PEPPE, ALBANESE
TRADITO DAI FALSI MITI DELLA PUBBLICITA’ ITALIANA
Vendeva sigarette e fazzoletti e un giorno in un bar un uomo gli offrì lavoro.
Sembrava il medico buono dello spot televisivo. Bisognava fidarsi.
Di Gavino Sanna
Caro Riccardo,
questa è la chiave di lettura del mio pezzo volutamente “contro” la
pubblicità oggi. Non è un pezzo di un “pentito”, ma quello di un innamorato
tradito. Credo, infatti, che quello che vediamo adesso in televisione sia per
l’ottanta per cento schifezza. Gavino
La bellezza per Peppe
Era il sogno di una
favola chiamata
“ televisione italiana”.
la bellezza della pubblicità
la bellezza delle invenzioni
la bellezza delle bugie.
Noi abbiamo lavorato e raccontato
storie sperando in un mondo
più bello.
Questo è quello che aveva creduto
Peppe. E oggi tocca a me riflettere.
Il suo nome nessuno
riesce a pronunciarlo. All’inizio ci provavano, ma con scarsi risultati. Lo
chiamavano semplicemente ragazzino; qualcuno anche sorcio.
Poi, un giorno, l’uomo che gli aveva trovato un letto appena sbarcato dal
gommone ha detto che il suo nome a pronunciarlo veloce assomigliava a “Peppe”.
Tutti hanno riso; e da quel momento chi lo conosce lo chiama Peppe. E lui, a
quelli che non lo conoscono, si presenta come Peppe. Del resto – pensa quando
non è troppo stanco o preoccupato o frastornato per pensare – per raggiungere
l’Italia ha lasciato o venduto tutto quello che aveva; perché non anche il
nome?
Da quando è arrivato, Peppe ha venduto fazzoletti di carta, chiesto soldi per
strada, lavato vetri ai semafori, impastato cemento per costruire una casa in
un luogo dove non si poteva costruire, sorvegliato o finto di sorvegliare auto
davanti a un cinema, caricato e scaricato casse di frutta e verdura, infornato
pagnotte e filoni nel cuore della notte – ma per quest’ultimo lavoro non ha
visto una lira. Ha cambiato città sei volte, spostandosi in treno con tutta la
vita in una borsa e scendendo tutte le volte che i controllori o i poliziotti
lo invitavano a scendere. Ogni volta ha ricominciato da capo, guardandosi
intorno e cercando di distinguere gli sguardi affidabili da quelli che era
meglio tenere a distanza. E un giorno dopo l’altro se l’è cavata.
Ieri Peppe a trovato un lavoro. Anzi, prima del lavoro ha trovato un uomo.
Gentile, beneducato. Lui è entrato in un bar per vendere spugnette e fazzoletti
di carta; l’uomo non ha comprato nulla, ma gli ha offerto il caffè e gli ha
chiesto come se la cavava con la vernice e il pennello.
Peppe ha inventato prontamente che lui con la vernice e il pennello ci andava a
nozze: e l’uomo dopo una stretta di mano gli ha dato appuntamento per
l’indomani. Peppe è uscito con lui dal bar, gli ha sorriso e lo ha seguito con
lo sguardo. Gli è venuto in mente che quell’uomo gli ricordava qualcuno. Poi ha
realizzato chi. Sembrava l’uomo di una pubblicità, uno che faceva il medico di
campagna. Lo aveva visto parecchie volte, quando stava ancora al suo Paese. Perché
al suo Paese Peppe vedeva la televisione che veniva dall’Italia. E anche se poi
il televisore di suo padre ha dovuto venderlo per pagarsi il passaggio in
gommone, i volti dello schermo gli sono rimasti sempre davanti agli occhi.
L’uomo che gli aveva offerto caffè e lavoro sembrava uno di quei volti: quello
del dottore di campagna. Doveva essere un brav’uomo. Gli piaceva.
L’appuntamento è per le sei.
Per strada è buio e freddo, e gli autobus si fanno aspettare. Peppe ne prende
due, poi un tram; arriva a destinazione con qualche minuto di anticipo. L’uomo
dal volto rassicurante non c’é. C’è invece un giovane corpulento e scuro in
volto che lo guarda appena e riprende a fare ciò cui era intento: scaricare
latte di vernice da una giardinetta affaticata dagli anni e da mille interventi
di carrozzeria. A Peppe lo sguardo è bastato: raggiunge la giardinetta e
scarica anche lui latte e pennelli e assi e tubi di ferro. Pochi minuti e tutto
il materiale è accatastato davanti all’ingresso di un cancello. E’ arrivato
anche il giorno, Peppe può vedere che oltre il cancello c’è un capannone, forse
un’officina o un magazzino. Un posto dove non gli dispiacerebbe lavorare tutti
i giorni, con uno stipendio e l’orario e tutto il resto. Ma ha la netta
sensazione di non essere lì per lavorare nel capannone. E un istante più tardi
arriva la conferma.
