Nel bosco
( - brano del saggio E' Oriente - )
Paolo Rumiz
"Perché non scende con me a Kalinyvka?" chiede Dimitri, dopo avermi raccontato a lungo della sua dacia in collina, in mezzo al bosco. Avrà cinquant'anni, ed emana una calma non comune. Sorride, fuori c'è un sole freddo, le betulle disegnano ombre parallele come denti di un pettine. Accetto.
Traversiamo una foresta di binari, poi un bus anni quaranta ci porta a Torbiv, un paese a dieci chilometri, verso est. Poi ancora a piedi, nel bosco, per venti minuti, fino a una casetta bianca e azzurra annunciata da lontano dall'abbaiare di un cane. Non riesco a evitare che la moglie di Dimitri mi tolga le scarpe. Si chiama Ana, è molto più giovane del marito, un gran sorriso e guance come mele.
Che meraviglia. La casa è un unico ambiente più cucina, ma confortevole e piena di vecchi libri deliziosamente impolverati. Sopra il letto la foto dei genitori di lui, morti entrambi, in abito contadino, seduti su quello stesso letto. "Ho avuto la casa da loro e l'ho rifatta con le mie mani," racconta Dimitri. Tè, distillato di mirtillo, minestrone sul fuoco, temperatura da sauna, la stufa di coccio che crepita in un concerto di fischi, botti, scricchiolii... "Sono le anime della casa," dice ridendo l'uomo. "Forse sono quelle del bosco," suggerisce il mio spirito forestale.
"Questi boschi mi hanno salvato la vita," racconta il professore. "A Kiev, cinque anni fa, mi avevano diagnosticato un cancro, non avevo speranza. Allora ho pensato alle dodici fonti di mio nonno. Dodici, come gli apostoli, nascoste nel bosco. Me le aveva fatte conoscere tutte, e avevo annotato su un quaderno le proprietà benefiche di ognuna".
Dimitri decide quindi di lasciare la casa e ritirarsi nel bosco per vivere del bosco. Per sei mesi, da aprile a ottobre, si nutre di bacche, funghi, piccoli animali e dell'acqua delle fonti. Ogni giorno percorre venticinque chilometri solo per abbeverarsi. Dorme dove capita, all'aperto. Un po' alla volta diventa parte della foresta. Vive con le volpi, i tassi, le api. E, incredibilmente, il male scompare.
"Non solo sono guarito, sono anche diventato migliore," racconta. E così, quando mi scodellano il minestrone, succede che il distillato di mirtillo, la stufa e il racconto hanno già cominciato a produrre fantastiche allucinazioni. Vedo volare sopra di me i violinisti di Chagall, il vecchio padre barbuto di Bruno Schulz, i sogno di Chaim Potok, i fantasmi di Isaac Singer. La sera partirò alticcio, dimenticando di annotare il suo indirizzo.
(Tratto
dal libro È Oriente, Feltrinelli, Milano, 2003)
Paolo Rumiz, nato a Trieste,
inviato speciale del Piccolo di Trieste e editorialista
de La Repubblica, esperto del tema delle Heimat e delle identità
in Italia e in Europa.
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