Sulla
carta d'identità Così
come qualsiasi altra categoria i traduttori letterari dovrebbero avere un loro
sindacato che ne garantisca i diritti. La stessa cosa, dice Massimo Soumaré su
Libri Nuovi, dovrebbe essere fatta per gli scrittori, altro gruppo non
certo facilitato nel contatto con gli editori. "Ricordo ancora come un autore
che ha pubblicato anche per Einaudi abbia raccontato ironicamente di essere impegnato
in una 'dura' lotta contro i funzionari statali nel tentativo di farsi scrivere
sulla carta d'identità 'scrittore' alla voce 'professione'... Mentre il traduttore
è almeno legalmente riconosciuto come professionista, gli scrittori non sono neppure
contemplati dal nostro codice giuridico del lavoro."
L'intuizione dei graffitisti
L'antropologo
francese Marc Augé, in una sua recente relazione sui non-luoghi, le rovine e la
scrittura: "Assistiamo oggi a un appiattimento del tempo e a una sovversione dello
spazio che investono la materia prima del viaggio e della scrittura. Si è detto
che l'età moderna ha comportato la scomparsa dei miti d'origine, e il XX secolo
quella delle ideologie dell'avvenire. Le tecnologie della comunicazione pretendono
di abolire ogni distinzione, di ingannare gli ostacoli del tempo e dello spazio,
di dissolvere le oscurità del linguaggio, il mistero delle parole, le difficoltà
delle relazioni, le incertezze dell'identità o le esitazioni del pensiero. Le
evidenze dell'immagine, ritrasmesse da schermi molteplici, hanno forza di legge
e instaurano la tirannia del presente. Le immagini vengono prima, sono spesso
rincorse dal turista e spesso anche da chi scrive. Da questo punto di vista è
emblematico il rovesciamento per cui oggi i romanzi sono scritti (rapidamente)
a partire dalla sinossi di film, una scrittura che fa eco a immagini che essa
non deve più far nascere e che si accontenta di ripetere, una scrittura plagio,
una scrittura sotto-titolo, una scrittura pleonasmo. Il rinvio di sé agli altri
e degli altri a sé, che idealmente racchiude la definizione sia del viaggio che
della scrittura, è oggi minacciato dall'illusione di sapere tutto, d'aver visto
tutto e, soprattutto, di non avere più nulla da scoprire - minacciato dal regno
dell'evidenza e dalla tirannia del presente. Eppure, anche se ne prendiamo coscienza
solo in modo effimero e intuitivo, ci sono, nel mondo che ci circonda e in ognuno
di noi, delle zone che resistono all'evidenza. Lo scopo del viaggio, lo scopo
della ricerca letteraria, dovrebbe essere (e talvolta è), l'esplorazione di queste
zone di resistenza. Esse esistono in noi stessi e fuori di noi, e non è escluso
che tra questo interno e questo esterno esistano passaggi che bisognerebbe far
emergere. Una delle conseguenze paradossali dell'attuale rovesciamento dello spazio
è il bisogno di scrittura come forma di resistenza. Gli spazi nuovi hanno bisogno
di essere scritti per ridiventare dei paesaggi. Forse è ciò che, a loro modo,
intuiscono i graffitisti delle nostre città."
Il
profilo e le labbra In
Visita a Cuba: Reportage sulla rivoluzione cubana e sull'incontro con Che Guevara,
Jean-Paul Sartre ha fatto questi appunti su Fidel Castro: "Guardavo con disagio
questo gigante imbronciato che non mi guardava. Indossava l'uniforme ribelle in
tutta la sua simplicità: camicia e pantaloni color cachi e sotto al ginocchio
degli stivali neri. Tutti gli indumenti sembravano essere molto puliti ma consumati.
Era a capo scoperto, vedevo l'abbondanza disordinata della sua capigliatura castana;
barba e baffi erano meno lussureggianti e, comunque, lo cambiavano appena; sembravano
stare sul suo viso per caso e per un solo motivo: dare alla rivoluzione un simbolo.
In una fotografia che un giorno ho visto, giovane e senza barba, è lo stesso uomo.
Ciò che mi permetterebbe di riconoscerlo tra tutti è quel suo profilo obliquo,
quel naso lungo che si ritrae sotto la prominente sporgenza della fronte, le mascelle
larghe e piatte, le sue grandi e rosse labbra, continuamente arricciate dalla
riflessione, dall'irritazione, dall'amarezza, qualche volta distese da un sorriso;
le ho viste tragiche o irritate, ma sensuali mai. Tranne forse quando si chiudono
come un pugno attorno a un lungo sigaro, in generale spento."
