EPPURE NON SONO
MARZIANI
Emanuele Macaluso
Quando la tv ci fa vedere il sindaco di Treviso, ascoltando le sue parole, più
che a lui penso agli elettori che l'hanno ripetutamente votato. In una città
che ha una tradizione cattolico-democratica e dove c'era una sinistra
minoritaria ma viva e attiva. Treviso non è un'eccezione e il suo sindaco non è
un alieno, dato che esprime con truculenza ciò che la maggioranza dei suoi
cittadini vuole sentire. Del resto, Bossi è ministro e Berlusconi è presidente
del Consiglio. E ciò che nei loro comportamenti è, per una parte degli
italiani, un avanspettacolo indecente, per un'altra parte è un concerto di
musica classica diretta da Abbado. Perché preferiscono di gran lunga il primo
al secondo, che non capiscono e aborrono. Allora bisogna chiedersi cosa è
avvenuto in questo Paese, ma anche altrove, se penso al voto in Olanda per la
lista di Pim Fortuyn dopo il suo assassinio. Voglio dire che alcuni fenomeni
sono comuni a tutti i Paesi europei. Ma, per restare nel nostro, confesso che
in certi momenti l'Italia mi appare come venne descritta da alcuni studiosi
Messina dopo il terremoto del 1908, il quale seppellì fisicamente una classe
dirigente dinamica e democratica (Mazzini fu candidato ed eletto in quella
città) e dalle macerie emerse una "nuova classe", in parte importata,
formatasi usando le leggi per la ricostruzione fondate sul regime della
concessione e sugli appalti più o meno truccati.
L'Italia ha subito tre terremoti: la fine dell'assetto mondiale nato nel 1945 e
il crollo dei regimi comunisti; il dissolvimento del sistema politico italiano
a ridosso della caduta del Muro di Berlino; la crisi del fordismo ma anche, già
prima, della cultura contadina che avevano segnato la crescita della sinistra e
del partito cattolico. E queste forze, in questo dopoguerra, sono state
protagoniste di un grande processo di inclusione di masse popolari nella
vicenda politica nazionale e nel riconoscimento dello Stato unitario. Su questi
fenomeni esiste una vasta letteratura. Tuttavia quelle stesse forze politiche,
con la fine della solidarietà nazionale, dopo l'assassinio di Moro, non sono
state più in grado di guidare i processi sociali e politici che seguiranno
negli anni Ottanta e poi, con una incredibile accelerazione, gli anni Novanta.
Si è verificato un progressivo scollamento tra masse popolari, ceti emergenti e
ceti decadenti, e forze politiche.
Si afferma che negli anni Ottanta il Psi interpretò le esigenze di
modernizzazione sociale e istituzionale del Paese. In parte è vero, ma la mia
opinione che si trattò di una interpretazione epidermica, e i fenomeni che
modificavano assetti sociali consolidati, comportamenti e culture tradizionali,
sfuggirono a tutte le forze politiche. Del resto il fatto che Craxi dopo l'89
pensasse di continuare a governare il Paese con l'asse Dc-Psi e il pentapartito
la dice lunga. E da questa cecità politica prende le mosse anche il
convincimento che, per dare concretezza alla sua azione in concorrenza con la
Dc al governo e con il Pci all'opposizione, occorresse un finanziamento
straordinario. Ma anche per il Pci, il cui deperimento elettorale è evidente
con le elezioni dell'87, la sua lettura dei mutamenti e la sua azione politica
non incidono più nel corpo sociale del Paese. La stessa svoltadell'89, giocata
sul crollo del Muro, non aveva una base culturale aggiornata ai cambiamenti in
corso nel mondo e nel Paese.
Insomma, i partiti storici non sono più una guida, non hanno più egemonia, non
esercitano più il ruolo, anche pedagogico, esercitato in passato, non sono più
canali di formazione politica di massa. Il tutto è stato giustificato con la
crisi e la fine delle ideologie. La crisi in realtà fu di analisi e di azione
politica e quindi di gruppi dirigenti. Una crisi, come ho detto, che inizia e
prende corpo con e dopo la morte de Moro.
