NOI SCRITTORI DAVANTI
ALL' ORRORE DEL MONDO
Nadine Gordimer
Molti
di noi scrittori erano intenti a raccogliere i pensieri o a trasformarli già in
una poesia, in un racconto, nel capitolo di un romanzo, quando il terrore è
piombato dal cielo, e il mondo ne è stato reso testimone. Noi scrittori, al
pari di chiunque altro, non avevamo modo di sapere quali si sarebbero
dimostrate le conseguenze di questo atto inconcepibile. Ed eccoci qui. Nel
2002. Sappiamo tutti ormai quali conseguenze sono capitate. Qualunque cosa
debba ancora venire, l'11 settembre resta, primo di terribili avvenimenti, a
ordinare la tragica catena dei successivi. Quale sarà il dovere, il compito, il
significato della letteratura nel testimoniare un disastro senza precedenti,
precipitato intenzionalmente e spietatamente su un paese non in guerra?
L'omaggio alle grandi opere di Primo Levi, che portò la profonda illuminazione
della creatività letteraria nell'esperienza personale di un orrore più antico,
i campi di sterminio nazisti, non potrebbe essere occasione più appropriata per
porre a noi stessi questi interrogativi, oggi. Un giorno di sole a New York.
ORRORE era scritto sul sole. Parole profetiche del poeta William Plomer. Perché
l'orrore di Hiroshima e Nagasaki faceva parte degli indicibili orrori della
guerra; questo è stato l'orrore giunto con l'arrivo di un nuovo millennio
votatosi alla globalizzazione, un concetto che implica e assolutamente confida
che non si ricorra più alla soluzione violenta dei conflitti internazionali.
Dovere, compito, significato. Per attribuirli credo che dobbiamo innanzitutto
definire che cosa sia la testimonianza. Non è semplice. Ho preso il dizionario
e ho visto che le definizioni riempiono più di una colonna a caratteri minuti.
Testimonianza: "Attestazione di un fatto avvenimento o dichiarazione,
dimostrazione, prova. Testimone: "Persona che assiste a un fatto ed è in
grado di attestarlo in base alla sua personale osservazione". Le troupe
televisive, i fotografi, rendono la più alta testimonianza in questi sensi del
termine, quando una catastrofe è così incredibilmente visiva. Non servono le
parole per descriverla, è escluso che ci riescano. I lanci di agenzia, le
descrizioni giornalistiche, ne diventano essenzialmente una copia sfocata. La
televisione ha reso testimoni nel senso di "persone in grado di attestare
un fatto in base all'osservazione personale" non solo quelle migliaia di
individui rimasti atterriti nelle strade downtown a New York e intorno al
Pentagono, ma chiunque abbia visto tutto sul video. Il dovere e il compito di
attestare il fatto, l'avvenimento o la dichiarazione, di dare dimostrazione,
prova - capacità di chi è o era presente ed è in grado di testimoniare - è dei
media. L'analisi del disastro segue in termini politici e sociologici secondo
vari schemi ideologici, nazionali, specifici o populisti, alcuni dei quali
rivendicano quella condizione inafferrabile, riduttiva, che è l'oggettività. E
ai contesti, politico e sociologico in questo caso, secondo il dizionario si
dovrebbe aggiungere l'analisi in termini religiosi. Perché nella lista delle
definizioni del termine testimone è citato "colui che testimonia Cristo e
la fede cristiana, specialmente attraverso la morte, martire" L'Oxford
English Dictionary, condizionato dalla cultura occidentale cristiana,
naturalmente prende la curiosa decisione semantica di limitare la definizione
del termine testimone ad una sola fede. Ma i colpevoli degli attacchi
terroristici negli Usa erano testimoni, in questo senso, di un'altra fede, una
fede che il dizionario non riconosce, ciascuno di loro ha dato testimonianza
della fede islamica attraverso la morte e il martirio. Dovere, compito,
significato. Significato è ciò che non può essere raggiunto dall'immediatezza
dell'immagine, la descrizione della sequenza di avvenimenti, le metodologie di
analisi degli esperti. Se la letteratura di testimonianza deve trovare il
proprio dovere, compito e significato in relazione all'enormità di ciò che è
accaduto in una giornata di sole di settembre e da allora in poi, lo trova
nelle profondità del significato rivelato. E' nelle tensioni della sensibilità,
l'intensa consapevolezza, le antenne che captano le vite in mezzo a cui gli
scrittori vivono la propria come fonte della loro arte. Poesia e romanzi sono
processi cui lo status di testimonianza è attribuito dal dizionario Oxford
riferendolo alla "testimonianza interiore" , le vite di singoli
uomini, donne e bambini che devono ricomporre dentro di loro le certezze
