EUROPA: UN POPOLO PER LA COSTITUZIONE

Gustavo Zagrebelsky

I DIRITTI E LA CARTA DELL’UNIONE ANALIZZATI IN UN VOLUME CURATO DA GUSTAVO ZAGREBELSKY

Il momento in cui queste pagine vengono date alle stampe è quello in cui la solidarietà europea ha forse toccato il suo minimo storico. Ciò avviene, contraddittoriamente, mentre è al lavoro una Convenzione che dovrebbe dare all’Europa una Costituzione. La guerra ha messo a nudo strategie governative nazionali differenziate in politica estera e militare, con ovvie connessioni di politica economica e commerciale. Sullo sfondo si erge la grande, irrisolta, in fondo tradizionale e ora, dopo il fatidico 1989, sempre più cruciale questione dell’identità europea in rapporto con la potenza politica, economica e culturale americana. L’Europa, questa identità, non l’ha e ha dimostrato di non averla con la dissociazione dei governi di fronte a una questione che riguarda nientedimeno che l’ordine o il caos del mondo e quindi il rapporto globale con la politica americana. Ne è derivata una piuttosto illusoria impressione di rinascita della sovranità degli Stati nazionali in Europa o, più realisticamente, soltanto una divisione che vale impietosamente a recare in dubbio l’esistenza della conditio sine qua non di una soggettività politica europea unitaria. Si depreca giustamente questa implosione nelle divisioni e si lamenta l’assenza di istituzioni che permettano all’Europa di parlare con una voce sola in nome delle due idealità e dei suoi interessi. Ma è da aggiungere, da parte di coloro che credono nella necessità di dare all’Europa una Costituzione, che forse è preferibile che la realtà si sia con tanta crudezza ed evidenza manifestata prima, piuttosto che dopo. Malgrado tutte le difficoltà, costruire è sempre più facile che ricostruire dopo un fallimento. Le contraddizioni dell’Europa contengono un paradosso. Esse parlano a favore della Costituzione ma, al tempo stesso, operano contro la Costituzione; la rendono necessaria ma anche, per ora, inafferrabile. Se non prevarranno, come c’è da augurarsi, ragioni contingenti e superficiali di prestigio e di rendita politica auspicata da chi volesse legare il proprio nome a una Carta purchessia, ci si può attendere un certo rallentamento dei lavori della Convenzione e, in generale, di tutto il processo costituente europeo. Un rallentamento durante il quale è destinata a riemergere la questione costituzionale di fondo che col tempo sembrava essere andata dispersa a causa dell’interesse preminente a trovare un accordo di contenuto: la problematica esistenza di una unità costituzionale materiale - quali ne siano i caratteri - su cui possa poggiare durevolmente un edificio costituzionale europeo. Inevitabilmente, ciò conduce alla questione del popolo europeo: se esista e in che senso; se, in caso contrario, possa però esistere e a quali condizioni. Questo problema è accantonato con un certo moto di fastidio da coloro che guardano all’Europa secondo un punto di vista esclusivamente funzionalista. Essi lo ritengono un falso problema poiché l’unione dell’Europa può giustificarsi in base soltanto a prestazioni di efficienza nell’esercizio delle sue funzioni. La Costituzione europea si risolverebbe allora principalmente in un compito urgente - tanto più urgente in previsione dell’allargamento a 25 paesi e in presenza di compiti crescenti e ineludibili (come il governo della moneta unica) o fortemente desiderabili (come quelli di politica estera) - di revisione dei trattati nel senso dell’efficienza. Il problema sarebbe - secondo una formula corrente - quello di colmare non un deficit democratico, ma un deficit decisionale e i punti principali da affrontare consisterebbero nei meccanismi e nelle maggioranze di voto, nel rapporto tra elementi istituzionali unitari-europei e particolari-statali, nella combinazione tra istanze rappresentative e istanze tecnocratico-amministrative, quindi nel mono o nel bi-cefalismo organizzativo, e in cose importanti di questo genere. Più che di un vero processo costituente, si tratterebbe così, meno ambiziosamente e forse più realisticamente, di una revisione «regolamentare» dei trattati, per renderli più funzionali. Il grande tema del federalismo verrebbe accantonato come irrilevante o inutile questione dottrinale che, alzando la posta, pregiudica le possibilità di successo. Conclusivamente, la riscrittura dei trattati - per quanta enfasi si ponga sul lavoro della Convenzionee sulle procedure di ratifica successive - si ridurrebbe a un nuovo bilanciamento delle istanze nazionali con quella europea, in presenza di un pressante problema di funzionalità e di capacità di governo che non potrà non giocare a danno delle prime, col rischio di aggravare il deficit di democrazia complessiva. La riforma dell’Europa, in questa prospettiva, sarebbe infine questione più di governi o di classi di governo nazionali e di loro burocrazie, che non di popolo o di popoli europei. Ma la lezione dei fatti al cospetto dei quali oggi siamo obbligati a collocare le nostre riflessioni sul futuro dell’Europa mostra la fragilità della prospettiva funzionalista. Essa è forse (relativamente) la più facile da seguire, ma non ha la forza di reggere all’urto degli interessi nazionali che possano venire a configgere e nemmeno, più tristamente, alle divergenti aspirazioni di autoconservazione delle classi dirigenti dei singoli paesi, messe in gioco dalla gravità delle questioni da affrontare. Le basi dell’Europa o possono stare in uno spirito europeo che abbraccia le sue popolazioni e consente di superare la logica delle mere combinazioni di interessi particolari o non saranno poste stabilmente. Così, a fronte delle false promesse della prospettiva amministrativa, si ripropone necessariamente quella effettivamente costituzionale e inevitabilmente federale - nelle tante forme in cui essa potrebbe realizzarsi.
... Ciò significa per esprimersi direttamente, che il progetto di una Costituzione europea può coinvolgere un popolo europeo, e quindi poggiarlo su solide e condivise basi, solo se è un progetto di differenziazione. Nell’attuale momento storico, mi pare che possa facilmente constatarsi che un’identità dell’Europa può costruirsi solo differenziandosi e la differenziazione non può che essere ricercata nei confronti delle tendenze e delle forze omologanti che operano in quell’indistinto astratto che si denomina globalizzazione, dietro il quale, peraltro, si stagliano concretamente l’egemonia culturale, l’espansionismo economico e lo strapotere militare degli Stati Uniti d’America. Se mai l’Europa avrà una Costituzione, sarà in quanto avrà intrapreso la strada che la porta a distinguersi da tutto ciò e a costituire un polo culturale, economico e politico relativamente autonomo. Se non sarà così, non ci sarà e non si avvertirà neppure alcun bisogno di Costituzione.


E' uscito da Laterza la raccolta di saggi Diritti e Costituzione nell'Unione Europea a cura di Gustavo Zagrebelsky. Il volume propone i materiali del Convegno "Un percorso costituente per l'Europa?"tenuto al Goethe Institut di Torino nel 2000, arricchito di nuovi contributi. Si divide in tre parti: la prima è dedicata alla "Carta dei diritti"e Costituzione in Europa, la seconda ai Contenuti della "Carta dai diritti", la terza a La garanzia dei diritti: la carta europea e le tradizioni costituzionali nazionali. Nella prima tra gli altri ,saggi di Dieter Grimm, Joseph H.H.Weiler, Ingolf Pernice e Franz Mayer (La costituzione integrata dell'Europa) e Jurgen Habermas (Perché l'Europa ha bisogno di una Costituzione).
Il testo presentato è parte dell'Introduzione di Gustavo Zagrebelsky.