Protetti
Manifesto trovato da Frei Betto su una via dell'Avana: "Questa notte 200 milioni
di bambini dormiranno sulle strade nel mondo. Nessuno di loro è cubano."
Lo splendore della felicità Albert
Camus: "Quando si è visto una volta sola lo splendore della felicità sul viso
di una persona che si ama, si sa che per l'uomo non ci può essere altra vocazione
che suscitare questa luce sui visi che lo circondano... e ci si strazia al pensiero
dell'infelicità e della notte che gettiamo, per il solo fatto di vivere, nei cuori
che incontriamo."
Alle quattro del mattino Susan
Sontag, nei suoi Diari che verranno alla luce in versione integrale a partire
del 2008: Nel 1959 scriveva: "L'unico tipo di scrittore che potrei diventare è
quello che espone interamente se stesso... Scrivere è consegnarsi, giocarsi tutto.
Solo che fino ad oggi non mi è mai piaciuto il suono del mio proprio nome. Per
scrivere devo amare il mio nome. Lo scrittore è innamorato di se stesso... e crea
i suoi libri a partire da questo incontro e da questa violenza." E due anni più
tardi: "Un manoscritto appena scritto, dal momento che è concluso, comincia a
puzzare. È un cadavere - e dev'essere sepolto - imbalsamato, nella sua stampa.
Io corro all'agenzia postale per inviare il mio manoscritto nello stesso momento
in cui l'ho finito, anche se sono le quattro del mattino."
La persona e il suo nome Arthur
Asher Miller (1915-2005) era già un famoso drammaturgo statunitense, celebrato
per il suo La morte del commesso viaggiatore, quando è stato riconosciuto
da un collega dell'elementare che non lo vedeva da allora. Miller beveva un drink
al bancone del bar quando ha sentito l'altro che diceva "non ci posso credere,
sei tu!" Lo scrittore ha riconosciuto a sua volta il collega e si sono salutati.
"Cosa fai in questi, Miller?" Discreto e umile, lo scrittore ha risposto: "Faccio
qualche lavoretto saltuario, scrivo delle cose per il teatro." "Che vita, eh?
Mica facile... Ma vedrai, un giorno sarai famoso. Sei riuscito a fare allestire
qualcuna delle tue pièce?" La cosa funziona?" "Beh, sì. Una ai critici è piaciuta.
È stata una sorpresa anche per me. Si chiama La morte del commesso viaggiatore."
E l'amico, stupito: "Gesù Cristo, allora sei tu quello Arthur Miller!!"
Ricordo sportivo
Serge Latouche cita questo commento di George Bernanos, del 1946: "Quel che mi
fa precisamente disperare del futuro è che il massacro di varie migliaia di innocenti
sia un compito che un gentleman può assolvere senza sporcarsi le mani e
nemmeno l'immaginazione. Anche se nella sua vita avesse sventrato una sola donna
incinta, e questa donna fosse un'indiana, il compagno di Pizarro senza dubbio
la vedeva a volte riapparire sgradevolmente nei suoi sogni. Il gentleman
invece non ha visto, né sentito, né toccato alcunché, è la macchina che ha fatto
tutto: la coscienza del gentleman è pulita, la sua memoria si è soltanto
arricchita di qualche ricordo sportivo di cui farà omaggio alla donna della sua
vita o a quella con la quale tradisce la donna della sua vita".
Tra gli amici
Diceva Hannah Arendt: "La fama postuma è cosa troppo strana per essere imputata
alla cecità del mondo o alla corruzione dell'ambiente letterario. Altrettanto
poco si può dire che sia l'amara ricompensa di coloro che sono stati anticipatori
del proprio tempo - come se la storia fosse una pista su cui alcuni partecipanti
corressero così veloci da sparire semplicemente alla vista degli spettatori. Al
contrario, il più alto riconoscimento tra gli amici precede, di solito, la fama
postuma. Quando Kafka morì nel 1924, tra i suoi pochi libri pubblicati non erano
più di duecento quelli venduti, ma i suoi amici letterati e i pochi lettori che
quasi per caso avevano avuto tra le mani i brevi brani di prosa (non era stato
pubblicato ancora nessun romanzo) sapevano con certezza che egli era un maestro
della prosa moderna."