frantumate, vittime anch'esse, al pari dei corpi sotto le macerie di New York e
dei morti in Afghanistan. Kafka dice che lo scrittore vede tra le rovine
"altre (e più )cose ... è uscire d'un balzo dalla fila degli assassini, è
vedere quello che avviene veramente". E' questa la natura della testimonianza
che gli scrittori possono e di certo devono dare, che hanno dato fin dai tempi
antichi, nella tremenda responsabilità di essere dotati del settimo interiore
di ciò che si fa strada come un caos di conseguenze ideologiche, etniche,
religiose e politiche, la Bosnia, il Kosovo, la Macedonia, che arrivano fino a
noi attraverso al visione di Roth. Le statistiche dell'Olocausto sono un libro
mastro del male, le cifre ancora visibili sulle braccia delle persone, ma Se
questo è un uomo di Primo Levi mantiene vivo uno stato di esistenza che diventa
parte della coscienza per sempre. La causa prima del comportamento umano
inumano verso gli umani, pronta a sintetizzarsi nel lancio delle atomiche sul
Giappone, è adombrata e racchiusa nel racconto di Kenzaburo Oe sulla seconda
guerra mondiale in cui un nero americano sopravvive allo schianto di un caccia
in un remoto distretto del Giappone e viene ritrovato dagli abitanti di un
villaggio. Nessuno aveva mai visto un nero prima: "E' nero, vedi...
proprio un uomo nero..." "Che cosa ne faranno? Lo uccideranno?"
"Perché è il nemico", dice la voce narrante, un bambino del
villaggio. Ma suo padre risponde: "Finchè non sappiamo che cosa ne pensa
il villaggio, allevalo" "Allevarlo? Come un animale?" "E'
uguale a un animale", disse il padre in tono grave. "Puzza come un
bue". L'uomo viene incatenato ad una trappola per cinghiali e chiuso in
una cantina. Ai bambini spetta il compito di portargli il cibo e di vuotare il
pitale. Completamente disumanizzato "il soldato nero iniziò a esistere
nella cantina all'unico scopo di riempire la vita quotidiana dei bambini".
Ne sono affascinati e terrorizzati, finché un giorno lo trovano intento ad
armeggiare intorno alla trappola con quell'abilità manuale che conoscono nella
loro gente. "E' come una persona", dice uno dei bimbi. Di nascosto
gli portano una cassetta degli attrezzi. Il soldato lavora per liberarsi le
gambe. "Gli sedemmo accanto e lui ci guardava, poi scoprì i grandi denti
gialli e allentò le guance, e noi scoprimmo con un sussulto che sapeva anche
sorridere. Capimmo allora che ci aveva legato a lui un improvviso, profondo,
appassionato vincolo che era quasi "umano"". La genialità della
testimonianza interiore di Oe diventa ancor più profonda nel non allontanarsi
dalle circostanze aleatorie - l'estraneità è decisiva in guerra - che si
concludono con il prigioniero che usa brutalmente il bambino come scudo umano
quando gli adulti vengono ad ucciderlo. E i dati quantificati e monitorati
della distorsione, della mutazione di organismi viventi, della vita umana,
animale e vegetale, attraverso le generazioni che dovevano derivare
dall'esplosione atomica trovano il brivido del significato in un fiore: un
altro scrittore giapponese, Masuji Ibuse, scrive di un iris spuntato fuori stagione
"....dalle... foglie ad angolo emergeva lo stelo piegato con il suo rosso
fiore purpureo. I petali erano duri e grinzosi d'aspetto. Non stupisce che li
avessi scambiati per carta velina". E un amico dice: "...l'iris di
questo stagno è pazzo e appartiene ad una pazza epoca!". Il livello di
tenacia creativa con cui il poeta sud africano Mongane Wally Serote testimoniò
gli avvenimenti apocalittici dell'apartheid in mezzo a cui viveva è anche
organico nella sua costante percezione. Scrive Serote: "voglio guardare a
ciò che è accaduto/ finito/ In silenzio come le radici delle piante bucano il
terreno/ guardo a ciò che è accaduto.../ quando i coltelli scorrono dentro e
fuori dalle persone/ come il giorno e la notte dentro il tempo...". In
epoca precedente la grandezza della testimonianza interiore di Conrad scopre
che il "cuore di tenebra" non è la postazione senso, quello
dell'immaginazione. Il "realizzare" ciò che sta accadendo viene da
quella che sembra una negazione della realtà, il passaggio degli avvenimenti,
dei motivi, delle emozioni, delle reazioni, dall'immediatezza a quel senso
stabile che è il significato. Se accettiamo che la "contemporaneità"
abbraccia il secolo in cui noi tutti siamo nati, al pari di quello appena
iniziato in modo così crudo, arriviamo a molti esempi di questa quarta
dimensione di esperienza che è lo spazio e il dovere dello scrittore .
