LA DOTTORESSA E LA GALISTEU: DUE VITE

Arnaldo Jabor

 

“Sarà che l’opinione pubblica è così interessata nella visione che Narcisa Tamborindeguy o Adriane Galisteu hanno della vita? A giudicare dallo spazio che i media dedicano a questo tipo di icona (?????), il Brasile è diventato un gigantesco Castello della rivista Caras[1].

Adriane Galisteu, dopo il suo matrimonio lampo, ha parlato alle pagine gialle di Veja[2] e ha dato una lezione di insensibilità, egoismo e sincerità! Strana mistura, ma la ragazza ha ragione quando si dice sincera. Non inganna, si rivela di corpo (e che corpo!) intero e il ritratto che ne viene fuori è spaventoso!

Adriane ha avuto un’infanzia travagliata, ha perso il padre quando aveva 15 anni, quando era ancora povera, e un fratello di AIDS, quando non era più così povera. “Non avevo un centesimo, non avevo soldi nemmeno per comprare un panino. Mio fratello era malato. Mia madre guadagnava 190 reali dall’ INSS[3], mio padre era già morto. Mantenevo tutti e non avevo nessun risparmio.”

Chiedo il permesso ad Adriane, ma vorrei raccontare di un’altra infanzia triste di donna, quella di Rosa Célia Barbosa. Il suo profilo -ammirevole- è apparso in un servizio recente della Vejinha[4] sui migliori medici di Rio.

Alagoana[5], piccola, 1m e 50 cm, iniziò la sua odissea all’età di sette anni, abbandonata in un orfanotrofio a Botafogo. Rosa ha pianto per mesi. “Tutte le donne con le gonne, pensavo che fossero la mia mamma che veniva a prendermi, dopo un po’ mi sono rassegnata…”.

Torniamo ad Adriane. È ricca, arrivata e “non ancora a metà scala”. La scala, bella immagine per qualcuno che – come una Scarlet O’Hara dei tempi neoliberali- ha deciso che non soffrirà mai più la fame. Fin qua, va tutto bene; ma è imbarazzante vedere come la sofferenza possa portare qualcuno all’insensibilità più totale. La reporter domandi ad Adriane se essa farebbe qualche cosa per il bene dell’altro: Per il bene dell’altro? No, faccio solo per il mio bene. Questa cosa di dare senza ricevere, dare senza chiedere, non esiste proprio. Poi finirai per rinfacciare tutto all’altro. Non cedi mai, allora? Cedo, certo che cedo. Ho già ceduto a un sacco di cose che non cambiano la mia vita. A lui piace dormire in lenzuola di lino e a me piace dormire in lenzuola di seta. In questo caso posso cedere….

Rosa Célia ha fatto l’esame di ammissione[6] in medicina , a quel tempo era ospitata in un buco e lavorava per mantenersi. Si è laureata e ha deciso di dedicarsi alla cardiologia neonatale infantile, quando lavorava nell’ospedale di Lagoa. Senza conoscere l’inglese, s’è messa in testa che avrebbe dovuto studiare nel National Heart Hospital, a Londra, con Jane Sommerville, la più grande esperta mondiale in questo campo. Ha studiato inglese ed è riuscita ad ottenere una borsa di studio e una lettera di raccomandazione della Dott.sa Sommerville. A Londra era presa in giro dai colleghi inglesi a causa del suo inglese grossolano. S’è guadagnata il rispetto di tutti quando ha accertato una diagnosi difficile in una donna scozzese, dopo averla esaminata per otto ore di seguito. “Parlava un inglese ancora peggiore del mio” ricorda divertita.

Ora Adriane è ricca, ma non si fida di nessuno, eccetto che della madre. Nemmeno degli amici. Sentite: “Non posso fidarmi delle persone. Non ho una autista, neanche un guardaspalle, proprio per questo. È solo gente in più che ti tradisce. Mi fido più degli animali che delle persone. Esistono ancora persone che pensano che soffra di amnesia. Molte di quelle che convivono oggi con me mi hanno già voltato le spalle quando ero giù. Ma credi che io le tratti male? Le tratto nel modo più naturale. Perché possono anche usarmi, ma le userò anch’io. È uno scambio.”