Gli inclassificabili Più
avanti, in un brano dello stesso saggio su Walter Benjamin, Hannah Arendt scrive:
"La fama postuma sembra quasi essere il destino delle persone che non possono
essere classificate, e cioè di coloro le cui opere non s'inseriscono nell'ordine
già esistente né introducono un nuovo genere proponibile per una futura classificazione.
Innumerevoli tentativi di scrivere 'à la Kafka' - tutti questi sfortunati tentativi
non riusciti - sono serviti solo a sottolineare la singolarità di Kafka, quella
assoluta originalità che non può essere rintracciata in nessun predecessore né
essere raggiunta dai successori."
Su persone uguali e diverse
Sartre si chiedeva: "Quando due persone hanno opinioni così diverse una dell'altra,
non dovrebbero nemmeno cercare di vedere un film insieme". Sullo stesso argomento,
la sua famosa compagna, Simone de Bouvoir, diceva: "Sorridere ugualmente agli
alleati e agli opponenti equivale a menomare l'impegno allo status di una mera
opinione e a ridurre tutti gli intellettuali, siano di destra o di sinistra, alla
stessa condizione di borghesi."
Un altro mondo, davvero?
Sarà
possibile "un altro mondo", una mondializzazione basata su valori umanistici e
positivi, come tanti augurano? Qualcuno crede proprio di no. Lo scienziato politico
Giorgio Galli per esempio ha risposto così: "L'attentato sulle Twin Towers ha
ucciso la 'buona' globalizzazione, stroncando, con la vita di migliaia di persone
di sessantatre etnie diverse, quel precario ma fantastico laboratorio di cosmopolitismo
che è Manhattan e che a Manhattan dà il suo particolare timbro di libertà. Adesso
il cosmopolitismo è sotto attacco su due fronti, quello del terrorismo e quello
della guerra infinita. Malgrado la crisi in cui siamo immersi, la speranza e la
forza per non archiviare quel modernissimo sogno kantiano dobbiamo cercarle e
possiamo trovarle, ancora una volta, solo nella politica. C'è un'altra cosa che
l'11 settembre ha distrutto per sempre, ed è l'illusione, su cui si è retta fin
qui la 'cattiva' globalizzazione, che bastino gli interessi del capitale e del
mercato a dare forma e ordine al mondo. Non è vero: in un mondo che mette la politica
al bando, la politica ritorna in forme selvagge."
La risposta
Una
brevissima favola moderna, raccontata da Bertold Brecht, la storia "dell'uomo
che aveva imparato a dire di no": Durante un periodo d'illegalità un agente era
arrivato alla casa di quest'uomo e ci si era sistemato in tutta comodità. Prima
d'addormentarsi nel letto non suo era solito chiedere di sfuggita all'ospite:
"Mi servirai?". Per tutta risposta l'uomo "gli rimboccava la coperta, scacciava
le mosche, vegliava suo sonno e... per sette anni gli obbedì. Fece tutto per lui,
ma da una cosa si guardò bene, cioè dal dire anche una sola parola". Dopo sette
anni l'agente morì: "l'uomo l'avvolse nella coperta consunta, lo trascinò fuori
di casa, lavò la camera, imbiancò le pareti, tirò un sospiro di sollievo, e finalmente
disse: No!".
Sophie
Per
chiudere le Dicas di questa edizione di anniversario della rivista, un
miniracconto brillante di Günter Grass, "Sophie", tratto dalla raccolta Il
club dei mancini: "Non porterò mai più questa bambina a un funerale. Ride
e trova tutto divertente. Già davanti alla cappella dell'ufficio funebre, dove
si radunano le persone in lutto, la lotta con la ridarella la faceva irrigidire
tutta. Mi accorgo che le corone e i necrofori la mettono a dura prova. Ma soltanto
la tomba aperta e la pala per le tre manciate di terra fanno crescere in lei una
risata che trabocca, anzi scoppia appena inizia il generale scambio di condoglianze.
Oggi, quando l'ancora giovane moglie di un amico di famiglia veniva accompagnata
al cimitero e l'amico non intendeva affatto vergognarsi della sua aperta disperazione,
sono state le risate a rovinargli le lacrime. Nemmeno quando le tappai la bocca
spalancata con della terra umida, fino a farla ammutolire, l'amico riuscì a piangere
e rimase indispettito."
Copertina.
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