracolla/
lì lì per dare l'anima ( Sabba ). Scoprire
il corpo e dargli voce consente di parlare a tutti i sensi, e permette all'arte
una immersione sinestetica dove i mezzi espressivi si manifestano attraverso tutte
le variabili delle quali sono capaci. Scoprire il proprio corpo tramite l'altro,
che lo fa vivere nelle profondità più sconosciute ed inesplorate
della carne, è sapere che il compimento del desiderio è, a volte,
anche la sua sconfitta: Il
corpo m'insegna la mia alienazione,/ non so dove metterlo tra me e te/ anime che
si fondono e volano nella foga della fusione:/ il corpo sembra disabile in questo
frangente/ come il tuo dopo l'amore, non si piega e non si placa/ nella carrozzella
ballonzante dei pantaloni/ mentre l'anima, diversamente abile/ lo spinge nuovamente
a me. Ma
se il corpo, attraverso la superficie che lo delimita, è apertura verso
l'esterno, in questa poesia si alimenta di desiderio anche mediante quell'interno
che racchiude l'anima. Arnold
de Vos ha un modo corporeo di definire la propria presenza al mondo. Guarda, comunica,
si approssima. Allora, il corpo si dissolve, come in un prisma, in una serie di
rimandi di grande sensualità. Il corpo amato diviene totalmente altro,
mentre una vera e propria Trasfigurazione si compie nella contemplazione
dell'uomo innamorato. Come nella poesia Shaduf : Aiuti
il sole a sorgere/ sopra il tuo corpo mesmerizzato: con l'una mano/ lo titilli,
nell'altra versa luce./ Bevono da questa ciotola/ le mie ore di allucinata contemplazione.
Eppure,
come pensava Merlau-Ponty, la vita sessuale non è solo natura: è
anche storia. Storia dell'incontro che si compie nel manifestarsi delle sue pretese,
delle sue rinunce, dei suoi bisogni e delle sue fantasie. Questa storia sessuale
non viene rimossa, ma narrata fino a fornirci il mezzo attraverso il quale comprendere
la vita, il modo di essere-al-mondo , le diverse aperture e chiusure,
la creatività e il pensiero. La
relazione tra il corpo del poeta e il mondo non è casuale: è il
suo tra-scorrere attraverso una vicenda diacronica: Avrò
69 anni/ e questo corpo che ricorda/ i tuoi 24 a tutte le ore al di là
delle quali/ ogni ora cessa. L'ho preparato a portarti con sé,/ memoria
senza più corpo di un corpo smemorato:/ splendido dimenticatoio, non farti
visitare dalla mia memoria./ Dimentica gli svestimenti, e i rigurgiti/ dell'ingordigia
d'averti dentro me. In
questa modulazione esteriore del corpo, esso non è una semplice presenza,
ma memoria capace di andare oltre la finitezza della carne. La
poesia di Arnold de Vos persegue un conoscere ostinato e impietoso. È simile
a una condanna senza fine che pone interrogazione a interrogazione, che insegue
il multiversum della parola, che percorre terreni accidentati, irriducibili
a ogni abitudine cognitiva ed esistenziale. La sua parola poetica si muove nell'alba
di una nuova coscienza, dove però la luce non vince le tenebre: ne continua
il cammino. Tranne in un caso: […]
L'amore ha bisogno di conferme/ per non ammutinarsi, mutilarsi./ Clandestino dell'amore/
nomade, salto le frontiere/ senza visto per il paese di nessuno/ che è
l'amore di tutti riportato a Uno. Perché
l'amore non vive di emergenze. Nemmeno quelle colte negli spazi più profondi.
Pierangela
Di Lucchio
(Tre
poesie tratte dal nuovo libro di Arnold de Vos, Vertigo. 77 poesie per Ahmed
Safeer, Edizioni del Leone, 2006)
Arnold de Vos, olandese, di professione archeologo, vive a Trento. Finalista
e vincitore di numerosi concorsi di poesia, fra le pubblicazioni si ricordano:
Poesie del deficit (Egidam ed.1980, Premio Piccolo Strega 1979, Premio
Taormina 1980), Il portico (Gazebo ed. 1985, poi in Gazebo. Scrittori e
scritture di fine '900, a cura di M.Bettarini e G.Maleti, Mediateca ed.1999),
Responso (a.c.del Premio "Sikania", 1990), Paradiso e destino o La perla
insonne delle pudende (Sciascia ed. 2000), Merore o Un amore senza impiego
(Cosmo Iannone, Irpinia 2005) e Vertigo. 77 poesie per Ahmed Safeer (Edizioni
del Leone, 2006).
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