IL
MONDIALE DEL TERZO MONDO
José
Inácio Werneck
Ho
sempre ammirato Johann Cruyff come calciatore e come allenatore, ma non posso
condividere la sua opinione che il Mondiale del 2002 sia stato così scadente
che già ad Agosto nessuno se lo ricorderà.
Il popolo
brasiliano, il quinto più numeroso al mondo, si ricorderà. Il nostro paese è
stato anche il favorito di centinaia di milioni di persone in tutto il pianeta
e loro non si dimenticheranno nemmeno di una partita finale così carica di
simbolismo. Lo spettacolo della disputa per il terzo posto, tra la Turchia e la
Corea del Sud, rimarrà ugualmente nella storia.
Il
2002 è stato il Mondiale del Terzo Mondo ed è naturale che alcuni europei
abbiano reagito con ostilità. Non è una novità il fatto che il calcio è lo
sport più popolare della Terra. Preferisco chiamarlo universale, perché il
termine globalizzazione, ora di moda, confonde lo sport con un movimento
economico che purtroppo porta più problemi che soluzioni ai paesi poveri.
Chi
legge la rivista World Soccer,
pubblicata in Inghilterra, e le diatribe del suo redattore Brian Gianville
troverà lì il pensiero degli eurocentrici. Brian, che conosco da più di
trent'anni, è una persona simpatica ed eccentrica. Ma i suoi punti di vista
sono una riedizione dell'odio al signor João Havelange stampato sul libro Come loro hanno rubato il gioco, di
David Yallop.
Non
mi includo tra gli ammiratori di João Havelange, ma il libro di Yallop è un
pessimo lavoro di ricerca, razzista, pieno di date sbagliate, imprecisioni di nomi
e di fatti.
In
esso ci sono addirittura assertive che sfiorano la comicità, come quella che
dice che Pelé si è rifiutato di disputare il Mondiale del 1974 perché era
contro la dittatura militare, quando in verità lui canticchiava canzonelle di
appoggio al governo e ha preferito andare al Mondiale come testimonial della
Pepsi.
È
curioso anche vedere Yallop garantire che «nel 1966 l'Inghilterra ha mostrato
al mondo che era possibile vincere un Mondiale onestamente». Ebbene, in quel
Mondiale gli anfitrioni sono stati favoriti in una lunga serie di episodi,
compreso lo stesso goal della loro vittoria, in cui la palla semplicemente non
è mai entrata.
So
bene che la nazionale brasiliana non ha presentato una esibizione all'altezza.
Ma è innegabile che i nostri calciatori erano superiori a quelli tedeschi e che
la partita è stata vinta pulitamente, sportivamente, con trasparenza, senza
alcun dettaglio dubbioso o controverso.
A
Cruyff non è piaciuta l'impostazione tattica della nostra squadra, e non è
piaciuta neanche a me, ma la verità è che anche nel primo tempo, quando la
Germania ha dominato la metà campo, le uniche opportunità di goal sono state le
nostre, con Kleberson e Ronaldo.
La
chiave per la vittoria è stata annunciata il giorno prima, da Rivaldo: «Contro
Oliver Kahn il segreto è calciare da fuori la grande area». Ed è stato proprio
così che lui ha aperto la strada per il primo goal di Ronaldo, e più tardi un
suo velo sensazionale ha permesso il secondo.
Il
Brasile è una superpotenza del calcio mondiale, ma fuori dal campo è un paese
del Terzo Mondo, come la Turchia o la Corea del Sud. Per fortuna del calcio
abbiamo avuto per la prima volta nella storia dei Mondiali una disputa per il
terzo posto veramente emozionante. Una partita piena di agonismo ma allegra,
che significava qualcosa, molte cose, per i calciatori, e che è finita in uno
spettacolo di confraternizzazione.
Come
brasiliano, il piacere che ho sentito col Mondiale sarebbe molto più grande se
lo spirito guerriero della nostra squadra traboccasse in altre aree della vita
nazionale.
E
perché la gente non confonda la fasulla globalizzazione che dilaga da tutte le
parti con il senso universale del calcio, suggerirei la lettura del libro Globalization and its discontents,
pubblicato poco fa negli Stati Uniti. Suo autore è l'americano Joseph Stiglitz,
professore di economia all'Università di Columbia, Premio Nobel di Economia nel
2001, ex-membro dello staff di Bill Clinton ed ex-presidente del World Bank. Se
lui non possedesse titoli così illustri sarebbe sicuramente accusato di
comunismo o addirittura di terrorismo dai fondamentalisti economici del governo
George W. Bush.
Sarebbe
bello se i brasiliani non si soddisfacessero solo col calcio. Il calcio è
molto, ma è troppo poco dinanzi a quello di cui abbiamo bisogno. E il libro di
Stiglitz dice delle verità molto più importanti di quelle di Johann Cruyff.
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(Tratto
dal Jornal do Brasil, edizione del 6
Luglio 2002, traduzione di Julio Monteiro Martins)