NON BASTA PIU’ FARE O PENSARE BISOGNA APPARIRE, SE NO SCOMPARI
Come accade per i prodotti,
anche l’identità culturale non è più destinata a durare nel tempo:né la qualità
né l’originalità garantiscono più un posto al sole. Vivere nella riservatezza
significa essere sconosciuti, cessare di esistere. Un mondo incerto e
incostante ci ha trasformati in schiavi della velocità, in ombre fuggevoli. Non
è più sufficiente vivere, è necessario dimostrarlo. Ogni giorno.
IDENTITAS
FUGIT. “Se un uomo riuscisse a escogitare un richiamo più efficace, anche se
edificherà la sua casa nella foresta il mondo si aprirà una strada fino alla
sua porta”, scriveva Waldo Emerson. Era il 1855, molto prima dello sviluppo
della pubblicità e del bisogno quasi universale di diversificazione dei
prodotti. Ora il sentiero di quell’uomo sarebbe soffocato dalle erbacce e la
sua porta coperta di polvere e rampicanti. Oggi non è la qualità di un oggetto
né l’originalità delle idee a garantire un posto al sole; è l’immagine che
costruisce l’identità. Non soltanto, l’immagine deve essere costantemente
rinnovata, anche se ai nostri occhi è ancora utile.
Per
secoli, i prodotti e l’identità culturale erano destinati a durare nel tempo, a sopravviverci. Oggi ogni nuovo
prodotto tende a essere accantonato quando è ancora perfettamente funzionante.
Quanti lamentano il fatto che i prodotti del capitalismo hanno una durata
limitata, una intrinseca obsolescenza, non devono fare altro che girare le strade dell’Havana, dove si vedono circolare
ancora Chevrolet, Ford e Studebaker degli anni Cinquanta, come pezzi viventi di
antiquariato. E se potessimo entrare in molte case, scopriremmo che da
quarant’anni i frigoriferi Frigidaire e i condizionatori Norge hanno continuato
a refrigerare alimenti e corpi.
L’intrinseca
obsolescenza è diventata un mito. I prodotti devono essere messi da un canto –
sostituiti a quelli nuovi – per il benessere dell’economia e la rinnovata
identità dei consumatori. Siamo ciò che possediamo – ma ciò che possediamo deve
avere i caratteri dell’hic et nunc.
L’economia, spinta dai media, ci impone una nuova identità ogni mese, ogni
giorno.
Quando
fece la sua comparsa, il pc sembrò essere l’avanguardia dell’era
dell’informazione. Tuttavia, nel giro di una generazione elettronica ecco
approdare sul nostro grembo il computer portatile, e ora dobbiamo entrare nel
nuovo millennio dotati di un palmare. Per non essere esclusi dal gioco è
necessario possedere tutti e tre gli apparecchi. Ogni nuovo programma di computer che arriva sul mercato ci
invecchia, ci accantona: se non compri un Premiere 6.o non esisti più, sei un
antiquato video editor. Che tu lo voglia o meno, poco importa, lo devi
possedere. Vogliamo controllare la realtà, ma è la realtà a controllare noi.
Domani è già ieri.
Ciò
vale non soltanto per la produzione industriale, per le cose, ma anche per la
produzione intellettuale. In America abbiamo consacrato la tradizione del
nuovo. Ciò che abbiamo conquistato ieri, domani è già privo di valore. Ogni
mattina il miliardario si sveglia e deve considerarsi povero per restare in
lizza nella corsa sfrenata al successo economico. E lo stesso accade per lo
scrittore e l’artista. Eric von Stroheim, autore di una serie di capolavori
negli anni Venti, fu completamente dimenticato come regista in America, e negli
anni cinquanta divenne soltanto un personaggio secondario, poco più di una
comparsa, nel film Viale del tramonto.
In Europa, dove la tradizione è ancora la regola, lo si sarebbe visto sedere, a
Parigi, ai Deux Magot insieme con Sartre, e sarebbe stato immediatamente
riconosciuto e acclamato come regista di Rapacità
e Femmine folli.
