RADICI DEL
NEOPOPULISMO : DAL CROLLO DEL COMUNISMO AI PAESI IN CRISI D'IDENTITA'
Marcello Flores
Le elezioni europee sembrano confermare che il pendolo della politica si sposta
a destra. L'opinione è legittima. Ma il problema è più serio e riguarda
l'intero pianeta.
E' abbastanza diffusa
l'idea che dopo un periodo in cui coalizioni di centro-sinistra hanno governato
per diversi anni nella maggioranza dei Paesi europei, adesso il pendolo della
politica si sia spostato verso il centro-destra. Le vicende elettorali avvenute
negli ultimi mesi in Europa sembrerebbero confermare questa tendenza comune: la
crescita di un vento neoconservatore, spesso legato a temi quali la sicurezza,
l'ostilità verso gli immigrati, il desiderio di pagare meno tasse e insieme il
mantenimento dei livelli di Welfare raggiunti, la personalizzazione della
politica attorno a personaggi dotati di un carisma che miete successi in strati
diversi e spesso opposti della società. Questa tendenza si intreccia con un
progressivo distacco dalla politica, dalla partecipazione elettorale,
dall'impegno verso l'amministrazione pubblica e i problemi locali; e in molti
casi trova la sua rappresentazione politica in formazioni nuove, tanto come
personale del gruppo dirigente quanto come modalità di operare e trovare
consenso. La deriva verso il centro-destra, tuttavia, non sembra una
caratteristica solamente europea, se si guarda a quanto è recentemente avvenuto
negli Stati Uniti e in Giappone, in Australia e in India, in Israele e in
Canada. Dopo circa un decennio di governi orientati verso il centro-sinistra -
il decennio dominato a livello internazionale dalla personalità di Bill Clinton
- il pendolo della politica avrebbe iniziato il suo spostamento a destra, dove
dovrebbe raggiungere il suo apice entro due-tre anni. Questa raffigurazione
della dinamica della politica è senza dubbio legittima e testimonia lo
svolgersi di un progresso reale. Renderla coerente e assoluta, tuttavia, rischia
di annebbiare alcuni processi che sono probabilmente di maggiore spessore e
interesse anche per le vicende pubbliche e politiche, spostando l'attenzione
verso la fenomenologia più esteriore invece che puntare l'attenzione a
comprendere tendenze di fondo di maggiore rilievo e significato.
Forse, dietro lo spostamento generalizzato dell'elettorato dal centro-sinistra
al centro-destra, si possono individuare delle generali tendenze dei sistemi
politici sottoposti alle profonde trasformazioni di questa epoca di
globalizzazione; in particolare la tendenza al manifestarsi - in Paesi diversi
fra loro - di quello che è stato chiamato neopopulismo. Si tratta di un
fenomeno che non è stato né probabilmente è principalmente europeo, anche se in
Europa, che ne è stata largamente immune negli ultimi decenni, esso rischia di
diventare un momento drammatico, di introduzione di fermenti e atteggiamenti
pericolosi per gli equilibri complessivi delle società e degli stessi regimi
politici democratici.
E' importante cercare di analizzare i diversi aspetti che sono alla base del neopopulismo,
componendoli in un panorama complessivo che solo in quanto tale può essere
compreso: isolare i suoi momenti costitutivi rischia di ricondurre a un
giudizio formulato seguendo schemi tradizionali e non più adatto alla fase
storica emersa con tanta chiarezza nel passaggio del secolo. Ed è altrettanto
importante capire le ragioni che sono alla base dell'emergere e del successo
del neopopulismo quanto la sua estensione geografica e il suo ruolo
nella situazione politica attuale.
L'aspetto classico del populismo, e cioè una forte crisi di
rappresentanza politica che porta all'emergere di forti personalità in grado
d'imporsi con un programma largamente demagogico rivolto in modo interclassista
all'intero Paese che si pretende di guidare verso nuovi e importanti risultati,
è certamente presente nella situazione attuale, più o meno in tutti i Paesi. La
demagogia assume di questi tempi l'aspetto rassicurante di chi promette insieme
più posti di lavoro e più ricchezza, più sicurezza e più libertà, meno tasse e
meno vincoli, meno controlli e meno regole, incurante dei guasti sociali e
culturali che una siffatta politica - alla continua ricerca di un nemico e di
un pericolo per potersi legittimare e per poter mobilitare - può portare. Si
tratta, nella maggior parte dei casi, di problemi reali, anche se esacerbati e
distorti nella percezione pubblica dal modo in cui politica e media li hanno
presentati, analizzati e affrontati; e non è un caso che su essi - si pensi
solo al tema dell'immigrazione - si gioca gran parte della polemica politica ed
elettorale. Essi, tuttavia, sono la facciata esteriore, l'aspetto ultimo e più
evidente di un problema di ben maggiore portata, che ha investito in forme
diverse il mondo intero e tanto più quanto il processo di globalizzazione è
andato avanti radicalizzandosi in profondità, ampiezza e velocità delle
trasformazioni apportate.