"Non uccidere", il dilemma morale che il patriottismo e determinate
religioni chiedono venga soppresso negli individui mandati in guerra, emerge inevitabilmente
nel pilota della prima guerra mondiale della poesia di W.B. Yeats: "Coloro
che combatto non odio, coloro che difendo non amo". Un balzo fuori dalle
fila degli assassini che solo il poeta può fare. In La marcia di Radetsky e La
tomba dell'imperatore di Joseph Roth, la duplice epica peripatetica di
frontiere come Scilla e Cariddi, del crollo del vecchio mondo nella
disintegrazione dell'impero austro-ungarico, non è solo testimonianza interiore
della schiera sempre più lunga di profughi in eterno peregrinare nel nuovo
secolo, il coro greco degli spossessati che soffoca la musica di sottofondo del
consumismo. E' testimonianza fluviale di Mistah Kurtz, coperta di teschi,
assediata dai congolesi selvaggi, ma è negli uffici del Belgio di re Leopoldo dove
le donne lavorano a maglia mentre viene organizzato con grande efficienza il
selvaggio commercio della gomma naturale, con una quota di estrazione che i
neri devono rispettare pena l'amputazione delle mani. Sono alcuni esempi di ciò
che Czeslaw Milosz definisce "la fusione di elementi individuali e
storici" da parte dello scrittore e che Georg Lukacs definisce come
realizzarsi di "una memoria creativa che fissa l'oggetto e lo
trasforma", il dualismo dell'interiorità e del mondo esterno. Ho parlato
della condizione esistenziale dello scrittore di letteratura di testimonianza
per come io la definirei. Si fa ora avanti l'interrogativo: In che misura lo
scrittore è stato coinvolto, come persona in carne ed ossa a rischio, negli
eventi estremi, negli sconvolgimenti sociali, nelle minacce alle basi stesse
della vita e della dignità? In che misura deve esservi coinvolto? In un attacco
terroristico, chiunque si trovi presente in aria o in terra è a rischio,
diventa parte attiva in quanto vittima. Non si può scegliere di essere un
osservatore. In altri terribili avvenimenti, guerre, sconvolgimenti sociali a
fin di bene o di male, lo scrittore può essere una vittima al pari di chiunque
altro, non ha scelta. Ma lo scrittore, come chiunque altro, può anche aver scelto
di essere un protagonista. Non è indiscutibilmente dallo scrittore, in qualità
di testimone in prima persona, vittima o protagonista, che deve venire la
letteratura di testimonianza decisiva? Albert Camus ne era convinto. Camus si
aspettava che dai suoi compagni della resistenza francese, che avevano vissuto
tante esperienze fisiche e mentali sia devastanti che rafforzanti a livello
spirituale, straordinarie rivelazioni, sarebbero usciti scrittori che avrebbero
trasposto il tutto in letteratura e nella coscienza dei francesi come nessun
altra forma di testimonianza avrebbe potuto. Attese invano che questo scrittore
venisse fuori. Per quanto estreme, le esperienze umane non fanno uno scrittore.
