LA STUPIDITÀ UMANA METTE IN CRISI DARWIN


Alberto Salza

 

 

 

Pensando alla frase di Schiller «Anche gli dei si arrendono agli stupidi», non possiamo affermare che questo: gli scienziati non sono da meno. In un incontro con Giorgio Salza (nessuna relazione con lo scrivente), del Dipartimento di Sociologia dell'Università di Torino, abbiamo cercato di considerare il comportamento degli stupidi sotto gli aspetti sociobiologici. A scopo paradigmatico abbiamo preso la definizione di stupido fornita da un grande economista, Carlo M. Cipolla: «Stupido è colui che fa un'azione che reca danni (morali, materiali e di ogni sorta) a un'altra persona, senza ricavarne alcun guadagno, anzi, spesso realizzando una perdita per se stesso». Su questa base ci è subito parso di essere circondati da stupidi. Ma Giorgio Salza mette in guardia: le definizioni di stu pido derivano da un preciso set culturale di caratteristiche variabili nel tempo. Fino a inizio 900, «stupido» e «idiota» erano categorie medico-diagnostiche; oggi sono insulti. Passiamo dunque a esaminare il problema prescindendo dalla definizione e accettando una visione gestaltica dello stupido: uno stupido è tale perché, agli occhi di un segmento di popolazione e per motivi sconosciuti, egli appare stupido. La domanda è: dato che l'evoluzione funziona anche attraverso la selezione dei meno adatti, perché gli stupidi? Obietta Giorgio Salza: «Attenzione, posta in questo modo, la domanda mina l'evoluzionismo, non gli stupidi. Mette sotto accusa i meccanismi selettivi. Occorre, più precisamente, chiedersi: perché l'evoluzione non seleziona gli stupidi?». Tra gli animali, lo stupido, l'inetto, il malato, vengono direttamente selezionati dai predatori, favorendo così la sopravvivenza dei conspecifici. Tutti noi, però, sappiamo che gli stupidi umani non funzionano a questo modo. Tra di noi, lo stupido è piuttosto un opportunista di nicchia, che riesce a cavarsela inserendosi in qualsiasi ambiente e sostituendosi gradualmente al non stupido (almeno, questa è la nostra percezione). In questo senso, gli stupidi ci portano a riconsiderare l'evoluzione umana. Senza scordarci di essere animali (soggetti alle pressioni degli ambienti esterni), dobbiamo valutare il fatto che siamo dotati di cultura. La cultura diventa un ambiente interno (endohabitat) in cui i meccanismi evolutivi funzionano in modo analogo a quelli esterni, ma (ovviamente) non sono direttamente percepibili, se non con le manifestazioni del corpo (comportamento). In questo senso, è più corretto parlare di comportamento stupido e non di stupidi tout court. Un ricercatore che si rende conto di lavorare in un'istituzione idiota e perniciosa per l'umanità, e non si ribelli perlomeno andandosene altrove, concretizza un comportamento stupido per sè; mentre se se ne va, è uno stupido per la maggioranza degli altri. E' attraverso questi comportamenti «stupidi» che si sono avute le rivoluzioni scientifiche. Tra i primati, il gioco individuale assolve le stesse funzioni, in quanto generatore di comportamenti non stereotipati (senza ritorno energetico del cibo bruciato nell'attività), i quali, testati nell'ambiente, potranno poi affermarsi nella popolazione attraverso le interazioni intraspecifiche. E' il meccanismo per cui si hanno le invenzioni (non le scoperte). Noi riteniamo che sia stupido (sic) separare o quantificare le percentuali generatrici di forme anatomiche e comportamentali attraverso la distinzione tra genetica e ambiente. E' come chiedersi, per l'area di un rettangolo, se conti di più il lato lungo o quello corto. Il comportamento stupido si genera tra i rumori di fondo della complessità, dove i sistemi di regole non sono isolabili: non si nasce stupidi, ma, neppure lo si diventa. La stupidità deriva da una sorta di Dna comportamentale, un set di informazioni che possono, se attivate opportunamente, generare comportamento stupido. Dato che la mente umana (in qualità di endohabitat) è un sistema complesso ad alta sensibilità alle condizioni iniziali, e considerate le più recenti ricerche sull'architettura fine del cervello, ne risulta che il comportamento stupido non è tipico di un uomo stupido, ma è probabilisticamente evolutivo, in quanto mette d'accordo il cervello dell'individuo con ciò che fa, garantendone la sopravvivenza culturale e, di conseguenza, fisica. Tra gli animali, si sopravvive attraverso due dinamiche: la lotta per il pasto e la lotta per la vita. E' per questo che, talvolta, la gazzella batte il leone. Lo stupido riesce ad affermarsi (e a diffondersi attraverso meccanismi che appaiono pericolosamente vicini a quelli genetici, in quanto educatore di figli) perché ha «un impegno verso la sopravvivenza», come dice Giorgio Salza. Al quale ho chiesto di farmi un esempio di comportamento stupido. «Tradire la moglie e poi andarglielo a dire», mi ha risposto: si parte da un più2 (2 partner attraverso cui perpetuare i propri geni) per arrivare a un bilancio di 0 (e all'autocommiserazione); si fa del male agli altri, ricavandone un danno. Personalmente ho domande irrisolte. Sareste in grado di elaborare una fisiognomica (caratteri esterni, tratti di viso...) dello stupido? Dato che, come dice Cipolla nella sua Prima Legge Fondamentale: «Sempre ed inevitabilmente, ognuno di noi sottovaluta il numero di stupidi in circolazione» (il che disegna inquietanti scenari per la democrazia: una testa un voto), per poi finire nella Seconda Legge Fondamentale («La probabilità che una certa persona sia stupida è indipendente da qualsiasi altra caratteristica di tale persona»), non vediamo forse uno straordinario adattamento al mimetismo da parte dello stupido? Che livrea ha, quando si muove tra noi? Qual è il suo bilancio se tira sassi da un cavalcavia (è davvero stupido o ne trae un vantaggio criminale, come un perverso prestigio)? I suoi vantaggi devono superare gli svantaggi, altrimenti andrebbe in rosso e dovrebbe estinguersi. La vera domanda, conclude Salza, è: evolutivamente parlando, come mai ci sono gli intelligenti, tra gli stupidi? E cita l'Enunciato no 7 del Tractatus Logico-Philosophicus di Wittgenstein, riguardo ai concetti di ridondanza: «Su ciò, di cui non si può dir nulla, si deve tacere».