- Vieni – dice il giovane corpulento.
Peppe lo segue; il giovane tira fuori un mazzo di chiavi e apre il cancello e
varcatolo stabilisce un punto a caso e decide che sarà quello il punto di
partenza.
- Prendi la roba. Monta il ponte, che fino in cima non arriviamo.
Dobbiamo rifare il cancello, prima con l’antiruggine poi col verde. Stasera
deve essere tutto finito.
Peppe non dice niente e trasporta tutto e monta il ponte mentre il corpulento
un po’ lo aiuta un po’ fuma per scaldarsi o almeno tentarci.
Inizia con l’antiruggine. Non ha mai usato un antiruggine in vita sua, ma tanto
diverso dalla vernice normale non potrà essere.
Infatti. Si stende bene, non fa grumi, non cola. Peppe è soddisfatto del
proprio lavoro. Ogni tanto si ferma e si guarda intorno.
Qualche metro più in là, il corpulento vernicia e fuma. Di quando in quando
sbuffa. Peppe sposta lo sguardo. Al di là dell’inferriata sfrecciano le auto in
un senso e nell’altro. Viaggiano velocissime, impossibile distinguere i
modelli. E sì che Peppe i modelli li conosce bene, li ha imparati guardando la
televisione italiana al suo Paese: conosce bene i modelli e i loro slogan e i
volti che li propongono agli spettatori. Simili a quello sullo sfondo, oltre la
carreggiata e oltre la auto che sfrecciano: volto sorridente stampato su un
enorme cartellone. Non pubblicizza un’auto, ma è lo stesso: è rassicurante come
quello delle auto e come tutti gli altri. Come quelli che in tv fanno una
domanda e poi regalano i milioni. Peppe sa bene perché sono rassicuranti. O
meglio. Una vola, prima di partire dal suo Paese, era convinto di saperlo. Ora,
di tanto in tanto, gli viene qualche dubbio. Si è sempre detto che quei volti
sono rassicuranti perché sono i volti di chi sta bene, di chi non ha mai visto
la guerra o dormito per strada o sentito la fame se non un attimo prima di
sedersi a un tavolo ben apparecchiato e coperto di piatti fumanti. Si è sempre
detto che raggiungere il Paese dove vivevano quei volti gli avrebbe permesso di
diventare come loro: di togliersi la faccia da fame da guerra da miseria e
indossare quell’altra. Diventare rassicurante.
Poi ci è arrivato, in Italia. E ha cambiato lavori e preso treni e tutto il
resto; e tutte le volte che si guarda allo specchio poi guarda la televisione o
un cartellone per strada vede sempre la stessa differenza. Il suo volto non
potrebbero usarlo, ne è quasi sicuro. A volte, se si sveglia bene, si dice che
è solo una questione di tempo: che una faccia rassicurante uno mica può
conquistarsela da un giorno all’altro, costa fatica. La fatica che sta facendo
ogni giorno da quando è sceso dal gommone. Poi, invece, capitano giorni in cui
sente montare una certezza fastidiosa e insistente come la fame: gli viene da
pensare che le facce sono come tatuaggi; che la faccia con cui si nasce resta
la stessa per tutta la vita, rassicurante o disperata che sia. E pensa, Peppe,
che forse ha calcolato male, si è illuso, ha sbagliato. Ma il più delle volte è
un attimo. Come adesso. Peppe guarda bene i cartelloni. No. Facce così non
possono tradire. Riprende a stendere l’antiruggine. Con entusiasmo. O se non
con entusiasmo almeno fiducia.
Poi viene l’ora di pranzo. Peppe si è portato della pizza e una birra dal nome
sconosciuto: al supermercato era quella che costava meno. Avrebbe voluto
prenderne una più costosa, una della pubblicità, di quelle che stappano solo
ragazze belle e sorridenti o giovanotti dall’aria ricca e intrigante: ma ha
deciso di concedersi certi vizi solo il Sabato e la Domenica.
Così Peppe mangia; e meno male che c’è la birra anche se è da poco, perché
altrimenti la pizza fredda proprio non ne vorrebbe sapere di andare giù. Peppe
mangia e osserva il corpulento, più attrezzato lui, intento a mangiare senza
alzare la testa da una pietanziera colma di qualcosa di caldo. Peppe si chiede
perché mai il giovane stia in silenzio e non gli rivolga la parola. Poi gli
viene in mente che anche lui è zitto da ore. Così prova a parlare.