Il neopopulismo, infatti, è strettamente legato al tema dell'identità,
la cui importanza è spesso stata alla base dei mutamenti della logica
elettorale in numerosi Paesi negli ultimi anni. Il peso relativo e crescente
dell'identità è strettamente collegato alla crisi e poi al crollo del comunismo
negli anni ottanta; la sua scomparsa, come ideologia consolatoria e di
mobilitazione di tipo universale, ha lasciato intatto e ha anzi accresciuto il
problema di fondo emerso con la modernità all'epoca del passaggio dal XIX al XX
secolo: quello di come, in un mondo sempre più caratterizzato dall'individualismo,
si aggregano i gruppi, i ceti, le classi; qual è, insomma, la dinamica che
porta all'adesione e all'appartenenza politica di massa.
Nel rispondere a questo interrogativo e a questa sfida, che si fondava sul
motliplicarsi di "apparenze" dell'uomo moderno, le forze del
socialismo e del nazionalismo prima, del comunismo e del fascismo poi, avevano
avuto buon gioco di fronte a un liberalismo incapace di comprendere la nascente
di società di massa, e di offrire una risposta al suo bisogno di partecipazione
politica. Il populismo, in qualche modo, trova qui le sue radici, anche
se l'organizzazione e il consenso attorno ai partiti di massa conosce strade
diverse nei Paesi dove la democrazia mantiene il controllo della vita pubblica
e in quelli che si avviano verso esperienze di tipo totalitario. Il populismo,
tuttavia, si manifesta in tutta la sua chiarezza in situazioni di maggiore
arretratezza economica e di più radicale frammentazione e antagonismo sociale:
e sarà l'America latina, anche per tradizioni culturali e istituzionali
particolari intrecciatesi nel corso dell'Ottocento e nel primo Novecento, a
divenirne la patria adottiva o, addirittura, di (ri)fondazione (rispetto al
movimento originario sorto nella Russia della seconda metà del XIX secolo).Il rapporto
diretto del capo con le masse, una mobilitazione capace di intrecciare le
esigenze economiche, le richieste sociali e le aspirazioni nazionali, una
polemica costante contro la corruzione e la separazione della politica che
badava bene a non mettere in discussione alla radice gli interessi dei grandi
gruppi e delle oligarchie dirigenti, è stato alla base della nuova identità
che il populismo è riuscito a offrire ai suoi seguaci. Promesse in gran
parte non mantenute, illusioni più spesso infrante che realizzate, conflitti
interni e interessi in contrasto fra loro, nonché problemi e vincoli di natura
più generale o addirittura internazionale, hanno portato alla sconfitta di
questa tendenza sempre risorta a distanza di anni e nei momenti di crisi.
Perché, allora, parlare di neopopulismo almeno a partire dalla seconda
metà degli anni '80 e poi in modo più chiaro nel decennio successivo? Perché
una caratteristica del precedente populismo - il patto tra il leader e
un blocco sociale ben chiaro e identificato nelle sue esigenze economiche,
richieste politiche e caratteristiche identitarie - era venuta meno. La fine
della guerra fredda e la globalizzazione hanno portato a una nuova fase di
"perdita di identità", analoga e probabilmente altrettanto profonda
di quella sperimentata dall'umanità alla fine dell'Ottocento, nel passaggio
definitivo e irreversibile dalle società di antico regime alla modernità: dove
l'urbanizzazione, l'individualismo, le istituzioni e i tempi della società di
massa (cultura non più solo per élite, tempo libero, cinema e music-hall,
quotidiani e osterie, associazionismo politico e sindacale, sportivo e
religioso, diritti dei lavoratori e delle donne, costumi più liberi e morale
non più imposta) hanno lasciato "spaesati" gran parte dei nuovi
"cittadini", che la prima guerra mondiale renderà tragicamente e
obbligatoriamente maturi nel giro di pochi anni.
