Rivista Sagarana
LE RAGIONI DELLA LETTERATURA
Cosa hanno in comune la letteratura, la pubblicità e la retorica politica, oltre al fatto di utilizzare il linguaggio come strumento d'espressione? Tutte si impegnano a creare o a trasformare l’universo dei simboli e dei valori, la soggettività. Ma la letteratura agisce quasi sempre a livello individuale, mentre le altre lavorano sulle masse; la letteratura, soprattutto, riconosce la complessità, l’ambiguità, e amplifica l’orizzonte delle scelte, mentre le altre promuovono una sorta di semplicità fasulla, celebrano cliché e luoghi comuni, prediligono gli stereotipi e riducono tutto ad un’unica possibilità statuita.
I mezzi di informazione stanno modellando l’uomo del futuro. Nell’esporre in modo reiterato, ossessivo, certe immagini e concetti, mentre relegano altre nel dimenticatoio, riescono a definire quello che è lecito pensare e possibile immaginare. Così il libero arbitrio è subdolamente soppresso per lasciare il posto a una logica e a un comportamento egemonici, ineluttabili. Le nuove generazioni vengono spinte verso l'unanimità nell’errore e nel preconcetto, strumentalizzate incanalando il loro ragionamento su un unico binario. Le alternative, sconvenienti e fuorvianti riguardo ai fini teleguidati, sono bollate come esotiche, bizzarre, pericolose, e escluse dell’universo mediatico. Possiamo parlare di un vero e proprio sequestro della soggettività collettiva perpetrato dalle mode culturali, dai media e dai loro padroni. Vogliono renderci ostaggi di un’ideologia totalitaria, egoista e materialista ad oltranza, che celebra alla nausea l’appiattimento, l’omologazione ai bassi livelli, l’ambizione che prescinde della morale, l’imitazione acritica, la bramosia di consumo di superflui “specchietti”, vere protesi dell’ego.
A cosa serve allora la letteratura? A cosa può servire, dopotutto, in questo desolante quadro contemporaneo? Mi rifaccio a un commento di Hermann Broch: “Scoprire quello che soltanto un romanzo può scoprire è l’unica ragione d’essere del romanzo”. Ciò che è in grado di scoprire o di non permettere che sia oscurato, dunque, è proprio ciò che può servire ad alleviare gli effetti rovinosi del pensiero unico: le infinite alternative offerte all’immaginazione, la verità spogliata dai veli degli stereotipi, la visione delle sfumature della realtà , il dietro le quinte del potere, la complessità psicologica, l’interesse per il diverso, l’accoglienza felice dell’altro.
Il progetto di civiltà proposto dall’idea stessa di letteratura si contrappone fortemente alla cospirazione totalitaria della pubblicità e della retorica politica, ed è forse l’ultimo strumento efficace rimasto a contrastarle, l’unico “discorso” in grado di liberare la soggettività dell’uomo del futuro dal carcere multicolore in cui viene confinata, in un abuso di potere senza precedenti e di dimensioni epocali.
Nell'attuale momento storico proteggere questo progetto di civiltà, difendere la letteratura dalle sue contraffazioni, tante e incoraggiate, dalle minacce di ostracismo, di irrilevanza, di rimozione, ben vale la spesa di una vita, che potrà essere la nostra vita. Anche perché solo gli uomini e le donne della nostra generazione, in bilico tra due realtà, possono valutare interamente la ricchezza che si vuole oscurare e l’orrore che si vuole impiantare al suo posto, e sanno quindi esattamente per cosa e contro cosa devono battersi. E se la difesa coraggiosa di questi valori e di questa libertà non sarà una causa vitale, meritevole dei nostri sforzi e sacrifici, è difficile immaginarne un’altra altrettanto necessaria.
Personalmente non ho avuto paura di emigrare, quando questa ragione lo ha richiesto, e non ho paura di invecchiare e di morire in esilio in sua difesa. Non ho mai esitato in presentarmi intero a questa convocazione del mio tempo, perché in fondo agivo in difesa di me stesso, di tutto quello che mi costituisce, che ha fatto di me quello che sono, e se quei valori dovessero scomparire, dovrò scomparire anch’io nell’impegno per la loro preservazione.
Ma sono convinto che non saranno distrutti, perché c’è nell’intimo dell’uomo e delle culture che ha creato nei secoli un istinto di autoconservazione che non lo permetterà. L'uomo sa, in fondo, che la miseria dell’omologazione renderà sempre più fragile la sua presenza sul pianeta, cancellerà dalla mappa l’umanesimo che finora l’ha risparmiato dal peggio, guerre e catastrofi indescrivibili. Sa che la "diversità intellettiva”, che oggi solo la letteratura è in grado di proporre, è altrettanto importante per una prospettiva di futuro quanto la bio-diversità. Che l’impoverimento del pensiero e l’interdizione del dubbio e dell’utopia condurranno necessariamente a un’età delle tenebre mediatica. Intuisce – si spera che intuirà – che cosa esattamente non deve permettere che si estingua, a qualunque costo. Sa, o dovrà sapere, che certe perdite sono definitive e che da certi percorsi nefasti non c'è ritorno. Siamo ancora in tempo ma dobbiamo darci da fare.
Julio Monteiro Martins
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