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OSAMA È IL PSICANALISTA SELVAGGIO DELL’OCCIDENTE

 

Arnaldo Jabor

 

 

 

 

 

Osama è l’unico argomento. Avevo giurato che non avrei più scritto su di lui, ma quest’uomo non mi esce dalla testa. Siamo tutti innamorati di lui, alla rovescia, con i suoi occhietti da bandito. E lui non ci scrive né ci telefona... “È bellissimo!” – mi ha confessato una donna. Sono geloso di lui. Abbiamo tutti una segreta e ignobile ammirazione per Osama. E’ un fenomeno. Oltre alla sensazione di stupro, siamo anche umiliati dalla sua spaventevole efficacia. Siamo costretti ad ammirare il nostro diavolo.

Mai l’Occidente ha prodotto tanti testi su una persona in così poco tempo. Saggi, diatribe, teorie, e lui rimane in silenzio. Osama ha solo certezze; noi siamo nauseati di dubbi. Credevamo di giungere ad un futuro senza pericoli, senza dolori. Lui invece è già lì. Osama vive nell’eternità. Osama è un retrovirus; cambia tutto il tempo e penetra nel nostro corpo per sempre, uccidendoci. L’Aids aveva già qualcosa di terrorista. Osama ha realizzato il sogno occidentale del successo individuale: è un astro contorto, come un Bruce Willis alla rovescia. Lui è la vittoria del bad guy. Dobbiamo creare con urgenza un Batman in grado di sconfiggere questo Joker, questo Doctor No super competente. Lui è riuscito a produrre il miglior film del mondo, senza un errore, e noi non siamo riusciti ancora a colpire un unico bersaglio, un successo al botteghino. Osama ha fatto il suo film senza un happy end. Non vedremo mai più un happy end; e forse nemmeno un end. Osama ha fatto riprendere il proprio corso alla Storia, lui è l’anti-Fukuyama.

