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Osama è l’unico argomento.
Avevo giurato che non avrei più scritto su di lui, ma quest’uomo non mi esce
dalla testa. Siamo tutti innamorati di lui, alla rovescia, con i suoi occhietti
da bandito. E lui non ci scrive né ci telefona... “È bellissimo!” – mi ha
confessato una donna. Sono geloso di lui. Abbiamo tutti una segreta e ignobile
ammirazione per Osama. E’ un fenomeno. Oltre alla sensazione di stupro, siamo
anche umiliati dalla sua spaventevole efficacia. Siamo costretti ad ammirare il
nostro diavolo.
Mai l’Occidente ha prodotto
tanti testi su una persona in così poco tempo. Saggi, diatribe, teorie, e lui
rimane in silenzio. Osama ha solo certezze; noi siamo nauseati di dubbi.
Credevamo di giungere ad un futuro senza pericoli, senza dolori. Lui invece è
già lì. Osama vive nell’eternità. Osama è un retrovirus; cambia tutto il tempo
e penetra nel nostro corpo per sempre, uccidendoci. L’Aids aveva già qualcosa di
terrorista. Osama ha realizzato il sogno occidentale del successo individuale:
è un astro contorto, come un Bruce Willis alla rovescia. Lui è la vittoria del bad guy. Dobbiamo creare con urgenza un
Batman in grado di sconfiggere questo Joker, questo Doctor No super competente.
Lui è riuscito a produrre il miglior film del mondo, senza un errore, e noi non
siamo riusciti ancora a colpire un unico bersaglio, un successo al botteghino.
Osama ha fatto il suo film senza un happy
end. Non vedremo mai più un happy end;
e forse nemmeno un end. Osama ha
fatto riprendere il proprio corso alla Storia, lui è l’anti-Fukuyama.
Osama ci odia tanto e ci
accusa di crimini che non conosciamo nemmeno, accuse che ci fanno dubitare di
noi stessi. Nessuno lo ha notato, ma, nel discorso che ha fatto nella caverna,
ha citato il Trattato di Sévres, con il quale l’Occidente ha chiuso con
l’Impero Ottomano e con il sogno di unità araba, nel 1920. Poi il suo luogo
tenente ha dichiarato: “Non saremo mai più umiliati come in Andalusia”. Ossia,
loro si vendicano della loro espulsione dalla Penisola Iberica nel 1492. Osama
ci odia da 500 anni! Forse siamo delle canaglie. Osama è un intellettuale
“occidentale” con una camicia da notte sporca. Ingegnere, il volto segnato da
una saggezza amareggiata, come un triste professore universitario, quasi
volesse dire: “La vita è un assurdo, lo so bene... colleghi...” Osama ha fatto
in pratica tutto quello che i nostri intellettuali critici denunciano da anni.
Osama ha realizzato il sogno di tanti vetero-comunisti. Quante volte ho già
sentito “Gli sta bene all’America!”. Noi odiavamo in silenzio gli USA –
odiavamo ed amavamo, è chiaro; pensavamo: “Gli americani non valgono niente, ma
fanno i Boeing, le medicine, ci difendono”. All’improvviso, non abbiamo più i
guardiani della nostra mediocrità. Osama ha demoralizzato i nostri padroni;
siamo senza un capo ora. I nostri padroni stanno cercando di spazzolare il
Congresso e annusano le buste in cerca dell’antrace. I nostri eroi sono
diventati ridicoli. I nostri discorsi ora sono vuoti. Osama ha il silenzio
impassibile dei cawboy dei saloon. Non dice nulla: agisce soltanto.
Osama spara veloce, un fast draw.
Osama ci ha preparato una trappola infallibile: ci ha obbligato al contrattacco
con le bombe, e con questo ha unito l’Islam. Il suo unico possibile errore sarà
quello di istigare i fondamentalisti contro i governi corrotti dell’Arabia.
