MAICOL
( – brano del
romanzo Machi
di carta
– )
Alejandro
Torreguitart Ruiz
Per cominciare dirò che mi
chiamo Maicol, ho ventitré anni e la pelle mulatta, però ho i capelli neri e
lisci come un bianco. Questo ci tengo a precisarlo perché da noi è importante.
Si dice che a Cuba non c’è razzismo, ma non è vero. Persino i neri tra loro
dicono scherzando “in casa mia di nero basto io...”. Sono abbastanza alto, ho
le gambe lunghe e il sedere stretto, le labbra carnose e il naso piccolino, gli
occhi neri e sottili dal taglio cinese, le mani delicate. Le ragazze si
innamorano del mio sorriso, dicono che dà luce a tutto il viso. Quando vengono
a sapere che sono omosessuale ci restano male. Tutti dicono che la mia bellezza
è femminile, delicata e che ho poco da invidiare a una donna. Quando ballo mi
muovo con eleganza e conosco a memoria i passi della salsa e del merengue.
Da quando sono in Italia insegno danza e mi esibisco in qualche festa. Vivo a
Livorno, una città di mare che ricorda un po’ L’Avana e mi fa sentire meno la
nostalgia. C’è addirittura un piccolo Malecón nella zona dell’Ardenza, simile
al nostro però più basso e stretto. Nelle giornate di libeccio mi fermo a
guardare il mare e il volo dei gabbiani. Sogno L’Avana. Sogno i bambini
schizzati dal salmastro. Qui non accade, il mare se ne sta buono al di là del
muro e un po’ ci resto deluso, ma comunque è bello stare con il volto proteso
sulle onde a respirare il profumo, specie quando il tempo è cattivo. Qui non
c’è pericolo di cicloni e si può fare. Mi hanno detto che il libeccio, per
quanto violento, non fa i danni delle nostre tempeste. A Livorno d’estate si
può andare al mare e d’inverno non è che il freddo sia così terribile. Si
sopporta. Basta un cappotto e fare l’abitudine ai maglioni di lana. Pizzicano
un po’ e fanno arrossare la pelle, però ci si abitua. Vivo qui con Luca, un
avvocato di trent’anni che ho conosciuto all’Avana. Luca è un bel ragazzo dai
capelli castagni e gli occhi verdi, alto, interessante. Mi ha affascinato
subito per il suo modo di fare, così diverso da quello di tanti turisti che
vengono a Cuba. Galante, romantico, sensibile. Mi ha detto che in Italia ha
sempre fatto tutto di nascosto, temeva per la sua professione, specie i primi
tempi. Adesso è un avvocato affermato, ha rilevato lo studio del padre e ha un
bel giro di clienti. L’omosessualità non è più un problema. Ecco, l’Italia mi
piace per questo: io e Luca possiamo vivere insieme alla luce del sole e
nessuno ci trova niente da dire. Certo i pettegolezzi dei vicini di casa sono
inevitabili, ma all’Avana sarebbe stato peggio.
Luca era venuto a Cuba in cerca di qualcosa di diverso, aveva letto Garcia
Lorca e il diario dove confessa che soltanto all’Avana si sentiva libero di
esprimere la sua omosessualità. Vedeva Cuba come il paradiso dei gay, un posto
dove era possibile essere se stessi senza problemi. Avevo letto anch’io Garcia
Lorca, che diamine. E avevo letto anche Lezama Lima e Senel Paz, però mi ero
convinto che fosse soltanto letteratura. Letteratura e leggenda romantica.
Forse L’Avana era così per uno straniero pieno di dollari, per un turista. Non
per un cubano che ci doveva vivere. Perché vivere all’Avana da gay è dura. è
sempre stata dura.
In ogni caso io e Luca ci siamo innamorati. Avevamo interessi simili, gusti
simili, al di là che mi piaceva molto e io piacevo a lui. Perché il sesso è
importante, se manca l’attrazione fisica manca quasi tutto, ma non è che si
viva soltanto di sesso.
Luca è un avvocato particolare, non si occupa solo di codici e leggi, quando
stacca dallo studio pensa ad altro. Legge molto, ama la poesia, la letteratura
cubana, conosce un sacco di cose che a me sono sempre piaciute. Stiamo bene
insieme anche per questo. È stato lui a spingermi a scrivere questa storia
della mia vita.
“ Ti servirà a guardarti dentro. Scrivere è una liberazione” mi ha detto. Lo fa
spesso anche lui di buttar giù dei pensieri, delle vi poesie, me ne ha scritte
di stupende quando eravamo a Cuba e qualche volta me ne scrive ancora.
Luca ha fatto di tutto per farmi venire in Italia. Non è stato facile, però. Da
Cuba si esce soltanto sposando uno straniero e tra due uomini non era proprio
possibile. Da quando sono qui leggo e ascolto cose che mi sconvolgono. I gay
chiedono la legittimazione delle coppie e in qualche paese del nord Europa già
succede. Forse un giorno potremo averlo anche noi. Mi sembra un sogno. Luca è
stato grande. Ha portato all’Avana una sua amica omosessuale e mi ha fatto
sposare con lei. È stato divertente. Un matrimonio in piena regola celebrato a La
Maison con firma sui registri e auto d’epoca. Lui ha fatto da testimone e
da traduttore ma per noi è stato come sposarci. Paola era soltanto un mezzo per
raggiungere lo scopo e alla fine della cerimonia formale ha lasciato il posto a
Luca volentieri. Abbiamo fatto un giro in auto sul Malecón per scattare qualche
foto al tramonto e subito dopo una festa a Regla in casa della nonna, dove
abbiamo bevuto e ballato fino al mattino.
Ho dovuto attendere un paio di mesi per ottenere il visto per l’espatrio. Non
potevano rifiutarlo: ero sposato.
(Tratto dal romanzo
autobiografico Machi di carta, - confessioni di un omosessuale cubano -,
Stampa alternativa, Viterbo, 2003, traduzione di Gordiano Lupi)