Osama ci odia tanto e ci accusa di crimini che non conosciamo nemmeno, accuse che ci fanno dubitare di noi stessi. Nessuno lo ha notato, ma, nel discorso che ha fatto nella caverna, ha citato il Trattato di Sévres, con il quale l’Occidente ha chiuso con l’Impero Ottomano e con il sogno di unità araba, nel 1920. Poi il suo luogo tenente ha dichiarato: “Non saremo mai più umiliati come in Andalusia”. Ossia, loro si vendicano della loro espulsione dalla Penisola Iberica nel 1492. Osama ci odia da 500 anni! Forse siamo delle canaglie. Osama è un intellettuale “occidentale” con una camicia da notte sporca. Ingegnere, il volto segnato da una saggezza amareggiata, come un triste professore universitario, quasi volesse dire: “La vita è un assurdo, lo so bene... colleghi...” Osama ha fatto in pratica tutto quello che i nostri intellettuali critici denunciano da anni. Osama ha realizzato il sogno di tanti vetero-comunisti. Quante volte ho già sentito “Gli sta bene all’America!”. Noi odiavamo in silenzio gli USA – odiavamo ed amavamo, è chiaro; pensavamo: “Gli americani non valgono niente, ma fanno i Boeing, le medicine, ci difendono”. All’improvviso, non abbiamo più i guardiani della nostra mediocrità. Osama ha demoralizzato i nostri padroni; siamo senza un capo ora. I nostri padroni stanno cercando di spazzolare il Congresso e annusano le buste in cerca dell’antrace. I nostri eroi sono diventati ridicoli. I nostri discorsi ora sono vuoti. Osama ha il silenzio impassibile dei cawboy dei saloon. Non dice nulla: agisce soltanto. Osama spara veloce, un fast draw. Osama ci ha preparato una trappola infallibile: ci ha obbligato al contrattacco con le bombe, e con questo ha unito l’Islam. Il suo unico possibile errore sarà quello di istigare i fondamentalisti contro i governi corrotti dell’Arabia. Così lui avrebbe politicizzato l’aria rarefatta dal fanatismo religioso e avrebbe irritato le classi dominanti del petrolio che usano il fondamentalismo contro di noi, i loro utili “cani infedeli”. La nostra unica speranza è l’oppressione dei paesi corrotti dell’Islam contro la loro popolazione. Osama ha scatenato una marea di pazzi in tutto il mondo; quanti paranoici non saranno a quest’ora a tramare la nostra fine? Osama ha tracciato un destino per il XXI secolo. È terribile pensare che  sia stato così facile, così semplice, così immaginativo. Eravamo sulla buona strada verso un futuro di glorie. Lui ha cancellato la nostra idea di “finalità”, di “progetto”. Il nostro progetto oggi è quello di individuare fognature con bombe e lettere velenose. Ora è Osama il nostro “pensiero unico”. Osama ha cancellato il nostro mito di controllare tutto, la ricerca di un destino senza accadimenti, senza spaventi, senza morte improvvisa. Lui non vuole niente da noi; solo la tecnologia per farci suicidare, per usarla contro di noi. Ci fa viaggiare nel tempo. In 30 minuti siamo tornati al Medioevo. Ha cancellato il senso di velocità e ha innescato la pazienza, la lentezza della vendetta fredda. Osama ha inventato l’unica arma possibile per i miserabili: la pazzia suicida. Osama ha fatto sì  che i miserabili passassero ad amare la propria miseria; mai le moltitudini impazzite e poverissime hanno avuto tanto successo, mai l’ignoranza è diventata così forte, così temuta. Vogliamo disperatamente spiegare Osama alla luce della scienza o della ragione, ma lui si mantiene immune alle interpretazioni. Lui non propone niente, non vuole fondare un regno, niente. Vuole solo cancellare la tranquillità dalle nostre vite. Osama è ricco, ma non è yuppie; è invece un hippie del male, un Charles Manson organizzato. Noi abbiamo creato Osama e lui lo sa. Come ha scritto Fernando Savater: “Osama è un miliardario fanatico ed è anche un trionfo sinistro della sacra iniziativa privata (...) Quelli che hanno seminato il terrore negli USA non rappresentano un’alternativa positiva al sistema caotico in cui viviamo: loro sono soltanto l’espressione dei mali creati dal nostro proprio sistema”. Lui è una ONG del male. Osama ha ripetuto, nella pratica, la frase di un comunista (chi l’ha detto?): “Le armi della critica non devono sostituire la critica delle armi”. Lui ha fatto l’unica critica efficace, funzionale, contro la globalizzazione. Trenta mila libri contro il turbo-capitalismo sono stati superati dal gesto di Osama. Osama non è una moda passeggera, del tipo “anche questo passerà”... Non passerà. Osama non è la minigonna, il rap. No. Lui  ha riportato ciò che mancava all’Occidente dalla fine della Guerra Fredda: la paura, la pulsione di morte che era nascosta, sublimata nei film, negli hamburger, nella risata infinita dello entertainment, nella libertà sessuale narcisista, nell’euforia dei mercati. Non serve a niente ora voler restaurare la logica “cosciente”. Osama ha fatto sì che il nostro inconscio barbaro irrompesse nuovamente tra di noi. Dobbiamo conviverci d’ora in poi. Osama è lo psicanalista selvaggio dell’Occidente.

 

 

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Arnaldo Jabor è un famoso regista di cinema brasiliano, esponente del Cinema Novo.

 

 

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(Traduzione di Julio Monteiro Martins)

 

 

 

 

 

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PER UN NUOVO SERVIZIO CIVILE*

 

Stefano Martello

 

 

 

È innegabile come lo scritto in esame sia stato fortemente influenzato dalle recenti dichiarazioni del “noto” uomo politico Vittorio Sgarbi; affermazioni, rilasciate ad una trasmissione molto seguita da un target giovane, che hanno etichettato l’obiettore di coscienza come “culattone e raccomandato” (1), suscitando il legittimo desiderio di chiarezza da parte di quanti – me incluso – hanno scelto (2) la strada del servizio civile per poter servire la propria Patria.

Il presente scritto mira così ad un approfondimento dell’argomento, finalizzato a far conoscere al lettore un ambito di sicura quanto necessaria espansione, unitamente al racconto personale del “mio” servizio civile che mi ha visto assegnato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri (3), dando il via ad una esperienza che cercherà di tradursi, pur sinteticamente, in queste pagine.