Così lui avrebbe politicizzato l’aria rarefatta dal fanatismo religioso e
avrebbe irritato le classi dominanti del petrolio che usano il fondamentalismo
contro di noi, i loro utili “cani infedeli”. La nostra unica speranza è
l’oppressione dei paesi corrotti dell’Islam contro la loro popolazione. Osama
ha scatenato una marea di pazzi in tutto il mondo; quanti paranoici non saranno
a quest’ora a tramare la nostra fine? Osama ha tracciato un destino per il XXI
secolo. È terribile pensare che sia
stato così facile, così semplice, così immaginativo. Eravamo sulla buona strada
verso un futuro di glorie. Lui ha cancellato la nostra idea di “finalità”, di
“progetto”. Il nostro progetto oggi è quello di individuare fognature con bombe
e lettere velenose. Ora è Osama il nostro “pensiero unico”. Osama ha cancellato
il nostro mito di controllare tutto, la ricerca di un destino senza accadimenti,
senza spaventi, senza morte improvvisa. Lui non vuole niente da noi; solo la
tecnologia per farci suicidare, per usarla contro di noi. Ci fa viaggiare nel
tempo. In 30 minuti siamo tornati al Medioevo. Ha cancellato il senso di
velocità e ha innescato la pazienza, la lentezza della vendetta fredda. Osama
ha inventato l’unica arma possibile per i miserabili: la pazzia suicida. Osama
ha fatto sì che i miserabili passassero
ad amare la propria miseria; mai le moltitudini impazzite e poverissime hanno avuto
tanto successo, mai l’ignoranza è diventata così forte, così temuta. Vogliamo
disperatamente spiegare Osama alla luce della scienza o della ragione, ma lui
si mantiene immune alle interpretazioni. Lui non propone niente, non vuole
fondare un regno, niente. Vuole solo cancellare la tranquillità dalle nostre
vite. Osama è ricco, ma non è yuppie; è invece un hippie del male, un Charles
Manson organizzato. Noi abbiamo creato Osama e lui lo sa. Come ha scritto
Fernando Savater: “Osama è un miliardario fanatico ed è anche un trionfo
sinistro della sacra iniziativa privata (...) Quelli che hanno seminato il
terrore negli USA non rappresentano un’alternativa positiva al sistema caotico
in cui viviamo: loro sono soltanto l’espressione dei mali creati dal nostro proprio
sistema”. Lui è una ONG del male. Osama ha ripetuto, nella pratica, la frase di
un comunista (chi l’ha detto?): “Le armi della critica non devono sostituire la
critica delle armi”. Lui ha fatto l’unica critica efficace, funzionale, contro
la globalizzazione. Trenta mila libri contro il turbo-capitalismo sono stati
superati dal gesto di Osama. Osama non è una moda passeggera, del tipo “anche
questo passerà”... Non passerà. Osama non è la minigonna, il rap. No. Lui ha riportato ciò che mancava all’Occidente dalla fine della
Guerra Fredda: la paura, la pulsione di morte che era nascosta, sublimata nei
film, negli hamburger, nella risata
infinita dello entertainment, nella
libertà sessuale narcisista, nell’euforia dei mercati. Non serve a niente ora
voler restaurare la logica “cosciente”. Osama ha fatto sì che il nostro
inconscio barbaro irrompesse nuovamente tra di noi. Dobbiamo conviverci d’ora
in poi. Osama è lo psicanalista selvaggio dell’Occidente.
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Arnaldo Jabor è un famoso regista di cinema brasiliano,
esponente del Cinema Novo.
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(Traduzione di Julio Monteiro Martins)
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È
innegabile come lo scritto in esame sia stato fortemente influenzato dalle
recenti dichiarazioni del “noto” uomo politico Vittorio Sgarbi; affermazioni,
rilasciate ad una trasmissione molto seguita da un target giovane, che hanno
etichettato l’obiettore di coscienza come “culattone e raccomandato” (1),
suscitando il legittimo desiderio di chiarezza da parte di quanti – me incluso
– hanno scelto (2) la strada del servizio civile per poter servire la propria
Patria.
Il
presente scritto mira così ad un approfondimento dell’argomento, finalizzato a
far conoscere al lettore un ambito di sicura quanto necessaria espansione,
unitamente al racconto personale del “mio” servizio civile che mi ha visto
assegnato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri (3), dando il via ad una
esperienza che cercherà di tradursi, pur sinteticamente, in queste pagine.
Provenendo
da una famiglia di militari (4), la mia scelta è stata accolta tiepidamente,
senza contrasti, ma con la convinzione che il servizio militare avrebbe fatto
sicuramente bene ad un ragazzo per alcuni versi viziato; una convinzione che,
paradossalmente, avevo anche io ma che, complici anche fattori professionali,
non mi impedì di aderire al servizio civile.