- Cosa mange? – dice.
Dall’altra parte, silenzio.
- Scusa, cosa mange? – ritenta Peppe.
Ancora silenzio.
Peppe leva lo sguardo dal corpulento, lo porta a caso altrove: in alto, a
terra, sulle proprie mani poi lontano. Passa qualche istante.
- Scusa….. – accenna ancora Peppe. Ma non ha il tempo di aggiungere altro. Il
giovane scaglia a terra la pietanziera ormai vuota. Ringhia.
- Hai finito? Se non sai l’italiano sta’ zitto.
Peppe pensa per un istante che gli sembrava di averla detta giusta, la domanda.
A ogni modo, gli pare che sia consigliabile seguire il consiglio. Stare zitto.
Così sta zitto; e torna a guardare i cartelloni. Che strano. Come sono diversi
quei volti dal tono che ha appena usato il corpulento. Quando riporta lo
sguardo su di lui, lo vede riporre la pietanziera ammaccata in un sacchetto; e
dallo stesso sacchetto tirare fuori una bottiglia e un piccolo bicchiere.
Strano modo di bere, nota Peppe, che cerca di guardare solo a tratti perché ha
paura di una nuova urlata: il giovane versa un po’ di liquido poi, posato a
terra il bicchiere, aspira a golate direttamente dalla bottiglia; quindi
riprende il bicchiere e vuota pure quello. Il tutto per tre o quattro volte.
Peppe pensa che a fare così si corre il rischio di ubriacarsi o quanto meno di
segarsi le gambe e non riuscire più a lavorare; ma un istante dopo riconosce
l’etichetta della bottiglia. L’ha vista in tv decine di volte. Allora no: se è
così il corpulento non finirà ubriaco: perché la voce fuori campo dello spot –
Peppe potrebbe ripeterla a memoria – non fa che dire che si tratta di un amaro leggero.
Impossibile sbronzarsi. Matematico. Ma quello che più conta è che – sempre
secondo la voce fuori campo – chi beve quell’amaro ha un carattere sincero.
Un carattere sincero.
Peppe non sa se fidarsi. Però forse la spiegazione è quella. Il giovane che
lavora con lui non è cattivo. E’ sincero. Un tipo ruvido. Non da farci
conversazione, d’accordo: ma uno su cui contare all’occorrenza. Come ha visto
mille volte in tv. Qualcuno è in difficoltà, qualcun altro si precipita ad aiutarlo.
Senza bisogno di parole. Come diceva quell’altro spot.
Peppe torna al lavoro. Vernicia e pensa che forse le cose non vanno così male.
Che probabilmente il corpulento a un certo punto – magari quando lui non se lo
aspetta – si girerà e gli farà un sorriso: un sorriso sincero. Che
sicuramente l’uomo con la faccia da medico di campagna continuerò a offrirgli
lavoro e caffè per i prossimi giorni o mesi o anni. E che alla fine anche lui
abbandonato definitivamente il nome impronunciabile e ribattezzato a pieno
diritto Peppe, anche lui si guarderà allo specchio e vedrà una faccia degna di
un cartellone o uno spot; e magari riuscirà a ispirare fiducia a chi ne ha
bisogno. Da non credere, pensa Peppe; e intanto, a poco a poco, un sorriso di
soddisfazione – anche se solo immaginata – gli si dipinge sul volto: dapprima
appena accennato, poi sempre più aperto. Impossibile trattenersi. Un istante
più tardi il sorriso si è trasformato in sonora risata; ma Peppe non si
accorge, ridendo, di fissare senza volerlo il volto del suo compagno di lavoro
inerpicato sul ponteggio. Lo sguardo che il giovane gli rende è come una
sassata.
- Che fai, sfotti? – dice minaccioso.
- No, no, - risponde Peppe; ma non riesce più a smettere di ridere.
E’ un attimo. Il corpulento molla il pennello, balza a terra e gli si avventa
contro. Peppe non ha mai amato particolarmente le risse; ma quando proprio
diventavano inevitabili non era tipo da tirarsi indietro. Perché a fare a pugni
gli aveva insegnato suo padre quando ancora c’era; e poi aveva fatto pratica
per finta con i fratelli e sul serio per strada. Ma ora le cose sembrano
mettersi male. L’avversario è troppo grosso, e poi è praticamente un uomo
mentre Peppe ha solo sedici anni. Senza contare che a furia di mangiare poco o
niente si sente debole come dopo un malanno. E l’altro è una furia, lo martella
dappertutto e lo piega e lo scaraventa a terra per poi risollevarlo e sbatterlo
contro il cancello fresco di vernice e di antiruggine.
