LA LETTERATURA DELL’ESILIO
Daniela Floridia* – Stefano Martello**
Premessa
Le moderne tecnologie multimediali hanno letteralmente ridefinito il campo d’azione di molti settori dell’agire umano; una situazione che ha comportato rilevanti cambiamenti non solo nel corpus della creazione – in qualunque campo la stessa dispieghi i propri effetti – ma soprattutto nell’animus, rendendo evidente un cambiamento di rotta per quanto riguarda i valori ora in auge.
Tale breve premessa per rendere evidente come, al di
là di dati prettamente economici in merito alla “caduta” commerciale del
prodotto libro, l’essenza di questa rivoluzione culturale sia da ricercare
fondamentalmente in una modificazione delle strutture sociali e dei valori che
della stessa sono diretta emanazione.
L’affermazione – all’interno del contesto sociale
occidentale – di valori laici e pratici ha, di fatto, cancellato ogni traccia
di tradizione culturale del passato, ponendosi, nel contempo, come terreno
estremamente fertile per la crescita ed il consolidamento della cosidetta
Globalizzazione.
Una globalizzazione che ha appiattito lo strato
sociale, rendendolo uniforme, una globalizzazione che ha imposto i propri
parametri alle diverse culture dando luogo alla nascita di una società anonima
e non da tutti accettata, se è vero che tale processo è stato compiuto in
maniera inconsapevole e forzata con l’aiuto di strumenti economici di
coercizione e induzione (1) .
Tra le attività che, sicuramente, più di altre hanno patito tale inversione, vi è la letteratura, intesa non solo come fonte di intrattenimento (2), bensì anche come fonte di riflessione, imput prezioso per tutti coloro che continuano, nonostante i tempi, ad intendere la cultura – in tutte le sue variegate forme – come forza incentivante il progresso e la civiltà sociale.
A tale proposito sia concessa una riflessione in
merito all’Artista – in qualunque campo operi – unitamente al suo ruolo nella
società occidentale che lo individua ancora come sognatore perso nelle sue
fantasie, e non come cittadino ben integrato nel suo status sociale, professionista incaricato di giocare con la parola
al fine di provocare dibattiti e momenti di riflessione (3).
In questo senso, compito essenziale delle Istituzioni competenti è quello di configurare l’operato dell’Artista alla stregua di una vera e propria professione, eliminando l’odiosa situazione attuale che vede tanti “operatori della cultura” stazionare nel limbo del doppio lavoro: uno per vivere dignitosamente, l’altro – spesso il lavoro artistico – per sopravvivere.
Ecco, allora, che il ruolo sociale dell’Artista
diviene centrale ed importantissimo; e a questo punto sovvengono le sapienti
parole dello scrittore franco algerino Tahar Ben Jelloun che afferma come “per fortuna ci sono ancora società che prendono
la letteratura sul serio, dove un libro, un romanzo o persino una poesia
possono fare correre qualche rischio al loro autore; paesi dove l'analfabetismo
è ancora un fenomeno importante, e dove essere un intellettuale comporta
precisi doveri, dove si chiede alla creazione letteraria di essere anche lotta
politica, opera sociale destinata a guarire certi mali”.
Proprio grazie a queste splendide parole, si
cercherà, di seguito, di operare una difficile quanto necessaria riflessione,
la cui essenza si concentra soprattutto sul clima di apparente benessere e
gratificazione che permea la società occidentale; dove, forse, molti aspetti
della nostra vita vengono decisi in maniera troppo poco consapevole, e dove gli
aspetti problematici (4) vengono ghettizzati sotto un ideale “tappeto sociale”.
Abbiamo forse smarrito la facoltà alla critica e
alla coesione, troppo obnubilati dal comodo progresso e da un sentimento
individualista (5) che si insinua, sempre più, nel nostro sentire comune?
Pur non potendo rispondere in maniera certa alla domanda, rimane il fatto che un certo tipo di letteratura – ancorata al dato reale e finalizzata all’esame di tematiche di particolare rilievo sociale - non riesce a trovare spazio all’interno del circuito letterario europeo, se non dopo aver vinto qualche premio importante: quindi non per ragioni di natura sociale, ma per motivazioni prettamente commerciali.
Il riferimento, nello specifico, è rivolto alle
tematiche in merito al rifugiato il cui status,
troppo spesso, è confuso con quello dell’immigrato, ponendo la necessità di una
doverosa puntualizzazione.
Il rifugiato è una persona in pericolo costretta a
fuggire dal proprio paese d’origine in quanto perseguitato per la sua razza,
religione, nazionalità, per il gruppo sociale a cui appartiene o per le sue
opinioni politiche (6).
Storicamente, il fenomeno affonda le proprie radici
nell’alba dei tempi (7), ma senza andare troppo indietro nel tempo, ci basti
ricordare il poeta Ovidio – che trascorse gli ultimi nove anni della sua vita
in esilio -, Lev Lenin, Bertold Brecht, Luis Bunuel, Albert Einstein; senza
scordare un illustre protagonista della vita politica italiana, quel Sandro
Pertini che dovette riparare in Francia per motivi politici.