Da Londra, Rosa Célia è andata direttamente a Houston, negli Stati Uniti. È stata scelta per il centro di cardiologia mondiale. Un futuro brillante l’aspettava. Una gravidanza inaspettata le ha intralciato il sogno. Ha chiesto 24 ore per pensare e ha optato per il figlio, col ritorno a Rio. Ha ripreso il suo incarico nell’ospedale di Lagoa e ha aperto un consultorio, ma tutti gli anni viaggia per studiare. Passa almeno un mese nel Children’s Hospital a Boston, dove lavora 12 ore al giorno.

“Ti piacciono i soldi (Adriane)??” “Amo i soldi e detesto l’ipocrisia. Spendo, mi piace spendere, mi piace non dover fare i conti, viaggiare in prima classe. Ci sono persone che dicono: questo denaro che ho guadagnato, lo dono. Il mio, io non lo dono a nessuno. Quello che dono, è per il mio conto bancario. Amo fare del bene, ma ho anche le mie priorità: la mia casa, la mia famiglia. Prima di tutto aiuto chi è più vicino. Ma faccio le mie campagne di beneficenza.”

Rosa dirige un centro sofisticatissimo, la cardiologia pediatrica del Pró Cardíaco. Lì, sono trattati i casi limite, storie tristi. L’ospedale è privato e carissimo, ma lei ha trovato un modo di risolvere i problemi, chiede finanziamenti, parla con amici, impresari. Il progetto Pró-Criança si è già occupato di più di 500 bambini e 120 sono stati operati. “L’ho sognato per tutta la vita e l’ho fatto”. Non è importante essere povera, donna, piccolina e alagoana. L’ho fatto.”

Torniamo ad Adriane e sbatteremo, brutalmente, contro la frustrazione: “Volevo già viaggiare e non potevo. Avrei voluto avere una macchina e non l’avevo. Avrei voluto fare l’università e non avevo soldi. Non che mi manchino i libri, perché le persone comprano libri all’angolo e acquisiscono la conoscenza nella vita. Mi manca di poter raccontare agli amici queste storie che hanno tutti, del tempo dell’università.”

Due vite, due profili fuori dalla normalità, materia prima per la stampa. Ma qual è il più valorizzato dai media oggigiorno? È facile constatare e arrivare alla conclusione che c’è qualcosa di molto sbagliato nella nostra società. Può essere anche che il lettore abbia un interesse morboso nel sapere ciò che fanno le bionde e le brune stupide o molto furbe, ma i media non si devono limitare a rispecchiare e a conformarsi alla mediocrità, al vuoto, all’opportunismo e alla mancanza di etica. La stampa deve avere un ruolo di trasformatore nella società e, in questo senso, saremmo serviti meglio se ci fossero più Rosa Célia nei giornali, nelle riviste e nella TV che ci circondano. Tornando al Castello della rivista Caras, le belle Adriane, Narcisa, Luciana, Suzana o Carla, vi troveranno sicuramente uno specchio magico.. Se sarà proprio magico dirà che Rosa Célia è più bella di tutte voi.”


[1] Caras: è una rivista di gossip dell’alta società. Ha acquistato un castello e un’isola, dove riuniscono per un’intera settimana dei personaggi famosi, per accompagnarli nelle loro vite e scoprire cose nuove su di essi.
[2] Veja è la rivista principale del Paese. Può essere paragonabile a
Panorama o a L’Espresso italiani. Ogni settimana, le prime 10 pagine sono stampate in carta gialla che contengono una lunga intervista.
[3] Instituto Nacional da Seguridade Sociale
[4] Vejinha è l’inserto locale di Veja
[5] Nata nello stato poverissimo di Alagoas
[6] “Vestibular” è un esame che non esiste in Italia:è un esame di stato che si svolge alla fine del Liceo per essere ammessi all’Università.


(Traduzione di Julio Monteiro Martins insieme ai suoi studenti dell’Università di Pisa: Alessandra Pescaglini, Chiara Zucconi, Lorenzo Tamburini, Marco Merlini, Martina Pierini, Massimiliano Vitali, Patrizia Scorziello, Serena Benassi)

(Tratto dal giornale “O Globo”, di Rio de Janeiro, 2000)