Edmundo,
ad esempio, produsse il romanzo e il film Memorias
del subdesarollo, come la maggior parte dei suoi scritti, tra la fine degli
anni Sessanta e i primi anni Settanta. Il film e il romanzo sono spesso citati
ancora oggi in Europa e nell’America Latina, mentre negli Stati Uniti Edmundo è
una specie di fossile, quasi uno sconosciuto; e tuttavia egli sente, e ne è confortato,
che la sua personalità, la sua identità sono in ciò che ha scritto, in ciò che
ha realizzato negli anni passati, non in quello che gli capita di fare oggi.
Marshall,
invece, essendo americano, e sebbene sia autore di due rispettabili libri di
semiotica (uno dei quali è un bestseller accademico), sente la necessità di
sfornare una pubblicazione al mese, di concedere interviste alla stampa ogni
settimana e di presidiare periodicamente varie conferenze universitarie. Ogni
settimana qualche rivista lo chiama per qualche commento: ciò significa che
egli è ancora in gioco, che è vivo. Recentemente è stato intervistato del “ New
York Times” che gli ha chiesto un commento sul cancro alla prostata del Sindaco
Rudi Giuliani, sulla sua impotenza, i suoi problemi gastrointestinali e
sull’amante da lui invitata nella residenza di New York City. Qualunque cosa
per comparire ogni settimana sotto le luci della ribalta. Marshall si sveglia
ogni mattina con la fastidiosa sensazione di essere uno sconosciuto, e con la consapevolezza
che se non sarà citato o pubblicato
sarà come se fosse morto.
Due
colleghi, due approcci diversi all’identità: uno ancora radicato nella
tradizione del passato, l’altro radicato nella tradizione del nuovo.
L’epoca
contemporanea vede una produzione e un consumo incessanti di identità
culturale. Nel nuovo secolo, questo fenomeno ha avuto una crescita esponenziale
a seguito della velocità e del costante rinnovamento degli oggetti e delle
attività e con Internet ha raggiunto un crescendo vertiginoso. Nel giro di
pochi minuti si possono inviare immagini, motivi musicali, affermazioni banali
e conclusioni filosofiche, e ricevere nello stesso tempo avvisi pubblicitari di
odontoiatria cosmetica. Non è possibile concentrarsi, occorre svolgere velocemente
una pluralità di compiti attraverso collegamenti ipertestuali. Internet è
diventato il luogo dove chiunque può comunicare con chiunque altro mediante
personalità multiple, assumendo differenti identità sessuali, culturali,
economiche e generazionale.
I
prodotti, le attività, i ruoli proliferano senza controllo. Non solo sono
aumentati quantitativamente, ma si pervadono reciprocamente, si trasformano
l’uno nell’altro: i ruoli di genere, politici e sessuali, ciò che è
pubblicabile e ciò che non lo è, la moda
della borghesia e l’abbigliamento degli straccioni. Il sistema gerarchico della
cultura occidentale è diventato una struttura instabile e amorfa. Una delle
abolizioni più palesi è quella del confine tra pubblico e privato. Insegniamo
alla New York University e non appena arriviamo a casa, stanchi, gli studenti
hanno già invaso il nostro appartamento con richieste via e-mail cui bisogna rispondere immediatamente. La
classe si è installata nelle stanze del nostro appartamento.
I
giochi sessuali cui Clinton indugiava con Monica nella sala Ovale costituivano
un’irruzione del privato nella carica pubblica più alta della terra. Più di
recente, a New York City, il sindaco Giuliani, considerato un tradizionale
macho italoamericano, è stato costretto a rivelare le proprie vulnerabilità.