Provenendo da una famiglia di militari (4), la mia scelta è stata accolta tiepidamente, senza contrasti, ma con la convinzione che il servizio militare avrebbe fatto sicuramente bene ad un ragazzo per alcuni versi viziato; una convinzione che, paradossalmente, avevo anche io ma che, complici anche fattori professionali, non mi impedì di aderire al servizio civile.

Una scelta consapevole che si attuò con l’arrivo della “fatidica” cartolina che mi vedeva assegnato al Segretariato Generale; una notizia che non mi procurò nessuna ansia propria del giovane chiamato “alle armi”, ma che anzi, fece posto ad una inesauribile gioia: avrei visto da vicino il funzionamento della “macchina pubblica”, una esperienza che mi intrigava e mi motivava.

Ma questa gioia non continuò per molto.

Fui infatti assegnato ad un settore molto tecnico (5); una scelta che si motivava per i miei studi giuridici e dove il mio compito consisteva essenzialmente nel…fare fotocopie!

Si, facevo le fotocopie, e ne facevo tante, tanto da dubitare dell’effettiva sanità mentale di coloro che erano i miei superiori; una problematica che mi spinge alla prima riflessione: quali sono le mansioni dell’obiettore di coscienza?

Secondo la Convenzione stipulata tra l’Ufficio Nazionale del servizio civile e la Presidenza del Consiglio dei Ministri “in nessun caso l’obiettore può essere utilizzato in sostituzione di personale assunto o da assumere per obblighi di legge o per norme statutarie organiche dell’organismo presso cui presta servizio” (6), preferendo così un impiego di supporto al lavoro istituzionale dei dipendenti.

Ma in questo caso sorge una conseguente domanda: come si realizza il supporto?

Nel mio caso – ma anche nel caso di altri – il supporto si realizzava in tutte quelle attività di scarsissimo rilievo tecnico, ma importantissime nell’ottica degli uffici pubblici: prendere le sigarette al “capo”, portare carte da un ufficio all’altro e – udite udite – attendere l’arrivo del “capo” e “tutelare” il suo parcheggio sotto l’ufficio (si legga “stare in attesa dell’arrivo della persona interessata prendendosi tutti i vaffa da parte di altri automobilisti che non dispongono dell’ “obiettore personale”)

Oltre, chiaramente, alle immancabili fotocopie per cui venivo preso in giro dai miei colleghi che, anzi, mi hanno anche riconosciuto un fantomatico “Master in scienze delle fotocopie”.

La situazione, per quanto comica, si rappresenta così come un quadro d’azione ideale per riflessioni non solo teoriche, ma che comportino – nella loro stessa attuazione – un vero cambiamento di rotta.

Innanzitutto le mansioni; le stesse potrebbero essere affidate all’obiettore dopo attenta valutazione in merito agli studi compiuti; una valutazione preventiva che potrebbe realmente dare il via ad una esperienza utile dal punto di vista professionale, ma che nella realtà attuale si traduce in un ipotetico “periodo di formazione civica e di addestramento generale al servizio civile differenziato secondo il tipo di impiego” (7), da me mai espletato.

Oltre quanto sopra, anche il fatto per cui l’area vocazionale può essere scelta, senza che però la stessa rappresenti titolo preferenziale: in parole povere, un giovane laureato in ingegneria potrebbe essere assegnato ad un Ufficio studi, ma potrebbe capitare anche in un Ufficio legislativo.

Una situazione, quindi, che pregiudica fortemente la possibilità di un servizio utile non solo come “dovere costituzionale di difesa della Patria” ma anche come esperienza professionale vicina agli ambiti di studio o di lavoro precedentemente esercitati.

Quali le soluzioni?

Innanzitutto la creazione di un servizio civile che tenga conto non solo di esigenze logistiche, ma anche della preparazione specifica dell’individuo, prevedendo così percorsi alternativi all’interno dei quali le singole potenzialità possano essere sfruttate al meglio; tale nuovo ordine permetterebbe – per opinione di colui che scrive – una nuova consapevolezza anche in capo a quei dipendenti presso i quali gli obiettori si trovano a lavorare.

Ancora una volta torno alla mia esperienza personale: più volte funzionari della struttura si sono rivolti a me per le immancabili fotocopie; ricordo un episodio per cui, oberato da numerose fotocopie, consigliai ad un funzionario di iniziare da solo assicurando la mia presenza appena ultimato il lavoro in corso. Mi sentii rispondere che “io sono un funzionario, non un obiettore, le fotocopie falle tu!”.