L'attuale perdita di identità è innanzitutto legata alle trasformazioni
tecnologiche che hanno reso davvero "globale" il villaggio mondiale,
alle rivoluzioni che in tutti i campi - dalla finanza al lavoro, dai trasporti
e dalla mobilità al paesaggio urbano, dalla televisione a Internet - hanno
offerto nuove prospettive ma sempre più incerte e atomizzate, togliendo
progressivamente i legami, le tradizioni, le certezze ancorate in una
riproduzione di tipo familiare, sociale e nazionale ormai messa continuamente
in discussione. Se pensiamo alle decine di nuovi Stati emersi dal crollo
dell'impero sovietico; se pensiamo al balzo economico compiuto da gran parte
dei Paesi asiatici; se pensiamo alle crisi, ai conflitti, ai nuovi mercati e
alle nuove merci che vi si sono imposte, alla possibilità di sapere e vedere
tutto quanto accade in ogni angolo del mondo ma anche all'impossibilità di
risolvere o in molti casi addirittura migliorare le più terribili tragedie
sociali ed ecologiche, le più macroscopiche disuguaglianze e ingiustizie, i più
violenti soprusi compiuti, ci rendiamo conto di quali pressioni pesino oggi
sulle identità personali e collettive della maggior parte degli uomini. E di
come, di fronte a incertezze, paure, insicurezze, rapide trasformazioni,
spostamenti geografici, risorse scarse e futuro precario il bisogno di una
nuova e più forte identità si faccia mano a mano più impellente; di una
identità che possa salvaguardare e rafforzare i bisogni e i traguardi personali
ma anche la rete comunitaria di tradizioni, valori, cultura, cui si appartiene
per nascita o si sente di appartenere per scelta.
L'identità populista si è declinata negli ultimi anni in modo diverso nelle
differenti aree e regioni del globo. Ha avuto però caratteristiche simili nel
successo di personaggi spesso nuovi alla politica, in programmi interclassisti
capaci di parlare a strati con interessi diversi e contrapposti, nell'accento
posto su un orgoglio nazionalistico di tipo nuovo, nella demagogica
accettazione dei "valori" della maggioranza anche quando improntati
all'intolleranza o addirittura alla violenza (dove si sono avuti scontri a
carattere etnico), nella salvaguardia degli interessi delle classi dominanti e
nell'intreccio più marcato anche se più appartato tra politica e affari,
nell'uso intelligente e spregiudicato dei media e della cultura di massa da
essi favorita e imposta. E' un'identità che si entusiasma per una politica
all'apparenza nuova ma si disinteressa dei suoi risultati, facendosi mobilitare
più dalle attese e dalle speranze suscitate. E' un'identità che si caratterizza
per un forte connotato antipubblico ma pretende al tempo stesso che lo Stato si
pieghi a supporto dell'iniziativa privata; che è contro la corruzione ma la
ritiene impossibile da superare; che è contro il sistema dei partiti ma è
pronta ad adeguarsi alla sua logica. E' un'identità che chiede protezione e
certezze, anche false e ipocrite, in cambio di una passività crescente nella
partecipazione politica, lasciata ai professionisti e agli specialisti pur
senza nutrire in essi alcuna fiducia.
Questa aspirazione identitaria non è la stessa in Europa o in Asia, in America
latina o nel Caucaso, e si manifesta infatti in forme diverse, con intensità e
modalità che spesso non hanno nulla in comune. E' uguale, tuttavia, come
bisogno espresso di fronte alle trasformazioni, come grido "sociale"
lanciato da chi non ha più solide culture, organizzazioni, sistemi di valori su
cui appoggiarsi e da appoggiare. Sbaglierebbe, quindi chi ritenesse che la
questione del neopopulismo riguarda la deriva di centro-destra che
sembra aver preso la politica in quest'ultimo periodo. La ricerca di identità
riguarda tutti, e se le formazioni di destra sono più attrezzate, per
tradizione o per motivi contingenti, a offrire risposte capaci di aggregare
l'elettorato, questo non significa che le loro risposte siano le più efficienti
o le più risolutive. Ma sono risposte, che è quello che per prima cosa vuole
avere chi è in cerca di una nuova identità. In passato, nei primi decenni del
XX secolo, il rafforzarsi e il contrapporsi di identità diverse (nazionalismi
prima, fascismi e comunismo poi, democrazie di massa e totalitarismi) ha
bloccato il processo di mondializzazione e condotto alla lunga "guerra
civile europea" durata dal primo al secondo conflitto mondiale. Il bisogno
odierno di identità, pena il rischio ogni giorno concretizzato di conflitti
locali che possono diffondersi e generalizzarsi, deve trovare risposte che non
siano in contraddizione con il processo di globalizzazione e le trasformazioni
che apporta con tanta rapidità; ma che possano guidare quel processo senza
contrapporre l'irrazionalità della appartenenza identitaria alla razionalità
del cammino economico e tecnologico. Ne nascerebbe uno scontro destinato a
risolversi in un dramma per tutti. E' per questo che la ricerca di una nuova e
più forte identità non può che avvenire attorno ai principi dei diritti e della
democrazia: è questa la sfida che pone l'inizio del XXI secolo e che dovrebbe
distinguerlo in modo radicale dall'inizio del secolo passato.
(Tratto dalla rivista Doc, Firenze, n° 4)