Una
scelta consapevole che si attuò con l’arrivo della “fatidica” cartolina che mi
vedeva assegnato al Segretariato Generale; una notizia che non mi procurò
nessuna ansia propria del giovane chiamato “alle armi”, ma che anzi, fece posto
ad una inesauribile gioia: avrei visto da vicino il funzionamento della
“macchina pubblica”, una esperienza che mi intrigava e mi motivava.
Ma
questa gioia non continuò per molto.
Fui
infatti assegnato ad un settore molto tecnico (5); una scelta che si motivava
per i miei studi giuridici e dove il mio compito consisteva essenzialmente
nel…fare fotocopie!
Si,
facevo le fotocopie, e ne facevo tante, tanto da dubitare dell’effettiva sanità
mentale di coloro che erano i miei superiori; una problematica che mi spinge
alla prima riflessione: quali sono le mansioni dell’obiettore di coscienza?
Secondo
la Convenzione stipulata tra l’Ufficio Nazionale del servizio civile e la
Presidenza del Consiglio dei Ministri “in nessun caso l’obiettore può essere
utilizzato in sostituzione di personale assunto o da assumere per obblighi di
legge o per norme statutarie organiche dell’organismo presso cui presta
servizio” (6), preferendo così un impiego di supporto al lavoro istituzionale dei dipendenti.
Ma
in questo caso sorge una conseguente domanda: come si realizza il supporto?
Nel
mio caso – ma anche nel caso di altri – il supporto si realizzava in tutte
quelle attività di scarsissimo rilievo tecnico, ma importantissime nell’ottica
degli uffici pubblici: prendere le sigarette al “capo”, portare carte da un
ufficio all’altro e – udite udite – attendere l’arrivo del “capo” e “tutelare”
il suo parcheggio sotto l’ufficio (si legga “stare in attesa dell’arrivo della
persona interessata prendendosi tutti i vaffa da parte di altri automobilisti
che non dispongono dell’ “obiettore personale”)
Oltre,
chiaramente, alle immancabili fotocopie per cui venivo preso in giro dai miei
colleghi che, anzi, mi hanno anche riconosciuto un fantomatico “Master in
scienze delle fotocopie”.
La
situazione, per quanto comica, si rappresenta così come un quadro d’azione
ideale per riflessioni non solo teoriche, ma che comportino – nella loro stessa
attuazione – un vero cambiamento di rotta.
Innanzitutto
le mansioni; le stesse potrebbero essere affidate all’obiettore dopo attenta
valutazione in merito agli studi compiuti; una valutazione preventiva che
potrebbe realmente dare il via ad una esperienza utile dal punto di vista
professionale, ma che nella realtà attuale si traduce in un ipotetico “periodo
di formazione civica e di addestramento generale al servizio civile differenziato
secondo il tipo di impiego” (7), da me mai espletato.
Oltre
quanto sopra, anche il fatto per cui l’area vocazionale può essere scelta, senza che però la stessa rappresenti titolo
preferenziale: in parole povere, un giovane laureato in ingegneria potrebbe essere assegnato ad un Ufficio
studi, ma potrebbe capitare anche in un Ufficio legislativo.
Una
situazione, quindi, che pregiudica fortemente la possibilità di un servizio
utile non solo come “dovere costituzionale di difesa della Patria” ma anche
come esperienza professionale vicina agli ambiti di studio o di lavoro
precedentemente esercitati.
Quali
le soluzioni?
Innanzitutto
la creazione di un servizio civile che tenga conto non solo di esigenze
logistiche, ma anche della preparazione specifica dell’individuo, prevedendo
così percorsi alternativi all’interno dei quali le singole potenzialità possano
essere sfruttate al meglio; tale nuovo ordine permetterebbe – per opinione di
colui che scrive – una nuova consapevolezza anche in capo a quei dipendenti
presso i quali gli obiettori si trovano a lavorare.
Ancora
una volta torno alla mia esperienza personale: più volte funzionari della
struttura si sono rivolti a me per le immancabili fotocopie; ricordo un
episodio per cui, oberato da numerose fotocopie, consigliai ad un funzionario
di iniziare da solo assicurando la mia presenza appena ultimato il lavoro in
corso. Mi sentii rispondere che “io sono un funzionario, non un obiettore, le
fotocopie falle tu!”.