Con una causa di divorzio in corso, Giuliani invitò la sua amante negli spazi
pubblici di Gracie Manson, la residenza in città del sindaco. La moglie lo
denunciò, affermando che l’amante violava il suo spazio coniugale. Seguendo l’esempio
di Clinton, Giuliani dichiarò che con quella donna non vi era sesso, poiché lui
era diventato impotente a seguito della pesante terapia di radiazioni cui si
era sottoposto per curare un cancro alla prostata. La sua immagine si scisse:
non era più soltanto duce temuto e
autoritario, ma anche animale ferito e sentimentale. Giuliani, rivelò
addirittura in una conferenza stampa che di notte, solo in un angolo della
propria residenza ufficiale, era stato costretto a pulire il proprio vomito.
Così il privato diventa pubblico e il pubblico
diventa privato.
Le
persone ambiziose e creative sono state costrette ad abbandonare il confronto
della privacy. Vivere nella riservatezza significa essere sconosciuti, cessare
di esistere; si è costretti a produrre immagini, idee, identità sempre nuove.
Greta Garbo potè concedersi il lusso di ricercare ossessivamente la privacy
perché poteva contare su un’immagine durevole nel “mondo esterno”. Bramava la
riservatezza perché la velocità non aveva cancellato la sua immagine, il tempo
l’aveva semplicemente esaltata. Oggi la Garbo non avrebbe bisogno di privacy, non potrebbe più pensare di
“scomparire” per “ restare”, perché nessuno si ricorderebbe di lei. La privacy
diventa importante solo per quanti hanno quotidianamente successo come persone
pubbliche. Nella nostra era frenetica dobbiamo costantemente produrre e
riprodurre la nostra immagine pubblica.
Prince
e Madonna, ad esempio, non sono mostri; per sopravvivere hanno dovuto
reinventare se stessi parecchie volte. Le innumerevoli pettinature di Hillary
Clinton fanno parte della sua costante ri-creazione. Il ruolo di first lady non
è sufficiente; ora è senatore. E i suoi abiti devono continuare a cambiare da
una tonalità pastello all’altra, per scongiurare la caduto nell’oblio. Hillary
crea segni di se stessa e i segni, per essere tali, devono essere
differenziati, Il marito, Bill Clinton (il cui ricordo va già scomparendo), che
era una presenza così importante in America e nel mondo, che riempiva i
notiziari con le sue politiche e le sue buffonate, proprio alla fine della sua
carica cercò di generare qualche nuovo segno prendendo in affitto
inaspettatamente un ufficio ad Harlem e concedendo l’indulto a un finanziere
sospetto, Marc Rich. In questo modo riuscì a sopravvivere alcune settimane dopo
la fine del suo mandato presidenziale. Ma non durò a lungo. Ora Bill è entrato,
non sappiamo se per sempre o soltanto per qualche tempo, cioè fino a quando non
rifarà qualche cosa di eclatante, nelle schiere di sconosciuti, sebbene sia
ancora alto quasi due metri, continui a mangiare schifezze e a occhieggiare le
signore. Ora però agisce in privato, vale a dire è uno zero.
Siamo
animali politici, come affermava Aristotele; uomini e donne della polis. Siamo costruiti dagli occhi dell’altro.
Il ricordo delle cose passate è anch’esso qualcosa che appartiene al passato.
Non ci è consentito, come Proust, indugiare esteticamente nel tempo che fu.
Dobbiamo costantemente inventare un
futuro. Oggi a ogni batter di ciglia dobbiamo rinnovare il nostro paesaggio
culturale. E’ quasi come la legge visiva che rende possibile il cinema.
L’intervallo tra i battiti di ciglia – le inquadrature – non è percepito perché
produciamo, per così dire, ventiquattro immagini al secondo. Una persona è viva
solo perché, mutantis mutandis, può
produrre innumerevoli immagini nel corso della propria esistenza.
E’
per questa ragione che una nostra studentessa, una giovane bionda art director,
si ingegna per sopravvivere cercando, tra le altre cose, di far apparire ogni
mese la propria immagine su “Vogue”, mentre presenzia all’ultimo evento sociale
o culturale. “Cerco di non indossare mai due volte lo stesso vestito a un
evento”, ha dichiarato la ragazza nel corso di una discussione privata con i
nostri studenti su Giorgio Armani. Un altro studente, dal canto suo, confessa
che poteva permettersi solo una maglietta dell’Emporio Armani, che indossava
sempre,
Lei
è conosciuta, lui uno sconosciuto.