Un Oe che sopravvive all'esplosione e alla pioggia atomica, un Dostoiewski
graziato all'ultimo momento di fronte al plotone di esecuzione; serve la
predisposizione, un cantante è dotato di determinate corde vocali, un pugile di
aggressività. Primo Levi avrebbe potuto riferirsi a questi colleghi scrittori,
come a se stesso, prigioniero ad Auschwitz, quando si rende conto che le loro
sono storie da raccontare di "un mondo e di una condizione che non può
essere compresa se non come ... noi comprendiamo gli eventi
leggendari...". Il dualismo di interiorità e mondo esterno, è questa
l'unica essenziale condizione esistenziale dello scrittore come testimone.
Marcel Proust sicuramente verrà considerato dai più come uno dei grandi
scrittori che meno si sono confrontati con qualunque tipo di avvenimento
pubblico. I critici sembrano ignorare che la stanza insonorizzata in cui lo
confinano non impedisce che il Faubourg Saint-Germaine del suo romanzo sia
invaso dalle più brillanti ed efficaci rivelazioni della presenza
dell'antisemitismo tra i più privilegiati e potenti di Francia. Così non mi
intimidiscono le alzate di sopracciglia quando accetto, da Proust,
un'indicazione sul cammino da seguire per gli scrittori nel nostro contesto:
"...la marcia del pensiero nel travaglio solitario della creazione
artistica procede verso il basso, nelle profondità, nell'unica direzione che
non ci è preclusa, lungo la quale siamo liberi di avanzare...verso il traguardo
della verità...". Gli scrittori non possono indulgere, e non lo fanno,
nella presunzione di credere di poter piantare la bandiera della verità su quel
territorio ineluttabile. Quel che è certo però, è che non possiamo escludere o
scartare nulla nel nostro solitario travaglio verso il significato, giù fino
agli atti di terrorismo. Dobbiamo cercare questo significato in coloro che
commettono tali atti come facciamo per le vittime. Dobbiamo prenderne atto. Il
prete dei Commedianti di Graham Greene, dalla sua interpretazione della fede
cristiana trae una massima religiosa: "La chiesa condanna la violenza, ma
più aspramente l'indifferenza". E un altro dei suoi personaggi, il Dr.
Magiot, ammette: "Preferirei avere sangue sulle mani piuttosto che, come
Pilato, acqua". Molti di coloro che rendono testimonianza secondo una o
l'altra definizione del dizionario, ricordano al mondo che gli Usa, vittima di
spaventosa violenza, hanno avuto sulle mani l'acqua dell'indifferenza al
divario cosmico tra la loro prosperità nell'ultimo decennio - i più ricchi
(10%) dei 25 milioni di americani ricchi, vantavano un reddito complessivo
superiore a quello complessivo dei più poveri (43%) della popolazione mondiale,
circa due miliardi di persone. In La morte di Danton di Georg Buchner, un
personaggio fa una rivelazione agghiacciante: "Il terrore è una
conseguenza della virtù... il governo rivoluzionario è il dispotismo della
libertà contro la tirannia dei re": Dov'è che inizia a crescere il
dispotismo del terrorismo, e perché? E dove andrà a finire? Come? Ecco il
territorio minato del significato, nella crisi del presente, da cui la
responsabilità dello scrittore non può essere affrancata. "Schiavitù,
menzogna e terrore... tre tormenti sono causa di silenzio tra gli uomini, li
nascondono l'uno alla vista dell'altro e impediscono loro di riscoprirsi".
Ecco che cosa trovò Camus in quel territorio. E' una specifica nel credo di
Milan Kundera: "Per un romanziere, una data situazione storica costituisce
un laboratorio antropologico in cui egli esplora il fondamentale interrogativo:
che cos'è l'esistenza?". E Kundera va avanti citando Heidegger:
"L'essenza dell'uomo ha la forma di un interrogativo". Se pure questo
interrogativo è irrisolvibile, proprio come la verità ultima è inaccessibile,
la letteratura è stata e resta un mezzo per le persone di riscoprire se stesse.