Il fenomeno, poi, ha iniziato ad assumere rilievo
istituzionale con la creazione della Società delle Nazioni (1919) che, per la
prima volta, sperimenta meccanismi di organizzazione a livello universale per
contrastare un fenomeno che - complice una difficile situazione politica (8) –
diviene costante oggetto di preoccupazione. L’esploratore norvegese Nansen
viene nominato, così, primo Alto Commissario per i Rifugiati (9).
La storia dei rifugiati rispecchia fedelmente la storia degli uomini, e non poteva essere altrimenti, visto che la terribile decisione di abbandonare la propria Patria, spesso dipende da eventi di carattere politico e sociale.
Ecco che la letteratura dell’esilio assume un
carattere importante, perché, nella sua stessa essenza, si trasforma in una
testimonianza – storica, sociale, politica – rilevante, all’interno della quale
il dato letterario si arricchisce del dato sociale, riunendo in un unico
documento quelle che, a parere di coloro che scrivono, sono le vere “armi”
della letteratura: un foglio vergine unitamente ad una penna carica di
inchiostro, pronti più di mille armate a portare una salutare distruzione,
quella del “buon senso” e della civiltà.
Publio Ovidio Nasone (10), ricco e colto
frequentatore della Corte imperiale di Augusto, nonostante il suo esilio fosse
l’esilio del ricco – non gli furono confiscati i beni e non venne neppure
radiato dall’ordine equestre a cui apparteneva fin dalla nascita - visse la
propria condizione con grande sofferenza, scrivendo versi che indirizzerà, poi,
agli amici più cari e all’Imperatore.
Ma quale fu la colpa di Ovidio? Molti storici hanno
affermato che Ovidio fu vittima, essenzialmente, del nuovo ordine morale che
Augusto cercò di imporre all’indomani della disastrosa sconfitta di Varo, in un
momento politico in cui i vecchi ideali della Roma imperiale si stavano
perdendo, soffocati dal benessere e dalla decadenza (11).
Un altro importante caso di esilio politico è quello
di Dante Alighieri (1265 – 1321) che,
dopo l’esilio da Firenze, girò di corte in corte, da Lucca a Verona,
fino a Ravenna dove morì.
Tra le opere politiche, si cita la Monarchia, in cui
le figure del Papa e dell’imperatore sono raffigurate alla stregua di estremi
difensori e garanti della libertà e della pace, e, paradossalmente, la Divina
Commedia in cui – secondo gli studi di Giovanni Papini – il poeta esternò il
proprio risentimento verso i suoi nemici politici.
Ancora, gli Autori citano Sigmund Freud (1856 –
1939) che, perseguitato dai nazisti, abbandonò Vienna per recarsi a Londra; nel
suo “Psicologia delle masse ed analisi di me” edito nel 1921, Freud, in un
certo senso, anticipa l’inquietante potere dell’illusione verbale sulle masse
affermando che “le folle non hanno mai conosciuto la sete di verità. Esse
reclamano illusioni alle quali non possono rinunciare…Docile mandria, la folla
non saprebbe mai vivere senza un padrone” (12).
E nonostante le pressioni della Gestapo, egli visse
il suo esilio in maniera tormentata, come emerge dalle parole di Ernest Jones,
suo discepolo che nella biografia scritta su di lui, racconta come il padre
della psicoanalisi si considerasse un disertore, “un soldato che lascia la sua
postazione”.
Tale sentimento si afferma come il punto d’incontro
di molti tra coloro che hanno dovuto abbandonare la propria Patria; un senso di
inadeguatezza in cui la fuga viene vissuta come sottrazione ai propri doveri
morali e sociali, proprio come un soldato che fugge dalla chiamata alle armi
con un sotterfugio inesistente, evitando un dovere ineliminabile quanto
necessario.
Tra i letterati fuggiti dall’orda nazista, vi è
anche Bertold Brecht (1898 – 1956) che alla fine della prima guerra mondiale
compose il suo primo poema antimilitarista “La leggenda di un soldato morto” a
cui seguì la commedia pacifista “Tamburi nella notte” che fu notata da Hitler
ai tempi del mancato colpo di stato nel 1923 e che, conseguentemente,
rappresentò il punto d’inizio di una persecuzione (13) che costrinse lo
scrittore a fuggire prima a Praga, poi a Londra e infine a New York.
Quando si parla di rifugiati, si ha quasi sempre
l’impressione di trattare l’argomento in termini di gruppi piuttosto che di
singoli individui, dimenticando, troppo spesso, che il rifugiato è un uomo, una
donna, un bambino con propri ricordi, con un proprio bagaglio di affetti,
legami ricordi e speranze.
Quanto sopra ha convinto gli autori dello scritto in
esame a introdurre “pensieri” di non intellettuali, persone comuni, cittadini
comuni che hanno dovuto abbandonare la propria Patria per l’arroganza e la
mancanza di buon senso che, troppe volte, si pone prima della logica politica.