Un
cambiamento di immensa portata ha modificato le nostre identità. Il singolo Io unificato si è scisso. Ogni identità che
è in noi ha vita breve. Per secoli, la nostra personalità è stata controllata
da valori religiosi, imperativi morali, progetti politici, che richiedevano
impegno e coerenza a lungo termine. Non è più così. Queste forze si sono
indebolite, hanno cessato di operare con implacabile autorità.
L’affievolirsi
della religione, la crisi della repressione sessuale maschile, il crollo
élites, la fine delle mitologie politiche (comunismo contro capitalismo), la
durata irrisoria dei prodotti industriali, che siano vestiti, automobili o
elettrodomestici, e persino l’architettura – tutto ciò ha determinato quella
che definiamo era dell’incertezza, e di conseguenza un’acuita prontezza nel
coglier l’attimo, ed enormi mutamenti.
Il
mondo della fedeltà a un coniuge, a una confessione religiosa, a una ideologia
politica, il mondo della durata nel tempo del nostro frigorifero e del valore
dei gioielli di famiglia, quel mondo non è più con noi. Quello che incombe ora,
che ha frammentato la nostra psiche e ci ha reso schiavi della velocità, ci ha
trasformato in fantasmi, in ombre fuggevoli, infinitamente prone al consumismo.
Il vuoto creato dal crollo del vecchio deve ancora essere riempito. Da chi?
Dalle uniche due forze residue di un certo peso:l’economia e l’istinto
sessuale. Consideriamo per esempio la natura fluida del ciberspazio in cui le
identità sono molteplici, il linguaggio è privo di repressioni, le autorità
deboli o assenti. E’ un mondo incerto in cui gli interessi economici e gli
impulsi sessuali sono l’elemento cruciale. Il carattere democratico della rete
ha prodotto una frammentazione,una giungla caotica.
Il
mese scorso Marshall ha fatto il moderatore in una conferenza on line sul
“consumismo spirituale”, l’idea secondo cui il consumo non è materiale ma
spirituale, non fisico ma ideativo. La nostra conclusione,in qualità di
osservatori del dibattito internettiano, è che tutti i partecipanti erano
avidi, isolati e dimostravano solo all’inizio
un qualche interesse per le idee. Tutti rivelavano modeste doti intellettuali,
e alla fine i loro appetiti presero il sopravvento sotto forma di sessualità o
di scatologia, che sono la stessa cosa. Il moderatore era considerato di volta
in volta un tenutario di harem, un seduttore, un sadico elargitore di
briciole:in breve, i partecipanti rifiutavano di accettare l’autorità. Perché?
Perché Internet non dà titoli come un corso di studi, né ricompense sotto forma
di pubblicazioni, né lavoro, né una posizione nel mondo. L’unico piacere che i
partecipanti potevano avere era il piacere del testo, che nessuno sembrava
gradire. Poiché né le idee né il linguaggio davano soddisfazione, la componente
animale finiva per prendere il sopravvento. I partecipanti cominciarono a
parlare dei loro spesso del tutto insignificanti incontri personali, a
discutere delle relative abilità nel dar baci, delle doti fisiche delle
ragazze, di altre conferenze più succulente come planetout.com (un sito per gay
e lesbiche) e venne sollevato persino l’argomento dei movimenti intestinali.
Quando non esiste nessuna autorità, né repressione, né moralità, il sesso la fa
da padrone.