Il che può far parte della risposta al terrorismo e della violenta reazione che
evoca. Non è mai stato più necessario, vitale, di adesso che la tecnologia
dell'informazione, la nuova fede, non è riuscita a determinare questa
riscoperta. E' inevitabile che l'autore perda nella testimonianza interiore una
parte della sua libertà artistica? A rispondere non è uno scrittore ma un
pittore, Picasso, che a nome degli artisti di ogni mezzo espressivo,
confrontati con la loro creatività sbotta stizzito: "Che cosa pensate che
sia un artista? Un imbecille che non ha nient'altro che occhi se è un pittore,
o orecchie se è un musicista, o una lira ad ogni livello del suo cuore se è un
poeta... tutto l'opposto, egli è allo stesso tempo un essere politico,
costantemente consapevole di ciò che accade nel mondo, sia esso straziante,
amaro o dolce, e non può evitare di esserne plasmato". Né lo può l'arte.
Ecco che viene fuori Guernica. Flaubert scrive a Turgenev: "Ho sempre
cercato di vivere in una torre d'avorio, ma una marea di merda sta premendo
alle sue mura e minaccia di distruggerne le fondamenta". La letteratura di
testimonianza non è incompatibile con esperimenti formali e stilistici, un
anatema contro le meravigliose avventure del mondo. Al contrario, come chiede
André Pieyre de Mandiagues, quando gli scrittori "rendono testimonianza di
un disastro che sembra eccedere ogni misura, esso non deve essere declamato,
pronunciato", in risposta lo scrittore deve cimentarsi con tutte le
possibilità del suo mezzo, la parola, per trovare l'unico modo in cui le
istanze di significato possono essere declamate, pronunciate. Non esiste uno
stile o una forma bell'e pronta per la letteratura di testimonianza. Se deve
essere una poesia, va trovata tra tutte le combinazioni della poetica,
sperimentate e non, per eguagliare l'unica espressione che conterrà l'evento al
di là dell'evento, il suo passato e futuro. Come fece Yeats col suo pilota in
guerra. Se la testimonianza deve essere un racconto o un romanzo, quell'istanza
finale, l'espressione dell'evento prima e oltre l'evento, è la stessa. Va scoperta
tra tutti i modi di scandagliare il significato, esistente e futuro. A questo
punto, se mi è concesso, racconto la mia esperienza personale di scrittrice
resa testimone di un disastro che sembrava eccedere ogni misura. Quest'anno è
successo qualcosa di diverso. Le torri gemelle del popolo americano sono state
scagliate in un unico attacco brutale a seppellire le vite di migliaia di
americani. Non è stato un avvenimento istituzionalizzato, le sue conseguenze,
che oggi pesano sul mondo, erano allora incalcolabili. Nel mio paese, il Sud
Africa, il razzismo, nelle sue molte forme brutalmente destruenti,
dall'omicidio per conquista alla metodologia del colonialismo nella pratica,
certificato come volontà divina da una dottrina selettiva, si prese le vite di
migliaia di africani e stroncò quelle di milioni, sistematicamente, per
generazioni. Mentre il mondo assisteva impassibile, e ne traeva addirittura
profitto, servendosi delle risorse del paese prodotte da manodopera a basso
costo, io sono cresciuta nell'Unione risultato di guerre di possesso tra due
gruppi di colonizzatori, i britannici e i discendenti degli olandesi, i boeri.
Gli africani erano già stati spossessati da entrambi. Io ero figlia della
minoranza bianca, con addosso il paraocchi del privilegio come educazione
condizionante, basilare quanto l'ABC. Ma poiché ero una scrittrice, - si tratta
di una condizione iniziale, precedente all'aver scritto anche una sola parola,
non è un attributo che deriva dall'aver pubblicato qualcosa - divenni testimone
di ciò che nella mia società veniva taciuto. Molto giovane avviai un dialogo
con me stessa su ciò che mi circondava e questo prese la forma di cercare il
significato in ciò che vedevo trasformandolo in racconti basati su quelli che
erano gli eventi fortuiti della vita quotidiana per tutti intorno a me, come il
saccheggio della stanza di un servitore nero per mano della polizia mentre i
padroni di casa bianchi assistevano con distacco. Poi nell'adolescenza, durante
la guerra del '39-'45, quando ero assistente presso il pronto soccorso di una
miniera d'oro, e mi venne detto da un medico bianco che stava suturando una
ferita al capo di un minatore nero senza anestesia: "Loro non hanno la
stessa sensibilità che abbiamo noi". Quando il tempo e i libri pubblicati
confermarono che ero una scrittrice e che la letteratura di testimonianza, se è
un genere particolare di circostanza del mio tempo e luogo, mi apparteneva,
dovetti trovare il modo di mantenere la mia integrità nei confronti della
Parola, il sacro onere dello scrittore. Mi resi conto, come credo facciano
molti scrittori, che invece di restringere, inibire, spogliare rozzamente la
libertà estetica, la condizione esistenziale di testimone la allargava,
ispirandola, aprendo una breccia nelle precedenti limitazioni del mio senso di
forma ed uso del linguaggio per la necessità di creare forma e uso ex novo.
