Jes
Petersen Emile
Szittya
Nel gennaio e febbraio
del 1962, mentre io e Franz Jung abitavamo per breve tempo all'hotel Dragon di
Parigi, la guerra di liberazione algerina raggiungeva il suo culmine. Sotto la
superficie la guerra civile infuriava anche a Parigi. Sui muri delle case campeggiavano
le scritte "O.A.S" e "O.A.S.=SS". Manifestazioni continue,
tutte le notti l'O.A.S lanciava delle bombe, soprattutto nel nostro quartiere.
L'O.A.S era un movimento di estrema destra che per finanziare la lotta contro
la resistenza algerina ricattava mensilmente i negozianti, in apparanza soprattutto
quelli del nostro quartiere, nello stile dei gangster di Chicago. Altre bombe
esplodevano presso edifici e istituzioni ascrivibili alla sinistra. La polizia
non identificò mai neppure un attentatore, anzi, con ogni probabilità
ne sviava pure le tracce. In compenso per le strade circolavano molto decorativamente
autopattuglie armate di mitragliatrici. Una notte esplose una bomba accanto
al nostro albergo. Quando sarebbe arrivato il turno del nostro buio e pidocchioso
tugurio? In verità non avremmo avuto motivo di preoccuparci, perché
il nostro albergatore era il capo della sezione locale dell'O.A.S, come ci rivelò
Emile Szittya. A circa duecento metri dal nostro albergo si trovava il ristorante
"Les Deux Magots", dove si riunivano quotidianamente molti personaggi
di rango dell'epoca: Sartre, Ionesco, ogni tanto Picasso. Pittori, scrittori,
editori, galleristi. I piú celebri avevano una corte fissa e inaccessibile
durante i loro té mattinieri o pomeridiani. Gli avventori abituali passavano
con noncuranza da un tavolo all'altro, da un circolo all'altro. La maggior parte
dei pomeriggi anche Emile Szittya vi teneva banco, come scrittore e pittore per
tutta la vita privo del benché minimo successo, ma come ispiratore, iniziatore
e amico delle persone piú insolite un'istituzione. Sempre informato di
tutto, venne ben presto a sapere che il nostro albergatore era il capo dell'O.A.S.
di Saint-Germaine, per cui ci trovavamo proprio nell'occhio del ciclone, nessuna
bomba sarebbe mai esplosa nei pressi del nostro albergo. Avrei potuto prenderla
ben piú larga per cominciare a parlare di Szittya, ma questa introduzione
è come uno stagno di città in confronto all'oceano Szittya: quando
iniziava a parlare non importava di cosa nel cenacolo riunito al suo tavolo, avevi
l'impressione che si trasformasse in una macchina parlante e pensante. Tuonava
e fulminava delle piú incredibili associazioni e rimembranze. Blaterava?
Macché! Dopo breve tempo le sue storie diventavano chiare e avvolgenti
come quelle di antichi narratori epici. Gente che già allora pendeva nei
musei come un classico dell'arte moderna lo apprezzava anche se non aveva successo.
Figurarsi quindi quella manica di stravaganti che sedeva al suo tavolo. Io
e Jung passavamo quasi ogni pomeriggio alla sua corte. Astrologi, anarchici in
pensione, un pittore che durante il nazismo era stato professore a Istanbul; Graumann,
un pittore svizzero i cui quadri non erano niente di eccezionale, ma che era riuscito
nell'impresa di sposare quattro capitane d'industria ricche sfondate e a sopravvivere
a tutte, una dopo l'altra. Insieme facemmo anche un viaggio nel nord in Cadillac,
il quale fu tuttavia molto faticoso, tutto il tempo dovevo cercare giovani spose
per il vecchio satiro. In verità niente di anomalo per uno svizzero che
oltrepassa i confini del proprio paese, ma al tavolo di Szittya era un uomo di
grande cultura e un amico di lunga data. Szittya fu per tutta la vita al limite
della povertà piú assoluta. Non è mai stato uno scroccone
ma gente come quello svizzero, che faceva sporadicamente capolino al tavolo, era
anche un pungolo finanziario per tutta la compagnia. Pure noi ne abbiamo approfittato. Grazie
ai suoi milioni, lo svizzero avrebbe anche potuto favorire la carriera di Szittya
con una spesa ai suoi occhi insignificante, ma siccome era pittore anche lui,
e ugualmente senza successo nonostante la grana, era psicologicamente incapace
di promuovere il riconoscimento dei colleghi. In simile compagnia trascorrevamo
quasi ogni pomeriggio al "Deux Magots". Nel 1962 ero già da sei
mesi buoni editore "one man", e pronto a tutto. Szittya aveva scritto
dei brevi ritratti di persone famose o molto curiose che avrei voluto pubblicare.