Il lettore potrebbe obiettare che una persona antipatica ed irrispettosa capita in tutti gli ambienti lavorativi, ma vi posso assicurare che quel tipo di condotta permeava gran parte dei dipendenti con cui ho collaborato (8).

Si torna così alla problematica principale: la consapevolezza del ruolo unitamente all’istituzionalizzazione dello stesso.

Non basta infatti la legittimazione operata da una legge per istituzionalizzare un ruolo, occorre altresì un riconoscimento sociale che veda in quello stesso ruolo principi di utilità e di aggregazione sociale.

Principi che, allo stato attuale, non vengono nemmeno percepiti dando adito a quell’odiosa dicitura che vede tutti gli obiettori come “gente senza onore” (9).

Ma ritornando alla mia storia personale, non tutti gli elementi sono stati negativi; infatti, dopo ripetuti tentativi e complice anche l’aiuto morale del Direttore del personale, sono riuscito a farmi trasferire in un settore dove, finalmente, le mie legittime aspettative sono state esaudite: finalmente avevo un lavoro vero che mi permetteva sentimenti di gratificazione, unitamente alla percezione di essere parte di un gruppo che mi trattava non come un “ospite di passaggio” bensì come un collega.

È iniziato allora il mio “vero” servizio civile, un momento in cui ho realmente imparato qualcosa oltre al fatto di aver trovato tanti amici che, ancora oggi, sento con grande piacere.

In conclusione, un periodo positivo, se non altro perché ho “visitato” l’apparato pubblico, ma anche un momento di necessaria riflessione per poter concorrere ad una ridefinizione radicale di un servizio che non deve essere esclusivamente interpretato come dovere necessario, ma bensì come primo momento in cui il cittadino realmente percepisce la propria appartenenza ad una nazione; ritengo altresì che tale appartenenza non debba essere vista come un rigurgito di nazionalismo stantio ed antistorico, bensì come un sentimento necessario proprio per rendere consapevole l’appartenenza ad una comunità europea.

Solo così le nostre azioni – per quanto diverse per contesto di applicazione e modus operandi – potranno rientrare in un genus comune ed ineliminabile di rispetto per la Patria.

(*Dedicato con affetto e stima ai “compagni di sventura” Valerio Carusi ed Alessandro “Alex da Mostacciano” Casata, nonché ai “colleghi” Andrea Guidicini, Giuseppe Spataro, Federica Coccaro, Carla Maglione, Alessandra Nacca, Luciana Pica, Maria Grazia Cacopardi e Pietro “Pmen” Nolla ; un grazie particolare al Dott. Ferruccio Sepe per la sua umanità e simpatia tutta mediterranea. Una dedica particolare a Leonello Santamaria Ferraro che per oltre sei mesi ha sopportato con cristiana rassegnazione un clima di caos generale, e che per gli stessi mesi ha reso meno duro il mio lavoro con la forza di un sorriso.)  

 

Riferimenti legislativi

 

Per i giovani che ancora devono svolgere il servizio civile o che lo svolgono già, ma che non hanno nozioni giuridiche in merito, alcuni riferimenti: la legge “principe” è la 230 8 luglio 1998 (Nuove norme in materia di obiezione di coscienza), nella quale si trovano tutte le disposizioni necessarie.

Gli articoli di maggiore interesse sono l’articolo 2 (Limiti di esercitabilità del servizio civile), l’articolo 4 (Disposizioni per la presentazione delle domande), l’articolo 10 (Disciplina dell’Ufficio Nazionale del servizio civile), l’articolo 17 (sanzioni per l’obiettore che “si renda responsabile di comportamenti reprensibili o incompatibili con la natura e la funzionalità del servizio: la diffida per iscritto; la multa in detrazione della paga; la sospensione di permessi e licenze; il trasferimento ad incarico affine, anche presso altro ente, in altra regione, oppure a diverso incarico nell’ambito della stessa o di altra regione; la sospensione dal servizio fino ad un massimo di tre mesi, senza paga e con conseguente recupero dei periodi di servizio non prestato).