Un
altro mostro latente nell’universo di Internet è il profitto economico. Ogni
sito sembra avere lo slogan, uno spazio di ammiccanti avvisi pubblicitari che
ci allettano a un acquisto immediato o ci conducono attraverso un labirinto di
links che terminano così spesso in un prodotto da comprare nelle immagini di
bellezze asiatiche, bionde procaci o transessuali. La pornografia su Internet è
un successo commerciale, a differenza dei dot com. che si sono rivelati un
fallimento. Ogni sito ci alletta con video o foto gratuite, assicurandoci che
non dobbiamo fare altro che registrarci, assumere il nome con cui accettiamo di
essere considerati utenti, scegliere e confermare una password; e alla fine
siamo intrappolati, risucchiati in un sito che ci chiede la carta di credito.
Ebay, un sito dove possiamo comprare e vendere ogni cosa, dai guanti da
baseball alle vecchie lampade, è uno dei pochi siti di successo di Internet.
Amazon.com, forse perché vende libri e altri articoli di intrattenimento
confezionati, tira avanti con difficoltà.
I
fornitori di Dsl, il sistema che collega permanentemente la nostra linea
telefonica a Internet in modo più
rapido, ci controllano in modo invisibile, trasformandoci in acquirenti on line
sempre disponibili. Essi infatti offrono a prezzi convenienti (85 dollari al
mese) solo un Adsl, ovvero un Dsl asimmetrico, molto veloce nello scaricare e
molto lento nel caricare. Nessuno vuole caricare la nostra produzione: tutti
vogliono che scarichiamo, costantemente, le loro offerte.
Le
forze che si affermano e lottano per la supremazia sono due: la prima è
costituita dalle pulsioni individuali all’espressione, al potere e al sesso. La
seconda consiste nell’ambizione economica delle società commerciali di
appropriarsi del ciberspazio per trasformarlo in un enorme centro di profitto.
Un’epifania di questa lotta è la polemica tra i movimenti per il software
gratuito e il libero accesso al codice sorgente da un lato e Microsoft e altri giganti dei brevetti
esclusivi in Internet.
Il
gruppo favorevole al libero accesso al software sostiene che gli utenti
dovrebbero essere liberi di far girare, copiare, distribuire, studiare,
cambiare e migliorare il software che utilizzano regolarmente. Ciò garantirebbe
il progresso, il perfezionamento e l’adattabilità della maggior parte dei
programmi di Internet, dei personal computer, dei computer portatili e di
quelli palmari. Analogamente, il movimento per il libero accesso al codice
segreto di un programma chiede che esso sia accessibile a chiunque voglia
manipolarlo e, si spera, migliorarlo. Sentendosi minacciata dal movimento nel
timore di perdere il potere di escogitare programmi per manipolare l’utente,
Microsoft ha reagito con forza. E’ il potere dei programmatori di Microsoft
contro i singoli utenti. Microsoft si appella alle norme sulla “proprietà
intellettuale” e soprattutto insiste sul fatto che questi gruppi ribelli sono deleteri per gli affari. La sua
concessione minima, che si risolve in un trucco ideologico, consiste nel
consentire ad alcuni programmatori di osservare – ma non copiare – una parte
del suo codice sorgente.
L’esito
di questa lotta tra individuo e società commerciale è aperto: non sappiamo se
sarà l’individuo ad affermare la propria libertà o se saranno i “programmi”
della società ad affermare la propria esistenza. Il problema è se l’individuo
che desidera affermare il proprio Es, Io o Super-Io userà la conquistata
libertà per creare un nuovo, ricco complesso di identità o se le società
commerciali, assistite dai loro programmatori e progettisti, nonché dalla loro
avidità di profitto, si insedieranno nel vuoto lasciato dal crollo del passato.
Se
ci sarà una ricchezza ecologica su Internet o se ogni cosa sarà rasa al suolo,
annullata, per produrre solo pecore, è questa la posta in gioco. Noi, gli
autori, che viviamo nelle viscere del capitalismo millenario, temiamo che
vincerà un vecchio detto spagnolo:piensa
mal y acertaràs( pensa il peggio e sarai nel giusto). In Italia direste: a pensar male non si sbaglia.
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(Tratto
dalla rivista Telèma, attualità e
futuro della società multimediale, Fondazione Ugo Bordoni, anno VII, autunno
2001, Traduzione di Margherita Zizi)