Inoltre continuavo a coltivare il progetto di fondare, accanto alla casa editrice,
una galleria d'arte. Anche per questo morivo dalla voglia di vedere i suoi quadri.
Nel vasto e labirintico circolo del Magots i suoi quadri godevano di un'ottima
fama, ma io avrei avuto voglia di vederli anche cosí, perché Szittya
mi affascinava come scrittore. Un pomeriggio perciò mi recai con Franz
Jung nel suo atelier. Sono passati 32 anni e restammo nel suo atelier per non
piú di mezz'ora, ma i suoi quadri ebbero l'effetto di una bomba che spazzò
via il giardino delle mie preferenze personali e delle contradditorie avanguardie
di quel tempo. Tachisti, Zero, pochi post-surrealisti, artisti sopravvissuti del
Bauhaus, del Realismo Magico e del Dada. Nella mia passione per le piú
disparate correnti non ero un gaudente acritico, un asino senza carattere del
tipo "mi piace tutto". Ma ero giovane e senza galleria e riuscivo ad
amare gli artisti piú disparati, Piero Manzoni, Twombly, Sonnenstern, Addi
Koepke, Hannah Höch, Brüning, Erich Buchholz, Otto Nebel, il Fluxus,
ma anche i primi quadri di Hundertwasser e le grafiche di Horst Janssen - l'entusiasmo
non vincolante di un appassionato d'arte. Anche i collezionisti di quell'epoa
erano ancora liberi e vitali. Ma sapevo che se fossi riuscito ad aprire una galleria,
ciò avrebbe comportato inevitabilmente un automatismo, un restringimento
del gusto.
Ero
giovane e entusiasmabile per ogni stile e scuola, e ciononostante, quanta merda
non c'era nelle gallerie e negli atelier! I dipinti di Szittya non appartenvano
a nessuna scuola. In quasi tutti, una massa di persone che riempiva il quadro,
sullo sfondo paesaggi astratti. Una miscela di espressionismo, un cubismo molto
personale ed elementi di art naïf. Ma soprattutto colori sgargianti e luminosi.
Solo quei colori ti ubriacavano di felicità. Per Szittya i raggruppamenti
di persone e i titoli che precedevano la composizione del quadro erano certamente
importanti: "Visione Van Gogh davanti ad Arles", "Appeso in croce",
"Pastorale", "Ridda", "La città gotica scossa",
"Paesaggio lunare". Di quel pomeriggio, l'unico ricordo che possiedo
è una mezza dozzina di foto di piccolo formato accanto al manoscritto.
A quel tempo non riuscii ad aprire una galleria. In ogni caso su a nord, al confine
danese, nessuno avrebbe preso in considerazione le mostre. Neppure una critica
di giornale. Due anni dopo, trasferitomi a Berlino - maledette vacche magre,
neppure la grana per pubblicare nuovi libri - tentai di convincere tutti i galleristi
e allestitori che incontravo a organizzare una mostra di Szittya. La galleria
Nierendorf aveva cominciato a riproporre artisti relativamente dimenticati come
Hannah Höch e Otto Nabel. Ma chi è Emile Szittya? Solo pochi conoscevano
il suo "Gabinetto delle curiosità", perlopiú dagli antiquari.
Era gente dell'ambiente letterario. Ma i suoi dipinti. Solo due o tre mostre.
Niente di attuale. Molto piú tragico non essere accolto nel consorzio
artistico parigino. Piú o meno attraverso la gente del Magots con tutti
(fine del
manoscritto) Da
un frammento di manoscritto e un fax del 1.11.1994 (15:32 e 15:41-15:44) dal lascito
di Jes Petersen, trascritto con lievi correzioni e aggiunte da Andreas Hansen
Traduzione di Antonello Piana. Tratto da "Floppy Myriapoda", nr.3, www.subkommando.pappelschnee.de/
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