Di poi il D.P.R. 28 luglio 1999, n. 352 (Regolamento recante norme concernenti l’organizzazione e il funzionamento dell’Ufficio nazionale per il servizio civile, ai sensi dell’articolo 8, comma 3, della legge 8 luglio 1998, n. 230, presente sulla Gazzetta Ufficiale Serie generale – n. 242 del 14 ottobre 1999) che afferma i compiti della struttura che ha sostituito il distretto militare nella “cura” degli obiettori presso i vari enti di assegnazione.

Resta chiaramente fermo come il distretto militare abbia ancora grande importanza, almeno in questo primo momento di passaggio e transizione: innanzitutto la domanda verrà inoltrata al distretto, così come la documentazione di fine servizio che dovrà essere consegnata al distretto che curerà la pratica per il rilascio del congedo.

Di poi un ultimo avvertimento: non tutti gli obiettori sanno che, durante il loro servizio, sono assoggettati in tutto e per tutto alla disciplina militare per quanto concerne la paga – differenziandosi solo per l’emissione della stessa per tempi e luoghi - , le licenze ed il trattamento sanitario (con l’unica differenza che l’obiettore può scegliere di rivolgersi, oltre che alla struttura sanitaria militare, anche alle locali A.S.L.).

 

 

 

Note :

 

(1) Affermazioni ancora più gravi perché pronunciate da una persona che, per motivi non ancora accertati, non ha mai prestato servizio militare; una persona che quindi non conosce minimamente la problematica, pur rivestendo un ruolo istituzionale che, tecnicamente e moralmente, dovrebbe tradursi in un ruolo di tutela per la popolazione, obiettori inclusi.

 

(2) Non si deve scordare che attualmente scegliere il servizio civile rappresenta un vero e proprio diritto per il cittadino; è stata abolita infatti la procedura per cui il giovane desideroso di approdare al servizio civile doveva sottostare ad una “autorizzazione” da parte del Ministero della Difesa, rendendo evidente e lampante la dizione precedentemente in auge “servizio civile sostitutivo”, ora “servizio civile alternativo”.

 

(3) A onore del vero, le mie preferenze sul modulo di richiesta erano orientate a vari enti prettamente giuridici (Tribunali e Corti di appello), ma il fato ha voluto la mia assegnazione al primo contingente inviato alla Presidenza; vorrei inoltre precisare che non vi sono state, in merito alla mia assegnazione, ingerenze di nessun tipo da parte di familiari o conoscenti.

 

(4) Mio nonno paterno è stato per anni alto ufficiale dell’Esercito, al pari di mio nonno materno, ufficiale medico veterinario; mio padre Roberto è stato ufficiale dell’Esercito durante il periodo di leva, mio zio Fabrizio è stato ufficiale dell’Aeronautica, mio zio Gerardo è stato ufficiale medico veterinario.

 

(5) Settore che chiaramente non indicherò in maniera puntuale per tutelare i diretti interessati.

 

(6) Articolo 11, comma 4, Legge 8 luglio 1998, n. 230 (Nuove norme in materia di obiezione di coscienza).

 

(7) Articolo 9, comma 4 Legge 8 luglio 1998, n. 230 (Nuove norme in materia di obiezione di coscienza).

 

(8) Uno funzionario, durante una “chiacchierata informale”, mi confessò di non fidarsi – professionalmente parlando – di una persona che, pur trovandosi all’interno di un contesto delicatissimo, non aveva ricevuto nessun addestramento al riguardo. Mi disse anche che, secondo lui, era inconcepibile affidare documenti riservati ad un obiettore, annullando così anche le poche mansioni rimaste.

 

(9) L’affermazione è di un mio carissimo amico convinto assertore della necessità di un esercito, con conseguente disprezzo per tutti coloro che scelgono un servizio diverso. A questo proposito, anche per alleggerire il discorso, ricordo il nomignolo con cui mi apostrofava, con simpatia tutta mediterranea, il mio diretto superiore: imboscato di coscienza (che si aggiungeva al “giornalaio” in onore della mia professione).

 

Stefano Martello (1974), Giornalista, saggista e poeta; ha prestato servizio come obiettore di coscienza presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ufficio del Ruolo unico della dirigenza.

Per la rivista Sagarana ha già pubblicato il saggio “Per una cultura popolare ed istituzionale.

Attualmente collabora con il portale giuridico Diritto.it, con articoli giuridico-sociali.