Peppe si difende come può, assesta qualche colpo; ma dopo poco capisce che
l’unica è chiudere gli occhi e aspettare che la rabbia del corpulento cessi o
almeno diminuisca. Ed è proprio in quell’istante, mentre rassegnato aspetta
nuove gragnole di colpi, che accade qualcosa: si sente afferrare e trascinare da
mani diverse da quelle dell’avversario; e contemporaneamente sente voci
allarmate e grida e insulti. Riapre gli occhi e si guarda intorno. Operai e
impiegati, richiamati dalla zuffa, sono usciti dal capannone e li hanno divisi.
Ora sono in quattro a trattenere il corpulento che continua a dimenarsi e
gridare “ti ammazzo!” oppure “torna al tuo Paese invece di rubarci il lavoro a
noi!”; mentre altri due si occupano di lui.
Tutto intorno, un folto pubblico di volti impressionati o divertiti o anche
indifferenti.
E’ trascorso qualche minuto. Un uomo in giacca e cravatta ha gridato contro
tutti e due, contro Peppe e il corpulento, dicendo che quella non era la strada
e che fuori di lì potevano anche accoltellarsi, ma finché stavano al di qua del
cancello dovevano fare quello per cui erano pagati, cioè verniciare e non
permettersi neppure di alzare la testa. Figuriamoci picchiarsi. Ha aggiunto che
non finiva lì e se n’è andato furibondo. Peppe e il corpulento non si guardano
neppure in faccia e riprendono secchi e pennelli e tornano a lavorare. Ma non
per molto. Passa meno di mezz’ora e arriva una grossa auto scura. Ne scende
l’uomo che assomiglia al medico di campagna. E’ molto serio, parla con l’uomo
in giacca e cravatta; ma Peppe non si preoccupa. E’ successo qualcosa che non
doveva succedere, questo è vero, ma tutto si risolverà. Perché quell’uomo
appartiene al mondo dei cartelloni e della tv, dove tutto va sempre a finire
nel migliore dei modi. Dove basta uno sguardo per capirsi. Dove i profumi
cambiano la vita alle persone e gli oli d’oliva risolvono i contrasti in
famiglia. Dove anche una guerra sanguinosa può interrompersi per un buon
goccetto (e pensare che Peppe una guerra l’ha vista, e credeva che fosse così
dappertutto, che i soldati smettessero di sparare solo quando finivano le
munizioni o quando qualcuno li ammazzava). Tutto finirà in una risata e in un
nuovo caffè, Peppe ne è sicuro.
Da non credere. E’ andata come Peppe proprio non si sarebbe aspettato. L’uomo
con la faccia da medico di campagna ha preso a gridare contro lui e il
corpulento e ha indicato una piccola latta che – i due non se n’erano accorti –
nella colluttazione è caduta dal ponteggio e ha sparso vernice tutto intorno,
macchiando di verde le ruote e il paraurti di un’auto posteggiata appena al di
là del cancello. E, sempre gridando, l’uomo ha dato a Peppe e al corpulento tre
minuti per sparire. Senza vedere una lira, ovviamente, perché c’erano i danni
alla macchina da risarcire. Allontanandosi ha ancora intimato di non farsi più
vedere. Ed è sparito.
Peppe ha aiutato il giovane a caricare tutto e lo ha osservato salire sulla
giardinetta malandata e avviare il motore senza dire nulla. Ora continua a
guardarlo, mentre l’altro resta immobile, le mani sul volante, a guardare il
parabrezza e forse oltre. Peppe vorrebbe parlare, ma non è sicuro che sia il
caso. Fa per allontanarsi, ma qualcosa lo blocca: all’improvviso il corpulento
è scoppiato in lacrime. Piange forte, come un bambino. Si gira verso Peppe,
scuote la testa.
- Adesso come faccio?… Ho due bambini…
Poi ha un moto di stizza, forse si vergogna di piangere di fronte a uno
sconosciuto. Si asciuga le lacrime, innesta la prima e parte lasciandosi dietro
una nuvola di polvere.
Peppe non sa che pensare. Alza gli occhi verso i cartelloni. Forse non li
guarderà più allo stesso modo. Perché lui ci aveva creduto, a quel mondo. E
invece oggi ha imparato che quel mondo lo aveva affascinato, allettato,
attirato a sé, ma non gliel’aveva detta tutta. Ha imparato che anche i medici
di campagna sanno essere cattivi. E soprattutto, anche fuori dal suo Paese
esistono i disperati come lui. Questo proprio non se l’aspettava.
Se volete sapere la differenza tra vero e falso in pubblicità, non andate
troppo in giro. Chiedetelo a Peppe. O anche al giovane corpulento. Loro la
conoscono meglio di chiunque altro.
(Articolo tratto dalla
rivista fiorentina DOC)