Il
lettore potrebbe obiettare che una persona antipatica ed irrispettosa capita in
tutti gli ambienti lavorativi, ma vi posso assicurare che quel tipo di condotta
permeava gran parte dei dipendenti con cui ho collaborato (8).
Si
torna così alla problematica principale: la consapevolezza del ruolo unitamente
all’istituzionalizzazione dello stesso.
Non
basta infatti la legittimazione operata da una legge per istituzionalizzare un
ruolo, occorre altresì un riconoscimento sociale che veda in quello stesso
ruolo principi di utilità e di aggregazione sociale.
Principi
che, allo stato attuale, non vengono nemmeno percepiti dando adito a
quell’odiosa dicitura che vede tutti gli obiettori come “gente senza onore”
(9).
Ma
ritornando alla mia storia personale, non tutti gli elementi sono stati
negativi; infatti, dopo ripetuti tentativi e complice anche l’aiuto morale del
Direttore del personale, sono riuscito a farmi trasferire in un settore dove,
finalmente, le mie legittime aspettative sono state esaudite: finalmente avevo
un lavoro vero che mi permetteva sentimenti di gratificazione, unitamente alla
percezione di essere parte di un gruppo che mi trattava non come un “ospite di
passaggio” bensì come un collega.
È
iniziato allora il mio “vero” servizio civile, un momento in cui ho realmente
imparato qualcosa oltre al fatto di aver trovato tanti amici che, ancora oggi,
sento con grande piacere.
In
conclusione, un periodo positivo, se non altro perché ho “visitato” l’apparato
pubblico, ma anche un momento di necessaria riflessione per poter concorrere ad
una ridefinizione radicale di un servizio che non deve essere esclusivamente
interpretato come dovere necessario, ma bensì come primo momento in cui il
cittadino realmente percepisce la propria appartenenza ad una nazione; ritengo
altresì che tale appartenenza non debba essere vista come un rigurgito di
nazionalismo stantio ed antistorico, bensì come un sentimento necessario
proprio per rendere consapevole l’appartenenza ad una comunità europea.
Solo
così le nostre azioni – per quanto diverse per contesto di applicazione e modus operandi – potranno rientrare in
un genus comune ed ineliminabile di
rispetto per la Patria.
(*Dedicato
con affetto e stima ai “compagni di sventura” Valerio Carusi ed Alessandro
“Alex da Mostacciano” Casata, nonché ai “colleghi” Andrea Guidicini, Giuseppe
Spataro, Federica Coccaro, Carla Maglione, Alessandra Nacca, Luciana Pica,
Maria Grazia Cacopardi e Pietro “Pmen” Nolla ; un grazie particolare al Dott.
Ferruccio Sepe per la sua umanità e simpatia tutta mediterranea. Una dedica
particolare a Leonello Santamaria Ferraro che per oltre sei mesi ha sopportato
con cristiana rassegnazione un clima di caos generale, e che per gli stessi
mesi ha reso meno duro il mio lavoro con la forza di un sorriso.)
Riferimenti legislativi
Per
i giovani che ancora devono svolgere il servizio civile o che lo svolgono già,
ma che non hanno nozioni giuridiche in merito, alcuni riferimenti: la legge
“principe” è la 230 8 luglio 1998 (Nuove norme in materia di obiezione di
coscienza), nella quale si trovano tutte le disposizioni necessarie.
Gli
articoli di maggiore interesse sono l’articolo 2 (Limiti di esercitabilità del
servizio civile), l’articolo 4 (Disposizioni per la presentazione delle
domande), l’articolo 10 (Disciplina dell’Ufficio Nazionale del servizio civile),
l’articolo 17 (sanzioni per l’obiettore che “si renda responsabile di
comportamenti reprensibili o incompatibili con la natura e la funzionalità del
servizio: la diffida per iscritto; la multa in detrazione della paga; la
sospensione di permessi e licenze; il trasferimento ad incarico affine, anche
presso altro ente, in altra regione, oppure a diverso incarico nell’ambito
della stessa o di altra regione; la sospensione dal servizio fino ad un massimo
di tre mesi, senza paga e con conseguente recupero dei periodi di servizio non
prestato).
