LA LAVAGNA DEL
SABATO - 27 luglio 2002
IL MONDIALE
DEL TERZO MONDO
José Inácio
Werneck
Ho sempre
ammirato Johann Cruyff come calciatore e come allenatore, ma non posso
condividere la sua opinione che il Mondiale del 2002 sia stato così scadente
che già ad agosto nessuno se lo ricorderà.
Il popolo
brasiliano, il quinto più numeroso al mondo, si ricorderà. Il nostro paese è
stato anche il favorito di centinaia di milioni di persone in tutto il pianeta
e loro non si dimenticheranno nemmeno di una partita finale così carica di
simbolismo. Lo spettacolo della disputa per il terzo posto, tra la Turchia e la
Corea del Sud, rimarrà ugualmente nella storia.
Il 2002 è
stato il Mondiale del Terzo Mondo ed è naturale che alcuni europei abbiano
reagito con ostilità. Non è una novità il fatto che il calcio è lo sport più
popolare della Terra. Preferisco chiamarlo universale, perché il termine
globalizzazione, ora di moda, confonde lo sport con un movimento economico che
purtroppo porta più problemi che soluzioni ai paesi poveri.
Chi legge la
rivista World Soccer, pubblicata in Inghilterra, e le diatribe del suo
redattore Brian Gianville troverà lì il pensiero degli eurocentrici. Brian, che
conosco da più di trent'anni, è una persona simpatica ed eccentrica. Ma i suoi
punti di vista sono una riedizione dell'odio al signor João Havelange stampato
sul libro Come loro hanno rubato il gioco, di David Yallop.
Non mi includo
tra gli ammiratori di João Havelange, ma il libro di Yallop è un pessimo lavoro
di ricerca, razzista, pieno di date sbagliate, imprecisioni di nomi e di fatti.
In esso ci
sono addirittura assertive che sfiorano la comicità, come quella che dice che
Pelé si è rifiutato di disputare il Mondiale del 1974 perché era contro la
dittatura militare, quando in verità lui canticchiava canzonelle di appoggio al
governo e ha preferito andare al Mondiale come testimonial della Pepsi.
È curioso
anche vedere Yallop garantire che "nel 1966 l'Inghilterra ha mostrato al
mondo che era possibile vincere un Mondiale onestamente". Ebbene, in quel
Mondiale gli anfitrioni sono stati favoriti in una lunga serie di episodi,
compreso lo stesso goal della loro vittoria, in cui la palla semplicemente non
è mai entrata.
So bene che la
nazionale brasiliana non ha presentato una esibizione all'altezza. Ma è
innegabile che i nostri calciatori erano superiori a quelli tedeschi e che la
partita è stata vinta pulitamente, sportivamente, con trasparenza, senza alcun
dettaglio dubbioso o controverso.
A Cruyff non è
piaciuta l'impostazione tattica della nostra squadra, e non è piaciuta neanche
a me, ma la verità è che anche nel primo tempo, quando la Germania ha dominato
la metà campo, le uniche opportunità di goal sono state le nostre, con
Kleberson e Ronaldo.
La chiave per
la vittoria è stata annunciata il giorno prima, da Rivaldo: "Contro Oliver
Kahn il segreto è calciare da fuori la grande area". Ed è stato proprio
così che lui ha aperto la strada per il primo goal di Ronaldo, e più tardi un
suo velo sensazionale ha permesso il secondo.
Il Brasile è
una superpotenza del calcio mondiale, ma fuori dal campo è un paese del Terzo
Mondo, come la Turchia o la Corea del Sud. Per fortuna del calcio abbiamo avuto
per la prima volta nella storia dei Mondiali una disputa per il terzo posto
veramente emozionante. Una partita piena di agonismo ma allegra, che
significava qualcosa, molte cose, per i calciatori, e che è finita in uno
spettacolo di confraternizzazione.
Come
brasiliano, il piacere che ho sentito col Mondiale sarebbe molto più grande se lo
spirito guerriero della nostra squadra traboccasse in altre aree della vita
nazionale.
E perché la
gente non confonda la fasulla globalizzazione che dilaga da tutte le parti con
il senso universale del calcio, suggerirei la lettura del libro Globalization
and its discontents, pubblicato poco fa negli Stati Uniti. Suo autore è
l'americano Joseph Stiglitz, professore di economia all'Università di Columbia,
Premio Nobel di Economia nel 2001, ex-membro dello staff di Bill Clinton ed
ex-presidente del World Bank. Se lui non possedesse titoli così illustri
sarebbe sicuramente accusato di comunismo o addirittura di terrorismo dai
fondamentalisti economici del governo George W. Bush.
Sarebbe bello
se i brasiliani non si soddisfacessero solo col calcio. Il calcio è molto, ma è
troppo poco dinanzi a quello di cui abbiamo bisogno. E il libro di Stiglitz
dice delle verità molto più importanti di quelle di Johann Cruyff.
(Tratto dal Jornal do Brasil, edizione del 6 Luglio 2002, traduzione di Julio Monteiro Martins)