DIETRO LONTANANZE AZZURRE

 

Marco Soriano

 

 

Un mirabile verso di Neruda: le mie creature nascono da un lungo rifiuto.

Sembra sia il mare a parlare. Quale verso o ponte ci separa? Lei ormai è sull’altra sponda, viva.

Io non la vidi sdraiata sulla spiaggia. Guarda quella come fa bene il morto sulla riva, disse Manu alzando gli occhi apatici sull’orlo di un destino.
Ironizzo perché è meglio non pensarci agli scherzi che la sorte ci riserva.
Non avrei voluto vederla e non la vidi infatti, me ne parlarono giorni dopo alcuni amici, fra cui anche Manu. Ci ritrovammo seduti sul muretto delle nostre intemperanze, o riunioni, dopo un periodo di tempo decisamente lungo per me a rincorrere le assenze degli incontri, a disintossicarmi.
L’argomento cadde per caso, come tutte le cose, sul ritrovamento di questo corpo palleggiato dal mare a bordo campo. Ma ormai la partita era terminata. Rimaneva forse soltanto in sospeso il fischio a determinarne la fine. L’innocenza azzurra a cullare una sua creatura.

Una donna di appena ventisette anni. Nessuno la conosceva. Nessuno la ricorderà. Nemmeno le due bambine che non ho conosciuto rimaste a letto quella notte a piangere nel sogno, in silenzio.

Le mie creature nascono da un lungo rifiuto. Mentre cerco il senso di una frase che forse non ha senso. Cerco. Non la trovo. L’attraverso nuotando a braccia tese nella stanza. Non mi accorgo di inghiottire una pronuncia tronca. Affondo nel notturno sacrificio di marmo.

Non se l’aspettava nessuno. Fu un bicchiere a cadere di mano. Fu un distillato d’acquavite a minacciare il pavimento come nuvole grigie in cielo in pieno giorno.

Ti sei aperta un varco nella memoria, riaffiori singhiozzando fra le onde incerta se restare oppure andare (entri ed esci dalla stanza). Ti affacci sul terrazzo fronte al mare. Vedi fra le onde la sorella luna come una zattera nuotare. Improvvisi una preghiera. Vorresti stancarti e affondare la vittoria nel tuo letto.Vai cercando il conforto nella mano stretta. Un ricordo. Il trionfo di un arco sagomato tra le lenzuola sotto di te.

Mentre il mondo fuori muore dentro il tempo non invecchia. Forse è morto e non lo sa. È come se un relitto si fosse arenato su un fondale colmo di silenzio. Nessuno se ne accorge quando passa di là, dalla cucina al bagno a vomitare la vita intera.

Cala la notte senza memoria. S’accendono uno dopo l’altro i fari di tabacco perché il fumo conosce la strada del cielo, e a noi piacerebbe impararla. Ma è un inganno degli dèi a chiederci qualcosa da fumare perché per la verità è noi che vogliono e piangono il giocattolo strappato di mano. Ma chi li ascolterà? Dev’esserci di certo qualcuno sopra gli dèi. Le stelle sono sempre là (dietro lontananze azzurre) a pungerci gli occhi come i cocci di vetro su cui a testa alta e a piedi nudi c’incamminiamo.
Il mare imita il cielo nell’erotica tempesta.
Le sue creature riemergono dal liquido pavimento come da un’altra vita.
La voce è sommersa dispiegata sulla rena senza pianto.

Ti sei addormentata nella memoria, come un demone nel cristallo non fuggono i colori all’inganno urtando la testa contro i vetri. Mi aspetterai nel tuo risveglio?
Non so adesso se sono stanco, se ho voglia di dormire, o di andare a fare una nuotata fino a raggiungere la luna
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