Negli anni cinquanta una storia scritta in forma quasi aneddotica cercò di dare
testimonianza interiore della consegna da parte dell'obitorio di un corpo, uno
qualsiasi, se era nero andava comunque bene, al posto di quello del padre di un
lavorante della fattoria di un bianco; veniva negato al legittimo proprietario
persino il possesso di sei piedi della superficie del paese, una quota pari
alle dimensioni di una bara. Negli anni '70, quando l'esproprio delle terre
degli africani raggiunse l'ultima trincea sotto l'apartheid, mi ritrovai a
scrivere un romanzo per cui solo alcune forme combinate di lirismo e della sua
antitesi, l'ironia, potevano tentare di arrivare al significato della terra,
sepolto questa volta con il corpo di un nero sconosciuto nell'eremo rurale di
un bianco, che emerge nella piena del fiume, un cadavere a rivendicare la
terra. Il ritorno apparentemente ossessivo al tema, letteralmente il terreno
del colonialismo su cui vivevo, era sia inconscio nella relazione d'amore dello
scrittore con le possibilità del mondo, un amore che dura tutta la vita, sia un
imperativo derivante dalla condizione di testimone. La libertà estetica è un
elemento essenziale della letteratura di testimonianza se essa deve adempiere
alla propria giustificazione come significato. E la forma e l'uso del
linguaggio che saranno espressione per un'opera non serviranno per un'altra. La
volta successiva che scrissi un romanzo, fu, in termini di letteratura di
testimonianza, un'esplorazione della testimonianza interiore dell'impegno
politico rivoluzionario, come una fede simile a qualunque fede religiosa, con
massime che nessun credente può mettere in discussione e le conseguenze di
tutto questo, le implicazioni esistenziali trasmesse da padre a figlia, madre a
figlio. La testimonianza faceva appello alla libertà estetica per trovare la
forma e il linguaggio, affinché la narrazione fosse completa di significato.
Lirismo e ironia non sarebbero serviti nel momento in cui la sopravvivenza
interiore della personalità di una figlia dipendeva dal pieno riappropriarsi
della vita di martirio volontario del padre, della relazione affettiva con lui,
e delle sue calcolate contraddizioni in ciò che la fede politica di lui, la sua
somma relazione, pretendeva da lei; le motivazioni che lo spingevano, le sue
azioni, altri legami personali, che la condizione di clandestinità
rivoluzionaria rendeva forzatamente un mistero. Un'opera che deve includere
documentazione reale per poterla decifrare in termini di testimonianza
interiore. Attraverso la libertà estetica ho dovuto, per così dire, interrogare
questa storia in molte voci interiori, raccontarla nella parte del suo
significato che riuscivo a raggiungere, sommerso sotto l'ideologia, la retorica
e l'azione pubblica. Non una ricerca psicologica, ma estetica. Non c'è torre
d'avorio che possa sostenere l'assalto della realtà che preme alle mura, come
notava sgomento Flaubert. Nel testimoniarla la fantasia non è irreale ma
rappresenta la realtà più profonda. L'esigenza di questa realtà profonda non
potrà mai consentire il compromesso con la saggezza della cultura convenzionale
e ciò che Milosz chiama le bugie ufficiali. Quell'eminente intellettuale del rifiuto
del compromesso, Edward Said, si chiede chi, se non lo scrittore, debba
"svelare e chiarire i contesti, la sfida e la speranza di sconfiggere il
silenzio imposto e la quiete normalizzata del potere". L'ultima parola
sulla letteratura di testimonianza viene di sicuro da Camus: "Il momento
in cui non sarò nulla più che uno scrittore, potrò smettere di essere uno
scrittore".
(Pubblicato su La Repubblica nel 17 agosto
2002 - Traduzione di Emilia Benghi)