Tutti gli scritti riportati sono parte integrante
del fascicolo, a cura del Consiglio Italiano per i Rifugiati, “Richiedenti
asilo e rifugiati, chi siete?”
Ho una scatola di colori
In cui ogni colore esprime una sua felicità.
Ho una scatola di colori
Calda, fresca e allegra.
Non ho rosso per le ferite e il sangue.
Non ho il nero per un bambino orfano.
Non ho bianco per la faccia morta di un ragazzo.
Non ho il giallo per le sabbie gialle che bruciano.
Ho l’arancione per la voglia di vivere.
Ho del verde per radici e foglie.
Ho il blu per un cielo terso.
Ho il rosa per i sogni e il riposo.
Mi sono seduta e ho disegnato la pace.
Tail Shurek (bambina tredicenne israeliana)
Cosa non daresti per la libertà di un uccello;
senza territorio,
senza dimensione storica!
Così felice nella moltitudine della sua specie
e tra le altre specie.
A volte sul ramo,
a volte nell’infinito senza repubblica.
Cosa non daresti per agitare
un paio d’ali nello spazio.
Anonimo (Nicaragua)
Dove sono gli eroi della mia terra?
Voglio sapere ciò che è nascosto
per ritrovare me stesso;
lasciatemi indagare!
Percorro una via ignota
perché un involucro
mi ricopre l’anima;
dove sono i miei intellettuali?
I miei preti?
La mia strada?
Voglio una prospettiva di libertà
anche per me!
Ndjock Ngana
non sono duro
ma la mia vita
era dura
e qui dietro il petto
c’era il mio cuore
non questa pietra.
Yhia Allsallal
*Ufficio Stampa del Consiglio Italiano per i
Rifugiati - www.cir-onlus.org
** Giornalista
(1) Il lettore veda la politica attuata dai paesi industrializzati nei confronti del paesi del terzo mondo: una politica che, sotto l’alibi dell’aiuto e della solidarietà, è finalizzata esclusivamente ad una colonizzazione economica e sociale, attraverso l’imposizione di visioni tese alla sostituzione di valori obsoleti ed antistorici.
(2) Anzi, si può tranquillamente affermare che la funzione dell’intrattenimento si sia affermata come unico movente dell’opera letteraria.
(3) S. Martello, Un moderno antropologo dell’anima, intervento al 1° Congresso Nazionale dell’Unione Nazionale Scrittori, Roma, febbraio 2001.
(4) Il lettore intenda tali aspetti come poco consoni e poco adatti al piano generale imposto dalla società occidentale.
(5) La creazione di un modello culturale di riferimento, che ha imposto i propri parametri alle diverse culture, ha portato paradossalmente ad un riemergere di antistorici rigurgiti nazionalisti che, nel quadro generale in esame, si affermano come unica arma di difesa per vincere un pericoloso quanto inquietante “anonimato sociale”.
(6) Dati del Cir - Consiglio Italiano per i Rifugiati, organizzazione umanitaria indipendente, costituitasi nel 1990 sotto il patrocinio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR/UNHCR), istituito nel 1950. I Rifugiati presenti in Italia, secondo dati UNHCR risalenti al gennaio 2000, sono 22.870, con 9620 richieste d’asilo presentate; in Europa, invece, vi sono ben 4.856.326 Rifugiati con ben 466.587 richieste d’asilo.
(7) Il primo esempio di espulsione può essere individuato nell’episodio di biblica memoria di Adamo ed Eva.
(8) Basti pensare alla disgregazione dell’Impero Ottomano, e in seguito, ai rifugiati della guerra civile spagnola e ai rifugiati austriaci vittime della persecuzione nazista.
(9) Nel 1921. Il lettore ricordi che, in onore dell’esploratore è stato istituito un premio, che consiste in una medaglia e in una somma in denaro pari a centomila dollari, e che viene assegnato ogni anno a una persona o a una organizzazione che si sia distinta nel sostenere la causa dei rifugiati. Tra i recenti vincitori la Signora Graca Machel e Luciano Pavarotti.
(10) Poeta latino tra i maggiori, contemporaneo di Virgilio, Orazio e Catullo, fu condannato all’esilio nell’8 d.C. su ordine dell’Imperatore Augusto.
(11) Altri affermano che Ovidio fu testimone delle dissolutezze che si svolgevano a corte, ma la teoria più accreditata riguarda il sostegno politico fornito dal poeta ad Agrippa, nella corsa alla successione al trono dell’imperatore, che l’imperatrice Livia voleva destinare a Tiberio, suo figlio di prime nozze. A sostegno di tale ipotesi, l’evidente rancore dello stesso Tiberio che, durante il suo regno, rifiutò ogni atto di clemenza nei confronti del letterato.
(12) Il pensiero è stato espresso utilizzando una citazione di Gustave Le Bon.
(13) Persecuzione che culminò nel 1935 con la perdita della nazionalità, episodio a cui l’Autore rispose, qualche tempo più tardi, con un laconico “Non mi fece né caldo né freddo. La sorte dei fuggitivi non mi sembrava peggiore di quella di coloro i quali erano restati in patria”.