È in questo vuoto che la Lega, prima di Tangentopoli, nelle elezioni del '92,
consegue un grande successo elettorale. L'azione giudiziaria viene dopo e
certifica la viltà della classe dirigente politica che si ripara dietro le
procure e non riesce a dare senso e sbocco politico a una questione che era
anche giudiziaria, ma essenzialmente politica.
In questo clima, nel '93 la Lega elegge il sindaco di Milano e immediatamente
dopo arriva Berlusconi che, in nome della "società civile" esalta
l'opera delle procure, aggredisce i partiti e si candida ad assorbire l'area
del vecchio pentapartito. E si candida a rappresentare i ceti della
"partita Iva", i gruppi che vogliono liberarsi da lacci e laccioli
che ne impacciano lo sviluppo o la sopravvivenza, e ritengono che possono farlo
non solo riformando lo Stato, ma eludendo la legge e travolgendo quella
disciplina sociale, quell'educazione civica ereditata dalla fabbrica o dalla
famiglia contadina, dal rigore della scuola, o dagli oratori. Tutto si complica
quando i flussi migratori invadono non solo le grandi città, ma anche i medi e
piccoli centri. E si complica ancora di più nel momento in cui la società del
"benessere" si allarga, nuove fasce di ricchi e arricchiti
costruiscono ville e villotte, comprano gioielli pacchiani, viaggiano in auto
costose, e il tema della sicurezza diventa sempre più centrale.
Il vuoto politico di cui parlavo è anche un vuoto di iniziativa verso questi
ceti, una difficoltà di rapporto e di comunicazione, di linguaggio. A sinistra
verso questi ceti si manifesta fastidio, allergia quasi fisica. Soprattutto
dove sono cresciuti fuori di un contesto sociale e politico costruito dalla
sinistra come in Emilia, in Toscana, nelle Marche e in Umbria. Il canale più
efficace di comunicazione verso questi ceti sembra quello berlusconiano o
leghista.
Nel Sud, dove questi ceti non sono nati o cresciuti abbastanza, a prevalere è
il vecchio tran-tran del potere, ieri democristiano, oggi berlusconiano. E il
personale politico che governa è quello che, in un modo o in un altro, ha
succhiato il latte dalle mammelle dell'antico potere. La mafia è tornata ad
essere un collante sociale "accettabile e accettato". Anche in questa
parte del Paese i canali di comunicazione con il corpo sociale (ammalato,
infettato) sono quelli della destra.
La sinistra, in alcune regioni - penso alla Sicilia - sembra invece che non
abbia più eredi. E se un lavoratore "socialmente utile", in un comune
alle porte di Napoli, si dà fuoco perché pensa che solo le fiamme possano
rendere utile la sua "inutile" esistenza, ciò provoca amarezza,
rabbia, pietà e determina tanta impotenza. A questo punto chi legge dirà: e
allora? E allora, dico, dobbiamo sapere che né Berlusconi né il sindaco di
Treviso sono alieni. nel Paese c'è stata una mutazione sociale, culturale,
civile, che né la sinistra, né il "centro democratico" (quello che è
nel centrosinistra e quello che è nel centrodestra) hanno influenzato significativamente.
La destra, che da tali mutamenti trae alimento, è una corposa realtà. Con essa,
prima che con Berlusconi, la sinistra e il centrosinistra debbono fare i conti
su tutti i piani, con grande attenzione e senza illudersi che quello
giudiziario sia risolutivo.
Le discussioni sull'Ulivo che c'è e non c'è, sui partiti del centro-sinistra
che ci sono e non ci sono, resteranno parole al vento (come lo sono state sino
ad oggi) se non si prende coscienza di questa realtà e quindi non si elabori -
non con venti saggi, ma con un grande dibattito - una piattaforma
politico-sociale-culturale per affrontarla. E per capire e sapere cosa deve
essere oggi una forza politica, un partito per innervarsi in questa società,
per governarla e per migliorarla. Senza pensare a modelli astratti, e senza
accettare tutte le coordinate che oggi la identificano.
(Tratto dall'Unità del 31 agosto 2002)