V.S. Naipaul lancia uno sguardo tutto
personale sul fondamentalismo islamico
Alla fine degli anni ’70,
“rinascita islamica” era un’espressione comune nei notiziari internazionali.
Paesi orientali le cui istituzioni sembravano aperte alle influenze
dell’Occidente tornavano a seguire precetti mussulmani in differenti sfere.
Erano restaurate leggi dettate dalla religione, come l’uso del velo per le
donne o la punizione di fronte al furto con il taglio delle mani. Subito è
diventato chiaro che “rinascita” era solo un modo soffuso di parlare. Ciò che
stava arrivando era un nuovo fondamentalismo, per l’orrore di molti osservatori
occidentali. Uno di questi osservatori è lo scrittore caraibico V.S. Naipaul,
Premio Nobel per la Letteratura nel 2001. Per due volte, negli ultimi decenni,
ha percorso l’Iran, il Pakistan, la Malesia e l’Indonesia. Dai viaggi sono nati
due libri: Tra i fedeli e Oltre la fede. Lavori di oreficeria
letteraria, le opere sono aspre in altri aspetti. Il ritratto che Naipaul fa
dei paesi islamici è tagliente abbastanza per lasciare sconvolte le barbe del
profeta.
Il primo giorno, partendo nel
1979, Naipaul non sapeva quasi niente sull’islamismo. Voleva investigarlo,
osservare la fede in azione. Nonostante i paesi visitati presentassero profonde
differenze, Naipaul ha identificato in essi tracce comuni – e quasi esclusivamente negative. Tra i fedeli mostra società mosse dalla
rabbia e dal risentimento, immerse in una profonda confusione, ossessive nei
confronti dell’ideale purezza religiosa. In esse, la diffidenza riguardo
l’Occidente era enorme. Allo stesso tempo, però, l’Islam non rinunciava ad
approfittarsi delle conquiste materiali e tecnologiche occidentali.
Nel resoconto del secondo
viaggio, realizzato nel 1995, Naipaul riprende alcuni di questi temi. Ma ora la
sua curiosità ha un filo conduttore. Parte dal presupposto che l’Iran,
Pakistan, Malesia e Indonesia non erano paesi islamici nella loro origini.
Hanno subito l’invasione di una fede la cui logica è imperialista. Nei
territori conquistati dall’Islam, credenze ancestrali dovevano essere
cancellate ed è fatta tabula rasa della Storia locale. “Il convertito deve
rifiutare tutto quello che gli appartiene”, scrive Naipaul. “La perturbazione
per le società è immensa e, anche dopo 1000 anni, può rimanere senza
soluzione”. Nell’unico brano personale del libro, Naipaul ricorda la sua
infanzia in Trinidad, colonia dell’Impero Britannico, dove è nato. I suoi
genitori erano immigrati indiani. Vivendo in quella piccola isola dei Caraibi,
privato di contatti con le radici della sua etnia, Naipaul ha dovuto cominciare
il suo cammino partendo da un “vuoto spirituale”. Un vuoto, dice lui, simile a
quello imposto ai convertiti all’Islamismo”.
Chi si ricorda ciò che è
accaduto allo scrittore Salman Rushdie sa che c’è qualcosa di temibile nel
toccare l’orgoglio dei religiosi fondamentalisti. Nel 1989, Rushdie, anche lui
britannico di origine indiana, ha pubblicato il romanzo I versetti satanici. In esso, commetteva imprudenze come battezzare
prostitute con i nomi delle spose di Maometto. L’ayatollah Khomeini, dell’Iran,
considerò il libro blasfemo e decretò una sentenza di morte contro il suo
autore, che tuttora vive sotto la protezione del servizio segreto inglese. I libri
di Naipaul hanno anch’essi provocato delle risposte irate. Un critico denunciò Oltre la fede come un mucchio di
preconcetti, un panflet “islamofobico” per il consumo dei liberali bianchi.
Altri critici meno aggressivi osservarono che il ritratto dell’Islam come un
imperialismo travolgente era falso, perché
fatto senza prendere in considerazione delle sottigliezze storiche. Ma a
Naipaul non sono arrivate minacce. Il motivo probabilmente è uno solo: i suoi
libri non criticano la religione, ma
puntano solo sui suoi effetti sociali negativi.
Anche se uno ha poco interesse
per i paesi islamici, vale la pena di leggere Naipaul. In un’ epoca in cui gli
scrittori sono sciatti nella scrittura, lui è di un rigore assoluto. Nella
preparazione di Tra i fedeli e Oltre la fede il suo metodo è stato lo
stesso (anche se raggiunge la perfezione solo nel secondo libro): ad ogni
viaggio intervistava persone e raccoglieva le loro storie. Nello scrivere,
lasciava che ogni personaggio parlasse con la sua propria voce. Il suo ruolo
era quello di “amministratore della narrativa”, quello di cercare il termine
preciso, che non falsificasse la realtà osservata o la testimonianza raccolta.
Inoltre, Naipaul ha fatto un sforzo per sospendere i propri giudizi. “Questo è
un libro sulle persone”, scrive lui nella prefazione di Oltre la fede. “Non è un libro di opinione”. È un compito piuttosto
difficile. Molti dubitano che sia possibile. Nel suo sforzo però Naipaul
certamente ha ottenuto una conquista letteraria. I suoi due libri non sono
inquadrabili in alcuna classificazione
usuale. Non sono giornalismo politico né narrativa tradizionale di viaggi.
Formano un genere a sé, ancora senza nome – riconoscibile soltanto per il marchio inconfondibile del suo autore.
“La crudeltà del fondamentalismo
islamico consiste nel permettere soltanto a un popolo – gli arabi, il popolo
originale del Profeta – di avere un passato, luoghi sacri, luoghi di
pellegrinaggi e un culto alla terra. Questi luoghi sacri devono essere
necessariamente i luoghi sacri di tutti i popoli convertiti. I popoli
convertiti devono rinunciare al loro passato; niente si chiede ai popoli
convertiti, altro che una fede più pura (se mai una cosa del genere potrà
essere raggiunta), l’Islam, la sottomissione. È l’imperialismo più intransigente
che c’è.”