Un
modo per custodire la vita
- I sei anni della rivista Sagarana -
"La civiltà del romanzo", così Milan Kundera ha definito
l'Occidente in uno dei suoi discorsi. Quello che lui chiama "il romanzo",
in questo caso, sarebbe qualcosa di più di un semplice genere narrativo.
Questo termine avrebbe la valenza di una sintesi, di una prospettiva particolare
sulla realtà, di una "visione di mondo" nella quale l'uomo è
inserito con inedita ampiezza e generosità, insieme ai suoi vizi, alle
sue virtù - che a volte, indistinguibili l'uno dell'altra, si completano
- e al senso costante del dubbio, al paradosso e all'ambiguità, al gioco
misterioso tra il caso e il destino, al desiderio dello sviluppo - che ospita
in sé la consapevolezza della continuità dell'essenziale -, ma soprattutto
a un'indomabile curiosità che riguarda tutto e tutti e che di per sé
rende impraticabile il dogma e i fondamentalismi. Una curiosità così
carica di entusiasmo che ci fa spesso avvicinare pericolosamente al bordo fumante
del cratere. Questa sì che è la vera forza della nostra civiltà,
una strana forza che si maschera di debolezza, e che ovviamente non potrà
mai essere imposta con le armi o sostenuta a colpi di cannone, ma che deve essere
libera per esercitare tutto il fascino del suo grande racconto demistificante.
Il vero Occidente, quello migliore, non conquista ma contamina. Ed è
proprio la letteratura - che ha nei film d'essai un suo "genere" oggi
assai diffuso - lo strumento per eccellenza di questa possibilità di contaminazione.
I racconti, i romanzi, le poesie e i testi teatrali portano con sé sempre
e comunque un elemento soggettivo di "angoscia liberatoria" che fa sì
che lo spirito del lettore si trasformi nel tempo in qualcos'altro, magari senza
che se ne accorga. In effetti, nessuno rimane lo stesso dopo essere stato toccato
dall'arte letteraria di alto livello, perché l'elemento che cambia sostanza
è la materia stessa che costituisce lo spirito, a prescindere dalle sue
esternazioni. Come l'uranio che si trasforma in piombo nei secoli, il carbone
in diamante o la sabbia in marmo, il lettore impregnato da queste nuove forme
di sensibilità - con la propria storia messa a confronto con le storie
dei personaggi, con le loro tragedie, sempre diverse e in fondo sempre uguali
- subisce continue fratture, assestamenti e rimescolamenti che lo trasformeranno
alla fine in un essere diverso da prima, coerente nella sua estrema frammentazione.
In un occidentale, appunto. La scelta della strategia delle armi negli ultimi
anni, invece, è non solo incivile ma anche stupida e controproducente.
Presenta come unica faccia visibile dell'Occidente proprio quello che l'Occidente
non è, e non vuole essere: la negazione delle sfumature e l'appiattimento
della ragione. La complessità sostituita dalla "semplicità"
delle esplosioni, dall'annichilimento del diverso, dalla sua esclusione forzata
dall'universo del nostro pensiero. In questo modo, offrendo morte quando dovrebbe
offrire letteratura, l'Occidente commette un suicidio senza onore. Forse siamo
ancora in tempo per evitarlo? Spero che la mia generazione e quella di mio figlio
non diventino i testimoni impotenti del crollo del mondo inaugurato da Cervantes
e amato da Balzac, da Tolstoj, da Tanizaki e da Márquez, il mondo del romanzo
occidentale. Sarebbe di una tristezza infinita immaginarlo morente, a versare
il suo sangue sulla sabbia di un deserto ignoto, per uno sbaglio, per non aver
capito in tempo e con chiarezza la propria natura. La rivista Sagarana, che
con questa edizione arriva al suo sesto anno di esistenza, cerca ogni volta nelle
sue possibilità di invertire l'equazione suicida e di offrire letteratura
al posto di morte. Nelle prossime settimane qualche migliaia di lettori si immergerà
in questi testi e in queste immagini selezionate dalla nostra redazione. Sarà
solo una goccia versata in un mare di violenza e di rovinosa superficialità,
ma sono gocce che, se guardate da vicino, racchiudono in sé la vita e la
custodiscono. Ne abbiamo più che mai bisogno. In fondo sappiamo che
il deserto sterile non potrà avere la meglio finché "gocce
di vita" come queste saranno create e sostenute. Buona lettura.
Lucca,
15 Ottobre 2006 Julio Monteiro Martins
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