Di
poi il D.P.R. 28 luglio 1999, n. 352 (Regolamento recante norme concernenti
l’organizzazione e il funzionamento dell’Ufficio nazionale per il servizio
civile, ai sensi dell’articolo 8, comma 3, della legge 8 luglio 1998, n. 230,
presente sulla Gazzetta Ufficiale Serie generale – n. 242 del 14 ottobre 1999)
che afferma i compiti della struttura che ha sostituito il distretto militare
nella “cura” degli obiettori presso i vari enti di assegnazione.
Resta
chiaramente fermo come il distretto militare abbia ancora grande importanza,
almeno in questo primo momento di passaggio e transizione: innanzitutto la
domanda verrà inoltrata al distretto, così come la documentazione di fine
servizio che dovrà essere consegnata al distretto che curerà la pratica per il
rilascio del congedo.
Di
poi un ultimo avvertimento: non tutti gli obiettori sanno che, durante il loro
servizio, sono assoggettati in tutto e per tutto alla disciplina militare per
quanto concerne la paga – differenziandosi solo per l’emissione della stessa
per tempi e luoghi - , le licenze ed il trattamento sanitario (con l’unica
differenza che l’obiettore può scegliere di rivolgersi, oltre che alla
struttura sanitaria militare, anche alle locali A.S.L.).
(1)
Affermazioni ancora più gravi perché pronunciate da una persona che, per motivi
non ancora accertati, non ha mai prestato servizio militare; una persona che
quindi non conosce minimamente la problematica, pur rivestendo un ruolo
istituzionale che, tecnicamente e moralmente, dovrebbe tradursi in un ruolo di
tutela per la popolazione, obiettori inclusi.
(2)
Non si deve scordare che attualmente scegliere il servizio civile rappresenta
un vero e proprio diritto per il cittadino; è stata abolita infatti la
procedura per cui il giovane desideroso di approdare al servizio civile doveva
sottostare ad una “autorizzazione” da parte del Ministero della Difesa,
rendendo evidente e lampante la dizione precedentemente in auge “servizio
civile sostitutivo”, ora “servizio civile alternativo”.
(3)
A onore del vero, le mie preferenze sul modulo di richiesta erano orientate a
vari enti prettamente giuridici (Tribunali e Corti di appello), ma il fato ha
voluto la mia assegnazione al primo contingente inviato alla Presidenza; vorrei
inoltre precisare che non vi sono state, in merito alla mia assegnazione,
ingerenze di nessun tipo da parte di familiari o conoscenti.
(4)
Mio nonno paterno è stato per anni alto ufficiale dell’Esercito, al pari di mio
nonno materno, ufficiale medico veterinario; mio padre Roberto è stato
ufficiale dell’Esercito durante il periodo di leva, mio zio Fabrizio è stato
ufficiale dell’Aeronautica, mio zio Gerardo è stato ufficiale medico
veterinario.
(5)
Settore che chiaramente non indicherò in maniera puntuale per tutelare i
diretti interessati.
(6)
Articolo 11, comma 4, Legge 8 luglio 1998, n. 230 (Nuove norme in materia di
obiezione di coscienza).
(7)
Articolo 9, comma 4 Legge 8 luglio 1998, n. 230 (Nuove norme in materia di
obiezione di coscienza).
(8)
Uno funzionario, durante una “chiacchierata informale”, mi confessò di non
fidarsi – professionalmente parlando – di una persona che, pur trovandosi
all’interno di un contesto delicatissimo, non aveva ricevuto nessun
addestramento al riguardo. Mi disse anche che, secondo lui, era inconcepibile
affidare documenti riservati ad un obiettore, annullando così anche le poche
mansioni rimaste.
(9)
L’affermazione è di un mio carissimo amico convinto assertore della necessità
di un esercito, con conseguente disprezzo per tutti coloro che scelgono un
servizio diverso. A questo proposito, anche per alleggerire il discorso,
ricordo il nomignolo con cui mi apostrofava, con simpatia tutta mediterranea,
il mio diretto superiore: imboscato di coscienza (che si aggiungeva al
“giornalaio” in onore della mia professione).
Stefano Martello (1974), Giornalista, saggista e poeta; ha prestato servizio come
obiettore di coscienza presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ufficio
del Ruolo unico della dirigenza.
Per
la rivista Sagarana ha già pubblicato il saggio “Per una cultura popolare ed
istituzionale.
Attualmente
collabora con il portale giuridico Diritto.it, con articoli giuridico-sociali.